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Autore: TheHeartIsALonelyHunter    05/07/2015    2 recensioni
[Primo capitolo revisionato]
Questa idea mi è venuta da Mik_ che ha preso l'idea da Lunatica Lunastorta.
Quante volte avreste voluto entrare anche voi nel mondo di Harry?
Quante volte avreste voluto essere parte integrante della trama?
Quante volte avreste voluto baciare Draco Malfoy o Neville Paciock?
Quante volte avreste voluto volare su una scopa al fianco di Cedric Diggory?
Quante volte avreste voluto combattere Lord Voldemort al fianco di Harry Potter?
Quante volte avreste voluto essere la sorellafratello di Luna Lovegood?
Bè, ora avete la possibilità di farlo: in questa storia, ambientata dal quarto anno di Harry ad Hogwarts, potete entrare anche voi. Dovete solo compilare un breve questionario che metterò nel prologo e io materializzerò il vostro personaggio nella storia.
Naturalmente ci saranno anche i soliti personaggi che ci accompagneranno in questo viaggio. E ci sarò anche io tra gli studenti di Hogwarts.
Ma mi raccomando: NON rivelate qual'è il vostro personaggio. Perché? Semplicemente perché vorrei che fosse un segreto...
[ISCRIZIONI CHIUSE PER LA MIA SANITA' MENTALE]
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Cedric Diggory, Il trio protagonista, Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: Ron/Hermione
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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La prima cosa che Adrian fece, quando la mano di Shaula si serrò tra le sue, fu sorridere di un sorriso aperto e disteso, come quello di un vincitore arrivato finalmente a destinazione dopo una lunga corsa sfiancante. Era stato certo che quei due avrebbero rotto dal primo istante in cui li aveva scorti in corridoio, i visi vicini a confabulare allegramente e le mani timide quasi prossime a una stretta. Conosceva troppo bene Shaula per non saperlo: non era tipa da cotte per ragazzini, non era la tipa per quegli pseudo timidi dai capelli eccentrici con cui sembrava la Kapner andasse tanto d’accordo, non era tipa da capitombolare come una pera cotta ai piedi del primo tontolone che le fosse capitato davanti. Shaula era un’anima libera e eccentrica, passionale come poche e focosa fin dentro le ossa, non certo la tipica ragazza che cercava un ragazzo che le portasse i fiori e i cioccolatini ogni mattina. Mai stata pronta alle sdolcinatezze, e mai lo sarebbe stata, ne era certo come era certo di chiamarsi Adrian Pucey.
E infatti era finita. Shaula era venuta  al Ballo con lui, non con quel tontolone dagli occhi a palla.
“Sei bellissima” commentò, squadrandola freddamente da capo a piedi.
Shaula rispose con un “grazie” fermo pronunciato a denti stretti, gli occhi neri vacui fissi in un punto troppo lontano.
Merida sentì la mano di Simon poggiarsi sul suo fianco e sussultò un attimo. Sapeva che quel momento sarebbe arrivato, sapeva che presto il ragazzo che per giorni era stato al centro dei suoi pensieri l’avrebbe toccata, ma il contatto fu comunque incredibilmente shoccante. Sentì ogni nervo avvampare mentre le prendeva la mano con delicatezza e il sangue affluire ad una velocità incredibile al viso, in un solo, lunghissimo secondo. Alzò gli occhi a fatica e deglutì: il sorriso di Simon era sicuro e deciso, ma lei non lo era altrettanto. Non lo era affatto.
Lo sentì muoversi un po’ e scosse il capo per riprendersi. Il suo sguardo continuava a essere forte e determinato, i suoi occhi azzurri le sorridevano incoraggianti, la sua mano si stringeva un po’ di più sulla sua come a farle coraggio, a darle una spinta per partire. Ma lei si lasciava semplicemente trascinare, un po’ imbarazzata, sulla pista, strascinando i piedi a fatica e senza vera partecipazione, ogni muscolo troppo teso per provare un qualche passo particolarmente audace, qualcosa per stupirlo, qualche piccolo modo per impressionarlo… Se solo fosse riuscita anche solo a sorridere…
Susan era bellissima. Come lo era sempre stata, in fondo: i capelli biondo chiaro erano raccolti in un cignon fermato con un giglio sulla testa, togliendole quell’aria austera e un po’ seriosa che le dava la lunga chioma sciolta. Il vestito era di un semplice color giallo scuro, con un corpetto senza spalline e una gonna in tulle che le arrivava poco sotto il ginocchio. Completava l’opera un po’ di matita che le accentuava gli occhi grigi e lo sguardo che, come sempre, era pura calma infusa. Ma, Lesath ne era certo, qualcosa turbava quell’oceano di calma, qualcosa di quasi impercettibile e invisibile a un occhio meno attento o che non avesse osservato per anni e anni Susan Bones: una scintilla di gioia. Gli occhi di Susan brillavano di gioia. Lesath si sentì quasi in colpa pensando che, per quanto avesse potuto, non avrebbe potuto ricambiare.
Zach era un ballerino davvero imbranato, non c’era che dire: lo sguardo del ragazzo non si staccava un attimo dai suoi piedi, e il ragazzo sembrava avere una tale apprensione di sbagliare come fosse stato a una gara di ballo che Daisy non poté fare a meno di sorridere divertita.
“Tranquillo, non ti daranno uno zero se mi pesterai un piede” commentò allegra, mentre lui la faceva piroettare nervosamente, lo sguardo concentrato e le sopracciglia aggrottate.
“Mh?” Al suo commento lo vide riprendere coscienza. “Oh!” esclamò, con un sorriso tirato. “No, è che ho visto una coreografia…”. Fece un cenno con le mani con l’aria di chi voleva mantenere anonime le sue fonti.
Daisy si costrinse a un sorriso imbarazzato: era il suo migliore amico, non poteva certo dirgli che tutto quanto era non solo strano ma anche assurdamente innaturale.
Sospirò più leggera che poté: possibile non riuscisse a provare altro per lui se non un tenero affetto? Lui era perfetto, e non era solo sua madre coi suoi commenti imbarazzanti a pensarlo. Non le serviva certo che Loreline le ricordasse “quanto fosse carino, gentile e disponibile Zach” o “che mai nella vita avrebbe trovato un ragazzo più adatto a lei”: ci arrivava da sola, e non riusciva a chiamare Zach in altro modo se non “amico”.
Bletchley non voleva smettere di tirare su col naso. Cosa che Selene poteva anche sopportare.
Ma ciò che DAVVERO non poteva sopportare era quel modo di parlare sempre e costantemente, anche mentre ballavano. O meglio, mentre lei ballava. Graham si limitava a battere i piedi con la grazia di un rinoceronte a destra e a manca, la mano viscida di sudore (o meglio, la ragazza SPERAVA fosse sudore) e il tono irruento di uno scaricatore di porto. Selene non riusciva a capacitarsi di quanto poco coordinato e aggraziato potesse essere un giocatore di Quidditch. O meglio, di quanto poco coordinato e aggraziato fosse ogni ragazzo in quella Sala.
