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Autore: Toms98    07/07/2015    1 recensioni
Quante possibilità ci sono per la popolazione umana di salvarsi dai pericoli di questo mondo? Isis, pandemie, guerre, minacce nucleari: c'è veramente qualcuno che può salvare l'umanità da tutto questo? Forse nessun uomo può farlo, ma non c'è nessun'altro? Il colonnello McRonald è stato incaricato dal governo degli Stati Uniti di ricercare uomini con capacita al limite del normale. Ne uscirà fuori un team composto da un pugile-cavia da laboratorio russo, un'apprendista ninja, un giovane con un bordone "magico", un genio con un tumore al cervello e un assassino. Ma basteranno tutti loro, guidati dal colonnello e dalla rossa Lauren, nel loro arduo compito?
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- La domanda è un’altra, signore - disse la rossa trentenne - Accetteranno di unirsi a noi? -
- Ne sono certo. All’inizio ci odieranno, odieranno il mondo, odieranno chiunque dovranno difendere. Poi capiranno che è nel loro destino, dobbiamo solo aiutarli. -
- Signore - aggiunse infine Lauren - Forse corre troppo -
- Perché? -
- Dovremmo prima fare di modo che non odino quello che sono diventati -
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Chaotic'
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CAPITOLO 7- Death Made in China (pt.2)
Kiyomizudera, Kyoto
<< Tutto bene lì dentro? >> chiese sarcastico Sahiko alla ragazza, ma lei rimaneva lì, silenziosa. Sperava che gli altri riuscissero a salvarla, come logico, ma sperava anche che si compisse la propria vendetta. L’aveva immaginata nei minimi dettagli da quando era partita dal tempio, e ora era pronta per metterla in atto.
La cella in cui era stata rinchiusa era una piccola stanzetta quadrata di quattro metri di lato, alta su per giù due metri e mezzo. Nella stanza c’era un letto, piccolo, senza lenzuola, su cui era seduta la ragazza. Una piccola finestra dava su un fiumiciattolo, coperto in gran parte dalla grata rugginosa. Le pareti erano bianche e macchiate dall’infiltrazione dell’acqua. Un’enorme porta in ferro la separava dalla libertà, impossibile da forzare.
Non ne aveva molte di possibilità di fuga, ma non si sarebbe arresa comunque. La S.O.S. doveva ancora intervenire per recuperare lei e la valigetta, e anche se il governo avesse ordinato di lasciarla lì a morire, qualsiasi cosa ci fosse nella ventiquattrore era talmente importante da necessitare l’impiego di tutti i crittografi della CIA. Non poteva rimanere in mano a quel malavitoso di merda.
D’altro canto neanche Sahiko l’aveva lasciata morire, anzi, sembrava che provasse in tutti i modi di tenerla in forze. Voleva forse tenerla per farla entrare nel suo esercito?  Voleva usarla come merce di scambio? Non ne aveva idea. Sapeva solo che lui non le avrebbe torto un capello, per un qualche motivo a lei sconosciuto.
<< So cosa stai pensando! >> esclamò l’uomo, vedendola assorta nei suoi pensieri.
<< Dubito... >> aggiunse lei, senza curarsi troppo della conversazione.
<< Ti stai chiedendo perché sei qui, ancora viva e vegeta >> disse lui, mentre la ragazza si mordeva il labbro e annotava mentalmente la possibilità che suo zio potesse leggere nel pensiero. << Non so quali idee tu ti sia fatta, mia cara, ma sono certo di una cosa. Non hai visto il video originale di WitheTiger, o almeno non tutto. >>
<< Fai come vuoi, ma io ho visto quello che mi serviva per fermarti! >>
<< Per qualsiasi persona sulla faccia della Terra quella parte finale era inutile, qualsiasi persona a parte te >> disse lui, cercando di destare la curiosità della giovane << Sai com’è, era indirizzata a te! >>
Explosion 711
<< MERDA! >> urlò con tutto il fiato che aveva in gola Marco. Non ne era sicuro, ma l’interlocutore doveva essere impallidito profondamente. << Mi... mi dispiace agente, ma Shawn... ma Shadowhunter è ancora fermo lì, seduto nella sua cella, come in trance. Secondo me... >>
<< Non mi è utile ad un cazzo il tuo parere, mi serve lui! >> la sua rabbia si poteva percepire in tutto il velivolo.
<< Non possiamo farlo uscire... Mi dispiace... >> rispose l’interlocutore, quindi concluse la chiamata. Marco lanciò il telefono più lontano possibile. Lauren stava cercando in tutti i modi di non piangere, ma le riusciva difficile. Ad ogni missione perdevano sempre qualcuno. << Devo andare io! >> disse Marco, scattando dalla sedia, ma fu prontamente fermato da Maximilian. << Non puoi, sei ancora in convalescenza. >>
<< Ti sembra una motivazione logica per non intervenire?! >> gridò ancora Marco << Noi dobbiamo salvarla, ORA! >>
<< La salveranno loro, tu non puoi muoverti da qui. Mi raccomando! >> disse lui, poi impartì gli ultimi ordini. << Alfred, tu guiderai il gruppo di recupero. Avrai con te Lauren, Igor e Donald. La vostra priorità è la valigetta. Non pensate di anteporre la vita di Jeshi a quella di migliaia di persone. >>
Mentre gli altri annuivano tristemente, Marco si morse il labbro. Odiava la ARMED. Gli avevano fatto perdere la famiglia. Gli avevano fatto perdere la sua migliore amica. Gli avevano fatto perdere la ragazza che amava.
