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Autore: _ayachan_    17/01/2009    21 recensioni
A cinque anni dalle vicende de "Il Peggior Ninja del Villaggio della Foglia", che ne è stato delle promesse, dei desideri e delle recriminazioni dei giovani protagonisti?
Non si sono spenti con l'aumentare dell'età. Sono rimasti sotto la cenere, al caldo, a riposare fino al giorno più opportuno. E quando la minaccia è che la guida scompaia, quando tutt'a un tratto le scelte sono solo loro, quando le indicazioni spariscono e resta soltanto il bivio, è allora che viene fuori il carattere di ognuno.
Qualunque esso sia.
Versione riveduta e corretta. Gennaio 2016
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'eroe della profezia'
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Penne 20
Capitolo ventesimo

Ombre dal passato




Erano almeno dieci anni che Jiraya non metteva piede nell’Archivio Segreto della Foglia: scaffali e scaffali di documenti si inseguivano attraverso un grande stanzone spoglio rigurgitando fogli e reperti. Al di sopra del legno e del metallo alte pile di carta ingiallivano e subivano l’usura del tempo, illuminate in maniera irregolare dal fascio di luce di una torcia.
Scrutando la polvere che impregnava l’aria Jiraya sbadigliò e si grattò la nuca. Se anni prima non avesse fatto un duplicato delle chiavi dell’archivio, in quel momento si sarebbe trovato già a letto; purtroppo quel duplicato lo aveva fatto, e così facendo aveva rinunciato a ore di sonno e sogni poco casti.
Bighellonando tra le file di documenti, sbuffò come un cavallo ricordando i progetti per un libro che gli frullava in testa e non aveva a che fare con la serie della Pomiciata: “I segreti della rupe degli Hokage”. All’inizio aveva pensato a una storia contro corrente, l’amore illecito tra due Anbu nel mezzo di una difficile missione di salvataggio, poi aveva scoperto che lo yaoi lo turbava e si era orientato sulla storia di una giovane e procace Hokage che seduce il suo segretario. Purtroppo una vicenda simile esisteva davvero negli annali di Konoha – sebbene riguardasse una kunoichi della squadra medica – e se voleva evitare la censura e scrivere un’opera davvero originale aveva bisogno di conoscere la vicenda nel dettaglio. Ovviamente fare richiesta esplicita era fuori discussione – il nome di quella donna era stato relegato nell’angolino delle personalità sgradite, a nessuno piaceva l’idea che qualcuno lo spolverasse – ma uno scrittore serio non si lascia fermare da sciocchezze simili: poco prima dell’alba, dunque, si era infiltrato nel palazzo dell’Hokage e aveva dato il via all’incursione.
A rigor di logica i documenti risalenti alla vicenda dovevano trovarsi nella zona più lontana, quella riservata al materiale segreto. Attraversò lo stanzone per tutta la lunghezza, ignorando anni e anni di storia e tradizione, e raggiunse un archivio che sembrava scoppiare di materiale; Konoha aveva molti scheletri nell’armadio, pareva.
Jiraya aprì il primo cassetto fischiettando. Spulciò qualche foglio, captò qualche ordine di omicidio, un paio di irregolarità del terzo Hokage, verbali delle sedute segrete del Consiglio... Cose che, nella maggior parte dei casi, conosceva o immaginava. Richiuse il cassetto – troppo serio per contenere scandali sessuali – e aprì quello accanto. Era forse l’unico angolo ordinato dell’archivio, scoprì con stupore: pieno di pergamene arrotolate e con qualche sigillo gettato alla rinfusa, conservava ancora una certa dignità. Incuriosito, Jiraya prese un rotolo e lo aprì; si trattava di un antico trattato con le altre grandi Terre, all’epoca della fondazione: stabiliva confini e diritti, ma, a quanto pareva, non era stato molto rispettato. Lo rimise via, dando un’occhiata a un medaglione di legno consunto e bruciacchiato – probabilmente un sigillo contro il fuoco che non aveva resistito alle vicende di Kyuubi – quindi adocchiò una pergamena che sembrava nuova, e aprendola scoprì con stupore che conteneva le istruzioni per il Rasenshuriken. Si chiese come, quando o perché Naruto l’avesse fatta – chi lo avesse aiutato, più che altro – e fu tentato di sbirciarla più a fondo...Ma si ricordò che era vecchio. Troppo vecchio per cose come nuove tecniche. Rimise giù il foglio con un sospiro e un pensiero per Tsunade. Si disse che forse tanto impegno era vano, per un libro che non sapeva nemmeno se avrebbe finito... Poi sorrise.