Non c’era storia, si disse Selene, con le ragazze: sinuose, allegre, festanti, scivolavano tra le dita dei loro accompagnatori con movimenti eleganti, sorridevano per nulla nervose, le gonne svolazzanti e i capelli all’aria, i sorrisi leggiadri e delicati. Per un istante a Selene ricordarono le Ninfe dei boschi, mistiche e irraggiungibili, tanto belle quanto delicate, così fragili che un solo soffio d’aria avrebbe potuto spazzarle via per sempre.
A volte non era affatto difficile spiegarsi il suo disinteresse per i ragazzi: in fondo, che gusto c’era a stringere mani più grandi delle sue, a sentire un corpo più robusto del proprio contro il suo petto e a passare le dita su lineamenti più spigolosi dei suoi? E perché sentirsi attratte da creature così rozze e stupide col quoziente intellettivo di un cucchiaino particolarmente idiota? Era molto più facile trovare una brava ragazza che un bravo ragazzo.
John non smetteva di lanciare occhiate più o meno fugaci oltre la spalla della sorella. Al primo tentativo il ragazzo sembrò aspettare il momento in cui gli occhi di Sarah fossero ben fissi in qualunque altro punto non fosse il suo viso. La gemella se ne accorse, ma non commentò.
Al secondo tentativo John sembrava essere diventato più sicuro: spostò lo sguardo verso il centro della sala mentre Sarah lo guardava ancora, muovendo solo di poco le pupille senza sporgersi sulla spalla dell’altra. La ragazza sbuffò e commentò “Il mio vestito deve proprio farti schifo, se non mi guardi neppure…”.
Al terzo tentativo John abbassò gli occhi prima di provarci, e Sarah si sentì quasi colpevole per quel singolo commento.
Al quarto tentativo il gemello le appoggiò una mano sulla spalla, interruppe un attimo il ballo e si alzò sulle punte senza timore. Sarah sospirò e aspettò che l’operazione fosse completata. No, non c’era speranza che Johnny si arrendesse.
Justin aprì la bocca come a voler parlare, ma Eve non fece in tempo a sorridere per l’inizio di una possibile conversazione che subito lui la richiuse, scoraggiato.
A Eve cascarono le braccia (se era possibile, ballando): era almeno la terza volta dacché avevano iniziato a ballare che il Tassorosso provava a intavolare una discussione e l’unica cosa che era riuscita a dire fino ad allora era stato “Bella giornata, eh?”.
Justin frequentava il suo stesso anno eppure non si erano mai visti davvero. Certo, era un viso familiare, e lei era certa di avergli rivolto almeno due o tre parole in quattro anni, ma non avevano mai avuto una conversazione che si potesse considerare vera. Non c’era rapporto, non più di quello che poteva legare due ragazzi che si vedevano ad una festa per poi dimenticarsi l’uno dell’altro. Non si capacitava ancora del perché avesse scelto proprio lei come compagna.
Poi lo notò. Lo sguardo che si staccava da lei, vagava per la sala e si poggiava in un punto distante. Si accendeva di brama e sembrava chiedere implorante “Fa che mi veda!”.
Con un movimento veloce Eve riuscì a invertire le posizioni e si trovò dove prima era Justin. Una scorsa veloce della Sala bastò per confermare i suoi dubbi: stava guardando Hannah Abbot.
Colin Canon era più basso di lei di almeno cinque centimetri. Il sorriso che le rivolgeva era così adorante e stucchevole che Niki non poté fare a meno di storcere il viso in una smorfia disgustata.
Perché a lei? Cosa aveva fatto di male per meritarsi quel tappo? E perché un Grifondoro? Un Corvonero forse avrebbe parlato tutta la sera del suo ultimo progetto scientifico o sulle sue capacità incredibili, ma Niki avrebbe potuto anche sopportarlo. Un Tassorosso le avrebbe pesato di continuo i piedi e non avrebbe spiccicato parola per tutta la serata, ma piedi viola e orecchie sorde per il silenzio sarebbero state un danno minore dell’uscire con un basso, piccolo, Grifondoro. 
Avrebbe sopportato tutto. Ma non quella loro arietta di angioletti e il loro coraggio “altruistico”. E non quel piccoletto con la faccia da pesce lesso.
Ernie non era un cattivo ballerino, doveva ammetterlo. Non le aveva ancora schiacciato un piede, il che era quasi un miracolo, e Keira era piuttosto sicura che la canzone fosse praticamente finita. L’unico problema era il vestito: troppo stretto, avrebbe potuto accorgersene anche un cieco da lontano: ogni movimento era nervoso e rigido, e sembrava costargli un grossissimo sforzo di volontà. Aveva le gambe tanto ritte che sembravano aste di legno, e come aste di legno si muovevano. Keira si lasciò piroettare un’ultima volta e quindi la musica cessò.
“Peccato” pensò, con un sorriso storto sul viso e lasciando il fianco di Ernie. Aveva voluto guidare lei e non c’era stato verso di farla desistere. Non che Ernie ci avesse propriamente provato.
Il ragazzo le porse la mano galante e domandò, con fare pomposo:
“Posso accompagnarla al suo tavolo?”. Non le sfuggì il fatto che stesse guardando Merida, mano nella mano con Simon Hale.
Keira strinse la mano nella maniera più mondana che riusciva ad assumere e cinguettando un allegro “Certo, caro!” che avrebbe fatto invidia a Lavanda Brown.
Poco prima che si sedesse, però, lo afferrò per il colletto (lo sentì soffocare) e gli sussurrò in fare concitato:
“Tesoro, sono lesbica, quindi se c’è da baciarsi lascia fare a me”.
Non le servì neppure guardare Ernie per capire che aveva sbarrato gli occhi.
                                                                                                                                          
La tavola era imbandita di talmente tante portate che Thomas si sentì quasi in colpa di dover scegliere: era certo di non poter assaggiare ogni pietanza di quel ben di Dio, ma non poteva negare che ci avrebbe voluto provare. Oh, sì che avrebbe voluto provarci.
Alla sua destra c’erano un paio di studenti di Beauxbatons che parlavano in un francese fitto (lei aveva i capelli rossi rame e gli occhi azzurri, lui i capelli neri e gli occhi verdi), alla sua sinistra Auror, le mani incrociate al petto e l’espressione di una bambina offesa, con tanto di labbro inferiore proteso.
Tom sospirò e le passò un braccio attorno al braccio, con fare confidenziale.
“Oh, andiamo! Non è mica così grave!”
La ragazza girò la testa così lentamente e lo sguardo che gli lanciò fu così tagliente che lui si pentì immediatamente di aver parlato.
“Non è… Così grave?” commentò lei, a voce bassa (Tom dubitava che qualcuno potesse sentirli nella confusione che regnava ma non ci teneva a scoprirlo).
“No, non lo è, infatti, E’ UNA TRAGEDIA!!”. Tom fu quasi certo che i ragazzi di Beauxbatons si fossero fermati nella loro conversazione e pensò che probabilmente si erano girati stupiti verso la sua compagna.
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo, facendosi scappare una risata. Si rendeva benissimo conto di quanto infantile fosse quel piccolo capriccio da prima donna, ma si rendeva ugualmente conto di quanto cose che ai suoi occhi potessero sembrare idiote per una ragazza assumessero un’aura e un’importanza tutta nuova.
