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Autore: Teen Idle    06/07/2015    2 recensioni
La presidentessa Cora stava nel suo studio privato. In silenzio. Non una parola, un suono, oltre alle sue dita che tamburellavano sulla scrivania. Tic tac, tic tac. Spari. Sembravano degli spari nel silenzio.
Morte.
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Tremotino
Era il quarto giorno che trascorreva nell'arena, e le cose andavano bene. Troppo bene, per i suoi gusti. Belle, invece era entusiasta, ripeteva sempre "siamo proprio fortunati". Tremotino invidiava il suo ottimismo, ma nell'Arena bisogna essere realisti.
«Dobbiamo spostarci, Tremotino. Non ci sono più radici qui.» una nota di preoccupazione nella voce. Il ragazzo finí di impegnare la lama del pugnale con il succo di un frutto velenoso trovato lì vicino. Cambiare posizione non lo alletteva, avrebbero potuto incontrare altri tributi, ma se non si spostavano sarebbero morti. Alla fine si alzò in piedi e con Belle si avviò verso una nuova indefinita meta, che Belle non raggiunse. A metà strada trovarono Sidney, Killian e Zelena. Tremotino capì subito che avevano sbagliato a spostarsi, e ora dovevano lottare. Zelena li notò subito, nonostante il tentativo di nascondersi
«Beccati!» una risata fredda «ma ci serve solo la ragazza» Tremotino si protese davanti a Belle, facendole da scudo
«Non l'avrete mai» il tono di voce che utilizzò sorprese tutti per un istante, ma poi partirono all'attacco. Sidney si avventò su Tremotino, lo zoppo fu più lesto e furbo. Una coltellata in mezzo alla pancia, e il tributo del distretto undici fu costretto a dire addio a tutto. Il freddo bacio di una lama avvelenata lo portò via. Tremotino prese il machete del cadavere, senza che nessuno se ne accorgesse.
La morte del freddo genio calcolatore fu come la sua vita, considerata da pochi. Non fu una morte eroica o atroce, fu una morte adatta ad una persona viscida come lui.
 Killian e Zelena non smisero di lottare. Killian gli affondò la spada nella gamba malata, poi lo spinse a terra e continuò a torturargli la gamba, solamente le urla strazianti di Belle lo bloccarono. Quelle urla gli furono care, con le ultime forze Tremotino gli tagliò la mano destra, per poi accasciarsi sulle candide rose macchiate di sangue. L'ultima cosa che vide fu Belle che veniva trascinata via, in lacrime. Poi svenne.

David
Quarto giorno d'arena, caldo soffocante, paura immensa. David avrebbe solo voluto essere nel 12, a casa sua. Non pretendeva cibo, acqua o armi. Voleva solo un libro e un mondo dove gli Hunger Games fossero solo un brutto spettacolo televisivo.
E invece era il partecipante di un reality show in cui ventiquattro ragazzi venivano chiusi in un'arena e lì restavano finché uno di loro non diventava il vincitore. Ma gli altri non tornavano a casa un po' delusi. Gli altri, tutti gli altri morivano.
La paura lo stordiva, lo rendeva nevrotico e lo faceva impazzire. Ogni rumore poteva celare qualcosa... qualcosa di... 
Il canto di un uccellino. Un ramoscello spezzato. Un colpo di cannone. Un urlo, un pianto, un alito di vento. Qualunque cosa lo metteva all'erta. Chissà se ora era in diretta. Chissà se tutti stavano guardando il suo terrore. Si guardò attorno, e vide solo altre stradine e altri alberi taglienti e altra morte.
Poi, quando si voltò verso destra, vide qualcuno. Il suo cuore ebbe uno spasmo, gli fece male. Era un ragazzo, ma non lo seppe riconoscere. 
Avrebbe potuto ucciderlo. David avrebbe potuto morire di lì a pochi secondi. Cominciò a tremare. Quando il ragazzo parlò, la sua voce era troppo forte e troppo adulta.
«Buongiorno» disse.
David cominciò a sudare. Goccioline liquide gli scendevano giù per il collo.
«Tu sei Robin, vero? Robin Wood... Hood?»
L'altro non rispose. Si limitò ad avanzare verso David; in mano stringeva un martello. Il ragazzo del 12 cadde a terra. Non respirava. Sarebbe morto. Lo capiva, lo vedeva, chiaro come il sole.
«Sia... siamo sulla stessa barca...» lo implorò. Il tributo del 7 si fermò a meno di un passo da lui; lo guardò negli occhi. «Ti prego» sussurrò David.
Per un attimo credette che il ragazzo l'avrebbe risparmiato.
Poi il martello si abbatté sul suo polso. David Charming gridò con tutto il fiato che aveva in corpo. Un altro colpo, più leggero, lo colpì in fronte stordendolo.
Il ragazzo del 7 si abbatté con l'arma sulle sue ginocchia, sulle sue caviglie, su ogni singolo dito. Perché era così crudele? Perché non lo uccideva e basta?
Il pazzo ripose il martello. Il dolore gli incendiava le braccia, le gambe, le mani, i piedi, il petto.
«Uccidimi. Falla finita subito... io... sto... morendo... non hai bisogno di torturarmi.»
Ma Robin Hood – ora ricordò come si chiamava – non gli diede ascolto. Affondò un coltello nella pancia di David, e lacerò la membrana dello stomaco. Mentre la lama fuoriusciva, le viscere di David fecero buffamente capolino sporcando la giacca leggera da arena. E David, intanto, urlava di dolore.
E strillava.
E mentre quel mostruoso ragazzo proseguiva con le sue torture, David urlava e urlava e urlava e urlava.
Non ebbe più voce.
Non urlò più


Quella notte in cielo i tributi rimanenti videró per l'ultima volta i volti di Sidney Glass e David Charming
  
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