Vecchio sì; morto non ancora.
Prima di richiudere il cassetto e tornare alle sue ricerche si concesse un ultimo istante di curiosità: afferrò la pergamena più usurata, forse perché gli sembrava che avessero qualcosa in comune, e ne sciolse con delicatezza i sigilli; la aprì, scrutandola con sguardo gentile, e ne riconobbe le caratteristiche. Si accigliò impercettibilmente, poi si stupì, infine corse lungo la carta con lo sguardo... Quando arrivò in fondo, sgranò gli occhi.
Il penultimo di una breve lista di nomi era quello di Chiharu Nara.


Le notti di Konoha erano ancora fresche, nonostante fosse ormai pieno maggio. Le finestre delle case erano serrate e buie, la luna faceva capolino dietro una nube biancastra e c’era una brezza leggera nell’aria, un venticello già tiepido che spirava da ovest e sapeva di sabbia.
Sasuke era ancora nel suo studio nonostante l’orologio segnasse quasi mezzanotte. Come sempre il lavoro si protraeva fino a tardi, generalmente fino al momento in cui era certo che Sakura dormisse. I fogli sulla scrivania lo guardavano con rimprovero, ci avrebbe giurato. Soffocò uno sbadiglio e inconsciamente si massaggiò il collo nel punto in cui il Sigillo di Orochimaru formicolava. Cercava di non pensarci, ma era inevitabile che accadesse. Ogni tanto si chiedeva ‘cosa sto facendo?’. Si guardava allo specchio e si riconosceva colpevole, ma distoglieva lo sguardo prima che le ferite lasciassero il segno.
Firmò annoiato l’ennesima relazione sui confini, dove, tra l’altro, non succedeva niente di interessante per la polizia. Tese la mano verso il secondo plico della serata, pronto a continuare fino a che le palpebre non fossero crollate sugli occhi, quando qualcuno bussò alla porta.
Sasuke si bloccò. Guardò l’orologio, verificò che effettivamente era mezzanotte, e poi, perplesso, diede il permesso di entrare.
«Chiedo scusa» annunciò uno dei ragazzi che stavano al piano di sotto, lottando per non sbadigliargli in faccia. «Pare che ci sia una grossa, grossa emergenza.»
Sasuke drizzò la schiena. Il ragazzo si fece da parte con espressione vagamente annoiata, lasciando passare un vecchio dal naso rubizzo e la camminata sbilenca.
«Chi è lei?» chiese Sasuke.
«Piano con le parole, sbarbato» bofonchiò quello in risposta, studiandolo con uno sguardo particolarmente acido. «E’ questo il modo di trattare un cittadino che paga regolarmente le tasse?»
Sasuke sbatté le palpebre e fece un cenno al ragazzo, che lo lasciò per tornare a sonnecchiare sulla sua sedia. A quel punto assottigliò gli occhi e fissò attentamente il vecchio prima di parlare.
«Che diavolo vuoi, Naruto?»
L’uomo sussultò impercettibilmente; con lo sguardo di un animale braccato si avvicinò alla sedia e ci si sedette, lentamente, senza fretta. Scrutò il capo della polizia di Konoha - il giovane e affascinante Uchiha per cui tutte avrebbero venduto la nonna se solo non fosse stato sposato - infine sbuffò sonoramente.
«Come mi hai riconosciuto, teme?» disse tornando alla sua forma normale con un pop attutito: i capelli biondi sembrarono esplodere sulla pelata del vecchio, i lineamenti tornarono giovani all’improvviso, gli abiti cambiarono in un esplosione di arancio.