Marco aspettò che il gruppo di recupero si fosse riunito per organizzare l’entrata nel tempio e che Maximilian fosse andato nella cabina di pilotaggio. Poi si alzò, prese il cellulare da terra e fece una telefonata. Il telefono squillò un paio di volte.
<< Pronto >> fece l’interlocutore, ma Marco non rispose. Disse semplicemente: << Ti ricordi che mi devi un favore? Bene, è giunto il momento di riscattarlo >>
<< Dimmi tu dove, Marco >> rispose quello ridacchiando.
Kiyomizudera, Kyoto
Jeshi era lì. Piangeva da ore ormai, dopo che suo zio le aveva fatto vedere il finale del video. Piangeva appoggiata alla grata. Non sarebbero venuti a salvarla, la valigetta era molto più importante. Ma non era quello che la preoccupava. Era il dover vivere con quella merda di suo zio. Ma d’altronde non aveva molte soluzioni.
Li vide. Vide l’acqua incresparsi lentamente, poi vide il jet atterrare. Dal jet uscirono Donald, poi Lauren, poi Igor ed infine Alfred. Dovevano aver affidato la direzione del gruppo a quest’ultimo. Il gruppo si diresse verso l’ingresso secondario. Lei avrebbe voluto urlare per farsi venire a salvare, ma si fermò. Se lo avesse fatto, li avrebbe fatti ammazzare. No, se voleva uscirne doveva sperare che la venissero a salvare.
Oppure doveva fare da sola. Se avesse avvisato la guardia del jet e se fosse riuscita a farla entrare nella sua cella avrebbe avuto una minima possibilità di fuggire.
<< Ehi, tu >> disse all’uomo posto a sua guardia, affacciandoci alle grate della porta blindata << Da quando avete un jet? >>
<< Noi non abbiamo un jet! >> rispose lui, avvicinandosi alla porta.
<< Eppure c’è! >> disse lei.
<< Devo comunicarlo al capo. >>
<< E tu credi che senza vederlo lui ti creda. E’ mio zio, quindi so bene che non ti crederà se gli dici che ti ho detto della presenza di un jet. Forse è meglio se gli dici di averlo visto tu stesso. >>
<< E chi mi dice che non sia una trappola? >>
<< Entra, mettimi le manette poi guarda. >> rispose lei << Non dovrebbe essere difficile, no? >>
La guardia osservò attentamente la ragazza, poi la cella, quindi aprì la porta e le puntò una pistola contro. Lei di tutta risposta pose tranquillamente le mani verso l’uomo, che la ammanettò. Poi si mise in un angolino, facendo cenno all’uomo di affacciarsi alla finestra. << No, non è decisamente nostro. >> disse osservando l’esterno. << Esatto, quello è mio! >> disse lei, poi velocemente passò le manette intorno al collo del malcapitato. Tirò il più forte possibile la catena che univa le due manette, mentre l’uomo si dimenava. Mano a mano che passavano i secondi l’uomo cominciò a dimenarsi sempre di meno, finché un sottile rivolo di sangue non sgorgò lentamente e incessantemente dalla gola della guardia. Solo allora Jeshi lo lasciò, prese la sua pistola e uscì dalla stanza, non dopo essersi tolta le manette. Mentalmente si fece una lista di priorità: doveva per prima cosa recuperare le proprie armi, quindi stabilire un contatto con il resto della squadra, e poi...
E poi uccidere Sahiko.
Sede della ARMED, USA (Celle di contenimento)
Nulla era cambiato, in quella prigione. Ma nella testa di Shawn sì.
<< Cazzo, esci subito dalla mia vita! >> urlò nella visione Shawn. Aracnus lo osservò, poi con la stessa rabbia del ragazzo rispose: << Non sono io che sono entrato nella tua vita, la colpa è tua! >>
<< Smettila, il copro è il mio. Ti ho detto di andartene! >>
<< Dopo tutto quello che ho fatto per te! Andarmene! Andiamo ti ho sempre salvato! >>
<< Hai quasi ucciso i miei amici! >>
<< Questo perché non riuscivo a controllarti! >>
<< ORA BASTA!!! >> il grido del ragazzo risuonò per tutta la stanza mentale.
Solo allora partì un’altra visione. Era sempre di Shawn da piccolo, ma un paio di anni dopo la prima.
<< Ciao mamma >> disse il ragazzo entusiasta alla donna. Lei sorrise dolorante. Il ragazzetto, doveva essere ai primi anni del liceo, andò in camera sua. Lì lo attendeva qualcuno. << Ehi! >> disse lui all’umanoide seduto sul suo letto.
