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Autore: Euridice100    04/07/2015    8 recensioni
"Ma l’altra rialza il capo e lo fissa con odio.
È allora che Gold la vede.
Arretra di un passo con la certezza di avere dinanzi a sé un fantasma.
'No, non può essere.'
Ma è allora che il passato torna a essere presente."
(Victorian!AU RumBelle
Seguito di "Cleaning all that I've become" e "All of the stars".)
Genere: Introspettivo, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Belle, Nuovo personaggio, Signor Gold/Tremotino, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Your dream is over... Or has it just begun?'
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La 4B ti sarebbe piaciuta.
Avresti rivolto parecchi improperi a Zelena
e mi avresti fatta ridere molto.
Cia’. ♥
 
 
 
XIII - Somewhere only we know
 
 
 
I walked across an empty land,
I knew the pathway

like the back of my hand.”
 
 
 
Doveva stare calmo.
Non era successo nulla di irreparabile: le bambine non spariscono così, da un momento all’altro tra le mura domestiche. Helena era arrivata allo studio da sola e di notte: era evidente conoscesse la strada. Probabilmente si era risvegliata, l’aveva trovato assopito e aveva deciso di fare il percorso inverso per tornare a letto e riposare comodamente.
Non c’è nulla da temere.      
Non c’è nulla da temere.
Sarebbe andato in camera di sua figlia e l’avrebbe trovata al sicuro sotto le coperte o a giocare coi suoi nuovi balocchi.
Quando spinse la porta ed entrò in una stanza deserta, un brivido gli percorse la schiena.
Provò a calmarsi. L’ansia non avrebbe giovato, anzi: avrebbe complicato ulteriormente la situazione. Helena era in casa; il fatto che non fosse nella sua cameretta non indicava alcunché di grave: la bambina stessa aveva affermato di aver trascorso la notte precedente con Regina. Le sue fosche previsioni si sarebbero sciolte come neve al sole nel momento in cui l‘avrebbe scorta con la giovane.
Non c’è nulla da temere.      
Non c’è nulla da temere.
L’uomo bussò con violenza dalla Mills. Se non avesse aperto, avrebbe mandato al diavolo ogni regola del decoro e della buona creanza e sarebbe entrato senza farsi annunciare; sarebbe entrato e avrebbe constatato la presenza di sua figlia. Regina non avrebbe avuto motivo di protestare; né tanto meno ne avrebbe avuto diritto, stante l’accoglienza offertale.
Anzi: Gold aveva ignorato ogni principio nell’istante in cui si era scagliato contro la bussola chiamando ad alta voce la ragazza, incurante dell’eventualità di svegliare anche la bambina.
Ci sarebbe forse stata maggior conferma della sua presenza?
Udendo il rumore, Regina sobbalzò nel letto. Biascicò versi indistinti contro la maleducazione dei domestici  e le ore notturne sempre troppo veloci, prima di accorgersene: la voce che la chiamava era quella dello zio.
- Ma che…? – a Regina, passata in un solo momento dal sonno profondo alla veglia, la cosa apparve priva di senso. A malapena si rendeva conto di dove fosse, figurarsi riflettere sulla situazione; tuttavia, s’allarmò. Cosa ci faceva lo zio da lei a quell’ora?
- Esci subito!
L’ordine dissipò i dubbi. Ancora mezza addormentata, s’infilò alla rinfusa la vestaglia e si avvicinò alla porta pur senza aprirla.
- Zio, cos’è successo?
- Esci!
- È piena notte, stavo dormendo, non posso uscire… Così! È disdicevole!
Gold perse la pazienza.
- Cosa vuoi che m’importi! – ululò – Devi uscire, e ti consiglio di darmi ascolto, perché tu non vuoi vedermi arrabbiato, fidati.
Regina rimase turbata. Doveva essere successo qualcosa di davvero grave per scatenare una simile reazione nell’industriale. Ma cosa?
- Cosa c’è? – si presentò infine inquieta.
- Dov’è Helena?
La domanda le fece aggrottare le sopracciglia.
- Qui, – replicò col tono ancora impastato dal sonno – Dorme alla grossa, – seguita dall’uomo, tornò verso il letto e cercò il corpicino che da due notti a quella parte le faceva compagnia.
Non trovò nulla.
La strana percezione – o meglio, l’assenza di percezione – fu sufficiente a risvegliarla del tutto.
- Non c’è, – constatò quasi a se stessa, senza capire – Ma stanotte c’era. È venuta da me…
Gold non parlò. Dovette sostenersi mentre la realtà lo assaliva con la violenza di uno schiaffo in pieno volto.
No.
- Dov’è? – la voce parve risalire dal più profondo degli Inferi – Dov’è? Dove l’hai portata?
Regina spalancò le palpebre. La domanda, le sue implicazioni, la colpirono in pieno.
- Cosa intendete?
- Dov’è? – ribadì Gold – È con tua madre? L’hai consegnata a lei?
- No! Come potete dire una cosa simile? Non collaborerei mai con lei per qualcosa del genere, io…
- Ti rendi conto di quello che hai fatto? Perché, Regina, perché?
- Ma io non ho fatto niente! – la ragazza ribadì con foga – Perché avrei dovuto consegnare vostra figlia a Maman? È pericolosa, lo so quanto e più di voi! Helena è da sua madre, – aggiunse subito, colta da un’illuminazione che non smussò i lineamenti duri dell’uomo – È da sua madre, sicuramente è con lei.
Belle. Come l’avrebbe detto a Belle? Come le avrebbe detto di aver perso loro figlia, di non averle prestato attenzione neanche mentre erano sotto lo stesso tetto? Come avrebbero fatto fronte a conseguenze tanto gravi?
Ciò che sosteneva Regina era plausibile, certo. Helena avrebbe potuto risvegliarsi, sentirsi sola e decidere di rivolgersi dalla madre; ma sapeva dove fosse? E soprattutto,  sapeva raggiungere la stanza delle Nolan? Si era recata da lui di notte e da sola, ma le loro camere si trovavano sullo stesso piano e non erano molto distanti…
Doveva sbrigarsi. Se Helena non fosse stata neanche da Belle, avrebbe significato solo una cosa.
Era stata portata via.
E la colpevole era davanti ai suoi occhi, tutta intenta a fingersi mite come un agnello e con le mani già lorde del sangue di un’innocente.
Non pensare.
Non pensare, non pensare, non pensare.
Qualsiasi cosa fosse successa a Helena, avrebbe fatto subire lo stesso a Regina.
Su questo non aveva dubbi: Cora avrebbe imparato a sue spese cosa significava mettersi contro di lui. Ogni dubbio sulla paternità di Regina, ogni incertezza, tutto l’affetto che aveva nutrito nei suoi confronti svanì in un istante; l’istante in cui rivolse alla giovane un semplice comando.
- Vestiti, – l’ombra rancorosa nei suoi occhi esplose, colpendola come un pugno – Ti attendo fuori. E ti consiglio di pregare, Dearie. Perché se non troverò mia figlia, io ti ucciderò.
 
 
 
“I felt the earth
beneath my feet.”
 
 
 