«Dopo trent’anni che mi giri attorno?» replicò Sasuke stizzito. «Ormai ti riconosco dall’odore» Senza farsi notare Naruto si annusò discretamente. Sapeva di ramen. «Per non parlare del mio sharingan, idiota. Cosa vuoi a quest’ora?»
«A quest’ora? Sarei arrivato anche prima del tramonto, se i tuoi uomini non si rifiutassero categoricamente di farmi passare!»
Sasuke fece mente locale. Qualche mese prima, in effetti, dato che Naruto aveva preso l’irritante abitudine di passarlo a trovare ogni volta che aveva un attimo libero, forse aveva dato un ordine che suonava molto come: ‘voglio Naruto Uzumaki fuori dai piedi. Ad ogni costo’. Ecco perché il dipartimento era così tranquillo, ultimamente.
«Comunque lo sai perché sono qui» riprese Naruto, dopo aver aspettato invano delle scuse.
Sasuke lo fissò vacuo. «Francamente no.»
«Sì che lo sai!» Naruto scattò in piedi e premette le mani sulla scrivania, indeciso se infuriarsi con l’idiozia di Sasuke o con la propria cocciutaggine. «Tu e Sakura! Sakura e te!»
Sulla fronte di Sasuke si disegnò una piccola ruga.
«Hai parlato con Sakura?» indagò.
«Sì!»
«Allora perché sei qui?»
«Perché... Perché...»
«Perché lei non ha parlato» con un mezzo sospiro, Sasuke abbassò lo sguardo sui suoi fogli, rilassandosi impercettibilmente. «Cosa ti fa pensare che io invece lo farò?»
Naruto si lasciò cadere di nuovo sulla sedia. «Stronzo.»
L’Uchiha gli rivolse a malapena un’occhiata sdegnosa.
«Comunque non sono qui solo per questo!» riprese l’Uzumaki dopo un attimo. «Sono qui perché ho anche un’importante informazione da darti in quanto Hokage della Foglia.»
«Io o tu?»
«Io o tu cosa?»
«Io o tu Hokage?»
Un muscolo guizzò d’irritazione sulla guancia di Naruto, mentre Sasuke lo fissava di sottecchi.
«Che hai da ghignare, eh?» ringhiò Naruto. «Io Hokage, ovviamente. Tu mi assisti, ti ricordo. Mi assisti!»
Sasuke sbuffò sfogliando distrattamente i documenti sulla scrivania. «Allora, che vuoi?»
Naruto strinse gli occhi, vicino all’esasperazione. «Avvisarti che tuo figlio sta tornando a casa.»
Sasuke alzò la testa bruscamente. «Hitoshi?»
«Hai altri figli in missione?»
«Di che diavolo stai parlando?»
Naruto sbuffò. «Le solite emicranie... Ci è arrivato un messaggio di Chiharu in cui chiedeva di sostituirlo. Pare che non ce la facesse.»
«In che senso non ce la faceva?» insisté Sasuke.
«Ci vedeva doppio, barcollava, magari piangeva, che ne so? Mi fido del giudizio di Chiharu, e conoscendo Hitoshi doveva stare davvero male per non opporsi.»
Sasuke abbassò lo sguardo, colto alla sprovvista. Hitoshi rientrava dalla missione, rispedito a casa perché incapace di portarla a termine. Hitoshi, che non aveva lo sharingan, era anche il primo Uchiha che veniva rimandato indietro. Un fallimento completo.
«Maledizione...» mormorò, passandosi una mano sulla fronte.
«Ehi» mormorò Naruto, scrutandolo torvo. «Sei arrabbiato per quale motivo, precisamente?»
Sasuke gli gettò un’occhiata rapida e cupa.
«Sei arrabbiato perché torna a casa o perché sta male?» insisté Naruto, implacabile.
«Non sono fatti tuoi.»
«Sì che lo sono: Hitoshi è uno dei miei ragazzi, e tu... tu sei sempre tu.»
Scese il silenzio.
