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Autore: moonwhisper    18/01/2009    6 recensioni
Trovava sempre sconvolgente il fatto che le macchine fotografiche permettessero di fermare gli attimi e nello stesso tempo rendessero più concreto lo scorrere veloce degli istanti, facendole percepire sulla pelle la nostalgia del passato, seppur recente.
Quel breve minuto in cui lei era rimasta immobile di fronte allo specchio non sarebbe più tornato.
Avrebbe potuto scattare la stessa foto centinaia di volte, ma non sarebbe mai stata uguale a quella precedente, semplicemente perché quel frammento di vita non esisteva più.

Diane non è solo una fotografa. E' qualcosa di più.
Il tassello mancante. Confidente, amica, musa, donna, bambina, anima, corpo.
E' ciò che occorre per ricucire insieme i lembi di un amore impossibile. Ciò di cui si ha estremo bisogno per comprendere se stessi.
Ma in realtà... chi è Diane? Cos'è Diane?
{Sequel di "And... can you dream?"}
Genere: Generale, Romantico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Luglio

 

 

Il venticello muoveva le chiome accuratamente spettinate delle modelle. Diafane ed esili, immobili tra i due alberi maestosi, sembravano ninfe sfuggite alle pagine di qualche antica fiaba.

Diane diede un paio di istruzioni e poi scattò l’ennesima foto. Beatriz era adagiata su una sedia pieghevole poco lontano da lei, ed osservava tutto con un sorriso compiaciuto. La folta chioma bruna rinchiusa in un elegante chignon e gli occhi neri abilmente truccati che studiavano ogni particolare, permettendole di tenere tutto sotto controllo.

- Primo piano di Misha. Fate spostare le altre – disse Diane ai supervisori. In pochi attimi nello spiazzo rimase solo la ragazza bionda, dai capelli arruffati e gli occhi cerulei truccati di nero. Diane le si avvicinò. Era molto più alta di lei, aveva un’espressione neutra e non guardava mai il mirino della macchina fotografica, esattamente come lei le aveva raccomandato di fare. Ritrasse i suoi occhi spenti e fece un gesto a Beatriz.

- Bene, pausa pranzo. Ricominciamo nel primo pomeriggio – tuonò la sua amica. Misha venne prelevata con delicatezza e guidata altrove. Beatriz le andò incontro. Indossava pantaloni leggeri color kaki e una maglietta dal taglio semplice, bianca.

- Perfetta, assolutamente perfetta. Alla redazione di Vogue hanno fatto i salti di gioia quando hanno saputo che ero riuscita a mettere le mani su di te – disse, sorridendo. Tra le due quella con origini spagnole evidenti era Beatriz. I tratti del viso e il sorriso caldo lo confermavano.

Diane le sorrise e abbandonò la macchina fotografica che le avevano fatto usare per il servizio nelle mani di un giovane assistente che sembrava appena sceso da una passerella.

- Pierre, sii gentile. Trova Alex e dille di venire da me – disse Beatriz al ragazzo. Lui ammiccò e si allontanò con passo elastico.

- E’ veramente delizioso, molto ben educato. E’ stato da me per qualche giorno il mese scorso – aggiunse l’amica quando l’assistente-divo scomparve nella piccola folla che occupava quell’angolo di Central Park. Parecchi curiosi erano ancora intenti ad ammirare le modelle immobili sotto le mani degli air-stylist.

Diane sorrise tra se e se. “E’ stato da me qualche giorno” non poteva significare altro che “Mi piaceva, l’ho sedotto e me lo sono portato a letto”, nel linguaggio di Beatriz. Non era esattamente un esempio di moralità, ma da che lei la conoscesse aveva sempre avuto l’abitudine di circondarsi di uomini più giovani di lei, sempre molto attraenti.

- Lui e quanti altri? – domandò Diane provocandola. Il viso di Bea si sciolse in un altro stupendo sorriso, senza traccia di malizia.

- Diciamo che sovrintendere gli uffici della Scarlet Corp. a New York è un impiego… piacevole – rispose con nonchalance. Diane inarcò le sopracciglia ma Bea sfuggì al suo sguardo con la scusa di richiamare qualcuno. Vide una ragazza dai capelli rossi avvicinarsi, con una cartelletta in mano, un auricolare all’orecchio, due palmari infilati nella cintura ed una borsa elegante appesa al braccio sinistro. Indossava una maglietta nera e un paio di jeans blu.