<< Ehi! >> rispose lui << Come è andata? >>
<< Bene, oggi ci hanno insegnato le equazioni. Nulla di complicato. >> rispose il ragazzino appoggiando lo zaino ai bordi del letto. La luce debole filtrava dalle tende nella stanza, dando un’atmosfera rilassante all’unica protezione della sua vita. Aracnus sorrise, poi aggiunse: << Hai già deciso come fare? >>
<< Forse, stasera proverò, ma mi servirà il tuo aiuto. >> disse il ragazzo, poi prese un bel respiro, chiuse gli occhi e disse: << Credi di poter riuscire ad assumere una forma umana? >>
<< No, ma posso benissimo impossessarmi di un impiegato del negozio di armi che hai visto ieri. >> disse il demone. Il giovane sorrise tranquillamente. Il suo piano non poteva fallire. La visione mutò, e passò a qualche ora dopo. Suo padre tornò a casa, e come solito era ubriaco. Shawn prese la pistola dal comodino, la stessa che un impiegato gli aveva lanciato alla finestra poche ore prima, controllato da Aracnus. Il padre litigò con la madre, come al solito, poi la prese di forza e la portò nella camera al piano di sopra. Un colpo di bottiglia che si frantumava sulla parete che separava il malvagio ubriacone dalla coppia demone-Shawn fece capire al ragazzo che era giunto il momento di agire. Caricò la pistola ed uscì dalla sua stanza. Mentre camminava lungo il corridoio, Aracnus andò al suo fianco, allo stesso passo, non un centimetro più avanti, né uno dietro. Arrivato davanti alla porta sentì un grido di dolore che gli diede la forza di avanzare. << Fermo o ti ammazzo stronzo! >> disse deciso il ragazzo puntando la pistola contro l’uomo. Questi fermò la mano con la quale stava per colpire la donna e si voltò.
“Cazzo” pensò il giovane, quando vide che anche il padre aveva estratto una pistola. Il proiettile sparato prima sarebbe stato il vincente. Doveva essere il suo. In una frazione di secondo premette il grilletto. Troppo lento.
Il proiettile si conficcò nella parete, mentre Shawn cadeva inerme sul pavimento. Colpo al cuore. Suo padre aveva una buona mira sebbene ubriaco.
Aracnus rimase lì immobile. “Non può morire! Gli avevo promesso che lo avrei aiutato! Non può succedere! Ho solo una possibilità per salvarlo.” pensò il demone preoccupato. Gli stava a cuore la vita di quel ragazzo, e avrebbe fatto di tutto per aiutarlo. << Shawn >> disse il demone, sicuro di essere visibile solo al ragazzo << Io posso salvarti. Dimmi solo se lo vuoi. >>
Il ragazzo stava perdendo molto sangue dal foro nel torace. Gli restavano pochi secondi, in cui avrebbe emanato pochi ultimi respiri. << Fa... fallo >> rantolò il ragazzo con quel poco di energia che gli era rimasta.
Aracnus entrò nel corpo di Shawn, e con le proprie forze lo trasportò all’aperto, attento ad usare parte della sua energia per mantenere viva la conoscenza del ragazzo. Si diresse in giardino, dove comandò gli arti del ragazzo per tracciare con una tanica di benzina un pentacolo, quindi dispose il ragazzo al suo centro e diede fuoco ad una punta, mentre pronunciava alcune frasi in lingua sconosciuta. Dopo di che accadde qualcosa che nessun umano saprebbe definire.
<< In pratica >> aggiunse Shawn, ancora scettico, quando la visione fu finita << Tu hai sacrificato il tuo corpo per salvarmi. Ti devo i miei ringraziamenti. >>
<< Beh, dopo non sono riuscito a gestire tutto bene, quindi ho perso la possibilità di gestire le mie azioni quando mi liberavo. Rabbia repressa, tua e mia, ci hanno fatto impazzire in Giordania. Mi dispiace. >>
<< E come mai i miei non si ricordarono niente? >>
<< Il tappeto era rosso per il sangue di tua madre, così tanto che il mattino dopo nessuno si accorse di niente. Tua madre pensò di essersi immaginata tutto. Tuo padre era ubriaco, non aveva capito bene quello che era successo. E tu... beh, tu non ti sei mai ricordato niente di quella sera, e con l’andare degli anni hai dimenticato completamente anche me >>. Aracnus fece un gran respiro e si avvicinò al ragazzo. << Ora però devi uscire da qui. Io posso controllarti se tu lo vuoi, e se mi aiuti posso evitare problemi. >> Shawn fece un bel respiro. << Un giorno tu mi proponesti di salvarmi la vita a costo della tua, e nonostante tutto tu hai continuato a farmelo pesare, perché? >>
<< Scusa, ma non era un gran momento. Ero un po’ stressato dagli ultimi avvenimenti e, beh... essere un demone non significa essere insensibile. >>
<< Bene, perché ora non sei un demone. Sei me. >> disse Shawn << E noi due dobbiamo salvarli tutti. >>
Nella realtà, dopo quasi una settimana di stasi, Shawn si mosse e si alzò.
