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Autore: Yutsu Tsuki    04/07/2015    8 recensioni
Dal primo capitolo:
“Osservando il suo volto, si accorse di una cosa. Tutti quegli anni passati dietro a due spesse lenti rotonde gli avevano fatto dimenticare di quanto belli fossero i suoi occhi. Erano di un verdeacqua chiaro, ma intenso, quasi luminoso. Si avvicinò ancora allo specchio e allungò la mano, come per poter afferrare quel colore che era un misto fra il cielo azzurro senza una nuvola ed un prato fresco d'estate.
Voleva toccarli, sfiorare quella luce e immergersi in essa, ma venne bruscamente interrotto dalle urla di sua sorella: — Keeeen! Vieni a cena, è prontooo!
Si allontanò in fretta dalla sua immagine riflessa. Per un attimo restò senza parole. Era rimasto affascinato dal suo stesso volto. Poi scoppiò a ridere, rendendosi conto dell'assurdità della cosa.
Aprì la porta della stanza gridando: — Mi chiamo Kentin!! — e corse in cucina.”
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dolcetta, Kentin, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 25


Buio







Il giorno dopo Kentin si svegliò indolenzito. Le avversità della sera precedente non gli avevano dato tregua e anzi iniziavano a mostrare i loro effetti.
Nel prepararsi per andare a far colazione, sia lui che Candy evitarono accuratamente di intercettare lo sguardo dell’altro, nonostante fosse difficile ignorarsi nella stessa stanza. La ragazza era riuscita ad accaparrarsi subito il bagno, per questo motivo finì di vestirsi ed uscì dalla camera prima di lui.
Quando anch’egli fu pronto, si diresse al piano terra. Entrato in mensa, gettò un’occhiata veloce ai tavoli: gli altri compagni non erano ancora arrivati, mentre Candy era andata a sedersi a quello degli studenti australiani, insieme a Dake. Sentì la bile salirgli alla gola, ma, cercando di trattenere la calma, andò a prendere da mangiare dai banconi allestiti per la colazione.
Si stava riempiendo il piatto di fette biscottate e marmellate, quando dalla sua sinistra arrivò un suo compagno di classe, uno dei primi che aveva conosciuto da quando era arrivato al Dolce Amoris. — Auguri, Kentin — gli disse tranquillamente.
Non capendo a cosa si riferisse, pensò che lo stesse prendendo in giro, perciò chiese bruscamente: — Per cosa?
Quello rispose un po’ offeso: — Oggi è il tuo compleanno!
Rimase per un attimo spaesato. In un lampo, però, si rese conto che ciò che gli aveva detto era vero. La gita era cominciata il tre, erano passati tre giorni, quindi doveva sicuramente essere il sei marzo, il giorno del suo diciassettesimo compleanno! Come aveva fatto a dimenticarsene? Forse perché dall’arrivo a Londra, come spesso capita quando si viaggia, aveva perso la cognizione del tempo. O forse perché aveva avuto ben altri problemi per la testa.
Sorpreso ma in un certo senso contento, lo ringraziò sforzando un sorriso: dopotutto era stato gentile a ricordarsene. Terminato il rifornimento di cibo, scelse il tavolo più lontano da quello in cui si trovava Candy ed aspettò l’arrivo degli amici.
La giornata non fu delle migliori. Per cominciare, nessuno dei suoi conoscenti si ricordò di fargli gli auguri e questo gli mise un po’ di tristezza addosso. Poi però si rese conto che avrebbe dovuto aspettarselo; dopotutto non aveva mai detto loro quand’era il suo compleanno: a parte il compagno di prima e Candy - con la quale aveva trascorso mezza infanzia - nessun altro lo sapeva. Quanto a lei, non si rivolsero parola per il resto del giorno, né quando visitarono il British Museum insieme ai professori, né mentre giravano per la città durante le ore libere che gli avevano concesso. In questo caso, però, non si sarebbe aspettato il contrario.
L’unico evento felice in mezzo a tanta amarezza fu la telefonata che ricevette dai suoi genitori che gli facevano gli auguri.
Una volta rientrati a scuola, si recarono come al solito in mensa, dove consumarono la cena. Dopo aver finito, Kentin si alzò dal tavolo insieme agli altri, ma, prima che potesse andarsene, si sentì chiamato da una voce femminile. Si girò e trovò di fronte a lui Karla.
— Ehm... ciao! Posso parlarti un attimo? — gli chiese piuttosto imbarazzata, sbattendo i suoi grandi occhi verdi.