Auror alzò le sopracciglia e commentò, con voce fredda:
“Seriamente? Non vedi DAVVERO che siamo vestite UGUALI?”.
Tom fece un sorrisetto divertito. Non sembrava che alla Granger importasse davvero che un’anonima ragazza coi capelli sparati in aria indossasse un abito simile al suo, considerando il suo status di reginetta della serata (e l’entrata trionfante al braccio di Krum le aveva decisamente fatto guadagnare il titolo). E in verità neppure lui riusciva a cogliere le tanto rinomate somiglianze che invece Auror sembrava trovare così evidenti.
Il vestito della sua accompagnatrice (amica? Ragazza?) era di un blu notte fondo, con lo scollo a cuore e un copri spalle della stessa tonalità scura a coprirle le candide scapole. La gonna scendeva sobriamente a balze sempre più distanti, niente pizzi, niente merletti, niente tulle. E Tom non capiva davvero come si sarebbe potuta paragonare una gonna così semplice e sobria a quello che sembrava un uovo di Pasqua.
Inoltre il trucco e l’acconciatura davano alle due ragazze un aspetto decisamente contrapposto: mentre la Granger aveva i capelli raccolti dietro in un nodo elegante che ne risaltava i tratti del viso e le dava l’aria di una principessa al suo ingresso a palazzo, Auror aveva optato per lisciare i capelli biondi solitamente ritti sulla sua testa ed era riuscita, con un incantesimo di cui Thomas non aveva ben carpito la dinamica, ad allungarli quel tanto che bastava per farli arrivare alle sue scapole. La riga laterale le dava quel tocco da scavezzacollo che non sarebbe mai riuscita ad abbandonare del tutto e non erano bastati tutti i commenti e i rimproveri delle compagne Corvonero per impedirle di infilarsi al polso un braccialetto d’argento con sopra inciso uno scheletro.
“Auror, io starei tranquillo” commentò il ragazzo, tentando di mantenere il suo tono più serio possibile. “Davvero, ti preoccupi per nulla!” esclamò con un sorriso ampio.
La ragazza parve rilassarsi un pochino, ma Thomas la vide intrecciarsi le mani in grembo e mordersi un labbro nervosamente. L’occhio indugiò un attimo sul rossetto perlaceo e sugli occhi contornati di un color azzurro chiaro che le davano l’area eterea di una Fenice.
Tom aveva pensato dal primo istante che l’aveva vista che fosse bellissima, ma mai avrebbe creduto di trovarla così bella. Il trucco le dava un che di sobrio e quasi regale che non avrebbe creduto di vedere mai sul viso della scanzonata ragazzina, e il vestito le valorizzava i fianchi sottili e le forme ancora acerbe che la divisa scolastica nascondeva perennemente. Tom era quasi certo che durante l’estate la ragazza non lasciasse affatto intendere molto all’immaginazione (aveva notato alcune foto in cui sfoggiava degli shorts da far girare la testa), ma quel vestito la rendeva molto più misurata, molto più desiderabile proprio perché più “nascosta”, molto più delicata di quanto mai fosse stata con lui.
Bella, semplicemente.
“Tu dici?” chiese lei, con il tono di una bambina piccola che chiede la propria approvazione ai suoi genitori, gli occhi verdi spalancati di un cucciolo bisognoso di affetto.
Thomas annuì convinto.
“Ma certo!” affermò, stringendole quasi senza accorgersene le dita intorno alla spalla. “Tranquilla, nessuno noterà la vostra… Somiglianza”. Per rafforzare la sicurezza che, se ne rendeva benissimo conto, non aveva lasciato affatto trapelare dalle parole, le strizzò l’occhio sorridendo.
La ragazza rimase un attimo incerta poi rispose all’altro alzando un angolo della bocca. Tom si appoggiò alla propria sedia senza lasciare la presa sulla sua spalla.
“C’è da dire che la Granger ha davvero buon gusto, eh?”.
Auror scoppiò a ridere divertita e Tom si unì a lei stringendola un po’ di più vicino a sé.
Il profumo di lavanda (da quando Auror si metteva profumo?) gli riempì le narici. E Tom fu certo che, se non era in Paradiso, c’era comunque molto vicino.
 
“Oh, finiscila, ti prego”.
Susan lo stava fulminando con gli occhi da quando la serata era iniziata.
“Ti rendi conto del fatto che ti stai comportando in maniera totalmente infantile, Susy?”
Blaise si pentì di quelle parole nell’istante appena successivo: la ragazza lo afferrò per il colletto e, con una forza che ormai aveva sperimentato in tutti i modi sulla sua pelle, lo avvicinò pericolosamente a sé.
“Non. Chiamarmi. Susy”, scandì, sibilandogli quasi addosso tutto il disprezzo che riusciva a mettere in tre, singole parole.
Il ragazzo ebbe per un attimo l’impulso di fare un mezzo sorriso divertito, ma probabilmente Susan avrebbe potuto strangolarlo anche solo per quello. Di certo non gli mancava la determinazione di farlo.
“OK…”. Blaise optò per un’alzata di sopracciglio. “Susy”.
Le labbra della ragazza si serrarono in una linea tanto dritta e i suoi lineamenti si indurirono a tal punto che Blaise si convinse immediatamente a non stuzzicare ulteriormente il toro che viveva dentro quella ragazza.
Il Serpeverde alzò le mani con aria conciliante.
“Dai… Bandiera bianca, che dici?”
Susan aggrottò appena le sopracciglia, guardandolo come si guarda un animale raro.
“Come?”
Blaise commentò, con il tono più ovvio che potesse assumere:
“Questo sarà l’unico Ballo a cui ci sarà consentito di partecipare nei tre anni che ci restano, molto probabilmente. Quindi io proporrei di deporre l’ascia di guerra –che, tra parentesi, solo tu hai intenzione di disseppellire ogni santissima volta che ci parliamo– per stasera e goderci questa bella festa senza perdere tempo a fare commenti su quanto siano assurdi i tuoi capelli o quanto sia insopportabile il mio carattere, che ne dici?”.
Susan ridusse gli occhi a due fessure tanto sottili che per qualche istante Blaise si chiese come fosse possibile che qualcuno riuscisse a far sembrare le proprie pupille quelle di un serpente pronto a balzare all’attacco al primo movimento della preda.
Certo il trucco della ragazza non aiutava affatto a diminuire quella macabra impressione: gli occhi grigi, già solitamente piuttosto gelidi, erano stati accentuati da una matita argentata sfumata ai bordi dell’occhio, dove Susan si era sbizzarrita con alcuni arabeschi dall’aria orientale e piccoli brillantini che aveva sistemato in gran quantità sul bordo laterale della pupilla. In verità Blaise non vedeva la necessità di quel dettaglio, ma sembrava che quella sera tutto fosse concesso alle giovani ragazze che, di solito intrappolate in divise austere e trucco appena accennato, avevano atteso quella serata unicamente per sbizzarrirsi con il trucco e con gli abiti, dando sfogo a quegli istinti repressi che sembravano dover restare sepolti tutto l’anno e che ora, proprio per la lunga attesa precedente a quella concessione, esplodevano con una forza prorompente ed esageratamente spettacolare.