Sasuke si passò le mani sul viso, di nuovo, interrogandosi a fondo. Poi sbuffò e si lasciò andare contro lo schienale della sedia imbottita. «Quando arriva?»
«Non lo so. Sakura ha detto che si terrà sempre pronta.»
Quindi non c’era speranza di vederla addormentata.
«Va bene. Grazie per avermelo detto. Puoi andare, Naruto.»
Naruto sbuffò, alzandosi di malavoglia dalla sedia.
«Guarda che Hitoshi è più scemo di te, lo sai?» borbottò sottovoce. «Attento a quello che combini...»
Sasuke non sentì nemmeno il rumore della porta che si chiudeva. Quando appoggiò i gomiti alla scrivania e si prese la testa tra le mani il vero significato delle parole di Naruto andò a riempirgli i timpani come un avvertimento, serrandogli il cuore in una morsa d’acciaio.
Hitoshi è più fragile di quanto fossi tu alla sua età... Ancora più fragile di quel ragazzo che voleva morire perché non aveva uno scopo.
E il sigillo maledetto bruciava, bruciava, bruciava...


Naruto rientrò a casa borbottando imprecazioni tra i denti. Hinata, che sapeva da dove veniva, scese dal letto per chiedergli com’era andata con Sasuke, ma già al primo sguardo intuì che non sarebbe stata una domanda saggia.
«Con i genitori che si ritrova, ci credo che Hitoshi è venuto fuori così storto!» sbottò lui infatti, gettando la casacca in un angolo del pavimento.
«Almeno sei riuscito a incontrarlo, finalmente» tentò di mediare lei.
«Avrei fatto meno fatica e avrei ottenuto di più se avessi organizzato un incontro diplomatico con il Daimyo della Roccia!»
«Ha reagito così male?»
Naruto sbuffò e si lasciò cadere seduto sul letto. «Non ho cavato un ragno dal buco. Hitoshi sta rientrando e il suo ego sarà a pezzi, ma quell’idiota di suo padre è lì che rimugina su quanto Fugaku dovrà lavorare per cancellare l’onta sull’onore di famiglia!»
«Questo mi sembra eccessivo...»
«Ah, scommetto che è proprio quello che gli passa per la testa, invece!»
«Naruto, così svegli i ragazzi.»
Naruto incassò la testa tra le spalle mentre Hinata gli si sedeva accanto. «E poi... c’è un’altra cosa» mormorò giocherellando con le mani. «Tra Sakura e Sasuke sta succedendo qualcosa. Non so che cosa e nessuno di loro vuole parlarne, ma sento che qualcosa non va. Insomma, noi siamo il gruppo sette... In questi casi dovrei essere io a rimettere a posto le cose tra loro, no?»
«Forse tu sei l’unico a pensare di essere ancora in tre» suggerì Hinata sottovoce. «Intendo... Sono passati molti anni Naruto: Sakura e Sasuke non sono più compagni, ma una famiglia. E anche tu hai una tua famiglia, ora.»
Naruto avvertì una leggera nota di rimprovero, ma non alzò lo sguardo. Hinata non avrebbe mai potuto capire cosa aveva rappresentato per lui il gruppo sette, perché era cresciuta circondata da una famiglia; opprimente, asfissiante, ma sempre una famiglia. Naruto invece aveva passato quasi metà della sua vita ad aggrapparsi spasmodicamente a Sasuke e Sakura, e adesso che si vedeva escluso dai loro problemi si sentiva di nuovo come quando aveva otto anni. Sospirò, passandosi una mano tra i capelli.
«Sai che per me anche Hitoshi, Chiharu e Kotaro fanno parte della famiglia» disse. «Se Sasuke mi devasta Hitoshi ho il dovere morale di prenderlo a cazzotti.»
Hinata sorrise e fece scivolare una mano sulle sue. «Oppure puoi concentrarti su Hitoshi e dimostrare a Sasuke che vale molto più di quel che pensa.»
«Alzare l’autostima a un Uchiha? E’ più facile che Jiraya si faccia monaco!»
