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Autore: Tomi Dark angel    02/07/2015    10 recensioni
STEREK.
Tratto dalla storia: "-Pronto?-
-Scott…?-
-Sceriffo, che succede? Mi sembra un po’ tardi per chiamare…-
-La... la camera di Stiles è… un bagno di sangue. E lui non… non c’è più. Mio figlio, Scott. Mio figlio…-"
Stiles Stilinski sparisce per tre anni. Per tre anni tutti lo credono morto, per tre anni di lui non si hanno notizie. Quando però riappare, non è più lo stesso. Di lui non resta che una creatura nuova, un incubo talmente orrendo che anche Beacon Hills teme di accogliere.
Genere: Mistero, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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“Come fai a raccogliere le fila di una vecchia vita?
Come fai ad andare avanti quando nel tuo cuore
Comincia a capire che non si torna indietro?
Ci sono cose che il tempo non può accomodare,
Ferite talmente profonde che lasciano un segno.”
 
-Stiles, devi concentrarti.- sbotta Chris Argent mentre solleva i pugni in posizione di difesa. –Non ho intenzione di evitare una seconda volta di colpirti la faccia. Stavolta andrò a segno, sappilo.-
Ma Stiles non sembra intenzionato a contrattaccare. Evita i colpi, scarta, si abbassa, balza di lato, ma non pare nemmeno infastidito dai continui attacchi di Chris e sua figlia. Entrambi lottano con velocità e precisione, menando colpi ben assestati e muovendosi con eleganza di autentici felini, fin quasi ad eguagliare lo stile di combattimento di un vero licantropo. A guardarli, non è difficile capire perché gli Argent appaiano tanto minacciosi agli occhi delle creature sovrannaturali. Per chiunque, rappresenterebbero una minaccia. Per chiunque, ma non per Stiles.
Stanno lottando da ore, e finora solo un pugno di Chris è andato a segno, colpendo Stiles alla spalla. Derek si è mosso violenza pur di non intervenire perché Dumah e Valefar sono stati chiari: Stiles deve imparare a reagire, e i due demoni non possono lottare contro di lui perché rischierebbero di ferirlo seriamente.
Chris ruota su se stesso, mirando un calcio alla testa di Stiles nello stesso istante in cui Allison fa guizzare i pugnali verso le ginocchia nel tentativo di azzopparlo momentaneamente. Entrambi restano stupiti tuttavia quando un risucchio d’aria fa perdere loro l’equilibrio, abbracciando Stiles in un grumo di ombre che lo teletrasporta in cima ai resti di casa Hale, laddove Valefar sta accovacciato per controllare la situazione dall’alto.
Stiles non pare stupito di quel cambiamento, così come non lo sembrano Valefar e Dumah. Gli altri però, lo fissano con un accenno di rinnovata speranza negli occhi perché Stiles ha controllato il teletrasporto al primo colpo. Non si è sbilanciato, non è finito più in là di dove abbia programmato. Ha mantenuto un’espressione neutrale, pacata, il che significa che il suo corpo ha reagito esattamente come si aspettava.
-Niente male, cherì.- sorride Valefar, raddrizzandosi. Si spazzola la polvere dai jeans e stiracchia le braccia, rilassato. –E ora, vediamo se riesci a controllare questa cosa.-
Sparisce all’istante, talmente in fretta da dare l’impressione di non essere mai stato lì, per poi riapparire al limitare della radura, accanto a un albero. Si tiene lontano da tutti, specialmente da Lydia, ma non fissa nessuno di loro: gli occhi di Valefar adesso puntano su Stiles in attesa di una reazione. Lo sfidano, lo aspettano. Chiedono conferma di una sicurezza che Stiles dovrebbe ormai aver raggiunto.
E Stiles infatti, non lo delude.
Quando il ragazzo sparisce e riappare accanto a Valefar, quello scompare di nuovo, subito seguito dall’altro. Cominciano un gioco piuttosto bizzarro, un rincorrersi micidiale di due creature che a stento misurano la propria forza. Si comportano come bambini, sparendo e riapparendo come se stessero giocando a nascondino, ma Derek ha la sensazione che i due siano in realtà molto più veloci di quanto diano a vedere: ha sentito infatti uno spostamento d’aria al suo fianco e uno poco lontano, dove sembra che non sia apparso niente. In un solo secondo, quante volte sono capaci di apparire e sparire? Dieci, cento, mille? Derek non è sicuro di voler conoscere una risposta.
Dumah ridacchia, appoggiandosi a un albero vicino.
-Trovi così divertente questo spettacolino?- chiede Peter, guardandola.
-Trovo divertente che Valefar stia ridendo come un imbecille.-
-Lo stai facendo anche tu.-
-Non ho mai detto di non essere imbecille a mia volta, sai, dolcezza?-
-Ti stai insultando da sola.-
-Lo faccio quando mi annoio.-
-Lo trovo un comportamento da idiota.-
-Mi stai dando ragione, visto?-
I due si guardano fisso negli occhi, le labbra tese, gli sguardi che incenerirebbero Lucifero stesso. Questo finché qualcuno non scoppia a ridere senza ritegno, piegandosi in due con le mani sulla pancia.
Allison si copre la bocca a fatica, cercando di soffocare le risate, ma con scarsi risultati. Il suo corpo è squassato dalle convulsioni e le tremano le braccia, gli occhi luminosi come punti luce. È sporca di terra e sudore, ma sembra felice come non lo era da tempo. La sua risata infatti è talmente contagiosa che alla fine anche Scott e Isaac cominciano a ridere e Chris si abbandona a un sorrisetto che suo malgrado non riesce a nascondere. Anche Derek arriccia appena le labbra, ma è troppo nervoso per sorridere davvero: i suoi occhi non fanno che schizzare dappertutto nel disperato tentativo di tenere d’occhio Stiles.
