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Autore: determamfidd    08/07/2015    1 recensioni
La battaglia era finita, e Thorin Scudodiquercia si svegliò, nudo e tremante, nelle Sale dei suoi Antenati.
La novità di essere morto sparisce in fretta, e osservare i propri compagni presto lo riempie di dolore e senso di colpa. Stranamente, un debole barlume di speranza si alza nella forma del suo parente più giovane, un Nano della linea di Durin con dei capelli rosso intenso.
(Segue la storia della Guerra dell'Anello)
(Bagginshield, Gimli/Legolas) Nella quale ci vuole tempo per guarire, i membri morti della Compagnia iniziano a guardare Gimli come se fosse una soap opera, Legolas è confuso, il Khuzdul viene abusato, e Thorin è quattro piedi e dieci pollici di sensi di colpa e rabbia.
[Traduzione]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Gimli, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia, Un po' tutti
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Thorin si scrollò di dosso la luce stellare, e alzò un braccio. «Vieni, namadul, appoggiati a me.»

Kíli guardò su con spaventati occhi cerchiati di rosso e quasi cadde dalla collinetta su cui era appollaiato. «Oh mio Creatore» ansimò, premendosi una mano sul petto «Mi hai spaventato da morire!» poi fece una smorfia «Beh, quando dico morire...»

Le labbra di Thorin si contrassero. «Molto divertente. Vieni, hai un aspetto orrendo.»

Kíli borbottò sottovoce, ma lo seguì doverosamente lo stesso. I suoi capelli erano un nido d'uccello, e le borse sotto i suoi occhi erano persino più profonde di quelle di Fíli. Si appoggiò di peso a Thorin e sbadigliò fino a farsi scrocchiare la mascella, ogni molare nella sua bocca visibile nella pallida, fumosa luce del giorno.

«Meraviglioso» ringhiò Thorin.

«Scusa» borbottò Kíli, appoggiandosi più pesantemente a lui «Un po' stanco.»

«Aye, lo so, nidoyel, e sono qui per aiutarti. Dove sono Frodo e Sam?»

Kíli si strofinò un occhio e indicò vagamente con l'altra mano. «Di là. Gollum ha appena fatto un orrendo capriccio perché non voleva mangiare il lembas poco fa, e ora ha messo il broncio. Sam è nervoso perché il piccoletto viscido si è lamentato della sua cucina. Frodo...» Kíli scrollò le spalle «Non lo so. Frodo è distante e triste un minuto, determinato e serio quello dopo.»

Thorin guardò nella direzione che Kíli aveva indicato. «Sono notizie deprimenti» si disse piano «Ha davvero cambiato tanto?»

Kíli fece una smorfia. «Io... non lo so. È difficile da spiegare. Sam è l'unico che riesce ancora a farlo comportare come uno Hobbit, e quei momenti stanno diventando sempre meno e sempre più lontani fra loro. Il resto del tempo è...» si interruppe e fece di nuovo spallucce «Come ho detto, è difficile da spiegare.»

Thorin continuò a guardare il nebbioso, monotono paesaggio, stringendo distrattamente il braccio di Kíli. «Ancora come uno Hobbit» ripeté, e si accigliò. Sì, era vero. Frodo era stato un normale Hobbit, interessato ai funghi e ai bagni caldi e alle canzoni e alla buona erbapipa. Bilbo era stato felice che il suo giovane parente potesse amare la sua terra e la sua gente in un modo di cui lui non era capace.

«Si stanno muovendo?» disse Thorin, scrollandosi di dosso il suo umore e concentrandosi su Kíli. Suo nipote annuì.

«Ti sei perso tutta l'eccitazione prima. Frodo è caduto dentro»

«Caduto dentro?» ripeté confuso Thorin, e poi notò la natura mutevole del paesaggio attorno a loro. Molti dei ciuffi d'erba galleggiavano liberamente tra le acque salmastre, e la bassa nebbia non era solo vapore, ma l'acro odore putrescente di una palude.

Kíli rise amaramente. «Vedi le luci? Non guardarle troppo da vicino. Frodo le ha seguite ed è finito dritto nell'acqua, e furono le dita rapide e le abilità da nuotatore di Gollum a tirarlo fuori.»

Le luci erano stranamente ipnotiche, e chiamavano Thorin allo stesso modo delle stelle della Camera di Sansûkhul. Allontanò lo sguardo. «Cosa successe qui?» disse, la voce bassa e ruvida.

«Gollum dice che è stata una battaglia» disse Kíli, e sbadigliò di nuovo. L'alto mura delle Montagne d'Ombra era davanti a loro, grigio e proibitivo.

«Dagorlad» disse Thorin con un lungo, lento respiro di comprensione «L'Ultima Alleanza. Qui è dove il nostro popolo sacrificò le loro vite per i loro alleati – e in cambio i nostri alleati si dimenticarono completamente di noi a del nostro sacrificio.»

«Pensavo fosse stata per fermare Mordor» borbottò Kíli, e alzò una mano prima che Thorin potesse ribattere «Guarda, sono troppo stanco per ascoltare un'altra predica, quindi possiamo andare a sederci con Frodo e Sam prima che ti inizi a fumare la testa?»

Le sopracciglia di Thorin si alzarono. «Sei diventato sfacciato, o sbaglio» fu tutto ciò che disse, superando suo nipote verso la collinetta erbosa dove potevano essere viste tre piccole forme rannicchiate.

Kíli batté le palpebre, e poi si affrettò a seguirlo. «Aspetta, non sei arrabbiato?»