«Se c’è qualcuno che può farlo, quella persona sei tu.»
Naruto aprì la bocca per ribattere, ma si bloccò: c’era del buon senso nelle parole di Hinata... Non era possibile convincere Sasuke che una persona valesse qualcosa anche senza uno straccio di tecnica oculare, ma era possibile – forse – fare qualcosa per Hitoshi. Il ragazzo non era vecchio e cocciuto come il padre.
«In effetti qualcosa potrei provare a farla...» mormorò meditabondo. «Certo, ammesso che Hitoshi non sia moribondo come dice Chiharu.»
Hinata si fece indietro sorridendo, e lo lasciò a rimuginare sul bordo del letto. Magari avrebbe passato la notte a dormire male e sentire il materasso che si muoveva, ma il giorno dopo Naruto l’avrebbe svegliata annunciandole di avere un infallibile piano di battaglia, ne era certa. Era anche per questo che lo amava. Con delicatezza, dunque, gli sfiorò la spalla gentilmente e scivolò silenziosa sulla sua parte di materasso.


*


Jin aveva la chiara percezione che le cose non stavano andando nel modo giusto.
Il viaggio di ritorno con sua madre - madre, che parola strana e potente sulle sue labbra! - sarebbe dovuto essere pieno di discorsi, aneddoti sul passato, momenti di imbarazzato affetto e, perché no, di intimità tra Kakashi e Haruka. Invece non stava accadendo nulla di tutto ciò. Anzi, viaggiare con i suoi genitori finalmente riuniti aveva la pesantezza di una scorta militare, forse peggio.
Per tutto il giorno e la notte precedente avevano costeggiato il percorso secondario individuato da Kakashi, restando nascosti nel bosco. Camminare si era rivelato difficile come aveva previsto Haruka, perché tutto il terreno libero dagli alberi era invaso da cespugli, erbacce e arbusti spinosi, quindi avevano impiegato più tempo di quanto immaginassero. Poco dopo mezzogiorno erano stati costretti a fermarsi nel mezzo del nulla, ricavando scomodi giacigli dalle contorsioni per stendersi tra un albero e l’altro. Kakashi aveva fatto il primo turno di guardia e Jin il secondo, ma Haruka non ne era stata felice: sembrava offesa da una mancanza di fiducia così plateale. Jin pensò che fosse per quello che non gli dava più confidenza, dopo l’accenno di discorso del giorno prima.
Al risveglio erano stati meno cauti e nelle ore buie avevano approfittato del sentiero. Si erano dovuti nascondere un paio di volte grazie alle provvidenziali segnalazioni di un cane mandato in avanscoperta, ma non c’erano stati incidenti. Solo una volta avevano davvero temuto, e cioè quando per poco non erano stati sorpresi da un cavaliere che veniva galoppando dalle loro spalle. Era passato proprio davanti ai loro nascondigli nel sottobosco, e avevano potuto vedere che indossava la divisa dei mercenari.
«Il corriere con le nostre descrizioni» disse Haruka.
Dopo il passaggio dell’uomo a cavallo avevano cercato un luogo più riparato per riposare e si erano sistemati sul fondo di una piccola scarpata franata di recente, libera da rovi e tronchi. Lo spazio era a malapena sufficiente per far dormire due persone, ma di nuovo Kakashi stabilì due turni di guardia e risolse il problema. Per trovarsene subito di fronte un altro.
«E’ un’idiozia» sbottò Haruka. «Abbiamo tutti bisogno di dormire, se faccio un turno anche io guadagniamo ore di sonno.»
«No» rispose Kakashi, e Jin riconobbe il tono di comando che di solito aveva il potere di farlo ammutolire. Evidentemente non aveva lo stesso effetto su tutti, perché Haruka invece non si zittì.
«Perché dovrei tradirvi adesso?» ribatté. «Tanto valeva consegnarvi al capo dei mercenari quando eravamo ancora nel palazzo!»
Obiezione sensata, tono secco privo di esitazioni, sguardo puntato su di lui. Tutto lasciava intendere che Haruka fosse sincera, ma tredici anni di finta morte non si dimenticano in due giorni.