- Diane, ti presento la mia assistente personale, che diventerà la tua assistente personale per questa settimana. Alex, lei è Diane Köhler – disse l’amica posando una mano morbida sulla spalla della giovane. La ragazza le sorrise gentilmente e la osservò con un paio di occhi simili a fari verdi.

- E’ un piacere conoscerla! Ho sentito molto parlare di lei – disse. Aveva una voce piacevole, discreta.

- Piacere mio. Dammi del tu ti prego – rispose Diane.

- Bene, Diane, ti lascio nelle capaci mani di Alex per il resto della giornata. Purtroppo devo correre a Manhattan per finire di programmare la festa di Prada. Dio solo sa quelli cos’hanno in mente… Alex ti porterà dovunque tu vorrai, ha anche una copia delle mie chiavi di casa. Ti chiamo più tardi – disse Beatriz. Poi le schioccò due baci sulle guance e afferrò la borsa che Alex le porgeva.

- Divertitevi! – trillò allontanandosi.

La ragazza le sorrise, mentre lei cercava ancora di assimilare il discorso di Bea.

- Dove preferisci andare a pranzare? – chiese l’assistente, rivolgendole un’occhiata incoraggiante.

- Non ho preferenze particolari. Fai tu -  rispose Diane.

- Ottimo –

 

Dopo aver recuperato la sua borsa, Diane si fece guidare da Alex ad un piccolo ristorantino nel centro di Central Park. Era un locale completamente circolare.

Quando entrarono un cameriere salutò Alex come se la conoscesse e, senza dire una parola, le condusse ad un tavolo per due piuttosto appartato.

Tutto era di legno dipinto in turchese. La vernice era stata assorbita dal materiale, ed aveva finito per mischiarsi alle fitte venature, diventando opaca. C’era un mazzo di fiori freschi su ogni tavolo, piccole candele profumate che galleggiavano in bocce di vetro piene d’acqua, e tovaglioli di cotone color panna. Le tende ricamate appese alle vetrate garantivano ai clienti il riparo da sguardi indiscreti. Sembrava un posto antico, ma era davvero accogliente.

Lei ed Alex studiarono il menu per dieci minuti buoni, poi la ragazza attirò l’attenzione di un cameriere e ordinarono lasagne alle verdure e macedonia.

Alla fine del pranzo Diane si fece portare una tazza di tè verde ed Alex dei pasticcini minuscoli dall’aspetto invitante.

- Quanti anni hai? – chiese Diane. Fino a quel momento avevano parlato del più e del meno. Di Beatriz, dei suoi colleghi. Alex aveva qualcosa di particolare. Forse erano i capelli, di quel rosso così intenso, o gli occhi verdissimi, oppure il modo remoto in cui sorrideva. Le piaceva. Era il genere di persona che Beatriz sceglieva con cura, consapevole di dover affidarle incarichi importanti come la gestione della sua vita privata.

- Venti. Tu? – rispose lei, ingoiando il primo pasticcino. Sembrava esserne piuttosto ghiotta.

- Ventitré – disse. Alex sembrò stupita.

- Non pensavo fossi così giovane – disse con sincerità.

Forse era proprio quello il motivo per cui Alex le piaceva. Le dava l’aria di essere una persona sincera. Le sorrise.

- Si, me lo dicono tutti – ribatté, alzando le spalle a mo’ di scusa – Da quanto sei assistente di Bea? –

Alex fece un rapido calcolo corrugando la fronte.

- Un anno a settembre – rispose.

- Ti piace come lavoro? – Diane ingoiò un altro sorso del suo tè. La ragazza annuì e sorrise malinconicamente. Le fece venire in mente Bill, tutt’un tratto.

- Si. Molto. Per me è stato una manna dal cielo – sembrò sul punto di aggiungere qualcosa, poi parve cambiare idea – Prima facevo la cameriera a tempo pieno in un pub. Mi piaceva lavorare li, ma era sfiancante –

- Come ci sei arrivata alla Scarlet Corp.? – domandò Diane, curiosa. Alex parve indugiare.