Di notte i pensieri si svegliano e insidiano la mente con molta più veemenza di quanto accada durante il giorno; e Belle lo stava vivendo sulla sua pelle.
In quelle che le parevano ore interminabili, si districava tra il sonno e la veglia, ma ricordava ogni rintocco di campana di una chiesa in sottofondo e l’abbaiare intermittente di un cane in lontananza.
Il vuoto riempiva il suo tempo; il vuoto, e rimuginazioni che a nulla conducevano.
Lei e le altre erano andate a letto tardi. Erano rimaste a lungo in cucina con Killian, ad analizzare ancora la questione, discuterne, cercare di capire. Non c’era nulla da comprendere, in realtà: i fatti non mutavano. Erano gli stessi che le avevano raccontato alla locanda: la tentata corruzione a opera di Cora, la resistenza del valletto e al contempo il suo silenzio – solo ora ne capiva l’atteggiamento mostrato negli ultimi tempi –, il modo in cui tutto era precipitato all’improvviso.
- No, non è precipitato “all’improvviso”, – Belle aveva replicato – Io te l’avrei detto. Te l’avrei detto subito.
Era arrabbiata, Belle: arrabbiata e delusa da Gold, ma anche da chi considerava fedeli amici. Anni a contatto con Mary Margaret avrebbero dovuto insegnare a tutti l’importanza della sincerità; ma a quanto pareva, ad aver appreso la lezione era stata lei e lei sola. Le stesse Nolan avrebbero potuto rivelarle qualcosa, anche solo fare un accenno; e invece avevano taciuto come gli altri.
Se durante la lite con Gold aveva preso le difese dei domestici era stato solo perché alla fine, di sua sponte o indotto da Emma, Killian aveva parlato: tardi, ma comunque l’aveva fatto, comunque aveva cercato di rimediare.
Gold, invece…
Ecco: la differenza, oltre che nei sentimenti, stava lì. Killian avrebbe potuto tacere, Robert avrebbe dovuto parlare.
Ed entrambi si erano comportati in modo diametralmente opposto.
Più di una volta, durante la lunga notte, aveva pensato di andare da Helena. Chissà se almeno lei stava riposando… Ci si sente così soli quando non si riesce a dormire, e Belle non voleva che la bambina soffrisse anche per questo motivo. Sarebbe dovuta andare a controllare, sì.
Quando si risolse a farlo, dei colpi alla porta la sorpresero. Nel letto accanto, Mary schizzò automaticamente in piedi ed Emma interruppe il suo ritmico russare.
- Che diamine, – mugugnò la bionda, pur imitando la madre – È già ora di alzarsi?
- Belle, sono io, Regina. Per favore, apri, – dall’altro lato della porta arrivò smorzata la voce della Contessina – Per favore, è importante.
- … così importante da venire a bussare adesso?  E certo, tanto la signorina si sveglia alle nove, siamo noi a sgobbare dall’alba, – commentò Emma a denti stretti, subito fu zittita da un’occhiata della madre, che si rivolse sottovoce all’ospite.
- Belle, te la senti? O apro e dico che stai riposando?
- No, – l’altra la interruppe monocorde.
Regina ed Helena dormivano insieme. L’avevano fatto la notte precedente, e con ogni probabilità anche quella notte.
Regina implorava la sua presenza a quell’ora.
Se la ragazza era lì, allora…
Helena.
È successo qualcosa a Helena.
Quasi inciampò nei suoi stessi passi correndo verso la porta. Le mani le tremavano mentre, incurante di essere in camicia da notte, faceva scorrere il chiavistello e scattare la serratura.
Quando si ritrovò davanti Regina e Robert, il mondo sprofondò dentro di lei.
Non pose domande.
La loro presenza era la massima conferma.
Gold notò all’istante il pallore di Belle. Notò il modo in cui si morse le labbra e le si spalancarono gli occhi. Belle aveva capito, e lui aveva capito la sua risposta. Ma non per questo non chiese.
- Helena… Helena è con te?
Era strano, la donna fece assurdamente caso, come nella voce dell’uomo timore e rabbia si mescolassero in un modo che non era in grado d’occultare; ed era strano come lui, che sempre aveva provato a proteggerla dal mondo, a proteggerla anche da se stesso, ora fosse tanto diretto nel porle la domanda.
Aprì la bocca per parlare, ma non emise alcun suono.
Saresti dovuta andare prima a controllarla.
Gold chiuse gli occhi.
Respirare. Respirare era l’imperativo cui obbedire.  Respirare e star calmo.
Helena non era né in camera né dalla madre, ma poteva essere altrove. Magari aveva avuto fame ed era scesa in cucina, oppure…
A quattro anni, di notte e da sola?
Sii onesto almeno con te stesso.
No. No, no.
Aveva già perso un figlio.
Per favore, non di nuovo, non anche lei.
E ora come allora la colpa era sua.
Sua e di…
- Dov’è? – l’uomo si avventò contro Regina, costringendola ad arretrare fino al muro – Dove l’hai portata? Dimmelo, o ti ammazzo!
Regina giurò. Regina ripeté di non sapere – di aver visto Helena per l’ultima volta la sera precedente quando era venuta in camera sua, di essersi addormentata al suo fianco e svegliata solo dallo zio. Ripeté di non avere contatti con la madre, coi suoi sgherri, con chi per lei.
La sua supplica riecheggiò nel vuoto.
Regina, Gold ne era certo, mentiva.
- Non capisci cos’hai fatto? – urlò a un certo punto – Potrebbe essere tua sorella, idiota!
Belle era immobile. Le urla la sfioravano appena. Cosa significava? Non trovavano Helena, Robert aveva iniziato a spiegarle. Era con lui, era andata a trovarlo nello studio, e poi? Vedeva la bocca dell’uomo muoversi, ma non coglieva alcun suono, come se fosse stata sott’acqua, come se stesse annegando.
Forse stava accadendo davvero. Forse stava davvero perdendo i sensi, il petto gonfio di qualcosa che non sapeva neanche definire, e forse avrebbe fatto bene a lasciarsi andare, ad abbandonarsi e cedere alla corrente senza più provare a resistere…
No.
Helena era sparita. Finché non l’avessero ritrovata, lei non poteva arrendersi. Lei non doveva – era fuori discussione, era assurdo, anche il semplice pensiero era insignificante.
L’unica cosa che doveva fare era riabbracciarla.
Riemerse dall’acqua cui si stava abbandonando. Riprese fiato, e si ritrovò in una tempesta di parole, di gesti, di emozioni.
Di dolore.
Un dolore cui doveva resistere.
- Basta.
Gold continuava imperterrito a rinfacciare colpe e infamie a un’esangue Regina.
- Basta! – gridò con quanto fiato avesse in gola.
I due si voltarono e la guardarono confusi, quasi non si capacitassero del suo scatto.
- Belle…
- Niente Belle. Niente ma, niente se. Niente di niente. Nostra figlia, – disse in tono uniforme – Non si trova, e non ho intenzione di perdere tempo in litigi quando ogni minuto potrebbe essere prezioso. Se preferisci resta pure qui a litigare, ma io – io vado a cercarla.
 
 
 

“Sat by the river
and it made me complete.”

 
 
 
Il posto che Regina le aveva descritto esisteva davvero, ed Helena l’aveva trovato; da sola e di notte per giunta!
Era proprio una bimba grande, oramai: nessuno avrebbe più potuto smentirla.
Certo, non tutto era filato liscio: prima di riuscirci aveva vagabondato invano per un po’. Per fortuna, forse a causa della concitazione generale del giorno precedente qualcuno aveva dimenticato accese delle lampade, quindi almeno il problema del buio non si era posto; ma Helena proprio non ricordava come raggiungere le scale posteriori che conducevano all’ultimo piano, e in un tremendo momento aveva temuto di essersi persa: il Castello era un labirinto, ed evidentemente lei aveva imboccato qualche corridoio sbagliato in cui sarebbe rimasta imprigionata in eterno. Aveva avuto paura, tanta paura, ma malgrado le lacrime che già pungevano gli occhi non si era arresa: memore della avventure di Alice, aveva proseguito per la sua strada ed era riuscita a raggiungere il suo Paese delle Meraviglie.
Appena entrata in soffitta, Helena aveva ridacchiato elettrizzata. Sin da quando Regina gliene aveva parlato, la bambina era stata avvinta dal desiderio di visitarla, incuriosita dai mille tesori dalla descrizione che la giovane ne aveva fatto. Un posto tutto per sé, in cui ritirarsi per dimenticare quando si soffre, aveva detto la Mills; ed era proprio vero, perché lì le stranezze e i dispiaceri del giorno precedente sembravano, se non spariti, almeno un po’ più distanti. Forse con lei la magia non funzionava del tutto perché il mondo segreto di Regina non tollerava essere diviso con qualcun altro – conoscendone la proprietaria, era un’eventualità del tutto plausibile; ma la cosa, in fin dei conti, non preoccupava Helena.
Andava bene così.
Quando si era risvegliata e aveva scoperto papà addormentato, la bambina aveva pensato che quella era la sua occasione: se l’intera casa tranne lei riposava, avrebbe potuto vivere un’avventura in santa pace, e in più il suo umore sarebbe migliorato. Ora l’avrebbe sperimentato sulla sua pelle, lontana da tutto e tutti: lontana dalla mamma all’improvviso tanto triste, lontana dai discorsi sempre più strani di papà, e lontana da Regina che non le confidava cos’avesse – perché qualcosa l’aveva: in quella casa qualcosa l’avevano tutti, per quanto fingessero di essere normali e star bene. Anche Killian, che prima le raccontava dell’India e dei pirati e che ora sembrava sempre tanto preoccupato, nascondeva qualcosa…
Sarebbero venuti a cercarla? Forse la mamma si sarebbe preoccupata. Sarebbe divenuta ancora più triste per colpa sua, avrebbe pianto di nuovo; e questo Helena non poteva proprio accettarlo.
Ma Helena non poteva tollerare neanche la situazione venutasi a creare, l’atmosfera pesante che gravava sul Castello e la strana sensazione di esserne, se non causa, comunque complice.
Che tutto fosse iniziato con la visita della signora strana che la mamma considerava pericolosa? Forse aveva gettato qualche incantesimo…
Poco male: qualsiasi maledizione sarebbe durata ancora poco.
Helena ne era sicura: se l’avessero ritrovata, i suoi genitori sarebbero stati di nuovo felici, Regina – finalmente! – di buon umore e tutti, tutti sereni. Sarebbero tornati a ridere assieme, e anche Regina si sarebbe unita a loro e avrebbe ricordato come si sorride; perché Regina sollevava appena gli angoli della bocca, ma Helena era certa che sapesse come si sorride, che dovesse solo ricordarlo, e lei l’avrebbe aiutata.
Avrebbe aiutato mamma a dimenticare le cose brutte e le persone che sembrano gentili e poi non lo sono, e papà a non sbagliare più, qualsiasi cosa avesse fatto un tempo. Gli avrebbe fatto capire che  lei e la mamma gli volevano bene, ma bene per davvero, e non sarebbero scomparse da un giorno all’altro come le paure che scompaiono all’alba con l’arrivo del sole.
Se il suo nome davvero significava “sole”, lei avrebbe brillato sempre per  chi amava.
Avrebbe aiutato tutti. Sarebbe divenuta l’eroina che sognava di essere.
E sarebbe iniziata una nuova giornata.
 
 
 
“Oh, simple thing,
where have you gone?
I'm getting old

and I need someone to rely on.”
 