«Ho fatto giurare a Jin di obbedirmi ciecamente finché non fossimo tornati a Konoha, tu non avrai un trattamento diverso» replicò Kakashi estraendo dallo zaino l’ultima confezione di stufato in scatola. «Non mi metterò a interrogarti mentre siamo in territorio nemico, ma non chiedermi più di questo. Conosci l'alternativa. Più tardi dovremo trovare qualcosa da mangiare» annunciò per chiudere la discussione, mostrando la lattina di zuppa.
Haruka non disse nulla, ma si sedette rigidamente a terra e si passò una mano tra i capelli con gesto frustrato. Doveva parlare a Kakashi: non potevano andare avanti così, se speravano di arrivare vivi a Konoha. Dovevano collaborare, dovevano fidarsi l’uno dell’altro. Lui doveva fidarsi di lei.
Mangiarono lo stufato freddo e bevvero con parsimonia dalle borracce. Jin era incaricato del primo turno di guardia. Dopo mangiato controllò i kunai e gli shuriken, si infilò in tasca un paio di carta bombe e poi risalì la scarpata per trovare un punto d’osservazione.
Kakashi e Haruka si sistemarono sui giacigli di foglie che avevano creato in fondo al dislivello. Dal terreno saliva la fredda umidità del sottobosco e un odore non sgradevole di muschio e humus. La foresta attorno a loro brulicava di crepitii e sussurri, il cielo era oscurato dalle fronde che li avvolgevano come una cupola. I due shinobi posavano la testa sugli zaini, Haruka su quello di Jin; se si concentrava poteva immaginare di sentire sotto l’orecchio il fruscio della fotografia che lui aveva conservato per tutti quegli anni.
Cosa sapeva Jin di lei? Cosa gli era stato detto? Aveva colto un accenno a Natsumi, la sorella che aveva lasciato bambina e ora ritrovava donna, ma cosa poteva aver raccontato? E Kakashi? Aveva permesso che tutti la credessero in missione nel Paese delle Risaie, ma a Jin cosa aveva detto? Non poteva rischiare di comunicare di nuovo con il ragazzino senza saperlo.
«Kakashi, ho bisogno di parlarti» sussurrò contro lo zaino, tendendo poi le orecchie per captare i movimenti di Jin.
«Penso sia più saggio varcare il confine prima di farlo» rispose Kakashi con voce a malapena udibile. Il suo tono era distaccato.
Haruka ignorò la sua obiezione. «Cosa hai raccontato di me a Jin?»
Silenzio.
Non gli aveva raccontato niente, questa era la triste verità. Aveva fatto tutto Natsumi, peraltro contro il suo volere.
«Ho raccontato quello che tutti sapevano» rispose vago. «Che eri in missione nel Pese delle Risaie.»
«Prima, intendo. Si ricorda del periodo in cui non eravate insieme?»
«Credo di no...» la voce di Kakashi si fece esitante. Avrebbe voluto essere duro e troncare il discorso, ma la sensazione di essere nel giusto che lo aveva riempito fino a poco prima era venuta improvvisamente a mancare. «Sa di non essere nato a Konoha, perché il Villaggio mormora, ma non gli ho mai chiesto se ricordasse qualcosa di prima.»
«Gli hai detto di quell’uomo? Del mio messaggio, del...»
«Come avrei potuto?» scattò Kakashi. «Avevo solo un biglietto con un nome sconosciuto, una tomba che poteva anche essere falsa e un bambino spuntato dal nulla. Come gli avrei spiegato che non ero nemmeno sicuro che fosse mio figlio? O tuo, se per questo...»
«Cos’altro avrei dovuto fare?»
Kakashi fece un movimento brusco. «Tornare! Spiegare, spiegarmi... Tsunade ti credeva una traditrice» sussurrò rabbioso. «Anche io ho iniziato a crederlo a un certo punto: ti sei rifatta viva soltanto per lasciarmi Jin e farmi trovare un'altra tomba, dimmi cosa avrei dovuto pensare!»