Il vestito di Susan era una dimostrazione più che sufficiente a confermare quella tesi che in meno di un minuto si era sviluppata nella sua mente: un lungo abito a sirena con lo scollo a cuore particolarmente profondo, che lasciava intuire abbastanza da fargli abbassare continuamente lo sguardo e beccarsi occhiatacce infuocate o più dolorosi scappellotti esasperati. La stoffa fasciava il bel corpo di Susan fino all’inizio delle gambe, mettendo in risalto un vitino da vespa mai sospettato sotto l’ingombrante divisa e dei bei fianchi anch’essi osservati con una certa insistenza dal ragazzo (E anche quelli non mancavano di procurargli qualche dolore). La gonna a balze si apriva più ampia in un tessuto leggero e impalpabile, probabilmente tulle, di una tonalità grigiastra come il resto dell’abito. La cosa più spettacolare dell’insieme erano le paillettes argentate sistemate sul corpetto che scendevano in una linea irregolare lungo tutto il busto fino a segnare la linea della gonna, dando all’intero vestito e alla figura di Susan una luminosità tale che Blaise non avrebbe potuto immaginare un abbigliamento più scintillante neppure se la ragazza si fosse portata dietro una palla da discoteca.
Ma evidentemente ciò non era bastato alla giovane Serpeverde: oltre ai brillantini sistemati vicino agli occhi, le palpebre erano ornate da un ombretto argentato che illuminava ancora di più il suo viso solitamente mortalmente pallido. Le gote erano state picchiettate di un rosa appena accennato che però si notava poco rispetto allo scintillio del vestito e agli accessori abbinati a quello: una collanina d’argento con una rosa ovviamente ornata da brillantini che portava al collo e un bracciale di conchiglie che spiccava sul polso destro.  
I capelli scuri erano raccolti in una coda di cavallo rigida che ovviamente non poteva essere meno sobria rispetto al resto del look della ragazza: appuntata al laccetto nero che sosteneva la sua acconciatura c’era una rosa di un bianco perlaceo e cangiante, tanto fresca e naturalmente bella che Blaise non stentò a convincersi che la ragazza avesse effettuato qualche incantesimo sul fiore.
“Certo, per una che non voleva neppure venire al Ballo del Ceppo…” commentò sardonicamente il ragazzo, concedendosi un’altra occhiata al suo scollo generoso.
Susan mollò il colletto del compagno con uno sbuffo stizzito, alzando il mento e osservandolo con aria altera.
“Non ho mai detto di non voler venire al Ballo del Ceppo” replicò Susan, puntigliosa. “Non volevo venire al Ballo con TE”.
Blaise alzò le spalle e, col sorriso più umile che riuscisse ad assumere, disse in un tono che avrebbe dovuto sembrare rassegnato:
“Ma purtroppo il destino ci ha accoppiati in questa circostanza, Crimson”.
“Il destino o la tua insistenza, Zabini?” domandò lei alzando un sopracciglio.
A quel commento, pronunciato in maniera tanto fredda da avergli fatto scendere un brivido lungo tutta la schiena, il ragazzo non riuscì a trattenersi più e scoppiò in una risata tanto fragorosa da far voltare un paio di ragazzi di Beauxbatons dall’aria chiaramente effeminata e da far diventare Susan di un bianco cinereo che sembrò far sparire il poco trucco che aveva sulle guance.
“E sono stato anche troppo buono, considerando il tuo caratteraccio”, continuò a sghignazzare il ragazzo, passandosi una mano sotto gli occhi per asciugare le lacrime che iniziavano a spuntare.
Susan fece per aprire la bocca e ribattere aspramente, ma Blaise la prevenne poggiando un dito sulle sue labbra con un sorriso flemmatico.
“Lo so, lo so. Tu sei fantastica, io sono un cretino, avremo tutto l’anno per parlare del tuo odio nei miei confronti”.
Gli occhi della ragazza si accesero di una scintilla di ribellione.
“Non se io ti eviterò per il resto dell’anno”.
Blaise alzò un angolo della bocca, commentando incuriosito:
“E tu credi che io ti darò tregua, nei prossimi mesi?”
Susan strinse i denti e lo guardò con un’aria tanto prepotentemente violenta e stizzita che Blaise la trovò assurdamente divertente.
“Sì” sibilò in tutta risposta la ragazza, chinandosi appena verso di lui e digrignando i denti proprio davanti al suo viso.
Non che Blaise fosse concentrato sul volto della ragazza, in quel momento: i suoi occhi si erano abbassati automaticamente al movimento di Susan, posandosi nuovamente sul corpetto dell’abito e su quella zona proibita.
La Serpeverde ci mise qualche istante prima di accorgersi che il ragazzo non aveva affatto prestato attenzione alla sua risposta, troppo presa ad incenerirlo con lo sguardo. Quando, finalmente, si rese conto della posizione piuttosto scomoda in cui si trovava, sgranò appena gli occhi e si ritirò, sedendosi composta.
Blaise avrebbe sempre ricordato quel momento come la prima volta in cui aveva visto il rosso della vergogna colorare le guance di Susan Crimson.
L’espressione completamente attonita dei suoi occhi grigi e il movimento impercettibile del labbro inferiore, unito a quel rossore rivelatore, non poterono che portare nuovamente la risata nella bocca di  Blaise.
Era straordinario che passare qualche minuto con quella ragazza gli provocasse più ilarità di un’ora intera davanti a quegli stupidi show Babbani che ogni tanto aveva visto sbirciare da sua madre. Anche se ovviamente niente poteva batter quei tutorial sul trucco.
“… Pervertito”  commentò lei in un sussurro quanto più sicuro possibile. O almeno, alle sue orecchie sembrò sicuro. A quelle di Blaise sembrò solamente la resistenza inutile di una ragazzina alquanto imbarazzata.
“Ragazzo di quindici anni” ribatté lui con un’ultima risatina.
Non c’era che dire, era davvero adorabile quando arrossiva.
 
“Pizza”.
Kristen si voltò di scatto con un sussulto.
“DOVE?!?”
La ragazza tornò per la centesima volta a ispezionare l’ampia tavolata che si trovava davanti, accesa di una più viva speranza che, però, si rivelò nuovamente vana: non c’era traccia dell’amato cibo in quell’accozzaglia di bontà raffinate i cui nomi le erano quasi del tutto sconosciuti.
A Kristen non dispiaceva e non le era mai dispiaciuto provare cose nuove, testare nuovi sapori e nuove cucine: l’importante era mettere qualcosa sotto i denti, e se si fosse ritrovata su un’isola deserta senza nessuna risorsa era certa di poter mangiare anche il fango delle paludi, tanto prepotente poteva essere la fame in lei. Ma se qualcuno le avesse messo davanti un pezzo di pizza, anche una semplice margherita, non importava quanto squisito fosse il cibo nel piatto accanto a quella, non importava quanto dolce fosse il suo sapore: lei avrebbe scelto sempre e comunque la prima.  
La risatina irrisoria (E irritante) di Daniel le arrivò all’orecchio, e il suo viso sghignazzante si appoggiò con fare sornione sulla sua spalla nuda.