 
 
Helena non se n’era andata.
Helena era lì, da qualche parte.
Era piccola e si era mossa di notte, vero, e lei temeva il buio, ma si trovava in un posto nuovo e pochi conoscevano bene quanto Belle l’intraprendenza della bambina: era come lei, sognava di vivere un’avventura, e non se ne sarebbe mai e poi mai lasciata sfuggire una. Per un motivo o l’altro durante i primi due giorni a Kensington era sempre stata controllata a vista; doveva aver sfruttato la prima occasione disponibile per esplorare indisturbata.
Era da una parte o dall’altra, ma c’era.
Su questo Belle non transigeva.
Se lo sentiva: glielo diceva il cuore, e lei gli aveva prestato ascolto sbagliando tante, tantissime volte, ma non questa. Regina non li aveva traditi: Helena non era stata rapita, portata via con l’inganno o simili, non era con chi si temeva fosse.
La loro bambina non era distante quartieri, non era sola e in lacrime, non stava soffrendo.
Helena c’era.
Helena stava bene.
Doveva allontanare i pensieri che le si insinuavano nella mente, acqua che erodeva le rocce della ragione. Era impossibile che Regina fosse riuscita, nell’arco delle poche ore in cui era comunque rimasta sotto sorveglianza, a consegnare la piccola ai galoppini della madre e rientrare come se nulla fosse successo. Gli uomini di Robert, che sempre vigilavano sulla casa, erano stati chiari: non c’era stato alcun movimento sospetto.
Anche se il tempo passava senza essere latore di novità, Belle non doveva permettere all’animo di perdersi nel mare della disillusione. Anche se non giungevano notizie, anche se ogni sforzo singolare o collettivo pareva vano, anche se la morsa allo stomaco diveniva sempre più stretta e l’ansia premeva in gola, non l’avrebbe fatta vincere.
Anche se si sentiva intontita, prigioniera di un incubo da cui non poteva scappare, non poteva lasciarsi sconfiggere così.
Non importava il panico che iniziava a macchiarle il sangue, i pensieri, le azioni; non importava quanto fosse spaventata; andava avanti allontanando i pensieri, ignorando, provando a ignorare, la trappola che si chiudeva sul suo cielo.
Helena non era stata portata via, Helena non era sgattaiolata via perdendosi: Helena c’era.
Questo poteva sforzarsi a comprenderlo anche Gold. Razionalmente la risposta pareva univoca; ma ecco, pareva, non era. C’erano tante, troppe possibilità che sarebbe stato sciocco non considerare in simile frangente.
I suoi bravi lo servivano lealmente e senza porre domande, svolgendo ogni lavoro sporco fosse loro richiesto e convincendo con le buone e le cattive a ripulire la memoria da eventuali ricordi sconvenienti. Tra Gold e quel gruppo c’era un rapporto di rispetto reciproco che non aveva bisogno di essere espresso; in un certo senso, si fidava di loro più che di ogni altro subalterno.
E se mi fossi sbagliato?
La teoria del delatore tornava a imporsi con forza. Se non era stata Regina – ma è stata lei, sono state lei e sua madre –, poteva essere stato Jones, forse anche la giovane Nolan, o chi per loro. L’istinto induce a fidarsi di chi si conosce, e la bambina voleva bene ai domestici: per loro non sarebbe risultato difficile convincerla a seguirli con una scusa, magari proprio quella di riaccompagnarla in camera, e condurla invece altrove…
Oppure poteva essere nel giusto Belle. Poteva non esistere alcun traditore.
Se la teoria fosse stata indice della deprecabile inclinazione della sua Sweetheart di confidare nelle persone sbagliate, o invece la verità, questo Gold non poteva saperlo.
Quel che sapeva era che sua figlia non si trovava, che nessuno l’aveva vista e che in nessun locale c’era traccia della sua presenza.
Quel che sapeva era che se non si fosse addormentato su quella maledetta poltrona, se fosse rimasto vigile e solerte come avrebbe dovuto, se fosse stato lui a proteggere il sonno della sua bambina e non il contrario, allora non si sarebbero trovati in quella situazione.
Allora Belle non avrebbe iniziato ormai a peregrinare di stanza in stanza con una luce sempre più spaventata negli occhi tanto chiari, a ripetere quasi a se stessa più che al prossimo, “Helena è qui, ti dico che è qui”.
Allora lui non avrebbe dato ordine di controllare sotto ogni finestra, non avrebbe comandato di tenervi lontana Belle per risparmiarle la vista del corpicino straziato che lui sapeva avrebbero ritrovato.
Aveva imparato a proprie spese quanto fosse fragile la vita dei bambini, quanto poco bastasse a spegnerla. Poteva cercare, dirsi che era stata rapita, mettere in fiamme l’Impero intero per riaverla, ma non poteva ignorare la voce incessante e beffarda che gli rammentava quanto la sua vita somigliasse a un cerchio e non a una retta, che gli ripeteva la sua condanna a ripetere i medesimi errori e quanto fosse vicino a rivivere la stessa drammatica esperienza di un tempo.
Anche Helena era vissuta appena il tempo di conoscere il mondo, prima che il mondo la portasse via da lui? 1 Ci sarebbe stata una seconda piccola tomba, un secondo nuovo antico dolore, un’anima straziata una seconda volta?
Risparmialo a Belle.
Invocava un Dio in cui non credeva da ventisei anni.
Non farle vivere questo. Non costringerla a sopportare questo, ti prego. Ha già sofferto abbastanza, non condannarla anche a questo.
Per favore, non a questo.
Era così piccina, Helena. Così piccina e dolce, così somigliante a sua madre, e con un’intera vita dinanzi a sé. Non poteva essere finita così. Non poteva, non doveva. Non era giusto, non aveva senso. Sarebbe potuto mor – sparire, si correggeva, sparire, ma sapeva fossero oramai sinonimi – lui al suo posto. Lui era vecchio, aveva avuto tanto dalla vita, la sua ora poteva giungere…
Aveva già proposto un simile scambio.
Nessuno aveva risposto.
Le ricerche nelle stanze della servitù non avevano dato esito. Come quelle nella scuderia, nel casotto del giardiniere e in ogni, ogni altro locale perlustrato.
- Cercate ancora, – aveva sibilato – Cercate meglio. Non vi state impegnando abbastanza. Ha quattro anni, come può mettere nel sacco un gruppo di adulti?
Può, se aiutata.
Può, se c’è chi l’ha attirata, forte di una fiducia ancora una volta mal riposta.
Regina affiancava Belle e gli altri nelle ricerche, ma era inutile. Era inutile esibisse quell’espressione preoccupata e affranta: i fatti erano più chiari di mille dichiarazioni, i fatti parlavano da sé. I fatti dicevano che, nel momento in cui lui le aveva concesso il beneficio del dubbio, lei aveva risposto con un tradimento persino più grave di quello già perpetrato.
Potrebbe essere tua sorella, le aveva urlato contro. Non se ne pentiva. Che sapesse, per quanto se ne curava al momento. Che si pentisse – sempre che sua madre non le avesse già strappato il cuore, non l’avesse già resa simile a lei nell’arte meravigliosa di fingere di provare qualcosa per qualcuno.
Se all’esito dell’ennesimo controllo non ci fossero state novità, avrebbe agito. Sarebbe ricorso tanto alle vie lecite quanto a quelle illecite: Belgravia avrebbe assaggiato la sua furia.
In quel preciso istante Belle gli passò davanti urtando nelle cose. Dovette chiamarla più volte perché si fermasse.
Gold deglutì notando quanto cereo fosse il suo incarnato, e di come profonde occhiaie decorassero malamente il volto tirato. Non riuscì a non andarle incontro.
Lei non si ritrasse.
- Novità? – gli chiese.
Avrebbe preferito non udire il tono implorante.
Avrebbe preferito poter tacere.
- Non ancora, – dovette ammettere, chinando il capo dinanzi all’espressione della donna – Ma sto…
- La troveremo. Sì, la troveremo. È qui. Dove altro potrebbe essere? – fugace com’era apparso, il timore si dileguò dal volto di Belle. Scosse il capo con stizza, come per scacciare i dubbi – Le piace giocare, e stavolta sta giocando troppo, e male, ma sta giocando. Sta giocando qui.
Gold non ebbe il cuore di smentirla. In segreto, invidiava la barriera così diversa e così simile alla sua che Belle si era costruita. O forse non era nemmeno una barriera: era semplicemente Belle, con la sua forza e la sua capacità di nascondere i tremori dietro una forza d’animo mostruosa.
Belle con la fede che riponeva sempre nel prossimo, anche in quello sbagliato, e con il suo legame con Helena: perché le sensazioni di una madre dovevano pur significare qualcosa, non poteva essere un caso, non poteva essere illusione.
O almeno, voleva credere non lo fossero.
- Da quanto non riposi? – sviò l’attenzione.
L’unica strategia dei codardi.
- Non ho dormito molto in queste ultime notti, – Belle sospirò – Poco male, mi rifarò dopo. Appena troveremo Helena andrò a letto e dormirò per almeno…
S’interruppe di colpo. Un momento era inquieta, ma in sé; quello seguente sgranò gli occhi e si portò una mano alla bocca.
Tutto a un tratto, il pavimento di vetro che Belle aveva costruito si era frantumato sotto i suoi piedi e lei era caduta. Il sangue le pulsava alla testa, ma le membra erano insensibili.
- Non hai risposto, – le tremarono le labbra – Non hai risposto. Robert, perché non hai risposto? Perché?
Non posso risponderti, su questo non posso mentirti.
Perdonami per le bugie, perdonami per la verità.
- Va’ a riposare, Belle, o ti sentirai male.
- Non posso. Non posso riposare senza sapere dov’è Helena, come sta. Devo sapere.
- Così non sarai d’alcun aiuto. Anzi, peggiorerai la situazione.
- Ma non posso. Capisci, non ci riesco. Devo sapere che sta bene prima di fare qualsiasi cosa, di andare da qualsiasi parte. Non ci riuscirei – non potrei. Tu... – esitò, terrorizzata dalla sola domanda – Tu come hai fatto? Come ci sei riuscito?
Gold chinò il capo.
Non pormi domande la cui risposta conosceremo entrambi.
- Va’ in camera mia. Lì nessuno ti disturberà. Un’ora e tornerai a cercare Helena, va bene? – Belle scosse il capo con decisione – Mezz’ora, allora. Mezz’ora. Non ti lascerò riposare un minuto in più, – promise, per quanto potesse valere una promessa in quel momento.
La donna sospirò sconfitta. Gold fece per guidarla verso la stanza, quando sentì la mano di Belle cercare la sua. L’afferrò d’istinto, rimproverandosi ma non pentendosi.
- Non posso stare in camera tua. È troppo… No. Camera tua o camera mia, no.
- Una stanza per gli ospiti allora. Scegli tu quale.
- No, – Belle lo guardò dritto in volto. Aveva gli occhi lucidi, ma non piangeva – Anche se abbiamo litigato, per favore resta con me. Oggi non lasciarmi.
Gold deglutì, il cuore stretto in una morsa di ferro.
- Oh, Sweetheart, – quasi non si rese conto di aver usato il vezzeggiativo – Io non potrei mai lasciarti. Mai.
La pelle di Belle era gelida mentre si recavano in quella che sarebbe dovuta essere la loro camera, mentre serrava la porta, mentre lei si stendeva sul letto.
Lui non lasciò mai quella mano.
Si sedette al suo fianco sul materasso. Era così bella, nonostante il volto terreo, le occhiaie evidenti e i capelli scarmigliati, che fu impossibile non carezzarle il volto.
- Perdonami, – disse, resosi conto del gesto – Io non intendevo…
- Abbracciami, – la richiesta arrivò inattesa e meravigliosa – Abbracciami.
Inatteso, meraviglioso e impossibile.
Ma come avrebbe potuto non obbedirle?
- Io so che lei c’è. So che sta bene. È triste, ma sta bene. È così.
L’uomo non rispose. Per lui non c’erano speranze, solo consapevolezze, e questo faceva più male.
La consapevolezza di aver sbagliato.
La consapevolezza di aver giocato a dadi col destino il suo lieto fine.
La consapevolezza di aver perso.
E ci sono perdite che non possono essere compensate.
La strinse a sé con cautela.
- Non ci sono mai riuscito, – confessò rispondendo alla domanda di poco tempo prima – Non si dimentica. Mai.
Belle tacque.
Non dormirono: rimasero con gli occhi chiusi, ad ascoltare i loro respiri
 