Impossibile. Derek non ha mai visto niente di più veloce. Se in corsa Stiles è sorprendentemente svelto, nel teletrasporto è praticamente invisibile. Derek è certo che lui è Valefar si allontanino di continuo per poi tornare da loro a distanza di pochi millesimi di secondo.
-Sei bravo!- esclama Valefar, riapparendo sul tetto di casa Hale. Sorride con serenità spensierata, i capelli scompigliati e gli occhi luminosi. Non presenta alcun segno di affanno, ma la sua pelle balugina di vaghi riflessi neri e blu, come fiamma covata sotto le sue stesse ceneri.
-Grazie.- risponde Stiles, senza tuttavia sorridere. Alza gli occhi al cielo, scrutandolo come un bambino curioso che sta ancora scoprendo il mondo. Il branco non presta loro attenzione, troppo impegnati a fare fracasso come un gruppo di cuccioli inesperti. È bello, è… naturale. –Una volta vi sentii parlare delle mie… caratteristiche fisiche.-
Valefar inclina il capo, sorridendo ancora. –Sì?-
-E… mi chiedevo… sentii parlare di… ali. Ho le ali?-
-Questo e molto altro.-
-Ma non sono una brava persona.-
-Perché dici questo?-
Stiles cerca invano di sorridere. –Perché anche se la mia mente non è totalmente stabile, posso ancora capirlo quando la gente mi tratta come se fossi una bomba a orologeria.-
Valefar smette di sorridere, improvvisamente conscio della situazione. Stiles ha ricominciato a riacquistare il controllo di se stesso ed è perfino consapevole di essere psicologicamente instabile. Non sembra detestare la situazione né la sua natura demoniaca, ma già il fatto che riesca a sostenere una normalissima conversazione ha dell’incredibile. È come se la sua umanità stesse lottando ancora, acquisendo sempre più spazio, respingendo la natura demoniaca. Ma non è così che deve andare.
-Dovresti accettarla, sai? La tua vera natura.-
Valefar si stiracchia e abbassa gli occhi sul branco. Molti ridono, altri sorridono, ma tutti sembrano sereni. Anche Derek, che fissa lo sguardo smeraldino in quello di Stiles, rilassandosi. Adesso che lo vede, ogni cosa torna finalmente al suo posto.
-È proprio un bell’uomo.-
Stiles sussulta, improvvisamente rosso in volto. Si torce le mani, boccheggia, ma non capisce perché. È come se una piacevole morsa d’aspettativa gli avesse stretto lo stomaco, chiudendoglielo.
Fissa Derek con quel po’ di visibilità che gli consente il sole, ma anche in quelle condizioni non può che ammirare la tinta ambrata che i raggi dorati donano alla sua pelle liscia, all’accenno di barba virile che gli cosparge la mandibola, agli zigomi alti e al naso dritto. I capelli sono scompigliati, morbidi così come Stiles li ricorda perché una volta li ha toccati, proprio mentre Derek dormiva. Sembrano di seta.
Ed è allora che Stiles capisce con tristezza che se lui è un demone, Derek Hale, con la sua gentilezza, la sua pazienza e i suoi rari sorrisi, non può che essere un angelo. Un angelo lontano e irraggiungibile, che Stiles non dovrebbe nemmeno azzardarsi a sfiorare.
-Stai pensando una delle tue solite stronzate.- dice Valefar, distogliendolo dai suoi pensieri. Stiles lo guarda.
-Perché, cosa penso di solito?- domanda, e Valefar scrolla il capo.
-Non hai idea di cosa hai fatto per quel tizio laggiù in questi ultimi tre anni, Stiles. Hai sacrificato ogni cosa, hai annullato te stesso, hai sopportato le torture dell’Inferno. Non ho mai visto niente del genere, credimi. Se Derek ti avesse chiesto di morire per lui, tu lo avresti fatto senza obbiettare. Lui era il centro del tuo universo, quel peso di sanità mentale che pesava sul piatto giusto della bilancia, impedendoti di impazzire. Eppure, nonostante tutto, non hai mai voluto dirgli niente: lo guardavi da lontano, sorridevi, ti prendevi cura di lui e lo proteggevi quando Derek non guardava. Eri tu l’angelo, Stiles, e lo sei ancora.-
Valefar gli appoggia una mano sulla testa, scompigliandogli i capelli con dolcezza fraterna. Lo guarda fiducioso, negli occhi azzurri una luce nuova che gli rischiara il viso di beatitudine quasi angelica.
-Credo che lui lo abbia capito. Adesso sa.- sorride, costringendo Stiles a guardarlo. –E lo sappiamo tutti quanti. Guarda cosa hai fatto.-
Indica il branco riunito, i loro sorrisi, il sole che li bacia di un calore nuovo e più gentile, rilassato, sereno.