Haruka tacque. Sarebbe stato semplice dire che era convinta di lavorare per la Foglia, che era sicura che lui lo avesse saputo una volta diventato Hokage... Ma l’ignoranza non era una scusa. Non per Kakashi, glielo aveva fatto capire chiaramente in quel tunnel.
«Sai che ho fatto quel che ho potuto» mormorò, lo stomaco stretto dal rimorso. «Tu non hai avuto mie notizie per dodici anni, ma io non ho visto crescere mio figlio.»
Questa volta fu Kakashi a rimanere senza una risposta. Riconobbe che era vero: sapeva come funzionavano le missioni sotto copertura e immaginava che la Radice non fosse stata entusiasta della gravidanza di Haruka. Jin sarebbe potuto semplicemente scomparire nel nulla se lei avesse chiesto ai suoi superiori di metterla in contatto con lui.
«Non ti è venuto nessun dubbio quando non hanno interrotto la missione, sapendoti incinta?» domandò, troppo arrabbiato per darle comprensione.
Haruka serrò le labbra e rispose dopo una pausa. «Non lo sapevano.»
«Non è possibile.»
«Sì che è possibile. Non volevo che lo sapessero. Sarebbe stato... sarebbe stato disonorevole tornare a casa dopo pochi mesi. La mia famiglia non mi ha educata così. Noi abbiamo sempre messo la missione al primo posto.»
Kakashi ricordò la storia dei Muto e di come si erano infiltrati all'estero in blocco, trasformandosi tutti in spie di Konoha.
«Ma non si può nascondere una gravidanza» protestò, incapace di comprendere il suo ragionamento.
«Nascondere una gravidanza è abbastanza semplice, in realtà. Incontri in luoghi oscuri, mantelli ampi... Nascondere un bambino è molto più complicato. Quando Jin è nato ho capito che non avrei potuto tenerlo» Haruka si interruppe per un attimo, quasi esitante. «Speravo che avresti capito. La missione, il mio compito... Credevo che la Radice fosse un organo autorizzato, che il Quinto Hokage, vedendoti tornare con Jin, ti avrebbe spiegato dov'ero e perché. Non vedendo arrivare risposte ho pensato che avessi capito, che mi stessi approvando.»
Kakashi si morse la lingua per non ribattere. Avrebbe voluto gridarle che non poteva davvero aspettarsi comprensivo silenzio da un uomo che si era appena visto recapitare un figlio di un anno, ma si costrinse a tacere perché non avrebbe saputo controllarsi.
«Naturalmente i miei superiori nella Radice mi hanno chiesto di Jin, quando sei tornato al Villaggio con lui» riprese Haruka in tono sbrigativo. «Adesso capisco che temevano che ti avessi contattato, ma all'epoca la mia unica preoccupazione era che non mi rimandassero a Konoha. Così mi sono mostrata stupefatta ma comprensiva, gli ho raccontato che per la mia missione era un sacrificio sopportabile e sono andata avanti. Non avevano nulla che collegasse Jin a me, e anche se avessero sospettato... Beh, pensavo che avrebbero apprezzato il mio sacrificio in nome della missione. Non avrei mai immaginato che avrebbero cercato di uccidermi, a un certo punto.»
Kakashi serrò i pugni. C'era qualcosa di distorto nel modo di pensare di Haruka, qualcosa che Tsunade aveva cercato di eradicare da Konoha vent'anni prima: il mondo in cui vivevano non poteva essere così oscuro e perverso. Erano shinobi, vero, ma non per questo dovevano rinunciare alla loro umanità. Non erano, non dovevano essere soltanto strumenti nelle mani del potere. Il mondo buio in cui viveva Haruka era quello che Danzo aveva sognato di creare per il suo esercito personale, lo stesso mondo in cui Sai era cresciuto e che Tsunade aveva combattuto ferocemente. Ma lui non era riuscito a tirarne fuori Haruka, anche se lo aveva creduto: lei continuava a strisciare tra le ombre, e con lei chissà quanti altri, corrotti dalla filosofia distorta della Radice.