 
 
“Is this the place we used to love?
Is this the place

that I've been dreaming of?”
 
 
 
In soffitta iniziava a far caldo, quel caldo appiccicoso che toglieva il respiro e lei non sopportava. Avrebbe dato metà dei suoi nuovi giochi per un sorso d’acqua.
E anche per avere qualcuno con cui dividere i tesori della stanza.
Tristezza o meno, decretò Helena, la prossima volta ci sarebbe salita con qualcuno. Magari proprio con Regina: era stata lei a parlargliene, perciò aveva tutto il diritto di tornarci. Poi ci avrebbe portato la mamma, e di sicuro papà, che come minimo sarebbe impazzito alla vista di tutte quelle cose belle e strane. Chissà a cos’avrebbero giocato tutti insieme. A mosca cieca o nascondino? O piuttosto si sarebbero travestiti coi vecchi mantelli che aveva trovato in una piccola cassapanca?
Erano abiti assai strani, a dire il vero. Non somigliavano ai completi di papà, né ai bei vestiti che lui le regalava, quanto invece a ciò che portavano Henry e gli altri bambini di Whitechapel: avevano colori spenti, toppe e cuciture a vista e sembravano decisamente vecchi e usati. Chissà a chi appartenevano… Quando avrebbe rivisto i suoi genitori, l’avrebbe chiesto; nel frattempo, nulla le vietava di giocarci da sola.
Un rumore improvviso la fece spaventare. Che l’avessero già trovata? Se non fossero stati mamma o papà, aveva deciso, non si sarebbe fatta prendere. Doveva nascondersi… Sì, ma dove?
La risposta era sotto i suoi occhi: il baule dei vestiti era grande abbastanza da contenerla. Lo scavalcò subito e si rannicchiò per entrarci.
Nell’istante stesso in cui richiuse il coperchio sopra di sé, qualcuno entrò.
- Ragazzina? – fece una voce femminile che Helena ricondusse a Emma – Ragazzina, sei qui?
Aveva fatto bene a nascondersi! Per quanto la Nolan le stesse simpatica, al momento Helena non aveva alcuna voglia di giocarci assieme. Ma se c’era lei, allora sicuramente c’era anche…
- Love, vieni fuori, su! – fece eco Killian – Questo gioco è durato troppo, e tuo padre vuole la mia testa. Senza testa come potrò raccontarti ancora le storie dei pirati? – la domanda non trovò risposta – Dobbiamo controllare ogni angolo. Se non la bambina non è qui, allora forse il Coccodrillo
Coccodrillo?, si chiese la bimba. Quale coccodrillo? Si nascondeva anche un coccodrillo nel Castello?
- Non dirlo, – ringhiò la domestica – Non dirlo nemmeno per scherzo. Se Regina avesse davvero fatto qualcosa di simile, non so cosa le farei. Un conto è tradire Gold, un altro un’innocente. Già ciò che ha fatto a Belle…
Helena poggiò meglio l’orecchio al baule. Non riusciva a sentire la replica dell’uomo: stava parlando, ma non si capiva bene. E cos’aveva fatto Regina alla mamma?
Per qualche minuto regnò il silenzio, rotto solo dal rumore di passi e di oggetti spostati; poi si udì la domestica dichiarare seccamente: – No. Dobbiamo trovarla, – il tono rispecchiava la risolutezza della giovane.
Ma se all’improvviso poteva distinguere tanto nettamente le parole, si rese conto Helena, allora la bionda era molto, molto vicina a lei: tanto vicina da poter aprire il baule da un momento all’altro!
No, non doveva finire così, non doveva essere Emma o chi per lei a trovarla! Ma cosa poteva fare per fuggire?
Niente: era in trappola, e quel che era peggio si era ficcata lei stessa in quella brutta situazione!
Strinse i denti, preparandosi a vedere i volti degli amici di mamma; trattenne a stento un profondo sospiro di sollievo quando udì la ragazza esclamare: – Qui non c’è nessuno. Cerchiamola altrove.
 
 
 
“Oh, simple thing,
where have you gone?
I'm getting tired

and I need something to rely on.”
 
 
 
Dove sei finita, stupida ragazzina?
Regina non si dava pace. Da quando le era stata tanto bruscamente comunicata la notizia, il pensiero di Helena non l’aveva mai abbandonata: com’era possibile fosse sparita così, sfuggendo al controllo di tanti adulti, lei per prima?
Ricordava benissimo di essersi addormentata al suo fianco: la piccola l’aveva consolata quando le immagini di sua madre, di Daniel, di Mal e di Belle si erano imposte in spregio a ogni sforzo per allontanarle ed erano tornate a farle male come se le stessero strappando la pelle; ricordava anche che la bambina aveva mugolato una canzoncina carezzandole la schiena nel tentativo goffo e adorabile di rincuorarla. Aveva avuto successo? Regina non si era soffermata a riflettere sul punto, ma la risposta era affermativa – e non tanto per la questione pratica del sonno senza sogni in cui era finita col precipitare. I gesti ingenui e premurosi di Helena erano stati in grado di trasmetterle più vicinanza di quanto avessero potuto fare mille e mille battaglie combattute in suo nome.
Così piccola, e già così potente.
“Potrebbe essere tua sorella.”
Non era stata in grado di reagire.
Parole come spade che cozzavano, che dilaniavano carne e certezze.
Era una metafora, ovviamente. Lo zio si riferiva alla differenza d’età, all’attaccamento viscerale che Helena aveva incomprensibilmente sviluppato nei suoi confronti e che la induceva a seguirla ovunque, persino in camera da letto. Parlava della situazione venutasi a creare nelle ventiquattr’ore precedenti.
Non di un vero legame di sangue.
Regina era figlia del conte Henry Mills, non di un imprenditore scozzese.
Era Regina Mills, non Gold.
Maman non faceva altro che ricordarle i suoi illustri avi, la storia del sangue che le scorreva nelle vene, il lustro della famiglia e la necessità di tenerne alto il nome.
La casata Mills, non Gold.
Suo padre era Henry Mills, che le portava i dolci di nascosto, che sedeva al suo capezzale e con cui aveva piantato nel Leicestershire l’albero di melo divenuto poi il traguardo delle corse con Daniel e Ronzinante.
Papà Henry.
Lo zio le voleva bene, certo. La considerava – l’aveva considerata – come una figlia, e l’aveva anche dimostrato; ma non era sua figlia. Malgrado lui e Maman fossero stati amanti, non poteva essere.
E perché mai?
Erano amanti cinque anni fa, sarebbero potuti esserlo anche quindici.
Tua madre non si farebbe frenare dalla presenza di un marito.
Semplicemente, come non poteva rinvenire prove in un senso, Regina non poteva – né voleva – rinvenirle nell’altro; per questo preferiva credere che lo zio avesse parlato sull’onda delle emozioni piuttosto che considerare seriamente l’altra opzione.
Anche solo riflettervi, soffermarvisi un istante più del dovuto, avrebbe rotto ogni residuo argine della sua vita, portandola a urlare.
Chi sono io?
Era anche possibile che lo zio avesse premeditato la frase. Che gliel’avesse rivolta per smuoverle la coscienza e farla pentire dei gesti eventualmente compiuti: concorrere al rapimento della propria sorella – sorellastra, la corresse una voce malignamente somigliante a quella di Cora – è comunque più grave che perpetrare la stessa malefatta ai danni di un’estranea.
Ma se Gold avesse agito in tal senso, avrebbe tralasciato un aspetto: l’educazione impartita dalla Contessa.
Era una sola la decisione di cui Regina si pentiva, una decisione che pure coinvolgeva i medesimi personaggi.
Per non parlare delle pecche insite nel ragionamento: se Regina avesse avuto dei contatti con la madre tali da permetterle di consegnare la bambina, avrebbe potuto comunicare ancora con lei e riferire i dubbi instillati, cosa che certo non avrebbe addolcito Cora.
E se Regina avesse portato via la ragazzina, se ne sarebbe andata lei stessa. A che pro restare e offrirsi come ostaggio alla mercé della rabbia dell’uomo? Per sviare i sospetti? Sarebbe stata una scelta alquanto masochista.
No, le parole dello zio erano state pronunciate d’impeto, e lei era una stupida a lasciarsene turbare tanto. Avrebbe fatto meglio a concentrare gli sforzi nella ricerca di Helena dimostrando così anche all’uomo la propria onestà. Belle le credeva: non gliel’aveva detto esplicitamente, ma la sua reazione, il fatto che mai l’avesse esclusa dalle ricerche e il giuramento del giorno precedente valevano più di ogni altra cosa.
Dovevano solo sbrigarsi a trovare la bambina. L’adolescente non credeva che lo zio le avrebbe davvero fatto del male, ma ci sarebbero comunque state delle conseguenze: conseguenze per Helena, troppo piccola per star sola tanto tempo, e per sé.
La notte precedente avrebbe dovuto prestarle maggiore attenzione, anziché concentrarsi sui propri fantasmi. Anche la bambina aveva avuto una giornata difficile: la lite tra i genitori l’aveva destabilizzata non poco, spingendola ad attribuirsi colpe che non aveva; un atteggiamento che Regina conosceva bene, avendolo più volte assunto durante l’infanzia. Se non altro, almeno aveva provato a distrarre la piccola, che non si era ritrovata costretta a rintanarsi in soffitta come lei…
La soffitta.
Un pensiero fu sufficiente a destare un campanello d’allarme.
La soffitta.
Di sicuro era già stata ispezionata: l’intera casa era stata messa a soqquadro senza esito, e certo quel locale non era sfuggito allo zelo collettivo.
Ma se invece…?
L’intuizione che s’imponeva a dispetto della logica era un’eredità trasmessale da Cora e di cui aveva imparato a far tesoro. Quando si destava, il suo sesto senso si rivelava nel giusto; e se ora, memore della conversazione con Helena, le urlava di correre in soffitta, di controllare ancora, di controllare meglio il posto segreto che solo loro due conoscevano, lei doveva obbedire.
E così avrebbe fatto.
 