- Diciamo che ho il dubbio ci sia stato l’intervento di qualcuno che conosco… che ho conosciuto. Ma non ne sono sicura. Sono stata contattata dalla società e ho fatto un colloquio per essere assunta come semplice assistente. Dopo un paio di mesi Beatriz mi ha notata e mi ha elevata al rango di sua assistente personale – rispose.

- Ho visto diversi tuoi cataloghi, ed anche delle foto sul tuo sito ufficiale. Me li ha raccomandati Beatriz. Mi piace molto quello che fai – aggiunse poi la ragazza, forse per cambiare argomento. Diane la assecondò.

- Grazie – disse, abbassando lo sguardo.

- Vuoi un pasticcino? – Alex le allungò il piattino di porcellana bianca. 

 

Terminarono il servizio fotografico per le cinque del pomeriggio. Alex si offrì di accompagnarla fino a casa di Beatriz.

Salirono sulla metro parlando della scuola che Alex aveva frequentato. Diane venne a conoscenza di un altro motivo per il quale Bea l’aveva scelta come sua assistente: la ragazza conosceva bene almeno tre lingue, di cui una era il francese, che la sua amica aveva sempre amato. Scoprì anche che Beatriz le stava finanziando un corso di spagnolo.

- Deve averti molto a cuore – disse Diane, prendendo posto accanto ad Alex sui sedili graffiati del loro vagone. Le luci al neon facevano risaltare il pallore della ragazza, e molto probabilmente anche il suo.

- Si, penso di si. Beatriz è una persona veramente fantastica – disse lei, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

Diane estrasse dalla sua borsa la macchina fotografica e scattò una foto di sorpresa ad Alex, mentre lei guardava altrove, persa in qualche pensiero. Fu la seconda volta nella giornata che le ricordò Bill.

Quando raggiunsero la casa di Bea, Diane si voltò verso Alex.

- Hai da fare questa sera? – le chiese. La vide titubare – Scusami, probabilmente si – aggiunse subito, sorridendole.

- No, no. Nulla di che. Perché? – domandò Alex.

- Bea mi ha chiamata e ha detto che tornerà troppo tardi stasera. Si fermerà a cenare a Manhattan… - rispose Diane, mordendosi un labbro.

- Ho capito – annuì Alex, sorridendo sinceramente – Allora, facciamo così. Passo verso le nove da qui, così hai il tempo di sistemarti un po’ – disse controllando l’orologio del palmare – E poi vediamo di decidere cosa fare. Ti va bene come programma? –

Fu Diane a tentennare.

- Sicura? Davvero, non devi sentirti obbligata solo perché sono amica di Bea. E’ solo un capriccio – fece con voce incerta. Alex sorrise di nuovo.

- Figurati! Passare il sabato sera chiusi in casa, a New York, può essere considerato un crimine. Mi hai salvata da una lunga notte da trascorrere davanti alle repliche di Scrubs – la tranquillizzò.  

- Va bene allora, a più tardi – disse Diane, prendendo le chiavi che Alex le stava porgendo.

- A più tardi! – la ragazza agitò la mano e poi si voltò, attraversando la strada e scomparendo nuovamente nei budelli della metropolitana.

Diane utilizzò l’ascensore per raggiungere il loft di Beatriz. Era arrivata da lei il giorno prima, e si era sistemata nella stanza degli ospiti. La casa di Bea era stupenda, tutta vetrate affacciate sulla città e piante verdissime ovunque. Una casa da programma televisivo. Ma la cosa a cui in quel momento stava pensando era l’enorme bagno di Bea, e la gigantesca vasca idromassaggio che faceva bella mostra di sé al centro della stanza ricoperta di mosaici. Sorrise, infilando le chiavi nella porta.

 

Quando si presentò all’appuntamento Alex indossava un vestito di cotone color avana, e un paio di ballerine nere, di stoffa ricamata. Il vestito aveva le spalline sottili e le arrivava poco sopra il ginocchio. Le stava molto bene. Lei aveva optato per un miniabito nero, di lino, che le lasciava le spalle scoperte, e le sue ballerine, invece che nere, erano bordeaux.

- Un secondo, prendo la borsa e la macchina fotografica – disse Diane aprendole la porta. Afferrò la borsa grande, di tela bianca, e raggiunse con Alex il pianerottolo.