Thorin sorrise a se stesso mentre Kíli si tormentava le mani, trotterellandogli dietro mentre attraversava le paludi fetide. «No.»

«Perché? Voglio dire, non è che non sia felice del fatto che tu non sia arrabbiato, solo non è... normale per te» disse Kíli ansiosamente.

Thorin guardò alle proprie spalle. «Grazie, sono molto lusingato, namadul.»

«Oh, sai cosa intendo» disse Kíli, alzando le mani «Sei...?»

Thorin si allungò all'indietro senza girarsi e si portò di nuovo suo nipote vicino, stringendo il corpo più piccolo contro al proprio fianco e meravigliandosi nuovamente di quanto fosse alto Kíli. I suoi nipoti sembravano sempre diventare più giovani nella sua mente in loro assenza, e così era sempre una sorpresa essere accanto a loro e vedere i loro volti adulti, i loro arti dritti e le loro teste orgogliose. «Sto bene, Kíli, smettila di preoccuparti. Ci vorrà più che la tua sfrontatezza per innervosirmi.»

«Non è mai stato così» borbottò Kíli, e lo guardò da sotto la sua frangia spettinata «Sembri... più calmo. Di quanto io riesca a ricordarmi.»

Thorin annuì. «Ci sono... problemi, che avrei dovuto affrontare molto tempo fa. Non lo feci. Guarire è doloroso, ma è sempre guarire.»

Kíli sembrava confuso. «Non capisco di cosa tu stia parlando, ma non sei arrabbiato e questo è buono» disse infine, prima di fare un cenno col capo verso dove i due Hobbit giacevano, silenziosi e infelici, in mezzo a un cerchio di strane luci fantasma «Là.»

«Dov'è Gollum?» chiese Thorin, guardando nella nebbia.

«Imbronciato, probabilmente» disse Kíli, appoggiandosi pesantemente alle spalle di Thorin un'altra volta. Thorin poteva praticamente sentire quanto pesanti e lenti fossero gli arti di suo nipote, sfiancato dalla stanchezza. «Ha fatto davvero un capriccio enorme prima.»

«Sam dorme» disse Thorin dopo un momento, accigliato. Non gli piaceva.

«Cosa sta facendo Frodo?» disse Kíli, e guardò oltre alla spalla dello Hobbit. Poi imprecò e barcollò indietro, quasi atterrando sul proprio posteriore.

«Cosa?» abbaiò Thorin, e si voltò a guardare.

Re Sotto la Montagna

Gli sfuggì un urlo strozzato, e alzò le mani mentre barcollava all'indietro. Il luccichio dell'oro gli danzò davanti agli occhi, e il colpo al suo cuore e alla sua quasi dimenticata sete di oro fu quasi insopportabile. «No» ansimò.

Thorin Thráinul, erede di Durin, ultimo Re della tua linea

La voce era così dolce, così dolce! Eppure passò su di lui come una morsa, stringendogli la mente finché non riuscì a udire null'altro. Thorin strizzò gli occhi e cercò di concentrarsi sull'aria che entrava e usciva dai suoi polmoni con tanta forza, sul feroce martellare del battito nel suo collo, sul tremore delle sue gambe. Dietro ai suoi occhi chiusi, una ruota di fuoco stava bruciando.

«È il Nemico» disse con voce strozzata, e dietro di sé sentì vagamente il gemito di orrore e terrore di Kíli «Il Nemico: ci vede, come Gandalf. L'Anello – Frodo deve mettere via l'Anello!»

Poi tremò incontrollabilmente mentre la voce soffiava le sillabe del suo nome oscuro. Vagamente percepì la sua bocca muoversi nella forma della parola “no” - e poi il rimbombo nelle sue orecchie fu interrotto da una parte inaspettata.

«Così brillante. Così bello. Ah, tesssorooo»

La mano di Frodo, sporca e rovinata, si chiuse di scattò sull'Anello come una molla, e rimise la catena nella maglia. La voce svanì.

Thorin cadde a terra, il cuore ancora in gola. Kíli strisciò fino a lui e strinse forte il suo braccio. «Zio...» riuscì a dire. La sua voce era tremula e debole.

«Dammi un minuto» disse Thorin con voce che sembrava piena di polvere. Si girò verso suo nipote e lo strinse, prendendo conforto dalla sua solidità, dalla sua familiarità.

Infine, come sempre, Kíli iniziò a muoversi. Non aveva la pazienza di essere abbracciato a lungo. Stava ancora tremando quando si allontanò, ma i suoi occhi scuri erano pieni di risoluzione e c'era una scintilla della vecchia allegria in essi. Resistenti, i suoi nipoti. «Stai bene?» chiese.

Thorin annuì, e poi esitò. «No» disse, e sorrise debolmente «Mi ha chiamato come nulla ha fatto sin dall'Archepietra. Ho... paura.»

Lo sbuffò di Kíli ruppe ciò che rimaneva della tensione. «Beh, chi non lo sarebbe? Quello è l'Unico Anello. Brrr. Mi servirà una birra dopo questo.»

«Possiamo andarcene tra un attimo» disse Thorin, e afferrò la spalla di Kíli «Quando le mia gambe mi reggeranno.»

Kíli gli lanciò un'occhiata e poi si mise comodo accanto a lui. «A pensarci bene, sì, giusto. Un riposino veloce. E poi birra?»

«E poi birra» confermò Thorin, e scompigliò i capelli selvaggi del ragazzo. Il ghigno di Kíli era meno allegro del normale, ma avrebbe potuto piangere nel vederlo.