 
 
Per fortuna Emma e Killian se n’erano andati: nel baule si soffocava e a un tratto la tentazione di lasciar perdere tutto e uscire era divenuta fortissima. Appena i due si erano allontanati, Helena era balzata fuori dal cassone con l’intenzione di non rimettervi piede mai più.
La soffitta iniziava ad annoiarla, e provava sempre più nostalgia per i piani inferiori e i suoi vivaci abitanti. Chissà cosa stavano facendo mamma e papà: si erano accorti della sua assenza, o i servi non sarebbero venuti a cercata. Si stavano preoccupando, o continuavano a urlarsi contro?
Malgrado la risoluzione presa, in realtà Helena desiderava tornare dai suoi genitori. Le mancava stare con loro, le mancava stare al sicuro.
La soffitta faceva sì parte del Castello che da due giorni a quella parte stava imparando a conoscere, ma era troppo, troppo distante dai luoghi in cui era stata con mamma e papà. Voleva stare con loro, sentirsi protetta e amata come quando era con sua madre o come la notte precedente tra le braccia di suo padre. Voleva tornare da loro; voleva tornare a casa.
Si pentiva della scelta presa ma, piccola testarda, era al contempo troppo orgogliosa per ritrattare; e questo, unito alla sete, al caldo e alla fame, la confondeva e irritava non poco.
Altri passi. No, stavolta non si sarebbe nascosta, nossignore! Al più avrebbe atteso e solo all’ultimo valutato…
- Helena? – quando la porta si aprì, la prima cosa che vide furono gli occhi scuri di Regina.
- Regina! – dimentica di tutto, in un attimo le fu addosso e le abbracciò le gambe con tanta forza da farla quasi incespicare – Mi sei mancata tanto, Regina, questo posto è mica bello come dicevi tu! Ci sono tante cose, ma fa caldo, e non c’è nessuno!
L’adolescente non ricambiò la stretta col medesimo trasporto.
- Cosa diamine ti è venuto in mente? – a costo di apparire crudele, non si trattenne dallo sbraitare – Sparire così, all’improvviso! Ti rendi conto di ciò che hai fatto? Sei stupida, o cosa?
La bimba la fissò con un’espressione di tale smarrimento e rammarico che la nobile si maledisse per la propria intemperanza. Quasi inconsciamente, le carezzò il capo.
- Perché sei venuta quassù senza dirlo?
La vergogna montò imperiosa in Helena: allora davvero in casa tutti si stavano preoccupando per lei? Tutti la stavano cercando? Mamma e papà non le avrebbe più voluto bene! Come si poteva voler bene a una bambina stupida e cattiva come lei?
- Io volevo solo stare nel posto nascosto che dicevi tu! – singhiozzò, incapace di frenarsi – Dove nessuno ti fa male, dove non ci sono cose brutte e diventi felice! Come mi hai detto tu, io volevo stare dove mi hai detto tu!
Splendido.
Lo zio sarà contentissimo di questo, davvero estasiato.
- Io ti ho detto di cercare un posto per te, non di nasconderti senza dirlo a nessuno, – la nobile dovette respirare a fondo per non urlare – Devi imparare a non lasciarti influenz… Condiz… Insomma, imparare a non essere triste quando non hai colpe. Perché non ne hai, e devi smetterla di credere il contrario. Ieri i tuoi litigavano per altri motivi, non per te, e tu, io, nessuno può controllare tutto ciò che lo circonda, – Regina si chiese chi le avesse insegnato tutte le belle teorie che stava esponendo. Era così brava a annunciarle, e così incapace di applicarle alla propria vita. Come pretendeva ci riuscisse una bimbetta? Tuttavia non demorse. In fondo, esiste davvero un’età in cui si è troppo piccoli per capire? – Il posto segreto di cui ti parlavo non deve essere per forza una stanza. O almeno, se vuoi che lo sia, devi avvisare qualcuno quando decidi di andarci.
- Ma mamma e papà sono molto arrabbiati con me? – la bambina esalò ansiosa, aggrappandosi con una manina alla veste della ragazza – Hanno detto che non mi vogliono più?
“Potrebbe essere tua sorella.”
- Helena, – qualunque fosse la verità, Regina sospirò – Tu sei fortunata. Hai avuto tuo padre, non mia madre.
 
 
 
“And if you have a minute
why don't we go?”


 
 
Quando aveva rivisto la figlia, Belle era scoppiata in un pianto che trattenere sarebbe stato vano. Tutte le lacrime fino ad allora ingoiate, tutta la cieca determinazione che l’aveva mossa durante le ricerche era svanita nell’istante stesso in cui aveva visto comparire Helena sulla porta.
- Dov’eri? – le era corsa incontro e l’aveva stretta fino a farle male, incurante del mondo intero – Non farlo più. Non farlo mai più.
- Helena ha qualcosa da dirvi, – aveva affermato Regina, fino a quel momento passata inosservata.
La piccola teneva gli occhi bassi, e li aveva mantenuti anche mentre mormorava timida: – Non volevo che vi spaventavate. Non dovevate piangere. Scusatemi.
- Ci hai fatti preoccupare molto, signorina. Non va bene, – Gold aveva cercato di mostrarsi severo, ma il tentativo era fallito miseramente quando aveva riabbracciato la figlia, quando lei l’aveva chiamato “papà”.
Di lì a poco, Helena aveva raccontato ogni cosa: la tristezza per gli eventi del giorno precedente, il desiderio di essere felice e l’idea che aveva avuto. Aveva citato anche il baule in cui si era nascosta. Appena udito di quella mantella e quegli abiti, Belle si era voltata di scatto verso Gold, che era impallidito all’istante.
Come se Neal avesse protetto la sua sorellina.
Belle avrebbe voluto ringraziare Regina, ma dopo aver consegnato la bambina la giovane si era dileguata nella sua stanza. Aveva pensato di raggiungerla lì e parlarle, ma Helena l’aveva tirata per la veste.
- Sono stanca, mamma, – l’aveva implorata, e Belle non aveva potuto far altro che restare con la figlia e riposarsi con lei.
- Non è stato bello, tesoro, – l’ammonì ancora, stendendosi al suo fianco – Abbiamo temuto ti avessero portata via, che fossi in pericolo e non potessimo aiutarti. È stato brutto.
- Anche papà aveva paura? – chiese la piccola.
- Certo. Papà non vuole perderti. Era terrorizzato dal solo pensiero… Ti ama tanto quanto ti amo io, lo sai.
- E tu?
- E io cosa?
- Tu ami papà? – aveva posto la stessa domanda al padre, ma era successo prima della lite…
Belle deglutì, ma fu sincera.
- Sì. Lo amo. Quando ho capito com’è veramente me ne sono innamorata, e continuo ad amarlo, – anche se a volte fa così male, non aggiunse.
Ma il filo logoro e scolorito tra noi resiste.
Sentì Helena rilassarsi, come rincuorata.
- Tesoro, senti, – si morse le labbra. Non sapeva se stesse facendo bene ad annunciarlo, indecisa com’era – Se eventualmente ci fermassimo qui qualche giorno in più… Ti piacerebbe?
La bambina annuì.
- Sì, basta che andiamo a prendere Bae. Mi piace stare con te e papà.
Malgrado tutto Belle non poté fare a meno di sorridere.
La bambina si addormentò quasi all’istante, e la donna avrebbe voluto fare lo stesso; ma, malgrado gli sforzi, la mente le tornava ai momenti che aveva trascorso abbracciata a un Robert così timido ed esitante, ma sincero.
Quanto avrebbe voluto lo fosse sempre.
Quanto avrebbe voluto lasciasse emergere sempre l’uomo, scacciando l’abitudine delle bestia assetata di potere, complotti e bugie.
Tu sei qualcuno per cui vale la pena combattere, gli diceva spesso un tempo.
E lo sei sempre, lo sei ancora, aggiunse.
Ma devi combattere con me.
L’amore non è un monologo, da una parte sola non basta. Siamo in due in questa battaglia, e se ancora voglio lottare.