Kiyomizudera, Kyoto
<< Destra! >> disse Alfred, e come se si trattasse di un sol uomo il gruppo svoltò a destra. Donald e Lauren freddarono con una mira impeccabile i tre che si affacciavano al corridoio per impedire loro di passare. << E’ sempre un piacere sparare con lei, capo. >>
<< Non chiamarmi capo! >> disse Donald, cambiando il caricatore della pistola. Igor nel frattempo aveva preso anche lui un’arma da fuoco, ma essendo incapace di utilizzarla la teneva in mano solo per bellezza. O per usarla come clava, anche se questa opzione non lo aggradava.
Mentre i quattro avanzavano verso la zona della valigetta, Jeshi li contattò con la ricetrasmittente: << Salve ragazzi! >>
<< Jeshi, sei riuscita a fuggire? >> chiese Lauren. La ragazza sbuffò per l’ovvietà della stagista, quindi continuò: << Ho recuperato tutta la mia attrezzatura, sto cercando di raggiungere Sahiko. Se troverò la valigetta la lascerò dov’è, e mi aspetto che voi facciate lo stesso con mio zio. A ognuno i suoi affari. >>
<< C’è un problema allora! >> esclamò Marco, tramite un’altra trasmittente.
<< Quale? >> chiese Donald, preoccupato per la sicurezza dei due rimasti sull’Explosion.
<< Beh, che noi non abbiamo un affare da seguire. >> disse il ragazzo.
<< Tu e Bonesbraeker dovete mantenere il controllo sulla missione, no? >>
<< Ah, giusto. Forse dovrei precisare che “noi” non era riferito a me e Bonesbraeker. Lui sta passando il tempo nel garage... legato... >> disse il ragazzo, dopodiché distrusse la ricetrasmittente con un preciso colpo di pistola. Il quartetto senti solo il flebile suono dell’interferenza, mentre Don bestemmiava pesantemente a causa dei suoi due più giovani agenti.
Da una parte l’onore della giapponese e un minimo di risentimento per non essere parte del piano la avevano portata a comportarsi fregandosene del resto della squadra, dall’altra l’ego e la rabbia repressa di Marco avevano fatto in modo che il ragazzo si alleasse con qualcuno e a legare Maximilian pur di combattere per le sue decisioni. Cosa c’era di peggio? Ah già, erano nella casa di un boss della mafia giapponese. “Non proprio la giornata migliore della mia vita”.
Lauren lo stava fissando da un po’, poi chiese << Don, cosa pensi di fare? >>. Donald sbuffò, ma da dietro diede voce ai suoi pensieri Alfred, forse con un linguaggio non proprio accademico: << Che cazzo vuoi fare? Tanto quei due faranno sempre come cazzo gli pare, quindi tanto vale continuare con la missione come se niente fosse. >> detto ciò avvisò di tre scagnozzi che provenivano dal lato destro. Il primo fu ucciso da un colpo dritto tra gli occhi da Lauren, mentre gli altri indietreggiarono subito verso un riparo. Ne uscì fuori una sparatoria che durò una manciata di secondi, in cui i proiettili volavano praticamente solo da una parte, quella dei malavitosi. Lauren e Donald, infatti stavano solo facendo da esca. Dopo un po’ Igor e Alfred, passati da un piccolo corridoio alternativo, si erano ritrovati esattamente alle spalle dei due. Senza pensarci un attimo, Igor ruppe la testa di uno sbattendola contro il muro, mentre Alfred ne trapassò un altro con una lama estraibile della sua armatura.
Da un’altra parte Jeshi era avvinghiata ad una guardia. Con un sottile filo di ferro, aveva provato ad ucciderla senza fare alcun rumore, ma si ritrovò subito dopo a doversi aggrappare all’uomo quando questo aveva incominciato a dimenarsi. << Addio morte silenziosa! >> mormorò la ragazza, mentre da dietro alcuni scagnozzi continuavano ad arrivare nell’area. Con tutte le sue forze Jeshi spostò il corpo a cui era appesa per fare scudo fra lei e i nuovi arrivati. Un paio di pallottole colpirono l’uomo, che cadde a terra. La ragazza si tuffò dietro di lui e continuò ad usarlo come scudo, quindi rispose al fuoco con un paio di frecce. Andarono tutte a segno, come al solito, ma purtroppo erano troppo poche, e due uomini erano rimasti in vita. “Ho solo una possibilità” pensò, quindi afferrò la sua lancia. Si gettò verso i due uomini. il primo si era avvicinato al suo nascondiglio, quindi non fu difficile trafiggerlo da parte a parte. Riprese la lancia dalla schiena del primo e passò al secondo. Questo era più lontano, quindi dovette correre verso di lui scattando a destra e a sinistra per evitare i proiettili. Un ninja. Si stava muovendo come il miglior ninja che lei avesse mai visto. Meglio del suo maestro. Era per questo che era stata addestrata.
Era per questo che era entrata nella squadra.
Era per questo che combatteva.
Era per questo che viveva.