-Guarda me e Dumah. Io… non so come sia potuto accadere, ma in qualche modo ci hai cambiati profondamente. Adesso collaboriamo con un branco di creature che sembra accettarci, lottiamo per un bene che non conoscevamo nemmeno ma che abbiamo visto attraverso i tuoi occhi. Questo è un miracolo, Stiles… e i demoni non fanno miracoli. Ormai, non ne fanno più nemmeno gli angeli. Tu sei superiore a entrambe le categorie, ed è per questo che abbiamo fiducia in te: tu hai la forza di un demone e il cuore di un’anima beata.-
Quando Stiles sbatte le palpebre, qualcosa scivola sulla sua pelle. È un tocco curioso, leggero, come una carezza di bambino. Gli sfiora la guancia con dolcezza, lasciandosi dietro una scia cristallina di umida commozione.
Stiles non ricorda cosa significhi piangere. Non sa perché si fa, non capisce come possa accadere. Sa solo che adesso quella piccola, umana lacrima di purissima acqua salata è scesa dal suo occhio destro, ma non pesa tanto: non è una lacrima di dolore, di paura, di rabbia. Sa di qualcosa che Stiles riconosce appena, un sentimento che quando è con Derek prova costantemente senza mai riuscire a identificarlo.
Felicità.
-Grazie.- singhiozza Stiles, prendendogli la mano e stringendola forte tra le sue, più piccole e sottili ma ugualmente forti. Valefar lo abbraccia con dolcezza, cingendogli le spalle e baciandogli i capelli come un fratello protettivo.
-Stiles.- chiama una voce tesa che li costringe a sciogliersi dall’abbraccio.
Derek Hale è in piedi sul tetto, a pochi passi da loro e fissa Stiles con preoccupazione a stento celata. Ha gli artigli snudati, gli occhi attenti che baluginano appena di blu, come se fosse a un passo dall’infuriarsi.
-Valefar, se sei stato tu a farlo piangere, ti stacco la testa.- ringhia, facendo un passo verso di loro, ma Valefar non sembra preoccupato e Stiles lo è ancora meno. Altre lacrime scivolano sul suo viso mentre qualcosa di nuovo si dilata nel suo petto, abbracciandolo di una dolcezza infinita, fresca, che adesso Stiles può riconoscere. È Derek. La sua ancora, il suo inizio e la sua fine. La sua felicità. Tutto ciò di cui ha bisogno è lì, in quella burbera creatura dal cuore troppo grande.
-Valefar, esigo una risp…-
Ma Stiles spicca improvvisamente una corsa, veloce come un demone, tanto che per brevi istanti Derek lo vede sparire e trasformarsi in cellule di purissimo vento inafferrabile. Poi, qualcosa gli cinge i fianchi e un corpo caldo preme contro il suo. Labbra morbide e piene si posano sul suo collo in un tocco che non è un bacio, bensì un semplice sfiorarsi di pelle contro pelle, puerile e privo di malizia. È il tocco di un bambino, il tocco di un cucciolo gentile che ringrazia il suo padroncino per averlo accolto e curato. Il tocco di Stiles.
Derek sbatte le palpebre stordito, il cuore in tumulto, la pelle coperta di brividi. Avverte l’odore di Stiles mescolarsi al suo, e capisce che non c’è al mondo un mix più perfetto di quello, come di due pezzi di puzzle che si incastrano. Lo abbraccia a sua volta mentre Stiles gli singhiozza debolmente sulla spalla, mormorando qualcosa in lingua demoniaca, che nonostante il tono graffiante e gutturale, adesso appare quasi dolce, angelica e musicale.
-Stai bene?- mormora Derek, facendo scorrere la mano lungo la sua schiena. Stiles annuisce contro la sua spalla proprio mentre il resto del branco li raggiunge, chi arrampicandosi, chi balzando con agile semplicità. Tutti si radunano al cospetto di quella scena purissima e commovente, il tocco di due anime che si trovano, si stringono, si completano a vicenda come pezzi rincollati di una stella esplosa rimasta rotta troppo a lungo.
-Solitamente odio certe romanticherie.- sorride Isaac, gli occhi fissi sulla scena. –Ma devo ammettere che quei due non sono male insieme. Avrei voluto che anche i miei genitori fossero così.-
Pronuncia quelle parole con beata semplicità, senza tristezza o imbarazzo. Parla con tutti e con nessuno, impassibile come al solito. È cresciuto così, Isaac. Sa affrontare il dolore, la solitudine, la paura. È sempre stato il realista del gruppo, quello che affronta i problemi ad alta voce perché lui, nei problemi, ci è nato. Ha scelto di andare avanti riconoscendo le sue debolezze, accettandole, abbracciandole. Non evita il suo passato, perché esso incarna tutto ciò che Isaac è diventato, uno dei motivi che lo spingono a respirare.
Scott lo guarda di sottecchi, gli occhi fissi sul volto troppo pallido, sui ricci dorati, sugli occhi azzurri. Occhi troppo giovani che troppo hanno visto, occhi che sanno giudicare e affrontare. Occhi di giudice imparziale.
Scott non sa cosa significhi affrontare una vita tanto dolorosa. Lui ha avuto i suoi problemi in famiglia, ma saranno sempre ben lontani dalla gravità devastante di ciò che ha subìto Isaac. Ogni volta ci pensa, ogni volta prega che in qualche modo, le cose migliorino e Isaac stia bene. Ormai, quel ragazzo è parte di lui, parte della sua vita, della sua casa, della sua famiglia.
Istintivamente, senza pensarci o chiedersi il reale significato dei suoi stessi gesti, Scott gli afferra la mano e intreccia le dita con le sue.
Isaac trasale, si irrigidisce. Lentamente, volta il capo verso Scott, che con naturalezza disarmante sorride, puro come un bambino in fasce.