— Sì, va bene — rispose lui, domandandosi che mai avesse da dirgli e seguendola diversi metri più in là.
La ragazza sembrava non saper da dove cominciare. — Come stai? — gli domandò in un sorriso.
— Tutto...bene, tu? — disse incerto.
— Non c’è male, direi — ribatté. Dopo una pausa, continuò: — Come è andata oggi?
Kentin fece per aprir bocca, ma proprio in quel momento le luci della mensa si spensero di colpo, lasciando la sala completamente al buio. Si udirono le grida di alcune persone e crebbe a poco a poco la confusione.
— Karla, stai bene? — domandò portando le mani in avanti per raggiungerla.
— Sì, sono qui. — Avvertì quelle della ragazza scontrarsi brevemente con le sue e subito dopo le sentì salire lungo le proprie braccia, per poi arrivare fino alle spalle. Rimase confuso ed un po’ imbarazzato per quell’inaspettato contatto, ma qualche secondo più tardi capì che stavano solo cercando di farlo ruotare su se stesso di centottanta gradi.
Le lasciò fare e non appena ebbe dato le spalle a Karla, vide comparire davanti a sé l’unica fonte di luce nel buio della stanza. Tante piccole fiammelle che ondeggiavano l’una accanto all’altra illuminavano dietro di loro i volti sorridenti degli altri compagni di classe. Senza preavviso si sentì intonare Tanti auguri a te e fu solo quando si arrivò al nome di Kentin, che lui capì a chi fosse indirizzata la canzone. Al termine della melodia tutti i presenti applaudirono entusiasti, facendolo rimanere incredulo e senza parole. Restò per diversi secondi a bocca aperta: poteva aspettarsi di tutto, ma mai una festa a sorpresa da parte dei suoi amici!
— Io...non so cosa dire... Grazie... — balbettò a bassa voce mentre avanzava di un timido passo verso il tavolo.
— E soffia quelle candeline! — urlò qualcuno dall’oscurità ancora presente. Senza farselo ripetere un’altra volta, Kentin si avvicinò alla torta e le spense in un solo soffio. Dopo un’altra serie di applausi, le luci della mensa si riaccesero e tutti i compagni di classe circondarono il ragazzo. Non aveva fatto in tempo ad abituarsi alla luce, che dalla folla sbucò tutto trepidante Alexy con in mano un sacchetto.
— Da parte di tutti noi — annunciò fiero, porgendolo a Kentin, il quale arrossì stupito.
— Non dovevate!
— Avanti, aprilo.
Senza tentare di nascondere il sorriso che da un’orecchio all’altro gli solcava il volto, guardò all’interno del sacchetto. C’erano due pacchetti: uno largo e poco spesso, delle dimensioni di un libro, ed uno più piccolo e cubico. Cominciò da quello più piccolo.
— Una Polaroid!? — proruppe.
— Spero che ti piaccia! — esclamarono insieme i suoi compagni.
— Sì, è fantastica!
— Ora apri l’altro — continuò Alexy, estraendo il secondo regalo. Kentin lo scartò e vi trovò un album fotografico.
— È per conservare tutte le foto che scatterai.
— È meraviglioso, grazie! — fece in tempo ad aggiungere, prima di venire travolto dall’abbraccio improvviso di Alexy.
Mentre un attimo prima era avvilito e giù di morale, ora il cuore di Kentin traboccava di gratitudine. Non poteva credere che i suoi compagni di scuola, i suoi amici, si fossero organizzati insieme per fargli un regalo così bello.
E c’erano tutti, lì attorno a lui.
Melody, Iris, Kim e Violet lo guardavano contente. Anche Rosalya, con la quale doveva ammettere che in passato aveva avuto qualche battibecco, sembrava soddisfatta della buona riuscita della sorpresa.
Alla loro sinistra c’era Peggy, la quale aveva cominciato a documentare l’evento scattando foto agli altri e ai regali, con l'aiuto di Karla, che nel frattempo si era unita al gruppo.
Davanti a lui Armin lanciava occhiate insistenti alla torta, mentre Alexy continuava a sorridergli allegramente.
Non aveva scordato tutto quello che avevano fatto per lui con l’Operazione Brutto Anatroccolo, dell’aiuto che gli avevano dato nell’allontanare le angherie della gente. Chissà se ce l’avesse fatta anche senza di loro.
Poi c’era Nathaniel, che come lui era riuscito a superare il giudizio degli altri. E pure i tre professori Faraize, Moreau e Stikonski erano rimasti in mensa per festeggiare!