Estrasse con agilità la lancia insanguinata anche dal secondo uomo. Pulì il sangue sulla giacca di uno dei due. Poi alzò lo sguardo. Era nella sala principale, dove ogni giorno uscita dalla sua stanza si incontrava con il suo maestro. Era dove lui ogni giorno le ricordava gli scopi del suo allenamento. Dove era custodita la sua veste da ninja, bianca con i decori neri, e la lancia d’oro, entrambe nella teca recante la targa “A Jeshi Yamamoto, la ragazza col sangue infetto”. Era il soprannome che le dava il suo maestro, perché, stando a quanto diceva lui, aveva dentro il sangue di una vipera. Ma ora, riletta sotto la luce di quello che aveva visto nel video, le pareva il più grande insulto della sua vita. Calciò la vetrina mandandola in mille pezzi, afferrò la lancia e la tuta.
Sede della ARMED, USA (Celle di contenimento)
<< Quante volte ve lo devo dire che sto bene?! >> gridò esausto Shawn, ma l’unica risposta che ottenne fu il leggero rumore dell’obiettivo della telecamera che zoomava su di lui. “Non ti faranno uscire finché non sarà ritornata la S.O.S.” gli comunicò nella sua testa Aracnus. “Grazie” rispose Shawn, abituatosi ormai dopo ore alla voce nella sua testa che lo confortava. Si rimise a sedere dopo aver percorso per la terza volta l’intera lunghezza della stanza. “Non c’è nulla che possiamo fare” disse sconsolato l’uomo nel suo cervello. “Tu forse, ma io posso fare qualcosa. Non ho la massima libertà di movimento, ma posso separarmi dal tuo corpo fino a 5 metri. Posso andare senza farmi vedere nella stanza accanto e capire cosa dicono. Chiudi gli occhi e vedrai quello che vedo io”. Shawn chiuse gli occhi, quindi attese. Il demone si separò dal suo corpo, provocandogli un brivido. Cominciò a vedere tutto da una diversa prospettiva, come se stesse guardando uno schermo di una telecamera. La “telecamera” si spostò ed attraverso la parete. Arrivò in una stanza con tre uomini. << Dovremmo farlo uscire! >> disse uno.
<< Sei matto! Se quello fa come ha fatto in Medio Oriente siamo finiti. >> disse un altro.
<< Abbiamo già provato ad avvisare la squadra? >> chiese il terzo. Il primo strinse le spalle. Il secondo rispose, un po’ titubante: << Effettivamente no! >>
<< Fatelo! >> disse il terzo, mentre armeggiava con gli schermi che mostravano Shawn. Il primo uscì dalla stanza, poi fu seguito dal secondo, con il compito di avvisare il presidente. Rimasto solo il terzo, prese il telefono e chiamò un numero. << Capo, il tizio si è risvegliato, come facciamo ora? >> chiese all’interlocutore. Purtroppo quello parlò a bassissima voce, quindi non si sentiva niente di quello che diceva. << No capo, chiede solo di poter uscire >> disse l’uomo al telefono. “Capo... Deve essere un maggiore dell’esercito...” pensò Shawn. << Capo! >> disse la guardia << E se scoprisse che noi li stiamo usando? >>
Shawn ebbe un sussulto. La debole voce al telefono si era ora trasformata in un grido, ancora incomprensibile, ma trasmetteva quello che l’interlocutore voleva dire: era arrabbiato per la stupidità del suo sottoposto, che si era lasciato scappare quella frase. Shawn capì subito. C’era qualcuno che stava usando la squadra per scopi personali. Gli serviva un nome.
<< Mi scusi, Lord WarFighter! >> disse servizievole il sottoposto. Shawn si alzò. Aveva gli elementi di un puzzle enorme, ma aveva bisogno di altri elementi, di altre persone che lo potessero aiutare. “Aracnus, possiamo uscire da qui?”
“Non ci resta che aspettare” disse il demone.
“Possiamo uscire da qui ORA?” chiese l’uomo. Il demone rientrò nel suo corpo. Shawn riaprì gli occhi e si diresse verso un muro. “Aracnus, in quanti nella S.O.S. possono distruggere una parete con un pugno?”
“Attualmente solo Igor”. Shawn si concentrò e colpì la parete alla massima potenza possibile, aiutato dell’essenza paranormale all’interno del suo corpo. << Ora siamo in due! >> esclamò l’uomo fra le macerie del muro, mentre l’allarme scattava.
Kiyomizudera, Kyoto
<< Ci siamo! >> disse Alfred << Dietro questa porta c’è la valigetta, ma abbiamo un problema >>. Tutta la squadra guardò male il professore, il quale stava osservando con un visore a raggi x. << C’è anche Sahiko. >> disse << Quindi siamo arrivati per primi. Non possiamo rischiare di intervenire. Già Jeshi potrebbe arrabbiarsi e reagire male per come abbiamo organizzato la missione, figuriamoci se ammazziamo suo zio. >>
<< E se lo tenessimo sotto tiro senza colpirlo? >> chiese Lauren. << Non c’è tempo >> disse Donald << Dobbiamo entrare e recuperare la valigetta >>. Tutti erano pronti ad obbedire. Alfred riferì la posizione degli scagnozzi del boss e si appostò vicino alla porta. Al segnale del colonnello entrarono prepotentemente nella stanza.
<< S.O.S. mani in alto! >> gridò McRonald. Come ovvio non obbedirono, così Lauren fu costretta a seccarli il più velocemente possibile.