-Non sei solo.- afferma dolcemente, e allora Isaac si rilassa, ricambia la stretta e quasi sorride. Crede alle parole di Scott perché a pronunciarle e lui, e il suo Alpha non sbaglia mai. Insieme sotto il bacio dorato dei raggi del sole, Isaac si affida nuovamente al suo branco, al suo Scott. Con cieca devozione, ringrazia il cielo di averlo incontrato, di avergli prestato fiducia mentre tutto crollava. Avere una famiglia dopotutto, non è poi così impossibile.
-Dovresti dirglielo anche tu, dolcezza.- sussurra Dumah, affiancando Valefar. Non vi è traccia di malizia nel suo tono e il corpo per una volta non ha movenze provocanti. Diaval è appollaiato sulla sua spalla, intento a russare profondamente.
-Cosa?- sbotta Valefar, guardandola di sottecchi. Cerca di apparire rigido e ancora arrabbiato, ma c’è qualcosa nello sguardo di Dumah che smorza ogni suo scatto d’ira.
 Dumah sorride. –Sarò anche un demone senza cuore, senz’anima e tutte quelle stronzate lì, ma sono comunque una ragazza e certe cose le riconosco. Fossi in te, non mi lascerei scappare un bocconcino simile.-
Dumah accenna verso Lydia, intenta a fissare Derek e Stiles con un rapimento quasi ipnotico. Valefar arrossisce come un bambino e abbassa lo sguardo.
-Non… non credo che questa cosa debba interessarti.-
-Non ho niente di meglio da fare, quindi sì, mi interessa.-
Valefar sbuffa e si allontana, piccato. Ignora le basse risate di Dumah, ignora il sorriso spontaneo che gli sboccia sulle labbra a sua volta. Ignora anche il sussurro della giovane demone che lo raggiunge, sfiorandogli l’orecchio: -Le donne amano i gioielli.-
 
Derek Hale ha sempre pensato di conoscere la bellezza vera. A pensarci bene, da ragazzino rivedeva una sconfinata magnificenza nei boschi, nelle foreste, nei corsi d’acqua. Anche la pioggia gli piaceva, così come tutti i doni presentatigli dalla natura. Prima che tutto andasse in pezzi, Derek vedeva la bellezza in ogni cosa. Non avrebbe mai pensato che al mondo potesse esistere qualcosa di più bello e nobile della potenza della natura, dei boschi rigogliosi, degli alberi possenti e mai sradicabili.
Tuttavia, adesso che è adulto, è costretto a ricredersi abbondantemente.
C’è qualcosa di più bello ed esotico di qualsiasi forza naturale Derek abbia mai visto. Se ne accorge ora mentre, seduto sui gradini di quella che una volta era casa sua, guarda Stiles accarezzare dolcemente il dorso di una volpe selvatica che per qualche strano motivo ha scelto di avvicinarsi senza timore, inconsapevole forse della reale natura dell’apparentemente innocuo ragazzo che adesso la tocca sorridendo appena, gli occhi illuminati da un tenue bagliore di vita.
Derek si riempie gli occhi di quella visione, senza saziarsi mai. Vede le dita di Stiles affondare nel morbido pelo della volpe, vede i suoi capelli oscillare al soffio del vento e il guizzo dei muscoli longilinei sotto la maglietta. La luce della luna bacia dolcemente la sua pelle, illuminandola di un dorato bagliore evanescente, prezioso più di qualsiasi diamante, brillante più di qualsiasi stella. Le morbide vestigia lunari  scorrono su di lui, schiarendogli i capelli, generando ombre sugli zigomi, evidenziando gli occhi, il naso all’insù, le labbra appena tirate in un sorriso. Sembra un bellissimo folletto delle foreste, una creatura da sogno appena emersa dalla più bella delle favole. Derek potrebbe restare lì per sempre, ma si è fatto tardi e a quell’ora non dovrebbero essere lì.
-Stiles, dobbiamo tornare a casa.-
Stiles si volta, lo guarda. Sorride di nuovo, stavolta con più sicurezza, come se capisse che quello stiramento di labbra significa qualcosa. Non ne è pienamente consapevole, non sa che per Derek quel piccolo sorriso è più bello e prezioso di qualsiasi cosa al mondo.
-Andiamo.-
Ma Stiles continua a non muoversi. Al contrario, gli tende una mano mentre con l’altra perpetua ad accarezzare la volpe.
-Vieni.- dice semplicemente, e Derek si sorprende ad ubbidire, perché a chiederglielo è Stiles. Lo raggiunge, si inginocchia al suo fianco.
La volpe appiattisce le orecchie al cranio, conscia dell’improvvisa vicinanza di un predatore troppo forte e troppo pericoloso. Indietreggia appena, ma continua a esitare, spostando gli occhi da Derek a Stiles. Chiede sicurezza, si affida alla parola del giovane demone.
-Non ti farà niente.- dice infatti lui con dolcezza musicale, tanto che Derek socchiude gli occhi, come se stesse ascoltando una ninnananna. Si sente afferrare la mano e subito apre gli occhi, posandoli sul viso di Stiles, che continua invece a fissare la volpe.
Intrecciando le dita alle sue, fa affondare il palmo di Derek nel manto morbido della volpe, che poco a poco comincia a rilassarsi. La accarezzano con dolcezza, uniti da quel contatto caldo e confidenziale, che per Derek sa di casa e per Stiles… di voci. Ricordi. Ma stavolta non fanno male, perché Stiles li riconosce. Riconosce l’odore di Derek, il suo respiro, il timbro della sua voce. Conosce tutto di lui, ma ancora non capisce il perché. Era importante? In che modo?