- Dove mi porti? – le chiese, mentre aspettavano l’ascensore.

- Ad ascoltare un po’ di buona musica. Poi magari potremmo fare un salto al ristorante libanese, se ti va. E’ vicino al locale dove vorrei portarti – rispose la ragazza. Le porte dell’ascensore si aprirono silenziosamente.

Diane annuì, vagamente confusa.

- Si, certo. Mi affido completamente a te –

Raggiunsero a piedi il locale di cui Alex le aveva parlato, dato che si trovava poco lontano da casa di Beatriz. La ragazza le disse che era stata lei a portarla in quel posto la prima volta. 

Era un ambiente piccolo. Tutto era rivestito in legno, la luce era soffusa e la clientela sorseggiava cocktail in silenzio, nella penombra.

Alex la guidò ad un tavolino vicino ad una sorta di palco rialzato, dove facevano bella mostra di sé un pianoforte, una batteria lucida, e l’asta di un microfono, che si ergeva esile al centro della pedana.

Quando un uomo con evidenti origini afroamericane spuntò dal nulla, tutti i presenti si lanciarono in un applauso sentito, e Diane si unì a loro. All’uomo andarono ad aggiungersi altri due musicisti, che presero posto rispettivamente al pianoforte e alla batteria. Un ragazzo pallido, dall’aria emaciata, arrivò per ultimo, con un basso di legno scuro tra le mani. Lo collegò agli amplificatori e tutto fu pronto.

 

Di quella serata avrebbe ricordato ciò che le foto le avevano lasciato in pegno.

Il viso rapito di Alex, gli occhi che brillavano alla luce rossa delle lampadine.

Il viso del cantante, imperlato di sudore.

Note calde, respiri interrotti, musica vibrante.

Gli occhi azzurri di uno sconosciuto.

Dita sui tasti di un pianoforte.

 

- Ti è piaciuta la serata? – le chiese Alex.

Stavano cercando di raggiungere il portone della casa di Bea senza incidenti. Erano tutte e due piuttosto brille. Il concerto jazz era durato un’ora e qualcosa, poi, dopo aver salutato il bassista, che Diane aveva scoperto essere amico di Alex, si erano rifugiate nel ristorante libanese di cui la ragazza le aveva parlato. Le era già capitato di mangiare in posti del genere, ma quella sera si era lasciata andare ordinando una bottiglia intera di un liquido squisito di cui non era riuscita a pronunciare il nome. Lei ed Alex avevano svuotato la bottiglia, ricordandosi solo dopo averla finita che si trattava di una bevanda alcolica. Il resto della cena era trascorso tra risate piuttosto prive di senso e discussioni filosofiche.

- Si, molto – rispose, ridendo sommessamente.

Quando l’ascensore le scaricò sul pianerottolo dell’appartamento di Bea, Diane faticò a maneggiare il mazzo di chiavi.

Si chiusero la porta alle spalle. Diane puntò il divano e vi si lasciò cadere, ed Alex imitò il suo esempio.

- Forse dovresti fermarti a dormire – disse alla ragazza, rendendosi conto che non era consigliabile girovagare da soli per New York in stato di ebbrezza. Alex si portò una mano alla fronte ed appoggiò un gomito al bracciolo del divano di pelle bianca.

- Purtroppo credo di si. Non sono in grado di tornare a casa per stasera. Chiamo Joanne – disse. Poi si sollevò a fatica e raggiunse il telefono, strascicando i piedi per terra.

Diane sfilò le ballerine e si allungò sulla superficie morbida, chiudendo gli occhi.

Quando Alex tornò la sentì accasciarsi nuovamente sul divano. Non avevano acceso nessuna luce, e così l’unico chiarore che le penetrava tra le ciglia era quello proveniente dal mondo fuori dalle vetrate.

- Non ci credo di essere ubriaca. Quando lo racconterò a Gustav mi prenderà in giro per settimane – disse sovrappensiero. Si stupì a sorprendersi nell’indugiare sull’immagine dei ragazzi. Si chiese cosa stessero facendo in quel momento.

- E allora non raccontarglielo – disse Alex, poco lontana da lei.

- Ma è proprio per farmi prendere in giro che glielo racconterò – ribatté Diane, respirando profondamente. Si sentiva terribilmente bene. Ascoltò la risata esagerata di Alex e ne fu contagiata anche lei.