<< Bella mira! >> disse Sahiko, alzando lentamente le mani ma rimanendo sempre seduto sul suo trono. << Grazie! >> disse Lauren, puntando la sua revolver verso la testa dell’uomo, ma rimanendo ad un paio di metri di distanza. << Mi dispiace solo per i miei cecchini. >>
<< Cecch... cosa? >> chiese la ragazza, ma un proiettile colpì lo spazio in mezzo ai suoi piedi. Dall’alto sbucarono otto uomini, due per ogni lato, armati di fucile di precisione. Lauren alzò le mani e gettò la pistola, seguita dal resto della squadra. << Merda. >> sussurrò Igor.
<< Non così in fretta! >> disse una ragazza in tuta bianca, puntando una lancia d’oro contro l’uomo. << Jeshi?! >> chiese titubante Sahiko. << Ma non mi dire!? Non credevo fossi così intelligente! >> disse lei. Un cecchino colpì la punta della lancia, facendole perdere la presa. << Oh, nipotina, nessuno ti ha insegnato che “cecchino” significa “tizio che può colpirti anche se lontano un chilometro”? >> disse il boss ridendo malefico. Detto ciò indicò alla giovane, che nel frattempo aveva alzato le mani, il resto del gruppo e la invitò ad unirsi a loro.
<< Sapete perché avete perso? >> chiese ironico Sahiko << Perché vi siete sopravvalutati. Non perderò tempo a farvi il monologo del cattivone, sapete, porta sfortuna. Quindi passo al giro di esecuzioni. Iniziamo dalla mia nipotina, tanto ormai non mi è utile a niente. >>
Sahiko si avvicinò alla ragazza e le puntò la revolver di Lauren raccolta da terra. Si avvicinò finché non ebbe la canna della pistola sulla fronte della nipote. Il sudore freddo della giovane cominciò a cadere sul pavimento. << Adieu. >> disse il malavitoso. Quindi premette il grilletto.
Jeshi sorrise. Lo sapeva. I tempi erano stati perfetti. Aveva calcolato tutto nel minimo dettaglio. Sahiko stava impallidendo. << Sai perché pensavi di aver vinto? >> disse lei disarmandolo, mentre i cecchini notarono a loro spese come i fucili non sparassero. << Perché credevi che ci fossimo sopravvalutati, invece siamo stati bravi a fartelo credere. >> concluse lei. “Un bel colpo di scena” pensò la ragazza “ma quanto ci mette ad arrivare?”
Un’esplosione distrusse la parete. Piccoli segni di un incendio si diramarono fra le macerie. << Qualcuno ha chiesto una pizza? Una consegna Amazon prime? No?! Beh, fottesega! >> disse Marco uscendo da una nuvola di fumo, con il bordone in mano e la gemma incastonata che brillava di un azzurro chiaro. << Scusate il ritardo ragazzi, ma ho dovuto aspettare un po’. >> disse accennando un saluto al resto della squadra, che piano piano avevano abbassato le mani, poi si rivolse a Sahiko: << Oh, tu devi essere Sahiko, non abbiamo avuto tempo per le presentazioni ufficiali. Il mio nome è Marco Rossi, ma tu puoi chiamarmi Magic. Anzi non puoi, devi! E questi sono Don, La Rossa, Frankenstein, Prof e Babelfish. Ah, è vero, vi conoscete già. Ma permettimi di presentarti l’ultima persona che ti farà il culo. Signori e signori ecco a voi... >> detto ciò indicò la parete opposta a quella da cui lui era entrato. Attese un paio di secondi, poi si voltò e disse: << Ok, abbiamo un piccolo problema tec... >>. Non riuscì a finire la frase che il muro dietro di lui esplose come era già successo prima. Soddisfatto si voltò, poi finse interdizione: << Sei in ritardo! >>
<< Lo sai che le dive si fanno aspettare. >> disse una voce nel fumo dell’esplosione. << Ma tu sei più di una diva... >> disse Marco, mentre a poco a poco il grigio si diradava mostrando il volto di una ragazza con una pistola in mano.
<< Sei la mia eroina, Angie! >> concluse Marco, allungando da galantuomo la mano ad Angelique Stess, nota anche come Angelique de la Croix, per aiutarla a scendere dal cumulo di macerie.
La squadra finalmente al completo uscì dall’edificio, con Alfred che aveva in mano la valigetta a Jeshi che teneva sotto tiro Sahiko, che avanzava con le mani ben in vista. << Ok, qualcuno liberi Bonesbreaker >> disse Marco in fondo al gruppo con Angie, salvo poi notare che la mano che si era appena appoggiata sulla sua spalla non era della ragazza. << Non ti preoccupare, so fare da solo! >> disse Maximilian, sorpassando il ragazzo sbiancato e dandogli una pacca sulla schiena.