Vuoi ancora lottare?

Sì.
Fu il suo ultimo pensiero prima di addormentarsi.
Fu il suo primo pensiero al risveglio.
Il sole oramai tramontava. Helena ancora riposava; si voltò piano supina per non svegliarla.
Possibile che il tempo passasse, e lui fosse sempre al centro dei suoi pensieri? Possibile che fosse sempre troppo presto o troppo tardi per loro, che arrivassero fuori tempo per tutto?
Fissava il soffitto come se potesse fornirle la risposta che già aveva.
Erano arrivati a odiarsi ben più di una volta, ed erano sempre tornati ad amarsi.
Forse era meglio così: forse era meglio urlarsi le cose, avere rimorsi e non rimpianti. Era più pericoloso restare indifferenti, non parlare.
Proprio questo li aveva distrutti.
Più di una volta.
Ma se tornava indietro, non era per debolezza, paura, bisogno.
Tornava perché ogni volta succedeva qualcosa che la faceva capire quanto profondo, quanto vero fosse il loro amore.
Tornava perché qualcosa in lei non aveva paura di affrontare il suo amore dopo aver sofferto tanto in suo nome.
Tornava perché l’amava, e lui meritava una possibilità.
Una possibilità che sarebbe stata definitiva.
Svegliò Helena, giocò un po’ con lei. Scesero in cucina, cenarono con gli altri. L’atmosfera era più distesa, almeno in apparenza.
- Devo andare a parlare con una persona, e non sa quanto impiegherò, – a un certo punto disse alla bambina – Nel frattempo farai la brava? Obbedirai a Mary e agli altri, anche se saranno loro a metterti a letto?
La piccola promise solennemente. Non voleva più rattristare nessuno, ora che era stata perdonata.
Belle la baciò e uscì dalla cucina. C’era un solo posto in cui avrebbe trovato di sicuro Robert: lo studio. Fu lì che senza ulteriori indugi, mettendo a tacere ciò che non era coraggio, si diresse.
Bussò piano alla porta. Quando udì l’invito, si rese conto di aver trattenuto il fiato senza accorgersene.
Scorgendola, Gold restò sorpreso. Non si aspettava di rivedere Belle: era certo che avrebbe mandato un messo per chiedere una carrozza e tornare nell’East End, allontanando per sempre l’ombra dei momenti condivisi appena poco prima.
Ma raramente le sue previsioni su Belle si rivelavano corrette.
- Belle, – si alzò – È successo qualcosa? Posso aiutarti?
- No, no, – lo tranquillizzò – Helena sta giocando con gli altri, ma a breve la riporteremo a letto. Sai, malgrado abbia dormito è ancora stanchissima.
- Ha vissuto una giornata intensa. Solo il riposo potrà ristorarla; lasciala a letto quanto desidera.
- Già, – la donna annuì più volte – Sono d’accordo.
Il silenzio premeva contro le loro orecchie, una coltre che soffocava anziché proteggere.
Chiacchiere fatue, risposte cortesi, utili solo a riempire i vuoti di un silenzio incolmabile.
Erano condannati a comportarsi così in eterno?
La prospettiva l’angosciava. No, peggio: la faceva infuriare. Mai, nemmeno quando a malapena si conoscevano erano ricorsi a convenevoli e cerimonie: erano sempre stati espliciti nel comunicarsi simpatie e antipatie, diretti, forse anche fin troppo franchi, ma mai ipocriti. E Belle non intendeva divenirlo adesso, iniziare adesso a vivere la mezza vita dei vigliacchi.
Robert avrebbe saputo la verità. L’avrebbe conosciuta ora, lì e subito.
- Grazie per oggi, – esordì – Per tutto ciò che hai fatto per Helena e… Per me.
 Gold sdegnò i ringraziamenti con un cenno.
- Non avrei potuto fare altrimenti. Helena era in casa mia, sotto la mia responsabilità e, cosa ben più importante, è nostra figlia. Sono suo padre ed era mio compito far attenzione. Se le fosse accaduto qualcosa, – la voce gli si abbassò di un tono, come se il pensiero stesso gli impedisse di respirare – Non me lo sarei mai perdonato.
Belle lo sapeva.
Versava ancora lacrime per un figlio la cui morte si era imputato.
- Ti ha chiamato papà, – non riuscì a non sorridere – So che sembra banale dirlo, ma, sai, sono così contenta per te. Significa così tanto!
- Significa tutto. Significa tutto, per me.
Come sarebbero potuti essere quegli anni se non ci fossero state la menzogna, le liti, la paura? Magari la prima parola di Helena sarebbe potuta essere proprio “papà”.
La prima parola della loro nuova vita.
Belle non aggiunse altro. Non ve n’era bisogno.
Avanti, però, ora parla. Sei qui per un motivo preciso.
È forse una delle conversazioni più importanti che avrete.
Prese un profondo respiro.
- Robert, – disse – Io…
La sua attenzione fu catturata da un dettaglio ben protetto in una vetrinetta. Improvvisamente dimentica del resto, si avvicinò al mobile con un’espressione di meraviglia dipinta sul volto. Gold la seguì, intuendo all’istante cos’avesse scorto.
Le mani di Belle aprirono rapide l’anta. Quasi non credeva ai propri occhi: non le pareva vero che, tra vasellame d’argento e cristalli pregiati, il posto d’onore fosse riservato a un oggettino così banale, così umile eppure così speciale nell’unicità che lo segnava. Lo strinse tra dita tremanti mentre sussurrava emozionata: – Tu… Ce l’hai ancora… La mia tazza sbeccata.
Gold si ritrovò suo malgrado a sorridere dinanzi allo stupore della donna. Com’era ingenua, la sua Sweetheart. Credeva davvero avesse gettato il primo dono che gli avesse inconsciamente fatto? Il frammento mancante non era mai stato trovato, ma non era andato perduto.
Era finito nel suo cuore.
Era lei il frammento mancante, era sempre stata lei.
- Ci sono molte, moltissime cose in questa stanza, – confessò guardandola negli occhi, senza temere che gli frugasse dentro e comprendesse la verità – Ma, tra tutte, questa è l’unica cui tengo davvero.
Belle percorreva i bordi frastagliati della porcellana, la stringeva a sé e la rimirava quasi incredula. La loro tazza. Il segreto che non aveva rivelato a nessuno. Ricordava così bene l’origine della reliquia: il tetro umorismo del suo nuovo, superbo padrone, la paura che fosse già esausto della sua indisciplina, la certezza che stesse per licenziarla… E invece, infine, la sua sorprendente reazione.
Ma era stata solo la prima di una lunga serie di sorprese, quella.
E anche se le avevano lasciato una scheggia di vetro nel cuore, lei le avrebbe rivissute tutte, una a una.
- L’ho portata con me a New York. Non sopportavo di starle lontano. Era l’unica prova della tua esistenza, quando… – non riuscì a concludere la frase, ma Belle capì all’istante a cosa si riferisse.
Quanti mesi siamo stati vicini, quante possibilità di tornare abbiamo sprecato?
- Grazie, – gli risparmiò – Davvero, Robert. Grazie.
- È solo una tazza, – la complicità che unì i loro sguardi riscaldò l’animo di entrambi – Prendersene cura non è complicato. Sei stata tu ad avere il compito più difficile… E io non ci sono stato.
Ma ora ci sei.
Forse non era quello il posto adatto. Forse ne esisteva un altro in cui sarebbero potuti andare, un posto che fino all’ultimo era stato teatro di mille eventi per loro.
Il posto in cui lei non aveva nemmeno avuto la forza di rientrare senza di lui.
- Mi accompagni in una stanza? – gli propose.
Gold sorrise appena.
- Ovunque.
 
 
 
“Talk about it
somewhere only we know?”
 
 
 