- Chi è Gustav? – chiese la ragazza quando terminò di ridere. Diane si stiracchiò. Sentì il sonno farle chiudere totalmente gli occhi. Tutto il resto cominciò a farsi sempre più confuso.

- E’ il batterista dei Tokio Hotel. La band con la quale lavoro quest’anno… Sai, sono simpatici, mi hanno assunta come loro fotografa ufficiale. Sono solo dei ragazzi… - rispose, inciampando nelle parole. Non sapeva più qual’era la cosa più importante da dire.

Calò il silenzio. Probabilmente Alex si era addormentata. Fu l’ultimo pensiero che riuscì a formulare, poi scivolò nell’incoscienza.

Non sentì Alex strisciare giù dal divano e raggomitolarsi sul parquet, né la sua voce flebile, quando sussurrò qualcosa al buio.

- Di a Bill che lo sto ancora aspettando. Digli che mi manca, se si ricorda di me –

 

Quando la mattina dopo Diane si svegliò, Alex non c’era più. In compenso Beatriz era tornata.

Trascorse il resto della settimana in compagnia della sua amica, tra cene, confidenze e fotografie. Non vide più Alex, e Bea le disse che aveva chiesto una settimana di malattia. A Diane dispiacque di non poterla ringraziare per la bella serata che le aveva offerto, e il giorno della sua partenza, dopo aver abbracciato e baciato Beatriz con la promessa di rivedersi presto, aveva pensato anche a lei. E a delle parole che aveva sognato.

 

 

 

***

 

Note di Phan: aggiornato, finalmente. In caso di eventuali errori, perdonatemi.

Ringraziamenti personali a:

Dying Atheist: Eh si, New York. Ohohoh. Un bacione.

angeli neri: cara, sei veramente troppo gentile. Ti ringrazio tantissimo per le belle recensioni che mi lasci. Veramente. Spero mi perdonerai per il ritardo. Un bacio.

Vitto_LF: Si, ho qualcosa da farmi perdonare anche io. Purtroppo in questo periodo non ci sono molto con la testa. In ogni caso non preoccuparti troppo. Ti ringrazio per i complimenti. Eh si, non sembra nemmeno mia. Infatti è come se non lo fosse. La Claudia che ha scritto ACYD, è morta. Ora sono un'altra persona. Questo fatto si riflette anche nelle mie storie, è una cosa che non posso controllare. Osannata da mezza community, non direi, ma va bene XD. "Un colpo basso". Vedi Vitto, io funziono ad ispirazioni. I capitoli non aumenteranno in lunghezza, lo preannuncio già da ora, ed io probabilmente non pubblicherò più velocemente di così. Perchè sento di non doverlo fare. Non mi dispiace perdere lettori. Non obbligo nessuno a leggermi, quindi non mi sento "in debito". A chi va bene cosa pubblico, e come lo pubblico, ovviamente vanno i miei sentiti ringraziamenti, ma se ci sono persone che non apprezzano il mio modo di concepire la pubblicazione di una storia, dico: "Pazienza".  Ma silenzio, io non ho nulla da insegnare, veramente.  Comunque, apprezzo il tuo consiglio. Cercherò di capire se è il caso di mettere in pratica ciò che hai detto. Non è un modo per tirare la corda. Io pubblico quando "sento" di dover pubblicare. Quando mi va. Perchè è un hobby. Non mi pagano per pubblicare entro certi limiti di tempo. Ti ringrazio. E mi dispiace che il quinto capitolo non sia arrivato presto come speravi. Bacio.

Chamelion_: Io ti ringrazio follemente per tutte le recensioni che lasci alle mie oneshot assurde. Grazie, grazie, grazie. Anche per quelle rare chiacchierate in msn. Potrebbe darsi che io abbia inconsapevolmente tirato fuori la ragazza con il vestito rosso. Chissà. La mente umana è strana. Dunja esiste sul serio XD. Fa parte dello staff dei Tokio Hotel. Potrebbe anche essere Siddharta, perchè no. Ma Hesse ha scritto talmente tanti capolavori. Questa storia è formata da capitoli-cerniera. E' una storia strana. Alla prossima darling.

  
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