Kristen richiuse gli occhi con una smorfia indispettita e un respiro profondo che tradiva l’arduo tentativo di mantenersi calma.
“Sei un idiota, lo sai?” domandò la ragazza tra i denti, girandosi appena verso Daniel.
Il castano alzò le spalle, con espressione divertita.
“Sì, me lo hai detto spesso” commentò esibendosi in un sorriso ampissimo.
Il suo sguardo indugiò qualche istante sul viso dell’amica: era da quando l’aveva vista entrare in Sala Grande, dalla sua postazione davanti all’ingresso, ritta e fiera sugli stivaletti neri e sicura nel suo trucco semplice, che qualcosa aveva cominciato a muoversi alla bocca del suo stomaco, appena sotto l’ombelico, lì dove aveva sentito contorcersi le proprie viscere la prima volta che i suoi occhi si erano posati sul viso di Calì Patil (era bastato rivolgerle la parola per annullare quella inusuale sensazione).
Daniel conosceva Kristen da tutta la vita, o così sembrava a lui: non c’era una sola memoria che conservava gelosamente che non la includesse, dall’infanzia fino alla prima adolescenza, e anche se nella realtà la ragazza non era stata presente a un dato evento, la mente del castano la collocava idealmente lì dove lei era sempre stata, al suo fianco, in quella posizione tanto naturale da sembrare ormai scontata. Non c’era stata frase pronunciata da Daniel che non fosse stata accompagnata da un commento di Kristen, più o meno ironico, pronunciato con la sua usuale strafottenza o con un sorriso più serio dipinto sul bel viso (da quanto il viso della bionda era diventato “bello” per lui?). Non c’era stato gesto, sorriso, momento di gioia o di tristezza che Daniel non avesse condiviso con quella pazza, pazza ragazzina, non c’era stato nulla senza Kristen, e al ragazzo sembrava impossibile pensare che qualcosa, qualsiasi cosa, qualsiasi esperienza potesse esistere, se la ragazza non era insieme a lui.
La presenza dell’amica era scivolata tanto a fondo nella vita di Daniel, tanto profondamente e lì era rimasta per tanto di quel tempo che era praticamente impossibile, per il castano, pensare di poter provare per Kristen quello che tutti credevano di vedere nelle loro risate complici e nei loro sguardi d’intesa: lei era la sua colonna, la sua compagna, la presenza costante nella sua vita, e come ogni costante era sempre uguale a sé stessa, come una linea retta o il moto di un orologio. Non era mai stato nient’altro, e Daniel non aveva mai pensato che potesse essere altro.
Eppure quella sera lei non era Kristen.
Non era la Kristen scanzonata e selvaggia che lo guardava torva dalla punta dei suoi occhiali e che appoggiava le scarpe lerce sulle sue ginocchia.
No, non poteva essere lei.
La Kristen che conosceva lui indossava jeans strappati e scarpe da ginnastica scolorite dal sole, sporcate dalle mille miglia percorse sulla fanghiglia, coi biondi capelli spettinati che le incorniciavano il viso sporco e gli occhialoni viola che calavano sul naso.
La Kristen che era davanti a lui ora indossava un vestito di tulle blu che lasciava scoperte le ginocchia rosee su cui ancora spiccava una cicatrice recente, stivaletti col tacco che l’avevano fatta traballare a ogni passo e che gli avevano causato non pochi dolori durante il ballo. I suoi capelli erano deliziosamente arricciati e scendevano in boccoli ordinati sulle spalle nude, lasciando scoperto un viso roseo abbellito da un ombretto della stessa tonalità di blu del vestito e da un rossetto che metteva in risalto le labbra carnose.
Daniel non si era mai reso conto di quanto desiderabile fosse quella bocca, di quanto grazioso fosse quel viso, di quanto fosse armonioso quel sorriso illuminato dal brillio dei suoi occhi castani.
E ora la sensazione continuava a frugare tra le sue viscere, e andava avanti ininterrottamente e costantemente dall’istante in cui aveva stretto le sue mani e le aveva chiesto, forse meno scherzoso di quanto avrebbe voluto, “Mi concede questo ballo, signorina?”
La ragazza alzò un sopracciglio notando il suo sguardo ancora fisso sul suo volto.
“Ti sei incantato, Daniel?”
Daniel ci mise qualche istante prima di rendersi conto che si stava rivolgendo proprio a lui.
“Oh, ehm…”. Il castano tentò di schiarirsi la voce con un colpo di tosse. “Stavo… Solamente ammirando il tuo vestito”. In fondo non era proprio una bugia.
E non era neppure improbabile che stesse ammirando il bell’abito della sua accompagnatrice: il colore blu si sposava perfettamente col biondo dei suoi capelli, e il vestito si stringeva proprio sotto il seno, lasciando intendere senza che vi fosse bisogno di vedere. Ovviamente ciò non faceva che far lievitare a livelli straordinari il malessere di Daniel.
Al vestito mancavano le spalline e la scollatura era lisca, lineare. La gonna era composta da vari strati di tulle che si arricciavano su sé stessi in fiocchi e balze, coprendo le gambe di Kristen fino a poco sopra le ginocchia. Ai più sarebbe sembrato poco originale e decisamente semplice rispetto ad alcuni modelli presenti in sala, ma Daniel sapeva che per Kristen scegliere un vestito era stata una vera e propria tortura e non si sarebbe sorpreso se la sua scelta fosse ricaduta sul primo provato che non l’avesse fatta sembrare un sacco di patate.
Non che la sua scusa fosse servita a molto: Kristen si era girata nuovamente, ignorandolo bellamente, e Daniel non aveva potuto fare a meno di sospirare stizzito.
“Oh, andiamo” la rimbrottò lui. “Possibile che tu non possa fare a meno di pensare a quella smorfiosetta della Lewis, ora?”
“Potrei, se lei mi avesse già restituito la bacchetta” commentò con tono atono la ragazza, continuando a fissare la giovane Serpeverde che era seduta quasi in fondo al tavolo insieme a un ridente Draco Malfoy.
“E se avessi qualcos’altro da fare, ovvio” aggiunse lei dopo qualche istante di silenzio, come se quel pensiero fosse arrivato solo successivamente.
Daniel sbuffò indispettito.
“Potresti fare quello che stanno facendo tutti, Kris: mangiare”. Il castano non cercò neppure di nascondere il sarcasmo nella sua voce.
“Nah, troppo semplice”. Le labbra della bionda si strinsero in un’unica linea compatta. “Ma guardala… Tutta ammiccante e sorridente, con quelle sue smorfiette gne gne…” commentò lei con una smorfia disgustata.
Daniel si lasciò scappare un sorrisetto divertito.
“Dai, non ti sembra di esagerare?”
“Ma, GUARDALA!”
Prima che potesse anche solo dire “Ah”, Kristen lo spintonò con forza tirandolo per il colletto e sistemandolo accanto a lei.
“Voglio dire, è COSI’ insopportabile!” esclamò la ragazza indicando la Serpeverde in tono irato.
Daniel si concesse qualche secondo per ammirare la spalla nuda di Kristen prima di concentrarsi sull’altra ragazza.