«Avresti dovuto sapere di Danzo» disse, quasi arrabbiato. «Non avresti dovuto essere così ingenua...»
«Ti ho detto che...»
«Avresti dovuto parlarmene!» esclamò, incurante del volume della voce. «Se mi avessi detto una parola, soltanto una parola non sarebbe successo niente di tutto questo! Non ti avrei vista morire, non saresti sparita per tredici anni, non avrei dovuto trascinare Jin in territorio nemico per venire a riprenderti!»
«Infatti non avresti dovuto!» sbottò Haruka, che credeva di avere buone giustificazioni ed era stufa di passare per l'unica stupida.
«Tu non sai niente di Jin!» ribatté Kakashi. «Non lo conosci, non sai del suo diploma a sette anni né del livello delle sue missioni! Non sai quanto io abbia provato a tenerlo fuori da questa storia!»
«Diploma a sette anni?»
Kakashi si passò una mano sulla fronte e costrinse il suo cuore a rallentare. Avevano alzato troppo i toni; così rischiavano di farsi sentire non solo da Jin, ma da chiunque nel raggio di qualche centinaio di metri.
«Io ho cresciuto Jin» mormorò con voce roca. «L’ho cresciuto senza nemmeno sapere se fosse davvero figlio mio, e l’ho cresciuto da solo, credendoti morta eroicamente e non rintanata nella peggior feccia di Konoha. Non pensare di poter sindacare sulle mie scelte solo perché pensavi che stessimo seguendo la sua crescita insieme!»
«E tu non pensare di potermi escludere dalla sua vita perché non sono riuscita a seguirlo» rispose Haruka ferita, tagliente. «Che ti piaccia o no, resto sempre sua madre.»
Le due voci si acquietarono, ritirandosi nei propri pensieri accusatori.
Poche parole in dieci anni, troppe in dieci minuti. Nessuno dei due intendeva davvero quel che aveva detto, ma parlarne in territorio ostile, stanchi e inseguiti non fu l’idea migliore di quella missione.
Senza che Haruka né Kakashi se ne accorgessero, Jin si acquattò in cima alla scarpata e premette la guancia contro uno strato di muschio freddo. Sentiva il cuore battere in gola, il sangue ronzare nelle orecchie.
Come gli avrei spiegato che non ero nemmeno sicuro che fosse mio figlio? O tuo, se per questo... Tsunade ti credeva una traditrice. Anche io ho iniziato a crederlo a un certo punto: ti sei rifatta viva soltanto per lasciarmi Jin e farmi trovare un'altra tomba, dimmi cosa avrei dovuto pensare!
Jin sarebbe stato molto maturo anche se avesse avuto trent’anni. Capiva che nella vita c’erano cose che una volta fatte o dette non si potevano ritirare. Capiva che non sarebbero bastate le scuse di Haruka né che Kakashi ritirasse le sue accuse perché le cose magicamente si sistemassero. Capiva tutto questo, ogni singola e minuscola implicazione, capiva che nessuno aveva ragione e che entrambi erano feriti e non sapevano come comportarsi. Lo capiva benissimo, sì.
Ma i suoi dodici anni, dal fondo dello stomaco, gridavano con tutta la loro forza che sua madre era tornata, e che suo padre, anche se era suo padre, non aveva alcun diritto di trattarla in quel modo. Perché lui l’aveva sognata, per giorni, mesi e anni, l’aveva immaginata e idealizzata, e ora non era possibile che quel padre che non l’aveva mai trovata, che non gli aveva mai parlato di lei, che non era nemmeno mai stato sicuro di essere davvero suo padre, non era possibile che quel padre vigliacco le desse tutta la colpa. Non era ammissibile.
E avrebbe avuto delle conseguenze.







* * *

Capitolo spaventosamente difficile.
Odio aver ripescato Danzo.
Spero di essere riuscita a farvi capire
cosa c'è nella testa (malata) di Haruka,
ma non ne sono mica sicura.

Grazie a tutti voi che leggete e a chi mi lascia un'opinione.


  
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