Frodo si era tirato in piedi per poi inginocchiarsi accanto alla disgraziata cosa. Gli occhi blu dello Hobbit erano penetranti e acuti, e tutte le tracce di stanchezza erano cadute da lui. «Chi sei tu?» sussurrò.

«Non ce lo chiedere. Non sono affari tuoi» disse Gollum, accarezzandosi gentilmente il palmo della mano con un lungo dito. Thorin si fece forza vedendo il gesto, lo stesso che era passato sul luccichio dorato nella mano dello Hobbit.

«Gandalf mi ha detto che sei un abitante del fiume» insistette Frodo. Kíli scambiò uno sguardo con Thorin.

«Vedi?» sussurrò «Lo sta cambiando. Non so come. Ma è più saggio e più triste di com'era – e anche più forte. Non percepisce quel fuoco né sente quella voce.»

«È uno Hobbit» disse Thorin, e si tirò in piedi. Le sue gambe erano ancora deboli, ma riuscivano a portare il suo peso.

«Fredda la mano, le ossa e il cuore, freddo è il corpo del viaggiatore» canticchiò la vecchia cosa consunta, e Thorin aggrottò le sopracciglia.

«Conosci questa filastrocca?» borbottò a Kíli, che scosse la testa «Sembra vecchia. Molto vecchia.»

«Ha detto che la tua vita era una triste storia» disse Frodo, avvicinandosi a Gollum, i suoi occhi blu decisi.

La bocca della creatura di contorse, e sputò: «non vede quel che il futuro gli porta, quando il sole è calato e la luna è morta!»

«Non eri molto diverso da uno Hobbit una volta» disse piano Frodo, e Thorin indietreggiò. La bile gli risalì in gola. No, non Bilbo, no. «Non è vero, Sméagol?»

Il miserabile si congelò, e i suoi pallidi occhi simili a lampade diventarono persino più grandi, lucenti come se essi stessi fossero lune al buio. «Come mi hai chiamato?» sussurrò.

«Questo era il tuo nome una volta, molto tempo fa» disse Frodo, e una terribile compassione era nel suo volto. Thorin aveva già visto la compassione sul volto di uno Hobbit prima, sul suo letto di morte, e il senso di colpa crebbe in lui in una sensazione familiare. Lo schiacciò senza pietà. Frerin ne sarebbe stato deluso.

«Il mio nome» sussurrò Gollum, e un sorriso tirò le sue labbra rovinate. Lo faceva sembrare una creatura completamente diversa. «Il mio nome. Sméagol.»

Uno strillo tagliò l'aria.

Sam si svegliò di colpo, sedendosi immediatamente. «I Cavalieri Neri!» esclamò, e raccolse le sue padelle con un gran sferragliare e rumoreggiare.

«Via!» strillò Gollum «Via!»

Frodo urlò e si strinse la spalla, e il suo viso era bianco come il gesso e rinchiuso in un qualche ricordo orribile. Sam lo afferrò e lo trascinò fino a quando furono entrambi nascosti sotto all'unico riparo nel raggio di miglia: un minuscolo boschetto di alberi, puzzolenti e ricoperti di fango e rampicanti. Lo stridio del Nazgûl attraversò nuovamente il petto di Thorin, e lui girò sui tacchi, guardando le piatte pianure malsane, desiderando disperatamente la familiare elsa in dente di drago di Orcrist a riempirgli il palmo.

«Guarda!» urlò Kíli, la voce acuta dalla paura. Thorin si girò, ma la mano di Kíli non indicava la pianura, ma l'alto «Guarda!»

«Ci vedranno, ci vedranno» pianse Gollum, e Frodo si piegò in agonia mentre un dolore nascosto gli trapassava il corpo.

«Li credevo morti!» ansimò Sam, tenendo Frodo più fermo che poteva.

«Morti? Aye» ringhiò Thorin, guardando la vasta, orrida cosa. Sfidava a crederci: poteva a malapena comprendere la vista. «Sei circondato dai morti, Samwise Gamgee, e ringrazia il Creatore che non tutti vogliono farti del male» fece una pausa, e strinse la mascella «Questa deve essere la creatura che Legolas colpì sull'Anduin. Una nuova stregoneria di Mordor.»

«Spettri! Spettri con le ali!» gemette Gollum, e si torturò le pallide mani dalle lunghe dita «Stanno chiamando lui. Stanno chiamando il Tesoro!»

«No!» esclamò Kíli, e strinse il braccio di Thorin «Non può...!»

«Diventa più forte» disse Thorin cupamente, guardando il Nazgûl che volava in cerchio «Non poteva chiamarmi prima, eppure ora cerca di tentare i morti. Poté solo chiamare l'Osservatore a Moria. Chi sa cosa può fare ora?»

«Il Nero Cancello è vicino. Non dovrà portarlo molto a lungo» disse Kíli con voce piccola, e non parlò delle sue paure.

Mentre il grande serpente volante di allontanava, Thorin si sentì rilassare dal sollievo e dalla reazione ritardata. «Andiamo» disse infine «Sei esausto, ed è stato un turno difficile.»

«Ho parlato troppo presto quando ti dissi che ti eri perso tutta l'eccitazione» disse Kíli, in tono debole. Si teneva attaccato al braccio di Thorin come se lasciarlo volesse dire attraversare senza controllo il cielo notturno.

Thorin guardò le luci ai suoi piedi, e tremò quando la bella faccia Elfica sott'acqua iniziò a tremare e brillare in modi orribili e indescrivibili. «Andiamo a prendere quella birra di cui parlavi» ringhiò.