Da parte sua, Derek non fa che fissare l’altro, stupendosi di quanto, nonostante la situazione e la sua entità demoniaca, egli possa apparire puro come un bambino appena venuto al mondo: è qualcosa di enorme, insormontabile, che lo acceca e lo attrae contemporaneamente. Quel qualcosa è semplicemente Stiles.
-Hai un’espressione ebete in faccia, ragazzino.- commenta Derek alla fine, prima di riuscire a frenarsi, ma Stiles scrolla il capo, per nulla offeso.
-Credo che sia proprio la mia faccia ad essere così.-
-Non ne dubito.-
Con sua immensa sorpresa, Derek si accorge di sorridere. Un sorriso vero, di quelli che ti stiracchiano le labbra e illuminano gli occhi. Stiles pensa di non aver mai visto qualcosa di così bello. Prova un’inspiegabile fitta al cuore, come un avvertimento, ma non lo ascolta. La meraviglia di quegli occhi di giada che lo fissano, il calore di quelle dita intrecciate alle sue, il profumo di quel corpo forte, costruiscono nel suo animo un ponte che poco a poco li collega, legandoli inesorabilmente con un doppio filo rosso impossibile da spezzare. È quello stesso filo che adesso li tira, accostando il viso di Stiles a quello improvvisamente rigido e immobile di Derek, che continua a fissarlo e aspetta qualcosa da lui: una mossa, un azzardo, un cambiamento. Qualsiasi cosa.
Ma questo non avviene.
Stiles si immobilizza all’improvviso, sbatte le palpebre. Qualcosa oscilla nel suo sguardo, un brillio di paura che Derek non riesce a comprendere o a identificare. Gli stringe forte la mano, cercando di risvegliarlo, ma Stiles sembra non riconoscerlo più: gli occhi sono improvvisamente vitrei, spaventati, come di cerbiatto dinanzi a un fucile puntato.
L’aria vibra quando un grumo di oscurità compare intorno a lui, abbracciandolo e stringendolo fino a soffocare la sua figura. Stiles sparisce nel nulla prima ancora che Derek abbia modo di realizzare che stavolta, il suo demone non tornerà indietro.
 
Istinto. È il solo e purissimo istinto ad averlo condotto lì, tra gli alberi, sulle rive del piccolo lago: è un richiamo, un grido che Stiles ha udito come da molto lontano. Ne comprende il motivo solo quando vede Diablo volare in cerchio sulla sua testa, come un sinistro presagio ammonitore che lo prega di tornare indietro, di non avanzare di un solo passo.
Stiles vorrebbe ascoltarlo. Vorrebbe tornare da Derek, riabbracciare quel pacifico incanto dove le loro dita intrecciate accarezzavano un morbido manto di volpe. Era un sogno, una favola destinata a spaccarsi. E ora Stiles capisce perché.
È successo qualcosa di brutto lì: l’erba è sporca di un rosso intenso, appiccicoso, che sa di peccato e dolore versato. Qualcosa striscia miserabile sull’erba, un fagotto piccolo come di bambino zoppo, impossibilitato ad alzarsi. Fa forza sulle braccia, si trascina verso l’acqua con inutile disperazione mentre il sangue continua a colare, sottraendogli tempo e vita. Al suo fianco, un gatto nero giace morente, immacolato ma immobile. Il piccolo petto si alza e si abbassa troppo velocemente, come ultima resistenza alla morte che già aleggia su di lui, pronto a strapparlo dalle braccia di sua sorella vita.
Stiles si avvicina titubante, un passo dopo l’altro: non controlla più il suo corpo e i piedi si muovono praticamente da soli verso quello scenario da incubo tinto dal rosso del sangue e dal nero dell’oscurità. Sente che deve essere lì, accanto a quel fagotto tremante e al suo gatto moribondo che paradossalmente Stiles ricollega a Diablo.
I piedi nudi affondano nella pozza di sangue, si sporcano di un rosso intenso che torce di terrore lo stomaco di Stiles. L’istinto di fuggire lontano si ripresenta con forza, ma lui lo scaccia e contro la sua stessa volontà si inginocchia, insozzandosi di rosso, affondando le gambe in quello scenario da incubo. Quando tende la mano verso il fagotto, le dita tremano convulsamente.
Il bambino si lascia voltare, non oppone resistenza quando Stiles lo gira di schiena con delicatezza per incontrare un solo occhio blu elettrico. L’altro è stato cavato dall’orbita, il viso è pieno di tagli e lacerazioni e dal collo in giù non è più possibile capire se quello sia un corpo umano o un pezzo di carne macinata. C’è sangue dappertutto, e Stiles si sente sprofondare ancora di più in quell’incubo ad occhi aperti. Le voci crescono, gridano nella sua testa, assordandolo e premendo contro la scatola cranica.
Fanno male.
Il bambino lo guarda stordito, sbattendo le palpebre di quell’unico occhio funzionante e quasi accecato dalla morte per metterlo a fuoco. Quando ci riesce, le labbra si muovono appena, tendendosi in un piccolo sorriso.
-Ci…ao… Stiles.- esala con voce roca di dolore. –Sei in… rit… ardo.-
Stiles non sa che dire, perciò si limita ad annuire. Appoggia la testa del bambino sulle gambe, pietosamente gli accarezza la fronte martoriata e sporca di sangue. Si copre la mano con la manica della camicia a quadri che indossa e comincia a tamponargli la pelle, un centimetro dopo l’altro, come se stesse cercando di ricostruire quel puzzle di carne andato irrimediabilmente in pezzi.