Da quando era tornato a Londra, Robert Gold non aveva rimesso piede in biblioteca.
Aveva ordinato che la stanza fosse ripulita e ordinata, che fosse mantenuta in tale stato, ma lui mai, neanche per errore, vi era entrato.
Come avrebbe potuto, se quello era uno dei posti che più di ogni altro sapevano di lei?
Aveva regalato la biblioteca a una camerierina impudente che aveva fatto emergere in lui un barlume di umanità per la prima volta dopo decenni. In un giorno Belle si era macchiata di più infrazioni di quante ne avessero commesse altri in anni di servizio, e lui non solo non l’aveva cacciata: l’aveva addirittura premiata. Nei giorni immediatamente seguenti si era interrogato su quella mossa insensata, e forse una spiegazione l’aveva trovata subito.
Il difficile era stato – era – accettarla.
In biblioteca l’aveva scorta più volte. Prima di sfuggita, senza perdere occasione di ironizzare con arroganza; poi trattenendosi ogni volta un istante più della precedente, imbattendosi sempre in un nuovo particolare che iniziava ad amare senza osare dirlo.
Il colore che il coinvolgimento donava alle sue guance, la scintilla che le accendeva le iridi di nontiscordardimé, le smorfie di partecipazione alle vicende dei suoi personaggi preferiti.
Guardarla gli faceva venir voglia di sorridere senza motivo.
Eppure non si sentiva stupido.
In biblioteca era stata sua per l’ultima volta.
Avevano litigato, litigato furiosamente per la sua irrazionale gelosia; e il modo in cui lei aveva rivendicato la sua indipendenza, in cui gli aveva tenuto testa senza permettergli d’intimidirla aveva agitato in lui qualcosa di segreto e profondo. Sentirla sciogliersi al calore del suo tocco, del suo stesso desiderio, gliel’aveva fatta volere con una furia arcana e potentissima che non aveva mai saputo dimenticare.
La biblioteca era un posto pericoloso. Faceva male. Rendeva ancora più profondi i morsi della codardia che aveva vinto quando era stato ricambiato dall’unica persona che avesse davvero amato, quando aveva avuto un futuro e vi aveva rinunciato per paura di essere felice.
L’aveva cacciata per non soffrire, ma non aveva forse condannato entrambi all’infelicità?
Lo sguardo di Belle scivolava lungo le pareti foderate di libri, accarezzava le fila di volumi, si soffermava appena, rideva. Possibile non esistesse un modo per fermare davvero il tempo? Per conservare gli attimi e donare felicità eterna alle persone? Se avesse potuto, Gold avrebbe vissuto in eterno quel momento in quella sala impregnata dall’odore di carta e tempo, con Belle dagli occhi screziati di una gioia così intensa che lui avrebbe voluto poter preservare dal buio di un mondo che mai più, mai più avrebbe dovuto offuscare la luce della sua stella.
Belle si era innamorata della biblioteca dalla prima volta che vi era entrata. Quel posto era – per utilizzare parole fin troppo ricorrenti quel giorno – il suo rifugio: il suo nascondiglio, forse non troppo imprevedibile per chiunque la conoscesse, forse non segreto, ma suo. Si sentiva così a suo agio tra scaffali colmi di volumi preziosi, di capolavori in grado di racchiudere mille epoche e mille vite, che mai avrebbe voluto abbandonarli. Lì era protetta, lì era al sicuro: lì era tra amici che mai le avrebbero voltato le spalle, silenziosi compagni che l’attendevano quieti e le offrivano il conforto della parola scritta, la consolazione della frase giusta al momento giusto.
Quando era arrivata a Kensington ignorava l’esistenza di un simile locale; ma una volta mostratole, era impazzita di gioia. Robert conosceva la sua passione per la lettura: alle volte l’aveva minacciata per la sua distrazione, ma ciononostante non gliel’aveva mai vietata.
Modera il tuo entusiasmo, per te è solo una stanza in più da pulire, l’aveva redarguita quel giorno così lontano; ma era stato chiaro come il sole che quella non era l’ennesima incombenza, ma un dono.
Solo il primo dei tanti di cui gli sarebbe sempre stata grata.
- È proprio come la ricordavo, – passò le dita sui dorsi irrigiditi dei tomi rimasti chiusi troppo a lungo – Anzi, sai, persino più bella. Perché finalmente è di nuovo vera, è di nuovo reale. Non sto sognando. Sono di nuovo qui.
- Di nuovo qui, e di nuovo ovunque. Sai cosa dice un mio conoscente? 2 – Belle scosse il capo – Possiamo essere seduti in biblioteca ed essere allo stesso tempo in ogni angolo della terra.
- Già, – Belle concordò – Anche in un cantuccio, con un libro tra le mani non ci sono confini. Si è liberi di volare ovunque con la fantasia. Anche se, – lo guardò negli occhi – Alle volte ciò che si desidera non è perdersi, ma ritrovarsi. Stare in un posto assieme a una persona. Perché quando c’è lei, il mondo potrebbe anche sparire e non farebbe alcuna differenza. Quella persona ci renderebbe comunque completi. Integri.
La voce di Belle, così piena di calore, annullò ogni pensiero. Aveva il sapore di benedizione.
A Gold non sfuggirono passi mossi verso di lui. Il cuore gli balzò contro la prigione del petto, lo disorientò. Era così disabituato a provare emozioni simili che quasi le temeva…
No.
Quella sera, per una volta nella vita, non avrebbe temuto l’onestà.
- Tu hai ragione, – esordì – Sono un codardo. Non ti ho avvertita perché ero certo di farcela da solo. Era la prima volta che mi affidavi la bambina e volevo dimostrarti di saper risolvere ogni problema, per quanto grande potesse essere. Non volevo l’aiuto di nessuno, perché volevo renderti orgogliosa di me. Un codardo, e al tempo stesso un superbo, – sorrise amaro – Un’ottima combinazione, non c’è che dire.
- Ma io so come sei fatto, – la replica di Belle non tardò ad arrivare – So da sempre ciò cui vado incontro, e sono sempre stata pronta ad affrontarlo. Non mi arrendo solo perché è difficile. Non mi sono mai arresa, e mai lo farò. Ho imparato ad amarti non a dispetto di ciò che sei, ma anche grazie a ciò che sei. E tu sei più di quanto immagini.
Gli occhi della giovane scintillavano emozionati. Gold pensò solo che se avesse potuto baciata un’ultima volta in quell’istante, sarebbe morto felice.
- Ti ho detto quella cosa… Non intendevo, Belle, non intendevo davvero. Le mie sono misere scuse che non cancellano l’offesa, ma vorrei tu sapessi comunque quanto sono pentito. So che ti fidi di me, anche troppo, l’hai dimostrato infinite volte anche quando non lo meritavo… L’ultima ieri, decidendo di restare.
- Io mi fido di te, ma vorrei solo tu fossi sincero. È l’unica cosa che ti chiedo, da anni oramai. Non mentirmi, anche a costo di farmi male, non trattarmi come se fossi una cosa fragile, come se potessi spezzarmi. Non sono una bambina da proteggere. Sono più forte di quanto sembro, e lo sai.
- Ma questa è stata comunque l’ultima mia menzogna, – l’uomo articolò le parole con uno filo di voce – Perché ora devi andare.
Belle sussultò. Non si aspettava simile affermazione.
- P-perché? – balbettò, incapace di capire, incapace di ripercorrere la strada seguita per giungere a tal punto.
- Perché malgrado ciò che speri, io sono ancora quel che ero. Sono ancora un bugiardo, sono ancora un uomo che non sa essere sincero, non sa fidarsi di chi gli sta intorno, anche se potrebbe, anche se dovrebbe. Nascondermi, mentire mi riesce facile, e non so più se per abitudine o inclinazione; so solo che ormai sono stampelle senza le quali non potrei camminare. Oh, Belle, – diceva mille frasi, e avrebbe voluto dirne solo una, la più semplice e difficile del mondo – Mi dispiace, mi dispiace tanto. Non ti chiedo di perdonarmi, perché non ne sono degno. Tu hai sempre fatto del tuo meglio per rimettere apposto i pezzi, e io non ho mai saputo tenerli insieme. Io ho sempre distrutto – ho distrutto te, questo non me lo perdonerò mai. E so che accadrebbe ancora, perché finisce così, perché ogni tentativo tra noi è finito così, ed è finito a causa mia. Perché sono un codardo. E i codardi non meritano le eroine.
Non avrebbe voluto allontanarsi, non avrebbe voluto lasciarla lì in quel momento, pallida e bellissima alla luce fioca che quasi creava un’aura attorno a lei. Non avrebbe voluto, ma aveva dovuto. Aveva dovuto voltarsi, aveva dovuto chinare il capo e muoversi verso la porta.
Se fosse rimasto un altro istante con lei, non ce l’avrebbe fatta.
Belle era impietrita. Non era così che doveva andare, non così. Avrebbero dovuto parlare, avrebbe dovuto dirgli ciò che provava, esprimere quel groviglio di sentimenti che le si agitavano nel petto e che lei voleva sbrogliare col suo aiuto. Avrebbe dovuto dirgli che sì, non erano mai riusciti a tenersi stretti, ma questo non significava niente: non per forza erano destinati a una nuova catastrofe. Avrebbero imparato a essere sinceri assieme, sarebbero tornati a conoscersi, ce l’avrebbero fatta perché si sarebbero impegnati.
O forse no: non si sarebbero sforzati, perché l’amore non tollera costrizioni e il loro era sorto naturale. Quando si erano accorti di essere innamorati era già troppo tardi; ma se anche fosse stato possibile intervenire, loro non l’avrebbero fatto: perché per loro i problemi sorgevano dopo, ma amarsi era immediato, come respirare.
Un gesto spontaneo, la cui assenza uccideva.
Perché, se lo sai, scappi?
Si erano uccisi a sufficienza negli ultimi cinque anni.
Non voglio più essere vittima, non voglio più essere carnefice.
Voglio solo amarti.
Pochi passi lo separavano dalla porta che già si accingeva ad aprire. Lo raggiunse all’istante, mossa dalla determinazione che solo certi sentimenti sanno dare, e lo afferrò per un polso.
Lui si voltò interrogativo.
Ma quando lei lo bacia, quando lui risponde al bacio, tutto ciò che conoscono è incanto.
E se l’esplosione delle loro anime non è magia, allora la magia non esiste.
- Non capisci? – Belle mormorò a un soffio dalla sua bocca, prima di posare ancora le labbra sulle sue – È questa la ragione per cui devo restare.
 
 
 
“ 'Cause this could be
the end of everything.”
 