<< Uccidimi >> disse allora Sahiko. Alfred si avvicinò a Jeshi, ma Don e Bonesbreaker fecero cenno a lui e al resto della squadra di stare fermi. Jeshi si morse il labbro. Se fosse successo prima, avrebbe volentieri sparato senza esitare, ma adesso credeva che neanche la morte potesse bastare. << No, zietto, farò di peggio. Ti farò arrestare in un carcere americano. Non in isolamento, ma insieme ad altri detenuti. Chissà, magari trovi qualcuno... >> disse la ragazza, dopo di che spintonò lo spaventato Sahiko verso il generale, il quale lo ammanettò e lo portò via con un jet della polizia giapponese, requisito a due poveri agenti per l’occasione.
Spazio aereo internazionale.
Marco si avvicinò titubante a Angelique. << Ehi... Ehm... Beh... Grazie. >> disse il ragazzo, in un momento di timidezza che non aveva mai avuto. << Beh... Ecco... Cioè... Ero in debito con te, quindi ora siamo pari...? >> rispose lei arrossendo. Marco avrebbe potuto concludere la conversazione dicendo “Sì, siamo pari” ma qualcosa dentro di lui gli impediva di farlo. O meglio, gli suggeriva che c’erano altre parole che doveva dirle, e a sua insaputa anche nella testa della ragazza succedeva la stessa cosa. << Senti... >> iniziò lui, poi fece un bel respiro, prese coraggio e iniziò << Senti, non posso negare che mi sei mancata. Avrei potuto riuscirci da solo, e non è per darti dell’inutile, ma ho comunque chiamato te perché... beh, perché avevo bisogno di te. Non so se quello che ci è successo sia deciso dal destino e sia semplicemente frutto di una serie di enormi coincidenze, ma in ogni caso siamo qui. E io non posso fare a meno di te >>. Angie arrossì ancora di più, mentre lo fissava attraverso una ciocca di capelli che le copriva il viso. << Odio i monologhi, salta al dunque... >> disse lei.
<< Angie? >>
<< Sì >>
<< Ti amo... >>
<< Anch’io ti amo >> disse lei buttando le braccia al suo collo e baciandolo appassionatamente. Quello era il loro momento. Era il momento in cui nessuno sarebbe stato in grado di distoglierli dal loro idillio. Perché c’erano solo loro, loro e il mondo.
Se ne accorse Don, che li stava chiamando da almeno dieci minuti per la riunione della squadra. << Ah, fottetevi! E non prendete alla lettera le mie parole >> disse lui, girandosi e andando verso il centro dell’Explosion, dove la squadra stava seduta davanti ad un monitor, con Jeshi che parlava. << Grazie per avermi aiutato con mio zio... Abbiamo rischiato molto, ma dovevo vendicarmi. >> disse prendendo il telecomando ed accendendo il televisore, poi continuò << Credo sia meglio che voi sappiate tutta la verità. >>
<< Mandate la migliore squadra che avete. Fate presto! >> disse WhiteTiger, concludendo il discorso che avevano già sentito. << Vi do un altro compito se non vi dispiace. Io e RedFox abbiamo una relazione, non c’è da negarlo. Lei è rimasta incinta. A breve avremo una figlia, stando a quanto dicono gli esami. Io sarò già morto quando nascerà, ma lei verrà allevata da RedFox e da suo fratello BlueKoi fino a quando non diventerà troppo pericoloso. A quel punto la lasceranno in un tempio, il Kiyomizudera a Kyoto. Voi dovrete recuperarla appena potete, impedite che il boss mafioso metta le mani su di lei. >> poi fece un bel respiro e continuò << Se non sbaglio dovrebbe avere sedici o diciassette anni quando la preleverete. Fatele vedere questo messaggio. >> sembrava la conclusione, ma l’uomo si aggiustò i vestiti, sorrise e ricominciò.
<< Ciao, piccola. Tu non mi conosci, e forse questo è un bene. Io sono tuo papà. Sì, lo so che credi che tuo padre sia quell’uomo alto che sta sempre vicino a mamma, o stava, dipende dagli avvenimenti. No, quello è solamente suo fratello, come è tuo zio anche quel malvagio essere che ci ha causato grandi problemi. Mi dispiace essermi perso tutti i tuoi compleanni, i tuoi riti giapponesi, ma so che crescerai come la migliore kunochi che abbia mai visto. Ti prego, ricordati che vendicarsi non significa uccidere. La vendetta è molto di più. E’ vedere uno che soffre la vera vendetta. Ma non è di questo che dovrei parlare. Piuttosto sappi che papà ti ha sempre voluto bene e che ti protegge da dove è adesso.
Ti voglio bene, Jeshi >> concluse l’uomo.
<< Ti voglio bene anch’io, papà. >> sussurrò la giovane, abbassando il capo per non far vedere le lacrime che scendevano. Ad uno ad uno, i membri della squadra, anche Marco e Angie, la rincuorarono come poterono. Lei si asciugò le lacrime e sorrise. << Sto bene, grazie >> disse.