Harmony era seduta accanto a Draco, appoggiata sulla sua spalla con la testa. Il suo vestito era color rosa confetto, privo di maniche e con lo scollo a cuore. Il corpetto era ben lavorato, ricoperto di inserti a forma di fiore dello stesso colore del vestito, e terminava con una fascia di un rosa più chiaro che segnava la vita sottile della ragazza. Gli inserti floreali continuavano sulla gonna, lunga fino alle caviglie della ragazza, spartendosi in vari filamenti che si esaurivano dopo qualche centimetro di stoffa.
Il trucco e l’acconciatura della ragazza erano decisamente meno sobri di quelli di Kristen, come d’altronde era prevedibile: i capelli biondi erano stati lisciati completamente, e ricadevano sulla pelle della ragazza dandole un’aura quasi angelica che gli occhi dorati accentuavano. Due treccine partivano da dietro le sue orecchie per riunirsi dietro la nuca, fissate da un fermaglio a forma di giglio.
Gli occhi erano contornati da una matita nera che ornava anche l’intera palpebra, e alle ciglia era stato applicato un qualche incantesimo che accompagnava ad ogni loro battito una miriade di brillantini scintillanti che scomparivano appena si allontanavano di qualche centimetro dalle pupille della ragazza.
La carnagione, di solito piuttosto chiara e resa mortalmente bianca dopo la recente disavventura (la stesse carnagione che le era valso l’appellativo di “Moglie di Dracula”), era rischiarata da qualche strato di terra che faceva assumere alla Lewis un’aria molto più salutare di quanto non apparisse di solito. Certo anche l’espressione allegra e solare della ragazza contribuiva a dare a quel quadretto una grazia e una bellezza tutta nuova, mai vista sul viso della ragazza ma ora decisamente palese: quella di chi ha vinto la battaglia e si ritira serena, beata e placida nella propria tenda, gustandosi il meritato premio.
E in quel caso il suo premio era Malfoy. Il ragazzo non le aveva staccato gli occhi di dosso per un istante, da quando erano entrati a braccetto nella Sala Grande, con un contegno tanto composto e un’aria tanto spocchiosa che avrebbe potuto benissimo essere considerato il re della serata, se quella sera i Campioni non l’avessero completamente spodestato.
In verità quell’espressione un po’ arrogante che non mancava di accompagnare il viso di Draco in ogni occasione e in ogni circostanza sembrava svanire un po’, davanti al sorriso radioso di Harmony e alle frecciatine che la ragazza gli rivolgeva, con una sicurezza tutta nuova che aveva spiazzato tutti i presenti al tavolo, Malfoy prima di tutti.
Il Serpeverde non smetteva di passare lo sguardo sul suo abito, sulla sua acconciatura, sulle mani affusolate appoggiate pacatamente in grembo, sul sorriso che non smetteva di rivolgergli e sui suoi occhi d’oro che lo osservavano con un’aria divertita e deliziata a un tempo.
E, Harmony non poteva negarlo, era straordinariamente piacevole essere osservata in quel modo da Draco Malfoy.
“Che cosa starà mai tramando quella serpe viscida?” sibilò Kristen, continuando a fissare la ragazza con un’intensità tale che a Daniel sembrava di sentire risate da sitcom alzarsi dai posti accanto a loro.
Il Grifondoro la squadrò per qualche istante, come a soppesare se stesse parlando sul serio, e quindi commentò, col tono più ovvio che poteva assumere:
“Sta cercando di tenersi stretto il cavaliere, cosa che trovo ragionevole considerando l’ampia mole di ragazze pronte a rubarglielo”.
Dicendo così Daniel lanciò un’occhiata ai posti della Glowmoon e della Parkinson, aspettandosi di vedere fiumi di lacrime colare e lamenti rimbombare. Ovviamente le sue aspettative furono deluse: Elizabeth era stretta al braccio di un possente alunno di Durmstrang e Faccia da Carlino si era consolata con un belloccio bruno di Beauxbatons che, tra tutti, sembrava essere il più brutto di tutta la scuola.
Kristen lo ignorò come sempre. Di solito la cosa gli sembrava più che naturale, anzi, a volte era meglio non essere presi in considerazione dall’amica. Ma in quel particolare frangente la cosa gli diede sui nervi.
“Io non mi fido”, sentenziò alla fine con tono risoluto, dopo aver guardato ancora a lungo la coppia.
Daniel sospirò irritato, concentrandosi sulla sua fetta di roast beef che ormai si era freddata irrimediabilmente.
“BENE, se vuoi passare tutta la serata a spiare Lewis aspettando che faccia qualcosa per cui valga davvero la pena di non fidarsi…”. Il suo tono risultò tanto rassegnato che Kristen lo prese anche troppo sul serio.
“Lo farò di certo”. E quella fu la sua ultima parola al riguardo.
 
Nei primi cinque secondi successivi all’entrata in Sala Lee si era comportato come ogni accompagnatore degno di quel nome: sorrisi accattivanti ai ragazzi che li circondavano, sguardi di trionfo ricolmi di una malcelata pena ai solitari che si sistemavano nervosamente il colletto della camicia aspettando chissà quale fantomatica dama, complimenti sussurrati a mezza voce in un tono troppo esplicitamente malevolo per poter essere considerati innocenti e mugolii di dolore all’affondare delle unghie di Gwen nella sua carne. La ragazza si stava già rassegnando all’idea che avrebbe dovuto sorbirsi le attenzioni morbose del ragazzo per l’intera serata (ma chi gliel’aveva fatto fare di accettare l’invito di quella sanguisuga?) quando, d’improvviso, l’atteggiamento di Lee mutò tanto profondamente da farle pensare che, per qualche istante, il suo corpo fosse stato posseduto da qualche demone benefico.
La giovane Grifondoro non aveva neppure fatto in tempo a porgere, con un sospiro irritato, la mano al suo cavaliere (cosa avrebbe dato per non dover attribuire quell’appellativo proprio a Jordan…) che il ragazzo le si era avvicinato per sussurrarle a pochi centimetri dal suo viso:
“Ho una questione importante a cui badare, Noctis. Quindi perdonami ma non potrò presenziare al primo ballo”.
Gwen aveva impiegato qualche istante prima di riuscire a comprendere appieno il significato di quelle parole.
“… Scusa?” chiese dopo essere rimasta a guardarlo con un’espressione leggermente attonita.
Il ragazzo spiegò, con una fretta che non lasciava spazio al suo tono canzonatorio e scherzoso tanto conosciuto:
“Devo occuparmi di una certa cosa, e quindi dovrai ballare da sola, per questa volta”.
Quindi alzò appena lo sguardo, come riflettendo, e confessò, con aria un po’ insicura:
“Anzi, diciamo che dovrai ballare da sola per… Tutta la sera, probabilmente”.
Gwen spalancò occhi e bocca, colta alla sprovvista da quell’ultima frase.
“… Scusa?”. Doveva sembrare molto stupida in quel momento, la bocca così aperta da mostrare probabilmente le tonsille e il vocabolario ridotto ad un'unica, semplice parola ripetuta con uno stupore tanto intenso da essere incredibilmente ottuso.
Lee aggrottò appena le sopracciglia, preso in contropiede da questa sua improvvisa demenza.