Kíli fece un respiro fra i denti. «Se tu non fossi già il mio Re, voterei per te» disse ferventemente.


Il piccolo Frerin Dwainul masticò distrattamente la barba di suo padre, e guardando, il suo zio fantasma sorrise con affetto.

«Ti divertirai con lui quando arriverà ai quaranta» disse a Dwalin, che stava tenendo il suo figlio minore in braccio mentre leggeva i rapporti di Dori sugli sforzi dell'armeria.

«Pa» disse Frerin, masticando ancora la barba di Dwalin «perché non possiamo più andare fuori?»

«Perché non è sicuro, mio piccolo ghivasha. Smettila» disse Dwalin, strappando distrattamente la ciocca della sua barba dalla presa cicciotta del figlio.

«Perché?»

«Perché ci sono un sacco di vecchi orcacci e goblin là fuori che farebbero del male a un bel ragazzo come te»

«Perché?»

«Perché odiano i Nani»

«Perché?»

«Perché li abbiamo fatti a polpette negli anni, e lo faremo di nuovo»

«Perché?»

Dwalin ringhiò, e Frerin ridacchiò.

Balin rise. «Vorrei avergli potuto insegnare storia e lettere, nadad» disse nostalgicamente a suo fratello «Con la tua impazienza, saranno fortunati se sapranno chi fosse Durin.»

«Posso andare a trovare il Signor Dori?» chiese Frerin. Aveva perso un dente solo un paio di giorni prima, e la sua pronuncia era leggermente blesa. Il risultato era adorabile, anche se un po' esasperante per il proprietario del dente mancante, che non poteva più mordere le stecche di caramella al miele che amava tanto e doveva succhiarle invece, diventando “tutto sporco e appiccicoso, bleh!”

«Il Signor Dori è impegnato oggi» disse Dwalin, rimuovendo nuovamente la barba dalla bocca del figlio. Frerin adorava masticare le trecce. I capelli di Piccolo Thorin erano permanentemente pieni di doppie punte grazie all'abitudine di suo fratello minore. «Dovrai fare un po' di compagnia al tuo vecchio Pa, aye?»

«Va bene» disse Frerin, rimettendosi comodo nelle braccia enormi di Dwalin. Il ragazzino stava diventando più grande, ed era chiaro che dei tre figli di Dwalin e Orla, Frerin sarebbe diventato il più alto.

Anche se, pensò Balin orgogliosamente, il suo omonimo era decisamente il più forte.

«Perché devi leggere tutte quelle cose, Pa?» disse Frerin, mettendosi di nuovo la ciocca bagnata in bocca. Dwalin non reagì nemmeno levandogliela, ancora guardando il rapporto.

«Devo fare ordine per il Re e per Zia Dís» disse, e Balin scosse la testa, ridendo. Sembrava che il vecchio soprannome di Gimli per la Principessa si fosse diffuso fino al punto in cui ogni bambino della casata Durin la chiamava “Zia Dís” indipendentemente dalla vera parentela. «Tutti quegli Orchi sulla porta di casa vogliono dire che dobbiamo sapere sempre cosa abbiamo, e...»

Qualcuno bussò alla porta, e Dwalin si interruppe per dire ruvidamente: «è aperto.»

Era Barís Linguacristallina, ed era vestita semplicemente senza i gioielli attraverso il labbro e intorno alla gola che mostravano la sua posizione di Mastro Cantante. «Lord Dwalin» disse, e spostò il peso da un piede all'altro. Non era mai somigliata tanto a Bombur, pensò Balin. «Uhm. Pensavo che forse avrei dovuto parlarvi...»

«Sono un po' occupato» disse Dwalin diretto, e poi dovette tirare di nuovo fuori la sua barba dalla presa di Frerin. Balin dovette mettersi la mano in bocca per impedirsi di ridere tanto da non sentire ciò che diceva suo fratello. Ah, ma era meraviglioso vedere il suo fiero, scontroso, impaziente nadadith come un padre tanto buono e paziente! «Se è per via dei dannati Elfi e le loro canzoni, lo so, lo so, e nemmeno io so che vuol dire “tra-la-la-la-la-la”.»

«No, è per la guerra» disse lei, e abbassò la testa. Il suo sorriso, allegro e umile, era scomparso. «Io... Io ho avuto un'idea. Ho pensato che forse avrei dovuto parlartene.»

Lui aggrottò le sopracciglia. «Beh, suppongo. Barís, forse avresti dovuto parlarne con tua madre e tuo padre prima...»

«No!» esclamò lei, alzando la voce meravigliosa, e poi chiuse gli occhi e strinse i pugni «Mi fermerebbero. Barum e Bomfrís sono i guerrieri: io sono solo una musicista.»

«Ora aspetta un attimo, solo una musicista...» si scaldò Dwalin, per la segreta delizia di Balin.

«Quindi perlomeno quelle lezioni di violino ti hanno dato qualche apprezzamento per la musica» mormorò.

«Ascoltami per favore» implorò lei, e si sedette e avvicinò la sedia al generale brizzolato e al bambino «Ci servono gli Uomini di Dale, vero?»

Dwalin si irrigidì. «Chi te lo ha detto?» ringhiò.

«Nessuno me lo ha detto» disse lei, alzando gli occhi al cielo «È ovvio. Ci servono. Siamo bloccati nella Montagna, e anche se gli Orchi non possono entrare, noi non possiamo uscire. Ci serve una forza dall'esterno, e Bosco Atro non manderà altri. Ha già i suoi problemi.»