 
 
Non sapevano dove stessero andando, se si sarebbero separati o sarebbero rimasti assieme. Non volevano chiederselo: le domande avrebbero rotto l’incanto e già troppe, troppe volte era successo.
Si limitavano a tenersi per mano mentre camminavano, e questo era tutto ciò che contava. Il buio dei corridoi era appena smorzato dalle lampade, ma la loro strada era sicura: erano l’uno a fianco all’altra.
Era incredibile, era meraviglioso, pensava Belle: per quante cose nella vita avessero cercato di dividerli, in un modo o nell’altro loro si erano ritrovati, si erano ritrovati sempre. La strada percorsa finora era stata accidentata e tortuosa, a volte unica e a volte parallela e distante un oceano; ma era stata la loro strada, la strada del loro amore.
Quell’amore che era come la tazzina: scheggiata, mezza rotta, ma resistente fino allo stremo, malgrado ciò che aveva subito.
E lei, lei quell’amore vuole tornare a viverlo.
Quando passarono dinanzi alla camera di Gold, Belle si fermò. Lui si bloccò con lei. Immaginava il perché di simile gesto, ma ancora non se ne capacitava, ancora non riusciva a realizzare quei baci in biblioteca. Erano stati così diversi da quello scambiato la sera della cena: avevano avuto un trasporto, un’intensità che non credeva avrebbe più sperimentato.
Così diversi e altrettanto belli.
Era stato sincero nel rivolgere l’ennesimo saluto a Belle, nel lasciarla andare; era stato sincero nel suo stupore, quando se l’era ritrovata di fronte, quando aveva sentito quella bocca dolce e morbida sulla sua. Era stato sincero nel ricambiare il bacio, e Dio, quanti altri gliene avrebbe dati se avesse potuto, quanto l’avrebbe amata, di tutta la furia e il dolore e l’amore, l’amore infinito che sentiva in sé. Era così difficile controllare il desiderio che provava per lei…
Ma non voleva costringerla, non voleva forzarla. Non era mai stato bravo con le parole quando contavano davvero, ma non c’era bisogno di specificarlo: entrambi sapevano che quella notte più che mai ogni costrizione era vietata.
Ma quella non era costrizione, non era vincolo. Quando le loro iridi s’incontrarono, il semplice silenzio spiegò ogni cosa. Si ritrovarono con le mani sul pomello, a girarlo, a entrare insieme nella stanza e chiudere fuori il mondo per una notte.
La strinse su quel letto che, senza lei, non sentiva davvero suo. Fu un abbraccio timido, quasi esitante, ma a Belle parve il più bello che lui le avesse mai donato.
- Non ti toccherò, se non vorrai. Solo, – le sussurrò, le labbra che le sfioravano appena una guancia. Serrò le palpebre quando s’interruppe, e quando le riaprì era un dolore antico a dominare il suo sguardo – Non mi lasciare. Ti prego, Sweetheart, non farmi questo – non farmi credere che sei qui, e invece è solo un sogno.
Fu Belle a chiudere gli occhi, ora, perché le lacrime già iniziavano a premere e non sarebbe riuscita a trattenerle a lungo; perché lei non l’avrebbe mai lasciato, se avesse potuto scegliere; perché le loro notti sarebbero state tutte come questa, così bella da essere rapidissima e infinita a un tempo.
Si limitò ad annuire, senza sapere se si stesse riferendo alla proposta o alla promessa, se al futuro imminente o a quello lontano; ma in quel momento il futuro non esisteva. Domani, poi significavano niente: esistevano solo l’ora e il qui, i loro corpi vicini e i respiri che si accostano.
C’è l’adesso, e questo è l’importante.
Belle si rimise a sedere piano, sciogliendo a malincuore l’abbraccio. Lui l’osservò triste, come se già intravedesse i frammenti di una promessa infranta, ma non osò obiettare. Non disse niente, perché sapeva di non poter dire niente, anche se – anche se avrebbe voluto dire, avrebbe voluto compiere un gesto, anche se avrebbe voluto lei.
Belle slacciò gli stivaletti e li calciò via. All’improvviso aveva la testa vuota e leggera, come se fosse stata ubriaca. Era una sensazione strana, assurda, che le ricordava la loro prima notte insieme: non c’era timidezza, non c’era più la paura di non piacergli, ma ancora una volta erano sul punto di compiere un passo definitivo, che avrebbe segnato una svolta nel loro rapporto e nelle loro vite. Era tanto, tanto importante; ma a dominare Belle non era ansia, quanto speranza.
Speranza in loro, speranza in un nuovo inizio.
Le mani corsero al corpetto.
- Mi aiuti?
Non rispose, Gold. Non commentò, non chiese. La raggiunse e obbedì: tirò nastri, slacciò bottoni e ganci, scostò il tessuto, liberandola più piano di quanto avrebbe desiderato.
I suoi nei, macchie di notte sulla neve della sua schiena.
Sono davvero sotto le sue dita?
Percorse coi polpastrelli, seguì con la lingua le perle della sua spina dorsale, le ali lievi delle scapole. Quando le baciò, avevano il sapore di benedizione.
Lasciò scivolare le mani verso i seni, ne carezzò il profilo e la sentì fremere sotto le mani. Sorrise contro la sua spalla, desiderando baciarli, seguire la forma della bocca di Belle, la sua gola bianca, morire e rinascere tra le sue gambe.
La penombra vellutata già ammorbidiva i contorni dei loro corpi, già li confondeva. L’uomo le disfece la treccia con la cura di chi tesse l’oro: lentamente, con premura, sapendo di avere tra le dita un materiale prezioso degno di massima attenzione. I lunghi capelli ramati le ricaddero disordinati sulle spalle; Gold non poté resistere all’impulso di affondare il volto tra le ciocche respirandole, lambendo la carne morbida del collo e delle spalle e posandovi una scia di baci, di morsi, di marchi.
Sarebbero rimasti dei segni, ma lei non l’avrebbe fermato.
Non permetterà a niente e nessuno di fermarli, stanotte.
Stanotte è solo loro.
La notte in cui sconteranno tutti gli abbracci che hanno sprecato.
Il suo nome pronunciato da lui era un rivolo di miele. D’istinto strinse le cosce che lui carezzava attraverso il tessuto. La semplice pressione di quelle falangi raggiungeva il midollo delle ossa, le accendeva il sangue.
Gold osservò il suo profilo, sperando si voltasse, restituisse lo sguardo; ma lei continuò a guardar davanti a sé, il respiro appena accelerato e un batticuore feroce a dominarla.
Lo fece senza preavviso. Un attimo Belle era lì, a farsi baciare la nuca; quello seguente si era alzata, era in piedi davanti a lui. La corolla dell’abito e della biancheria s’allargarono ai suoi piedi, senza proteggerla più; ma lei non voleva, non voleva più proteggersi dal suo sguardo, evitarlo, sfuggirgli. Voleva che il suo sguardo si fermasse su lei e su ogni particolare, su ogni dettaglio e ogni segno sulla pelle; voleva che lui la stringesse come stava facendo, che le baciasse i seni bianchi come gigli e lasciasse scorrere le dita lungo la linea delle clavicole, danzare tra l’incavo dei seni, attirarla a sé facendola cadere sul letto che li accolse e li vide stretti, a toccarsi, sospirare, a ritrovarsi e perdersi assieme.
Le mani attorno ai fianchi, sul collo, tra i capelli.
Labbra contro labbra, sulla fronte, sul petto.
Il tempo oramai è senza tempo – è il tempo dell’amore.
Quando Belle gli salì sopra, le ciocche che gli solleticarono il volto gli diedero le vertigini.
Come hai fatto a stare tanto tempo senz’aria, tanto tempo senz’acqua?
- Belle.
Lei lo guardò.
Al chiaroscuro della stanza, nei suoi occhi lesse un’unica frase.
La stessa che pronunciò.
 
- Ti amo.
 
 
 
“So why don't we go
somewhere only we know?
Somewhere only we know.”

“Somewhere only we know” – Keane/Lily Allen
 
 
 
1: riadattamento di “I was told (…) you’d grow just enough to know the world, before taking it away from you” – Game of Thrones, 5x04.
2: la frase sentita nella 2x04 è in realtà attribuita a John Lubbock, un’importante personalità di fine Ottocento – https://en.wikipedia.org/wiki/John_Lubbock,_1st_Baron_Avebury. Vista la tempistica, ho inventato questa “conoscenza”.
 
Riferimenti sparsi alle puntate 2x01, 2x04, 3x07 e 4x22 di OUAT!
 
La canzone è dei Keane, ma Lily Allen ne ha fatto una versione che io amo tanto quanto l’originale. Liberissim* di ascoltare quale preferite: io le posto entrambe sulla mia pagina Facebook! :)
 
 
 
N. d. A. : #4luglio, #4luglio!
Qualche cattivona – ♥ – mi ha estorto spoiler, ma per la maggior parte di voi gli ultimi eventi sono una sorpresa… O almeno spero! X’D
Allora, dolcezze, cosa mi dite? Piaciuto il capitolo? Devo ammettere di non essere entusiasta della prima metà: avevo in mente altro, ma al momento di renderlo il risultato è stato completamente diverso; la seconda parte, invece, biblioteca in primis, non mi dispiace del tutto… Non è la prima scena a rating più alto in cui mi cimento, ma non ne scrivo spesso, perciò non posso che migliorare: attendo il vostro verdetto tanto sul momento quanto sul capitolo e sulle temutissime caratterizzazioni in generale, e se opportuno criticatemi anche severamente! Mi aiuterete! :)
A Helena non avrei mai fatto del male: sono sì crudele, ma non tanto! Per la questione “potrebbe essere tua sorella” vale il solito discorso: non dirò mai, se non forse alla fine e sempre indirettamente, la verità su Regina. Stavolta Gold, furioso, ha dato voce ai dubbi per colpevolizzare la ragazza; si renderà conto di quanto fatto, ma è una questione delicata su cui il confronto, tanto più in quell’epoca, non è facile… Vedremo a cosa porterà tutto questo.
Per ovvi motivi stavolta ho preferito concentrarmi sui RumBelle, su Helena e su Regina, ma tra due settimane torneranno altri personaggi fondamentali ai fini della trama. ;)
Una menzione speciale a V., che ha letto in anteprima l’ultima parte, mi sopporta, condivide con me mille fangirleggiamenti e confida pazientemente nella LaceyXBegbie promessale ormai eoni fa – ehm! XD ♥ Grazie di cuore a chi ha recensito i precedenti capitoli, aggiunto la long alle liste delle preferite/ricordate/seguite e a chiunque la legga: come farei senza di voi, Oncers del mio cuore? Siete speciali, ricordatelo sempre! :) :***
“Arrileggerci” su EFP sabato 18 luglio, e più frequentemente sulla pagina Facebook “Euridice’s World”! :D
Bacioni, e a tutt* voi buon prosieguo di sessione/di maturità/di estate! ♥ :) ♥
Euridice100
   
 
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