“… Ssssì, io ho da fare e quindi non potrò ballare con te, e quindi tu dovrai…”
“Ho capito che hai detto” ribattè Gwen, recuperando un po’ della sua aria autoritaria e tentando di riassumere il suo tono sicuro.
“Oh.” commentò l’altro, in un tono atono e forse un po’ disinteressato.
“Bene, meglio per me” terminò alzando le spalle con aria frettolosa. Lee si stava già girando verso la porta della Sala quando Gwen, come risvegliata da quel gesto così definitivo, si riscosse e gli afferrò con un “Aspetta!” stupito il braccio, costringendolo a voltarsi nuovamente verso di lei.
Il Grifondoro non fece in tempo ad aprire bocca che la mora chiese, tutto d’un fiato e con uno sguardo, ora, tra il consapevole e lo stupefatto per ciò che quella certezza portava:
“Vuoi dirmi che… Mi hai costretta a venire qui, mi hai fatta agghindare come un albero di Natale, mi hai portata ad una festa a cui NON volevo andare e adesso mi molli qui come una scema?!?”
Lee non sembrò scomporsi minimamente per il suo attacco di rabbia: abbassò lo sguardo sulla sua figura fasciata dal vestito rosso e commentò, con un sorriso ironico:
“Se per te questo è ‘agghindarsi come un albero di Natale’…”.
In effetti Gwen si era contenuta decisamente rispetto ad alcune ragazze presenti in quella stessa stanza: agli abiti ampi e lunghi da principessa che facevano sembrare le proprie indossatrici enormi meringhe e ai vestiti più corti e attillati che non mancavano di strappare una smorfia di disapprovazione e disgusto alla McGrannit lei opponeva un semplicissimo capo rosso con le spalline ampie decorato di cuoricini bianchi, che si apriva in una scollatura la quale, seguendo la linea delle spalle, lasciava scoperto solamente il suo collo niveo.
La sua vita sottile era tuttavia accentuata da un nastro anch’esso rosso poco sopra la gonna pieghettata, dando in fondo un minimo di sensualità al suo fisico snello e sinuoso. Il fatto che poi il vestito arrivasse ben sopra il ginocchio e che Gwen non si fosse premurata di infilarsi delle calze o qualcosa che potesse nascondere le gambe ben tornite faceva voltare non pochi ragazzi e all’inizio della serata aveva attirato i commenti sarcastici ma in fondo affascinati di Lee.
I capelli neri erano tenuti in un semplice chignon alto che lasciava intravedere i riflessi blu e, ad ornarle il viso, non c’era null’altro se non un rossetto dello stesso colore delle sue labbra che un imperterrito Jordan era riuscito a strapparle.
“Cosa penseranno i miei amici vedendo una ragazza così poco curata accanto al grande Lee Jordan?” aveva commentato lui quando la ragazza gli aveva comunicato la sua decisione inappellabile di non utilizzare trucco.
Lei aveva alzato un angolo della bocca con aria divertita e aveva replicato, mantenendosi sullo stesso tono di voce:
“Penseranno che anche i migliori fanno cilecca”, sollevando appena un sopracciglio.
Quell’imposizione ora resa inutile e infangata le faceva ribollire il sangue nelle vene, assieme a tutte quelle costrizioni che il Grifondoro le aveva dipinto come necessarie e assolutamente vitali e che adesso erano buttate all’aria da quel suo ritrarsi dal loro accordo: lei non avrebbe mai voluto andare al Ballo del Ceppo, eppure era venuta per quell’idiota giornalista da quattro soldi. Non gli avrebbe permesso di abbandonarla così facilmente.
“Ti sembra il modo di fare, questo?” continuò Gwen ignorando l’ultimo commento dell’altro, facendo pressione con le unghie sul braccio del ragazzo. Lo vide contrarre un labbro e il gesto le diede una soddisfazione così viva, un piacere così profondo che fu tentata per un istante di lasciarlo andare solo per averle concesso quella soddisfazione.
Lee sospirò appena e spiegò, sempre tenendosi vicino al suo viso affinché nessuno sentisse:
“Rilassati, tesoro. Tornerò abbastanza spesso per non destare sospetti, e tu…”. Dicendo quella parola le puntò un dito contro il corpetto. Gwen dovette trattenersi a fatica per non schiaffeggiarlo davanti a tutta la Sala Grande.
“… Mi aspetterai come una buona accompagnatrice per ballare con me, mh?”. Accompagnò quelle parole con un sorriso così gentile e concessivo che avrebbe potuto calmare chiunque. Chiunque ma non lei.
Gwen si morse un labbro con forza e domandò, stringendo di più la stretta sul suo braccio:
“E quando dovresti tornare, di grazia?”
A Lee, preso di sorpresa, scappò un mezzo “Ahu” che, seppure appena udibile, le causò un tale piacere che, di nuovo, Gwen sentì che avrebbe potuto perdonargli tutto se solo le avesse concesso di stritolargli il braccio per l’intera serata.
“Appena potrò” commentò brevemente lui, tentando quindi di liberarsi dalla sua presa ferrea.
In risposta la Grifondoro fece penetrare un po’ più a fondo le unghie e, come piccolo optional, torse appena il braccio.
Stavolta Lee dovette  davvero compiere un enorme sforzo per non commentare.
“E dove vai, di preciso?” domandò Gwen col tono calmo e serafico dell’aguzzino pronto a calare la frusta sulla schiena del proprio prigioniero.
“A putta…”. Quel borbottio fu tacitato da una torsione più violenta del braccio.
“… A fanc…”. Un’altra torsione.
“Ma tu sei proprio sadica!!” esclamò Lee con voce soffocata, esibendo un viso più rosso che nero.
Gwen sorrise ancora più affabile.
“Mi dici dove vai o devo staccarti il braccio?”. Il suo tono era così gentile e mieloso che Gwen iniziò a dubitare seriamente che la persona che stava parlando fosse proprio lei.
La bocca di Lee si contrasse in una smorfia dolorosa insieme a tutto il suo viso.
La ragazza alzò un sopracciglio ripetendo silenziosamente la domanda.
“Non posso dirtelo” sussurrò infine Lee, in un borbottio così sommesso e strozzato che la mora fece molta fatica a sentirlo.
“E perché mai?” domandò più insistente lei, assumendo un’aria più altera.
“Oh, che sollievo, pensavo che adesso mi avresti staccato il braccio”. La risatina di Lee si chiuse con un lamento acuto che avrebbe fatto invidia ai soprano più esperti.
“Rispondi” si limitò a sibilare Gwen tra i denti, avvicinandosi tanto al suo viso da poter percepire il suo respiro affannato sulle proprie labbra.
Lee richiuse appena gli occhi e deglutì, il dolore che si propagava a scariche continue e sempre più intense lungo il suo braccio sfortunato.
“È… T-ti cacceresti nei guai”. La sua voce era tanto sottile che Gwen quasi si stupì di averla sentita, nonostante fosse a pochi centimetri dalla sua bocca. Per lei la cosa era talmente ininfluente che, se non avesse percepito chiaramente i sospiri di Lee lambirle le guance non se ne sarebbe affatto accorta.
Per Lee non lo era affatto.
Gwen sembrò accendersi tutta a quell’affermazione.