«Ce la stiamo cavando finora» iniziò Dwalin, e lei mugugnò irritata.

«Sì, tiriamo frecce all'esercito fino a che non si allontanano troppo anche per gli Elfi» disse, e alzò un sopracciglio fulvo «Io vivo con mia sorella, ricordi?»

«Ah» Dwalin guardò giù, e poi represse un grugnito tirando via la barba fradicia dalla bocca di Frerin «Eh. Ignoralo.»

«Ci serve qualcuno che attacchi da un altro fronte, che ci dia la distrazione che serve perché noi possiamo aprire i Cancelli e attaccare senza esporci a un'invasione» disse lei, toccandosi il labbro.

«Aye, lo so» Dwalin le lanciò un'occhiata stanca «Ho mandato ogni corvo e anche qualche piccione, ma Dale non risponde. Siamo intrappolati.»

Lei sorrise debolmente. «A meno che noi non usciamo di nascosto.»

Lui si accigliò. «Pensi non ci abbia pensato? La Montagna è circondata, Barís.»

Lei scrollò le spalle. «Quindi scaviamo sotto di loro.»

«Aspetta – scaviamo sotto -» Dwalin balbettò, e poi fissò la cantante come se lei gli avesse porto la corona di Durin.

Lei sorrise. «Io sono la figlia di un minatore – e la nipote di un minatore» disse, e si alzò e si lisciò il semplice abito «Comunque, volevo venire a esporre la mia idea.»

Lui la fissò, i suoi occhi spaiati larghi.

Frerin colse l'opportunità di rimettersi la sua ciocca preferita della barba di Dwalin in bocca.

Balin ululò dalle risate fino a piangere.


Attraversarono l'Ovestfalda, raccogliendo rifugiati mentre passavano. Superarono villaggi bruciati, le case devastate con le porte divelte e le finestre spalancate e annerite come occhi vuoti.

«È abominevole» sussurrò Ori, e Bifur si avvicinò a lui, spalla a spalla, un grande cane da guardia bianco e nero.

«Mukhuh Mahal bakhuz murukhzu» disse, guardando tristemente le rovine delle case e i gambi anneriti che erano tutto ciò che rimaneva dei campi, e poi accarezzò distrattamente i capelli di Ori.

I picchi coperti di neve dei Lavamabbad si innalzavano dalle dolci colline verdi, e Thorin li guardò con sollievo. «Le Montagne Bianche» mormorò.

«Un posto decente, direi» disse Bifur, grattandosi la barba annodata «Perché non abbiamo mai messo un Khuzd-ezùleg qui?»

«Non siamo mai stati abbastanza a lungo a Rohan per scoprire se ci sono metalli o gioielli da trovare, credo» disse Frerin, facendo spallucce.

Improvvisamente un urlo salì da ogni gola, e mani furono alzate per indicare una valle profonda nascosta fra le braccia della catena montuosa.

«Il Fosso di Helm!»

Dirupi pieni di cornacchie si innalzavano ai lati dell'enorme, cupa fortezza che bloccava la valle per tutta la sua larghezza. Alte mura di pietra antica li guardavano accigliate, e dentro vi era una grande torre.

Accanto a Thorin, Frerin fischiò piano. «Questo è una gran bel lavoro» disse, impressionato.

«Aye» confermò Thorin, guardando la grande fortezza con occhio critico «Dicono che nessuno abbia mai preso la vallata del Trombatorrione. Sto iniziando a capire perché.»

«È quasi Nanico» disse Ori con soddisfazione «Oooh, mi piacerà qui, penso.»

Gimli sembrava della stessa opinione mentre camminava lungo la strada rialzata e attraverso le porte verso il bastione. C'era una fortezza più piccola all'interno delle grandi mura, scavata nella buona roccia grigia della Montagne Bianche. «Molto buono» mormorò Gimli a se stesso, guardandosi attorno. Passò una mano sulle pietre del muro, e poi gli diede un colpetto di approvazione.

«La fortezza è dunque di tuo gradimento, mellon nín?» disse Legolas, guardando giù verso di lui. Il suo lutto era ancora nei suoi occhi e nella sua voce, ma era tornato se stesso per quanto possibile.

Gimli guardò su e diede un altro colpetto al muro. «Aye, decisamente.»

Guidarono i cavalli verso una grande stalla, e ad Arod fu data acqua e un pastone per il suo lungo viaggio. Mentre Legolas guidava il cavallo che portava i due bambini verso la stalla successiva, si udì un urlo che echeggiò fra le travi intagliate: «Éothain! Freda!»

«Mamma!» strillò Freda, e una donna con capelli lunghi e spettinati e il volto scavato dalle lacrime corse e strinse entrambi i bambini fra le sue braccia e premette il volto ai loro abiti, piangendo di sollievo e gioia.

Gimli sorrise e si spinse indietro l'elmo con un pollice, guardando. «Guarda, Elfo. Non tutto è oscuro in questo mondo.»

«No» disse Legolas, e sospirò senza suono mentre guardava di nuovo Gimli «C'è ancora molto bene da trovarvi.»

Ori fece un respiro improvviso, e lanciò uno sguardo indagatore verso Thorin. Qualunque cosa vide nel volto di Thorin gli fece abbassare le spalle.

Éothain si allungò verso sua madre, e gli coprì il volto di baci mentre Freda si avvolgeva attorno a sua madre e suo fratello come una piccola coperta determinata e singhiozzava e singhiozzava con un sorriso sulle labbra.