-Non ti… ricordi di… me, vero?-
Stiles scuote il capo. –No. Non è importante farlo, adesso.-
-Non sai… nemmeno cosa ti… ho fatto.-
Stiles sorride tristemente, gli occhi lucidi traboccanti di paura e lacrime per quel bambino troppo piccolo e fragile che lentamente si spegne tra le sue braccia. –Ricordo che ci hai minacciati. Ho vaghe memorie anche di qualche momento trascorso in tua compagnia e… non eri molto gentile. Mi facevi sempre male.-
Il bambino tossisce un grumo di sangue, che Stiles pulisce con dolcezza, cercando di non fargli male. –E allora pe… perché mi… mi aiuti?-
Stiles non lo sa. Sente che non sarebbe giusto in ogni caso abbandonare quel bambino, sente che non sarebbe giusto lasciarlo lì a morire come il più misero degli esseri. Stiles ricorda bene la sensazione di solitudine provata in certi momenti del passato che ancora premono per uscire, e sa che nessuno merita di sperimentare le stesse maledette emozioni.
-Nessuno merita di restare da solo. Nemmeno tu. Per quanto male tu possa avermi fatto, non meriti questo.-
-Sono un’anima da… dannata. Sono un mostro… esattamente come… te.-
Stiles chiude gli occhi, china il capo. La mano continua a scivolare sulla pelle di Alastor, ripulendolo dal suo stesso sozzume. Un ricordo affiora, una voce sussurra da qualche parte nella sua testa e Stiles si limita a ripetere le parole che sente: -Non è il nostro aspetto a decretare ciò che siamo realmente. Sono le nostre scelte a renderci  mostri oppure no.-
Alastor sorride stancamente. –Tipico di te. Sempre giusto, sempre fermo nelle tue convinzioni. Ti… ti odiavo da morire. Eri tu l’innocente, l’anima pura che tutti noi non riuscivamo a piegare. Anche adesso, quando sei… in procinto di diventare un demone completo, continui a essere così schifosamente puro. Sei riuscito dove tutti noi abbiamo… fallito. E solo ora mi… mi rendo conto dei miei errori.-
Alastor alza l’occhio sulla luna, lascia che l’argento del grande disco notturno si rifletta nel suo sguardo sempre più vacuo, sempre più assente.
-Io ti torturavo, e tu adesso mi resti accanto mentre muoio. Non sei un angelo, non sei un demone: cosa sei, Stiles?-
Stiles scuote il capo. –Non lo so.-
Alastor sorride amaramente, il barlume di un singhiozzo bloccato in gola. –Non ho mai capito niente e me ne accorgo solo ora che è troppo tardi. Ti ho spezzato le ali quando invece tu eri l’unico che potesse insegnarci a volare. E adesso tu mi perdoni. Perché? Non capisco… non capisco… non…-
“Il buio mi assale, mi porta via,
In alto se ne va,
L’anima mia, che sale,
Lasciami qui.”
Alastor chiude l’occhio, smette di respirare. Il suo corpo si accascia, non si muove più, non trema e finanche il sangue sembra rallentare la sua fuoriuscita dalle ferite adesso che è finita. Il gatto alle loro spalle lancia un ultimo miagolio sofferente di disperata richiesta di aiuto a anche lui si arrende, sbattendo la testa sul suolo intriso di sangue non innocente, non pulito, ma comunque ingiusto. Sangue che non doveva essere versato, vita che non doveva essere estirpata da un corpo così piccolo.
Stiles sente qualcosa tremare in lui, un singhiozzo spezzargli l’animo e il cuore. Abbraccia forte il corpo di Alastor, affonda il viso contro la sua spalla e scoppia in lacrime amare, che adesso fuoriescono sanguigne, sporche, demoniache. Si mescolano al sangue di Alastor, bagnano i suoi vestiti lacerati, quelle mani che troppo spesso hanno compiuto atti sbagliati ma involontari.
Come si combatte contro la propria natura? Come si impedisce al proprio animo ingabbiato di ubbidire agli ordini di un padrone implacabile? Alastor, Dumah, Valefar… Stiles stesso: tutti loro sono vittime innocenti di una guerra iniziata da millenni, prima ancora che il mondo nascesse. Dio e Satana, Satana e Dio. Bene e male che nel loro odio reciproco hanno ricoperto di cadaveri un campo di battaglia che infine ha insozzato entrambe le entità, mescolando bianco e nero di un solo, grande grigio sporco.
Stiles prova rabbia, una rabbia animale. È stanco di veder morire le persone, è stanco di soffrire e far soffrire. Quella guerra non li riguarda, non è affar loro, però non hanno avuto scelta e adesso che Alastor è morto, Lucifero gli ha voltato le spalle come se quella piccola pedina non fosse altro che un insignificante pezzo della scacchiera abbattuto.
Piangendo con tanta forza da farsi male alle corde vocali, Stiles continua a pulire il viso di Alastor. Si toglie la camicia, la avvolge intorno al piccolo corpo martoriato e lo abbraccia con gentilezza sincera, come una madre che consola il figlio. Stiles continua a chiamarlo, lo prega di svegliarsi, perché adesso il suo nome lo ricorda e non gli importa cosa gli abbia fatto Alastor in passato: quella è una vita, quel ragazzino Stiles lo conosceva. Non c’è niente di giusto in una morte tanto violenta.