— Siete stati gentilissimi! Non me lo sarei mai aspettato, davvero — li ringraziò con imbarazzo Kentin.
— Ehi, pensavi ci fossimo dimenticati del tuo compleanno?! — gli rispose con tono benevolo Iris.
In effetti era proprio così. O meglio, si domandò come avessero fatto a ricordarsene, dal momento che non ne aveva mai parlato con nessuno di loro. — Ma... come facevate a sapere quale giorno fosse? — chiese.
— In realtà l’idea è stata di Candy — spiegò Kim. — Ci abbiamo messo un mese per decidere cosa regalarti e non è stato facile preparare tutto in segreto!
A quelle parole Kentin ammutolì. Come aveva potuto dimenticarsi di lei? Eppure quella stessa mattina l’aveva detto: Candy era l’unica che sapesse del suo compleanno.
Prima di stupirsi del fatto che fosse stata lei ad organizzare la festa a sorpresa, la cercò istintivamente in mezzo a tutti i presenti, senza però trovarla. Poi Iris e Melody si spostarono di mezzo metro, rivelando che la ragazza c’era, ma era rimasta per tutto il tempo nascosta dietro di loro.
Non appena incrociò il suo sguardo, Kentin la vide irrigidirsi e diventare rossa dalla testa ai piedi. Lui stesso non seppe come reagire, sopraffatto anch’egli dall’imbarazzo.
Che doveva dire? Non poteva certo ringraziarla: ciò che era successo la sera prima era ancora vivo nei suoi ricordi e lo feriva. Tuttavia doveva ammettere che quella rivelazione gli fece provare un senso di gratitudine nei suoi confronti. Pensare ad una festa durante la gita, con tanto di regalo e torta, con un mese di anticipo, non era cosa da niente. In pochi lo avrebbero fatto.
Ma comunque nessuno dei due sembrava intenzionato a proferir parola, perciò nella mensa calò lentamente il silenzio.
Notando che la situazione si stava facendo tesa, qualcuno decise di intervenire. — Che ne dite di tagliare la torta? — squillò la voce acuta di Alexy. Kentin si riscosse dai suoi pensieri ed accolse il consiglio del compagno di classe.
Una volta che tutti ebbero ricevuto la loro fetta di dolce, restarono in mensa per mangiare e chiacchierare insieme. Di tanto in tanto Kentin lanciava delle occhiate a Candy, la quale si era allontanata dal gruppo e se ne stava seduta ad un altro tavolo, in disparte.
Dopo un quarto d’ora la vide alzarsi ed uscire dalla stanza. Senza starci troppo a ragionare, si levò pure lui e la seguì.
La hall era come sempre affollata. Il suo sguardo cadde involontariamente sui divanetti di fronte alla reception, ossia la zona in cui spesso si riunivano gli studenti australiani.
Non appena li vide, il tempo sembrò fermarsi.
Due figure stagliate l’una di fronte all’altra.
Candy.
Dake.
Lui che con una mano la attirava a sé e con l’altra sfiorava il suo mento.
La distanza che separava le loro labbra ridursi ad ogni istante che passava.
Poi il buio.
Kentin strizzò gli occhi. Non osò vedere oltre.
Di nuovo l’entrata della mensa.
Le scale. Il corridoio. La porta della camera.
Era scappato il più lontano possibile, prima ancora di assicurarsi che stesse accadendo sul serio.
Non poteva essere vero.
La chiave elettronica gli scivolò dalle mani per l’agitazione.
Aprì la porta, si fiondò dentro.
Senza accendere la luce, si trascinò sofferente fino alla finestra, come un soldato colpito alle gambe dalle frecce nemiche. Attorno agli occhi un bruciore pungente. Dentro al petto un dolore lancinante.
Tante piccole pugnalate lo stavano dividendo in mille pezzi: del cuore non era rimasto più nulla.
No. C’era ancora. Se lo sentiva in gola.
Quella presenza anomala non gli permetteva di respirare.
Si accasciò a terra appoggiandosi al vetro gelido. Fuori pioveva.
Gli erano capitate tante batoste da quando conosceva Candy, ma quella era stata senza dubbio la più dura da ingerire, ed il dolore che aveva provato la prima volta che l’aveva vista insieme a Dake non era nulla in confronto a questo. Non poteva credere che un giorno l’avrebbe vista tra le braccia di un altro; figurarsi di uno come lui.
L’immagine insopportabile di loro due stretti l’uno all’altra continuava a piombargli davanti ai suoi occhi acquosi, ma l’unica cosa che poteva fare era lasciare che le lacrime sgorgassero e scivolassero a terra.