«Ah, adesso» disse Bifur, e sorrise dolcemente senza tracce del suo usuale ghigno folle «Non è un lieto fine?»

«Non è ancora finita» Frerin si guardò alle spalle.

«Dagli un momento in cui trovare pace» disse piano «Dopo la perdita di Aragorn, ne hanno bisogno.»

«Dovremmo andare dal Re» disse Gimli infine.

«Potrebbe non aver bisogno di noi» sospirò Legolas, e anche Gimli sospirò e annuì.

«Aye, forse. Ma è il nostro dovere e non lo eviterò» chiamò uno stalliere (che stava fissando a bocca aperta come un idiota il Nano e l'Elfo, e fece un salto indietro quando il Nano gli parlò direttamente) e disse: «ragazzo, ci porteresti alla fortezza? Dobbiamo farci vedere.»

«Di qua» squittì il ragazzo, e quasi corse contro al muro per la sorpresa e lo shock.

Lasciando sola la famigliola, i due furono guidati in una sala dove il signore dell'Ovestfalda, un magro, secco Uomo, era in piedi leggendo una lista di rifornimenti. La sala era meno bella e maestosa di Meduseld, ma era lo stesso grande e ben fatta. Legolas rimase dietro a Gimli mentre i due aspettavano l'arrivo del Re.

Poi l'Uomo sospirò e si passò una mano fra i capelli mentre si appoggiava su un gomito. Infine sembrò notare i suoi strani ospiti, e li guardò con educata curiosità. «Salute, miei signori» disse, e Thorin notò con approvazione che l'Uomo stava facendo un grande sforzo per non fissarli «Sono Erkenbrand dell'Ovestfalda. Posso aiutarvi?»

«Nay, grazie» disse Legolas «Aspettiamo il Re.»

«Dicci se siamo in mezzo ai piedi» aggiunse Gimli.

«Il Re?» Erkenbrand batté le ciglia «Ma il Re è curvo come un vecchio albero sotto la neve, non può...»

Le porte si spalancarono e Gamling entrò, seguito da Háma e dai signori della Éored di Meduseld. Erkenbrand si inchinò rapidamente, e poi rimase a bocca spalancata, perché in seguito al gruppo vi era la forma di Re Théoden, in armatura completa, con l'elmo sotto il braccio e gli occhi duri e luminosi. «Erkenbrand» disse, e la voce era piena e vigorosa «dimmi dei terreni e dello stato dei magazzini. Cosa abbiamo accumulato, e quanto altro ti serve?»

«Mio Re...!» ansimò Erkenbrand, e si inchinò ancora più profondamente «Non avrei mai pensato...»

Théoden rise cupamente. «Pensavi che io fossi nel mio Palazzo con delle coperte sulle ginocchia, che sbavavo in un pitto di brodo. Così era. Ma non ora» strinse l'avambraccio di Erkenbrand e lo raddrizzò «Siamo venuti in aiuto dell'Ovestfalda. Ora dimmi, come stanno le cose?»

Il volto di Erkenbrand era meravigliato, e poi rise una corta, asciutta risata. «Bene, signori» disse a Legolas e Gimli «pare che strana gente dica il vero in questi strani giorni.»

Gimli alzò un sopracciglio ma non disse nulla. Legolas sorrise debolmente.

«Sono molto felice di vederti, mio Signore» disse l'Uomo, girandosi di nuovo verso Théoden e afferrandogli a sua volta la mano in gratitudine «Molto, molto felice. Ecco, prendi la mia sedia, e io ti darò ogni notizia che posso.»

«Re Théoden» rombò Gimli, e il Re fece una pausa nel sedersi, la mano che già prendeva un rapporto «Hai bisogno di noi?»

Théoden diede loro un lungo sguardo pieno di compassione. «Vi ringrazio per i vostri dolori e per essere venuti a vedermi, ma dovreste fare ciò che pensate sia meglio» disse, e la compassione per la perdita di Aragorn era nel suo volto «Vi manderò a chiamare, Mastro Nano e Mastro Elfo, se avrò bisogno del vostro consiglio.»

Gimli si inchinò alla miglior maniera dei Nani. «Al vostro servizio» disse, e Legolas si inchinò con grazia dietro di lui, muovendo il lungo braccio di lato.

Uscendo dalla sala, quasi si scontrarono con Lady Éowyn. Frerin fece immediatamente un sospiro soddisfatto e iniziò a tirarsi distrattamente i capelli dorati. «Finalmente» disse, e ritornò a guardare la Dama Bianca di Rohan come se non si sarebbe mai stancato della vista.

Thorin nascose cautamente il suo ghigno.

«Mia signora» disse Gimli educatamente.

Lei inchinò la testa aggraziatamente, riflesso condizionato dalla sua educazione anche se indossava solo un abito da viaggio e le sue braccia erano piene di un cesto di grano. «Lord Gimli, Lord Legolas» disse, e i suoi occhi andarono dietro di loro, prima di tornare su Legolas con una traccia di panico nelle loro profondità «Lord Aragorn... dov'è?»

La mano di Gimli si strinse sulla sua cintura, e le sue labbra premettero insieme fino a brillare bianche e esangui sotto la sua bella barba. «È caduto» disse infine, le parole secche e strozzate.

Lei barcollò indietro, il volto come colpito.

Legolas chinò la testa. «Mio più caro amico, non hai parole di conforto per lei come quelli che ebbi per me?» mormorò.