Qualche ora dopo erano di nuovo tutti a letto. Dovevano riposare, se volevano rimanere attivi. Ma Jeshi non riusciva a dormire. Si alzò e andò verso la sala centrale. Trovò stranamente Lauren, Marco ed Angie, questi ultimi due abbracciati. Tutti e tre avevano una bottiglia di tè verde in mano. << Oh, capiti a proposito. >> disse Marco, notando la presenza dell’amica << Benvenuta nel club “Persone che hanno troppi problemi per dormire” >>. Lauren lo guardò male e gli disse: << Tu non fai più parte del club da oggi! >>. Marco strinse le spalle e ne approfittò per baciare Angie. Jeshi prese una bottiglia di tè verde e si unì a loro. << Eh, no! >> disse Lauren, rifilandole una bottiglia della bevanda che odiava di più, la Fanta. << Vedi >> disse Marco, notando la faccia dubbiosa della giovane << Qui noi ci struggiamo per le sfighe della vita. Per questo invece di tagliarci come degli adolescenti, ci facciamo ettolitri della bevanda che ci fa più schifo in assoluto. Ironia della sorte, è il tè verde per tutti e tre! >>. Jeshi fece un leggero sorriso, poi stappò la sua Fanta e se la scolò. << Devo ammettere che avete fatto impazzire Alfred. Posso sapere perché le riponete nel cestino con così tanto ordine? >>
<< Perché mi piace l’ordine >> disse sorridendo Lauren.
<< E allora cosa erano i bussi che sentiva Prof? >>
<< Quello ero io che facevo esplodere le bottiglie riducendole in polvere di vetro >> disse Marco. Jeshi si alzò, quindi iniziò un discorso: << Ne abbiamo passate tante insieme. Troppe per una squadra normale. Ma noi non siamo normali, siamo la Special Operative Squad. E per quante ne abbiamo passate, non saranno mai abbastanza. A noi! >>
<< A noi! >> risposero in coro i tre.
Il mattino dopo si sedettero tutti quanti al tavolo per la colazione. Erano tutti lì, felici e contenti. Lauren e Jeshi parlottavano fra di loro riguardo a qualcosa, forse ragazzi. Alfred illustrava a Igor il progetto di un nuovo paio di guanti ancora più forti dei precedenti. Marco era abbracciato a Angie, mentre lei aveva la testa appoggiata alla sua spalla. Don e Max discutevano su rapporti e altre scartoffie. Nulla avrebbe potuto rovinare quel momento.
Il telefonò di Bonesbreaker squillò. Il silenzio calò sulla stanza. Tutti si aspettavano una qualche brutta notizia. Il generale rispose malinconico: << Pronto! >>. L’interlocutore parlò, e la sua faccia passò dalla tristezza al dubbio, dal dubbio alla certezza e dalla certezza alla felicità. Mise in attesa l’uomo al telefono e allontanò il dispositivo dall’orecchio. Detto ciò lo inserì in una fessura del tavolo che permetteva di collegare la chiamata al sistema acustico del jet. << Parla pure! >> disse l’uomo.
<< Ehilà ragazzi! >> disse Shawn, accolto dalle grida di felicità di tutti. << Come te la passi fratello? >> chiese Marco, sorridente come tutti. << Sono successe un bel po’ di cose. >> rispose lui.
<< Anche a noi, ma inizia pure tu. >> disse Alfred.
Il ragazzo fu logorroico. Purtroppo dopo un paio di minuti Jeshi fu contattata al cellulare e dovette uscire dalla stanza. << Ok abbiamo capito! >> disse Maximilian, esausto dalle parole del ragazzo. << Non ho finito... >> rispose lui. La sua voce si fece cupa, ma nessuno se ne accorse, finché non continuò: << Qualcuno sta controllando la ARMED per i fini personali. Non so il suo vero nome, ma conosco il nome in codice... >> tutta la felicità scemò fino a sparire del tutto, dopodiché concluse: << Lord WarFighter! >>. Neanche una mosca volava nella stanza. La prima a parlare fu Angie, sussurrando a Marco: << Lo conosco! >>
<< Parla a tutti allora! >> disse lui.
La ragazza cominciò: << Non so chi sia, ma mio padre teneva un registro degli affari. Tutti gli uomini che facevano affari con lui erano segnati con nomi in codice, così che se mai fosse stato arrestato loro sarebbero rimasti salvi. Io però, visto che mio padre mi voleva al suo fianco ad ogni incontro, conoscevo tutte le loro vere identità, tranne quella di uno che aveva espressamente chiesto di incontrare solo mio padre. Beh, ora sto ripagando come è giusto ognuno, usando il registro, ma purtroppo ho solo il nome in codice di quell’uomo: Lord WordFighter >>
Igor fu il secondo a prendere parola: << Ricordo bene la prima missione. C’erano delle carte sulla scrivania dei terroristi. Una di quelle era un telegramma firmato da Lord WarFighter. >>
<< Abbiamo un problema! >> disse Jeshi, bianca come uno straccio, rientrando nella sala da pranzo << Mi ha contattato Sahiko dalla prigione. Mi ha detto che si è pentito di tutto quello che ha fatto e ha voluto dirmi una cosa. Dopo un paio di ore in cui pensava al senso del video, lo ha contattato quello a cui doveva vendere la valigetta e gli ha detto dove trovarla. Ha detto di stare attenti. Ha anche detto come si fa chiamare: Lord WarFighter. >>
<< Cosa facciamo ora? >> chiese Lauren
<< Beh >> rispose Marco, afferrando il bordone << Lo fermiamo! >>
   
 
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