“E perché non me l’hai detto subito?” domandò con tono allegro. Dicendo così la sua mano si staccò dal braccio di Lee. Non sarebbero bastati tutti i balsami del Mondo Magico o Babbano per far sparire l’impronta delle sue unghie penetrate attraverso il tessuto.
Il Grifondoro tirò un sospiro di sollievo quando finalmente fu libero dalle grinfie della ragazza, e cominciò a massaggiarsi il punto in cui erano sprofondate le dita della compagna. Non c’era che dire, aveva una stretta micidiale.  
“Ti conosco abbastanza per sapere che per te la parola ‘guai’ è irresistibile come un topolino per un gatto” spiegò lui guardandola con un sorriso eloquente e massaggiandosi con più forza il polso.
“Mmmmh, potrebbe essere rotto…” sospirò esibendosi nella sua migliore espressione addolorata e imbevendo ogni parola di una plateale afflizione.
Gwen sventolò la mano davanti al suo viso, con fare disinteressato.
“Sì, come ti pare”. A Lee scappò un sorrisetto divertito.
“Ora, dove andiamo?” chiese tutta pimpante la ragazza. Il ragazzo non si sarebbe stupito se si fosse messa a saltellare per l’allegria che ora sprizzava.
“ ‘Andiamo’?” esclamò lui fingendo un tono stupito e dondolandosi sui talloni.
Gwen lo guardò penetrante, incrociando le braccia al petto.
“Non crederai mica che io ti lasci andare da solo dopo avermi comunicato un’informazione così succosa?” domandò con un tono che non ammetteva né se né ma.
Lee sembrò soppesarla attentamente qualche istante, fissandola con una tale fissità e intensità che la ragazza avrebbe detto che stesse giudicando se fosse davvero degna di condividere un qualche guaio con lui, come se quell’avventura che ora le stava offrendo fosse un onore per pochi eletti.
Gwen sostenne il suo sguardo alzando il mento con un sorriso fiero e sicuro, già certa di quale sarebbe stata la risposta del ragazzo.
L’espressione di Lee si mantenne immutata fino a quando, con un sospiro profondo che indicava lo sforzo che quell’affermazione gli costava (o che fingeva gli costasse), commentò:
“Beh, se ci tieni tanto ad accompagnarmi…”. Gwen stava già per esultare quando il ragazzo aggiunse, sorridendo furbamente:
“… Al bagno degli uomini”.
A Gwen caddero letteralmente le braccia.
“Il bagno de…” mormorò stupidamente.
Per la centesima volta da quando l’aveva fatto, la ragazza si chiese perché mai avesse accettato l’invito di un simile idiota, e cosa mai l’avesse convinta a partecipare a un evento tanto mondano e privo di qualsiasi attrattiva.
Per un breve, luminoso istante si era illusa. E ora era ritornata bruscamente alla realtà: no, nulla avrebbe reso quella serata più entusiasmante.
 
Beatrix lisciò la stoffa leggera del suo vestito con un sospiro leggero, premurandosi di passare anche una mano tra i capelli ramati raccolti e di risistemare la coroncina di fiori posata sul suo capo.
Il primo ballo non le aveva riservato nessuna sorpresa di alcun genere: nessun cavaliere dall’armatura argentata e dall’incedere solenne le si era avvicinato per offrirle di danzare galantemente, e come aveva immaginato il rimanere a osservare da lontano le coppie felici e il rimirare le attenzioni che i ragazzi riservavano alle giovani era stato orrendamente degradante.
La sensazione di vuoto allo stomaco che la torturava ogni giorno nell’osservare il viso tanto a lungo carezzato con la fantasia del professore e nell’essere anche troppo vivamente consapevole che mai quel volto avrebbe potuto godere davvero delle sue gentili attenzioni si era ora acuita immensamente. Era davvero doloroso guardare da lontano la felicità di altri e dirsi che mai, mai sarebbe toccato a lei di bere quel vino inebriante, di godere della rinfrescante linfa dell’amore, di poter dare colore ad una vita a tratti anche troppo grigia e monotona.
Ma stavolta Beatrix non avrebbe lasciato correre: la serata era ancora lunga e lei aveva tutto il tempo del mondo per riuscire a rubare, se non un sorso, almeno una goccia al calice tanto ambito.

Note di un'autrice imperdonabile:

SONO TORNATAAAAAAAAAAAAAAAAA!
DOPO QUASI UN ANNO MA SONO TORNATAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!
(Cori di 'Buuuh' Applausi e cori da stadio)
Grazie, grazie mille, siete fantastici!
Le problematiche che mi hanno tenuta lontana da questa fic e dallo scrivere in generale le ho già spiegate, e ora spero solo di farmi perdonare questa attesa eterna: ho paura che il mio stile abbia avuto un calo pazzesco, e ho anche paura di aver trattato troppi pochi personaggi in quest capitolo.
Ho deciso di concentrarmi sui personaggi di cui ho accennato ala fine nell'ultimo capitolo, ma non avendo idee né per Harmony né per Filiana ho deciso di tenermele per il prossimo capitolo. Inoltre il capitolo era già così lungo che ho deciso di non appesantirvi ulteriolmente.
Tenterò di dare spazio uguale a tutti i personaggi, equilibrando le loro entrate in scena o almeno provandoci, e spero che vi piacciano le idee che ho avuto per i vostri beniamini.
Ho solo un altro paio di note prima di lasciarvi a vedere i vestiti descritti in questo capitolo:
1) Un altro motivo della mia fretta è stato il fatto che io domani parto e resto fuori fino al 19, e lasciarvi così in sospeso mi sembrava davvero crudele;
2) Pensavo di terminare la revisione dei capitoli prima di riprendere a scrivere, ma visto che il processo si è allungato ho deciso di ricominciare  e basta. Non ci saranno sostanziali stravolgimenti nella trama, ma solo questo: cancellerò i precedenti malori avuti da Filiana. La revisione proseguirà insieme alla pubblicazione dei nuovi capitoli;
3) Cosa ne pensate di questi primi accenni di situazioni? Dal prossimo capitolo inizieremo a entrare più nel vivo del Ballo, subito dopo la cena;
4) Per l'autrice di Beatrix: se sei rimasta sconcertata dal poco spazio riservato al tuo personaggio tranquilla. Ho deciso di inserire un paragrafetto dedicato a lei in ogni capitolo che costituirà il Ballo del Ceppo, riportanti i suoi successi e insuccessi nella missione "Invitiamo Piton a ballare", fino al suo trionfo (o sconfitta) nell'ultimo capitolo (con annessa la descrizione del suo abito). Ti piace come idea?
E oraaaaaa... Che la sfilata abbia inizio!!!
In ordine di apparizione:
-Auror (con le spalline):
-Susan:
-Kristen:
-Harmony (più sgonfio):
-Gwen:
Come l'altra volta spero di aver reso bene le descrizioni. Ringrazio moltissimo chi continuerà a seguirmi, e anche la mia amica Potterhead Giulia di cui mi sono permessa di citare nuovamente l'OC, Elizabeth.
Grazie ancora per la pazienza, ragazzi, spero che l'attesa valga la pena dei prossimi capitoli!

 
  
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