Gimli chiuse gli occhi. «Trovo che sono quasi prosciugato di qualsiasi conforto.»

«No» disse Frerin con forza «Aiutala!»

«Mai» disse Legolas, e appoggiò una lunga mano pallida sull'enorme spalla di Gimli «Questo mai.»

«Oh, non buono» gemette Ori, e i suoi occhi andavano da Gimli a Thorin, avanti e indietro, avanti e indietro, finché iniziò ad essere fastidioso.

«Smettila, Ori» ringhiò «Non prenderò fuoco né esploderò solo perché mi guardi così! Gimli si merita tempo per il lutto, né più né meno che qualsiasi altro Nano. Non sarò arrabbiato perché non è felice.»

La bocca di Ori si spalancò, e la mascella si mosse disperatamente per qualche momento. Poi gemette e si prese la testa fra le mani.

«Ma forse me ne rimane un poco» disse Gimli, e guardò la Dama coi suoi occhi scuri, luminosi e profondi come le radici della terra «Se c'è una possibilità in questo mondo che Aragorn sia sopravvissuto» disse «allora tornerà da noi. Non dubitarne mai.»

«Se» disse lei, e gemette addolorata, le dita volarono alla sua bocca e il cesto cadde in terra.

«Oh» disse Frerin angosciato «oh no. Aiutala, ho detto, non peggiorare le cose!»

«Shhh, nadad» disse Thorin, e dolcemente aprì la presa ferrea che Frerin aveva sui suoi capelli prima che se li strappasse dalla testa «Le parole non possono aiutare in momenti simili.»

Frerin gli lanciò un'occhiataccia, e poi si voltò per guardare nuovamente Éowyn con occhi imploranti.

«Ci sono buono possibilità» disse Gimli fermamente «Aragorn è un grande Uomo, e ha affrontato e vinto molti pericoli. Non soccomberò alla tristezza, non ancora.»

Lei batté le palpebre, le lacrime tremarono sulle sue ciglia. «E tu?» disse, voltandosi verso Legolas «Tu che hai visto tanti anni e tanti Uomini morire, anche tu lo credi, o i secoli ti hanno insegnato altro?»

Legolas si irrigidì impercettibilmente. «Gli anni passano» disse, e le sue mano si strinse sulla spalla di Gimli come per rassicurazione «Ma gli Elfi no. Ho meno conoscenza in questa situazione di te, Signora. Ascolta Gimli, e non perdere la speranza.»

Lei li fissò, e poi si voltò, facendosi strada fra la folla per sparire dalla vista.

«Parla con la prima follia del lutto» disse Legolas «Non farci caso.»

Gimli scosse la testa. «Non ne faccio» si strofinò la fronte stancamente, e poi diede un colpetto alla mano di Legolas, ancora sulla sua spalla «Ora, ragazzo, sto bene. Non c'è bisogno che ti affanni.»

Thorin chiuse gli occhi. «Noi non possiamo aiutare qui.»

«Non è vero» disse Gimli, la sua voce profonda morbida e intensa «Mi aiutate.»

Gli occhi di Thorin si spalancarono, e fissò la sua stella per qualche istante, prima di abbassare la testa. «Sono felice di averti dato qualcosa, dunque» disse, e parte della pressione nel suo petto scomparve. Il debito che aveva verso questo Nano improvvisamente non sembrava tanto pesante.

«Wow» disse Ori in un mezzo sussurro senza fiato.

«L'ho detto, no?» disse Frerin, piuttosto soddisfatto. Incrociò le braccia e alzò il suo affilato mento Durin.

«Ai-oi, ulganul mahumb» imprecò Bifur con voce debole, il volto completamente inespressivo.

«Ora, ora, linguaggio» disse Ori debolmente, dando delle pacche sulla mano di Bifur. Poi si girò verso Thorin e deglutì un paio di volte e disse: «è un pochino inquietante quando ti risponde così.»

«Sì, lo so» disse Gimli, e ghignò, anche se era ancora piuttosto malinconico. Ori squittì e si morse i guanti, e Bifur iniziò a ridacchiare.

«È molto strano sentirti parlare all'aria in quella maniera» disse Legolas, facendo strada dalla grande Sala in cima alla fortezza verso le baracche militari «Non penso ci farò mai l'abitudine.»

I baffi di Gimli si mossero, come se le sue labbra stessero tentando di sorridere. «Sei certo di non poterli udire? Perché hanno detto la stessa identica cosa neanche due secondi fa.»

Legolas rise piano. «Ti prometto, mellon nín, che non posso sentire la tua famiglia. Dubito che desidererebbero che un Elfo senta le loro voci.»

Gimli si accigliò, e poi sospirò, seguendo Legolas per i corridoi in pietra grigia. «Aye, senza dubbio hai ragione.»

«Gimli» iniziò Thorin, e poi si interruppe. Non sapeva cosa dire.

«Ah, non farti del male cercando di trovare delle parole» disse Gimli, e sorrise tristemente «Tutta Erebor parla ancora di quanto profondamente tu odiasti gli Elfi di Bosco Atro. Sei il mio amato Signore, e ti devo tutte le mie azioni e la mia lealtà, ma non prenderò parte a ciò. Lui è mio amico e non ascolterò ciò che hai da dire contro di lui.»

«No, io non – non stavo per» balbettò Thorin, e poi ringhiò sottovoce «Gimli, non stavo per dire ciò! Sono felice che tu abbia la sua amicizia!»