Dopo quelle che sembrano ore, Stiles si alza barcollando, stringendo al petto il corpo di Alastor. Raggiunge il lago, entra nell’acqua gelida e baciando la piccola fronte del bambino, lascia che il corpo affondi perché forse l’acqua potrà pulirlo davvero, così come Stiles non è riuscito a fare. Non chiederà a Dio di occuparsi della sua anima, perché Dio, insieme a Lucifero, ha voltato le spalle a tutti loro. Stiles prega che Alastor trovi una pace definitiva, lontana da Dio e da Satana, che non lo coinvolga più in quella guerra inutile che ha soltanto saputo trasformarlo in un assassino.
Quando Stiles lascia andare il corpo di Alastor, sente di aver appena perso un altro pezzo di se stesso, l’ennesima parte di quella persona che non tornerà mai più ad essere. È come perdere un vecchio amico, un’altra scintilla di memorie che non rivivrà mai più in lui e andrà perduta per sempre.
Il sole comincia a sorgere, ed è al bacio dei primi raggi dorati dell’alba che Stiles abbandona anche Zwei, il gatto nero di Alastor. Lascia che il sangue si disperda, adagia con gentilezza il corpicino sul fondale, accanto ad Alastor, che adesso pare dormire placidamente, ripulito poco a poco dall’abbraccio eterno dell’acqua. Non è un brutto posto per riposare. Forse adesso, Alastor è tornato a casa.
Ma da lontano, oltre le montagne
Una voce dice
“Ricordati chi sei!”
Stiles riemerge dall’acqua, ma non smette di singhiozzare. Il sangue gli inzuppa ancora la pelle, i capelli e i vestiti, come un marchio che non andrà mai via. Si sente spezzato, esausto, ma è diverso dall’ultima volta: lui sa chi è, non perderà di nuovo quel barlume di memoria recuperato. È arrabbiato da morire, con Dio e con Lucifero che hanno osato voltare le spalle all’ennesima anima disperata che chiedeva aiuto.
Adesso basta.
Stiles cammina sull’erba lurida di peccato e dolore, raggiunge un piccolo cubo colorato che giace abbandonato nel sangue del suo stesso padrone appena defunto. Un piccolo Cubo di Rubik, il minuscolo gioco nel quale Alastor cercava e trovava quella parte puerile di se stesso che ancora non era andata perduta. Dopotutto, qualcosa del suo antico essere umano era ancora vivo in lui, e nemmeno lo sapeva.
Stiles raccoglie il Cubo, se lo porta alle labbra. Lo bacia tra le lacrime, promettendo vendetta, sigillando le palpebre in un pianto sommesso che si infrange su quel piccolo gioco innocente che una stupida guerra ha saputo sporcare di sangue maledetto. Per l’ultima volta, però.
Stiles alza gli occhi al cielo, furioso come non mai. Le iridi brillano luminose, la pupilla verticale balugina e intorno a lui l’erba comincia ad annerirsi, il sangue a seccarsi, le ombre a riemergere come se fosse ancora notte. Il mondo trema al cospetto di una rabbia animale, distruttiva, che nemmeno Dio e Satana possono controllare ma che entrambi saranno costretti a temere. Stiles promette a se stesso e alle migliaia di vittime innocenti mietute o trasformate in assassini che i responsabili di tutto questo la pagheranno cara.
Ognuno di loro, finanche Dio e Satana, si vedranno giudicati alla luce delle loro stesse colpe.
Le zanne crescono lentamente, le ombre si contorcono. Sotto i piedi, Stiles sente il terreno tremare impaurito e avverte lo scricchiolio sinistro dei tronchi degli alberi che quasi si tendono per allontanarsi da lui e dalla sua malattia oscura che poco a poco contagia di rabbia vendicativa il pianeta intero.
Una forza tanto immensa, il mondo non l’ha mai vista. Qualcosa di incontrollabile, bestiale, capace di combattere Dio e Satana. Una terza potenza ultraterrena sboccia nel mezzo, tra bianchi e neri, tingendosi di grigio. Una nuova fazione nasce sulla scacchiera di bene e male che hanno sempre lottato con le unghie e con i denti per prevalere sull’altro. Adesso, ci sono Dio, Satana e Stiles, che non si fermerà davanti a niente pur di avere ciò che vuole: giustizia per se stesso, per Derek e il branco che sono stati costretti a soffrire i suoi mali, per Alastor e le migliaia di vittime senza nome che Dio e Lucifero hanno gettato nel dimenticatoio. Per sua madre che anche nella morte ha dovuto soffrire per un patto disperato che l’ha solo condotta all’imbroglio.
-Statemi a sentire, adesso. Non ho intenzione di pregare per farmi ascoltare da uno, né di bestemmiare per ottenere l’attenzione dell’altro: avete pestato i piedi sbagliati.- ringhia Stiles, rivolto al cielo. Stringe forte il Cubo di Rubik, rabbioso come non mai. –Vi conviene guardarvi le spalle, perché i problemi che avete adesso o che vi hanno tediato in passato saranno niente in confronto a ciò che farò io. Provate ad annientarmi, strappatemi gli arti, torturatemi: non mi fermerete. Avete tradito i vostri stessi figli, li fate combattere e lasciate che muoiano a causa di una guerra che riguarda solo voi. È ora che scendiate in campo personalmente perché se non lo farete, tirerò giù il Paradiso e l’Inferno per venirvi a cercare. A voi la scelta: fatevi avanti o liberate gli innocenti che state ingiustamente sfruttando. Il mio è un ultimatum.-
Un tuono in lontananza spezza il silenzio dell’alba appena nata. La terra trema, ma stavolta Stiles non c’entra: Dio e Lucifero hanno risposto, annusano l’aria dopo millenni, destandosi alla sensazione di pericolo che quel nuovo arrivato genera. Due diverse belve, due piatti di un’unica bilancia che finalmente comincia a muoversi. E stavolta, l’ago che sposta l’equilibrio è Stiles.