Non poteva... non voleva crederci.
D’un tratto si sentì osservato da qualcuno. Alzò con timore gli occhi e vide il volto severo di un ragazzo attraverso la finestra.
Dall’esterno le luci della città e del London Eye lo colpivano quel tanto che bastava per delinearne i lineamenti gentili e le proporzioni vicine alla perfezione, segnate tuttavia dal pianto; mentre le gocce di pioggia che con forza battevano contro il vetro, si confondevano con le lacrime della faccia già bagnata. Ad ogni debole o impercettibile movimento, la pelle luccicava di blu, di rosso e di giallo, provocando un tetro contrasto con le orbite oculari spente e obnubilate.
Kentin avvertì un moto di ribrezzo verso quel viso magnifico e terrificante. Se lo ricordava. Ricordava i tempi in cui quel volto rappresentava ancora una novità per lui. I tempi in cui provava piacere ad immersi in esso e a lasciarsi trasportare dal suo fascino. In cui contemplarlo era il suo passatempo preferito.
Ma a quei tempi non sapeva verso cosa sarebbe andando incontro.
— TU! È tutta colpa tua! — urlò in preda alla disperazione, le mani strette a pugno contro la finestra — Mi hai solo procurato guai. Perché? che ti ho fatto di male?
Era sul punto di scatenare tutta la sua ira contro quel riflesso, quando venne frenato da un rumore improvviso alle sue spalle.
Riconoscendo il suono elettronico della serratura, si rialzò immediatamente in piedi e cercò di asciugarsi la faccia da quante più lacrime possibile. Senza osare voltarsi, aspettò che chi era entrato richiudesse la porta e dopo un po’ accendesse la luce della stanza. Non aveva bisogno di guardare, per capire chi fosse. Era l’unica persona che oltre a lui possedeva le chiavi della sua camera.
Pochi istanti dopo, la sentì emettere un verso di sorpresa; segno, probabilmente, che si era accorta di lui.
— Stai bene? — disse dopo qualche secondo di silenzio la voce di Candy.
— No. Ma perché dovrebbe importartene? — ribatté subito Kentin, senza muoversi da dov’era e restando nell’unico punto della stanza avvolto dall’oscurità. Un po’ perché non era certo di riuscire a sostenere lo sguardo della ragazza, un po’ perché non voleva mostrarle di aver pianto. — Che è successo?
— Dimmelo tu, cos’è successo.
— Ero venuta per fare la pace — pronunciò lei con leggera titubanza. — Non voglio che litighiamo ancora.
— Che cambia? Stai benissimo anche senza di me.
— Ma... Io ci tengo a te!
— Certo! e lo dimostri slinguandoti quell’invasato! — Kentin sentì il sangue salirgli al cervello, ma si decise a rimanere con il volto fisso sulla finestra.
— Non ci siamo baciati.
Era dura ammetterlo, ma quelle parole lo spiazzarono.
A poco a poco i piccoli pugnali smisero di lacerargli il cuore, e poté di nuovo respirare.
— E perché mai? — insisté, senza reprimere un lieve sorriso.
— Non era il momento giusto. Ma comunque Dake non c’entra niente con me e te. Noi siamo solo amici, dove sta il problema? — la sentì domandare con un’ingenuità quasi lapalissiana.
Di fronte a quella domanda non poté più trattenersi. — Il problema! È proprio questo, il problema, non lo capisci!? — proruppe girandosi di scatto verso di lei. Arrivati a questo punto, non gli importava se l’avesse visto in quello stato. Era impossibile che Candy non capisse quanto Dake c’entrasse, in realtà.
— No! Che c’è di sbagliato? Avevi detto che per te andava bene — rispose alzando la voce, ma facendo comunque trasparire una certa insicurezza.
Kentin fece un lungo respiro e, preoccupandosi solo di mantenere la calma, lasciò che le parole uscissero da sole.
— Pretendi che io resti solo un amico, che sia sempre disponibile quando ti faccio comodo e che non mi azzardi a parlare con nessun’altra ragazza all’infuori di te. Tu invece puoi spassartela con chi vuoi e ti arrabbi se ho qualcosa da ridire. Sei libera di fare ciò che ti pare e piace, mentre io devo avere occhi solo per te. Come puoi essere così crudele?
Dopo quella confessione si sentì più leggero. Come se si fosse liberato di un peso. Un peso durato per mesi.
Si fermò a guardare la reazione di Candy. La ragazza era diventata pallida, con la bocca aperta che si muoveva per formare delle parole che non riuscivano ad uscire. Lo fissava con sguardo perso e vagamente impaurito, come quello di una vittima che sta per essere accoltellata dal suo carnefice.