La guerra comincerà presto, ma lui non abbandonerà Derek. Non può, non ci riesce. Deve tuttavia scoprire il motivo della strana inquietudine che lo abbraccia quando è col licantropo. Qualcosa gli dice che stargli vicino è sbagliato, ma Stiles non capisce perché. Deve ritrovare la memoria, ma ha bisogno di tutto l’aiuto possibile per riuscirci. Ha bisogno di Derek.
Fino al mattino inoltrato, Stiles resterà lì, seduto sull’erba insanguinata, le dita strette convulsamente su un piccolo Cubo di Rubik. Si alzerà in piedi dopo ore intere trascorse a fissare l’acqua rosata del lago, laddove un corpo troppo giovane riposerà in eterno. Con Diablo appollaiato sulla spalla, Stiles si dirigerà infine verso casa di Derek, intenzionato a ritrovare quella parte di se stesso che possiede tutte le risposte.
 
Angolo dell’autrice:
Mi sento in colpa. Ma tipo, tanto in colpa. In colpissima. Ho ucciso Alastor! Ok, sono calma. Torniamo a noi. Domani ho il mio benedetto esame e sono esausta perché sto studiando dalle dieci del mattino, ma il tempo per voi e per questa storia lo troverò sempre, a costo di scrivere di notte. Questo perché ci siete voi, coi vostri commenti, le vostre parole e i sorrisi che esse fanno sbocciare sul mio viso. Grazie dal profondo del cuore. Stavolta però, vi ringrazierò uno alla volta, quindi ci vediamo in fondo alla pagina per le anticipazioni!
Giada_ASR: Lydia e Valefar non erano neanche lontanamente contemplati insieme, all’inizio, un po’ come Scott e Isaac. Cosa è successo poi, non ne ho idea. Per le acrobazie di cuore dovrai aspettare il capitolo seguente, e puoi immaginarti il perché. Avete aspettato, e farò in modo che ciò che volete accada nel migliore dei modi! A presto, e grazie mille per il commento!
_Sara92_: non pensavo che Lydia e Valefar riscuotessero questo successo! Stiles non ha bisogno di tornare, lui è sempre stato lì! Col cavolo che abbandonava Derek, demone o non demone! Ahahahahah! Grazie per il commento, a prestissimo!
Barbara78: Valefar, la giuria dice che sei sexy! Il nostro demone ringrazia, e aggiunge anche che lui è molto più che sexy: è megasexy, e ci tiene a farvelo ricordare. Prima donna demoniaca del cavolo. Eeeeeh… no. Il bacio dovrà aspettare, ma spero di riuscire a soddisfarvi quando accadrà, perché accadrà a brevissimo! Grazie per il commento, a presto!
Elenuar Black: il laghetto ormai è sacro. In realtà non so nemmeno se ci sono laghetti nella riserva di Beacon Hills, ma spazio alla fantasia, gente! Ce lo creiamo, il laghetto, se serve a far procreare demone e licantropo! Niente bacio, non ancora, ma forseforse… eheheheh! Non aggiungo altro, a presto!
Nye: l’angst è sempre dietro l’angolo. No, non deprimerti, mi farò perdonare! Giuro! Stiles e Derek non sono semplicemente adorabili. Sono l’adorabilità fatta bestiacce. E insomma, dove la troviamo un’altra coppia così? Ahahahahah! Grazie per il commento e a prestissimo!

 
Anticipazioni:
“Assicurandosi che Stiles non sparisca di nuovo nel nulla, Derek si reca in bagno e apre l’acqua, lasciando che questa cominci a riempire la vasca. Il mormorio basso del rubinetto aperto è l’unico rumore che invade il loft mentre Derek torna sui suoi passi, da Stiles che ancora si rifiuta di muoversi. Il suo sguardo è vacuo e stanco, la pelle troppo pallida, le mani ancora strette intorno al Cubo di Rubik. Derek glielo sfila dalla presa con cautela, dopo essersi inginocchiato davanti a lui. Lo fissa in viso mentre gli sottrae quel piccolo cubo colorato che per Stiles adesso è tanto importante. Contro ogni previsione però, il demone non protesta e lo lascia fare.
Derek posa il cubo sulle coperte e, sempre fissando Stiles in viso, gli afferra i bordi della maglia. Ancora nulla: Stiles si rifiuta di reagire, perciò Derek ingoia il groppo che gli opprime la gola e con dolcezza solleva i lembi del tessuto, un centimetro dopo l’altro, scoprendo quella pelle martoriata che ricopre muscoli appena accennati e fianchi stretti di adolescente in procinto di trasformarsi in giovane uomo.
Derek finisce di sfilargli la maglia e la getta per terra, gli occhi che ormai si rifiutano di staccarsi dalla meravigliosa figura dell’altro. Ogni ferita, ogni cicatrice, è un pezzo unico di un altrettanto unica mappa che racconta la storia di Stiles, la sua vita, i suoi trascorsi in quegli ultimi tre anni. Nonostante la devastazione che ricopre quel corpo, Derek pensa di non aver mai visto niente di più bello.”

 Tomi Dark Angel
 
  
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