Non volendo ascoltare altre scuse, Kentin aggiunse: — Ascolta, non ho voglia di discutere. È meglio che io torni alla festa — ed uscì dalla stanza senza dare a Candy la possibilità di ribattere.
Sentendosi comunque sollevato per la notizia - se si poteva definire così - positiva rivelatagli da Candy, ripercorse il corridoio e scese di nuovo al piano terra. In realtà non era sicuro di voler tornare in mensa dagli altri compagni. L’ideale in quel momento sarebbe stato di rimanere da solo a riflettere, anche se l’unico luogo disponibile, la sua camera, era occupato.
Una volta uscito dall’ascensore, lanciò un’altra occhiata agli studenti australiani, chiedendosi cosa fosse successo fra Dake e Candy dopo che lui era scappato via.
In un primo momento pensò semplicemente di aver visto male.
Ma dopo un ulteriore controllo, rimase a dir poco esterrefatto.
Seduto su un divanetto c’era Dake, che, come se niente fosse e in mezzo a tutta la gente, si stava scambiando un bacio appassionato con una ragazza mora mai vista prima. E questa volta per davvero.
Incredulo per l’assurdità della scena che aveva davanti, Kentin indietreggiò lentamente, e nel farlo pestò inavvertitamente il piede di qualcuno. Girandosi, trovò l’ultima persona che avrebbe sperato di incontrare.
Di fronte a lui c’era Candy, immobile come una statua e pallida, gli occhi sgranati puntati sulla coppia.
Conscio del disastro che era appena avvenuto, spostò di nuovo lo sguardo su Dake. Non seppe cosa dire. Forse avrebbe dovuto consolarla, o per lo meno portarla via da quel folle scenario. Si convinse che fosse la cosa più giusta da fare.
Quando si voltò, però, della ragazza non c’era più traccia.
Guardandosi rapidamente attorno, la intravide che correva verso l’uscita del liceo.
Dopo aver urlato il suo nome, partì all’inseguimento.






✤✤✤




Certo che io so come far incazzare le persone, eh? xD
Okey, concluso questo capitolo mi preme dire due cose.
Innanzitutto mi spiace un sacco se aggiorno dopo mesi e mesi... Purtroppo alcune scene sono state veramente ostiche da scrivere, e ho fatto una fatica immane... Però per il prossimo capitolo dovrei impiegare meno tempo, vi avviso :)
In secondo luogo, c'è una cosa che da tempo mi urta.
Mi ha dato un po’ fastidio saltare i momenti di visita di Londra, cioè dire giusto dove sono andati e passare subito al dopo cena. Il punto è che se avessi descritto tutto, l’avrei tirata troppo per le lunghe, e non volevo arrivare a 40 capitoli .-. Già mi ero imposta di fermarmi ai 20 e non sono riuscita a farcela...quindi ho dovuto saltare queste parti. Voi avreste voluto leggerle? ve le sareste aspettati? oppure non vi è cambiato assolutamente nulla? Alla fine non sarebbero state nulla di che...però c’è sto fatto che mi tormenta da alcuni capitoli xD Lo so, probabilmente è una delle mie solite fisse inutili, ma volevo giusto sapere.
Ma comunque non nego che una scenetta di loro in giro per Londra potrei farcela stare in una possibile raccolta di shot futura x)
Bene, detto questo spero che il capitolo vi sia piaciuto. A me è piaciuto un casino l’ultimo dialogo (quello del litigio, insomma); lo so, sono masochista :°D ma adoro quando i personaggi soffrono *___* Cioè non sono contenta che stiano male, ovvio...però mi piace un sacco descrivere le loro emozioni xD
La cosa positiva, comunque, è che mancano solo due capitoli alla fine della storia, e non sto davvero nella pelle!

Per concludere, volevo annunciare una cosa. Forse l’ho già scritto da qualche parte, ma solo ora ho le idee chiare a riguardo: dopo questa storia pubblicherò una specie di episodio bonus con protagonista Alexy, che si svolge per tutta la durata della gita. Originariamente doveva essere solo un capitolo che avrei messo qui, dopo la conclusione della storia principale, ma siccome mi sono venute un sacco di idee epiche, ho deciso che sarà una breve long vera e propria. Non so ancora il numero esatto di capitoli, ma sicuramente la pubblicherò a parte.

Detto questo, io vi lascio. Vi ringrazio come sempre per aver letto il capitolo e...alla prossima! ;)
   
 
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