Gimli si bloccò improvvisamente, la sua faccia completamente stupefatta. La pausa improvvisa dei suoi passi pesanti sulla pietra lasciò un silenzio pieno di strane eco. «Cosa?» disse, confuso, e poi scosse la testa e disse di nuovo, più forte: «cosa?»

Thorin aprì la bocca, e trovò che non aveva nulla da dire.

«Gimli?» disse Legolas, girandosi per guardarlo con preoccupazione «Cosa succede?»

«Ha detto...» Gimli esitò, e poi si strofinò la fronte e domandò: «cosa ho appena udito? Sto forse diventando sordo come mio zio?»

«Sì, fratello, cosa ha appena udito?» mormorò Frerin, spingendo il fianco di Thorin. Thorin lo incenerì con il suo sguardo più scuro, più nero. Fece ridacchiare suo fratello, e Bifur iniziò a ridere e scuotere un pugno in aria.

«Eh, aspetta un attimo per favore» disse Ori un po' troppo allegramente, e poi spinse con esitazione l'altro fianco di Thorin «Va avanti, dì ciò che hai appena detto» soffiò «Dillo di nuovo. Ha bisogno di sentirlo.»

Thorin li fulminò tutti, e soprattutto Bifur, che era passato a ululare e tirare calci al pavimento.

«Avanti!» ripeté Ori, e Frerin annuì dall'altro lato.

«Devi affrontare certe cose, fratellone» disse, e sorrise il dolce, comprensivo sorriso della loro madre.

Thorin sospirò pesantemente, e lasciò che la sua testa cadesse in avanti. Troppo tardi, si ricordò di essersi legato i capelli quel mattino e quindi non poteva nascondersi dietro di essi. Dannazione.

«Sono felice che tu abbia la sua amicizia» disse, la sillabe ruvide e difficili sulla sua lingua cocciuta «Lo sono. Gimli, è un conforto per me sapere che non sei solo, e che uno di queste Genti Alte si è affezionato a te a modo loro.»

«A modo loro» ripeté Gimli, e sbuffò piano, anche se sorrideva di nuovo «Aye, a modo suo, e io a modo mio. Grazie, mio Signora. Non arei mai pensato di avere la tua comprensione, ma ora ciò mi dà speranza. Se persino tu puoi trovare del merito in lui, allora forse le nostre stirpi non rimarranno separate e la nostra amicizia un segreto.»

Ori gemette, e Thorin fece una smorfia. «Ah, forse ciò potrebbe essere un po' ambizioso» mormorò Ori.

«Davvero» borbottò Thorin. Poi guardò su verso l'Elfo in piedi nervosamente sulle scale «E non ho detto che trovo alcun merito in lui! Solo che sono felice che tu abbia la sua amicizia.»

Frerin gli lanciò uno sguardo senza speranza. «Oh, nadad. E stavi andando così bene.»

Le sopracciglia di Gimli si alzarono, e sbuffò. Incrociando lo sguardo di Legolas, disse seccamente: «il mio Signore non trova sbagliata la nostra amicizia, Legolas. È felice, mi dice.»

Gli strani, penetranti occhi Elfici si allargarono. «Davvero?»

«Però» disse Gimli, ricominciando a camminare e prendendo il suo posto abituale accanto al lato sinistro dell'Elfo «approva solo dell'amicizia per carità mia. Temo tu debba passare qualche altro millennio per averlo dalla tua parte.»

Legolas fece una risata sorpresa, e poi annuì. «Confesso, non ne sono sorpreso» disse «Ti ho detto di ciò che è successo fra noi. Ha molte ragioni per odiare me e i miei. Ma millenni? Gimli, tu persisti nel aumentare le quantità al massimo grado!»

«Non era un'esagerazione, ragazzo» disse Gimli, e sorrise ancora «Andiamo, troviamo qualcosa da mangiare. Ho fame quanto una dozzina di Hobbit!»

«Mai sia – inizieresti a mangiarti la Cittadella, e quali mura rimarrebbero tra noi e Isengard?» Legolas sorrise, e la coppia se ne andò.

Frerin stava fissando Thorin e picchiava un piede.

«Cosa?» disse Thorin brusco, e uscì dalla luce stellare per evitare di dover rispondere a domande fastidiose. Il ringhio esasperato di suo fratello fu l'ultima cosa che sentì prima che la luce del Gimlîn-zâram prendesse la sua vista e lo rilanciasse nel freddo, immobile mondo dei morti.


Si sentì in un certo senso in colpa dopo. Non la grande, insostenibile ondata di senso di colpa e vergogna e rabbia che era salita così tante volte per bloccare la sua gola e riempirgli la lingua per quasi ottant'anni, ma una piccola, calda punta di vergogna. Frerin gli aveva dato tanto. Gimli gli aveva dato tanto, e lui era scappato. Thorin spinse via il suo nuovo lavoro, irritato con se stesso, e guardò per la sua forgia.

«Non avrei dovuto scappare da Frerin e Gimli così» borbottò, e lasciò che i suoi occhi tornassero sul suo lavoro, fissandolo assentemente. I narcisi che aveva intagliato sulla sua nuova penna erano leggermente storti, ma pensava che a Bilbo sarebbero piaciuti così.

«Chissà se gli sarebbe piaciuta l'elanor dorata che cresce nei campi di Lothlórien» si chiese distrattamente, e poi si fermò, premendosi il palmo della mano contro un occhio. Oh, ma era un idiota.

«Smettila, i tuoi occhi mi piacciono dove sono» esclamò Bilbo.

Thorin grugnì, e lasciò che la sua mano ricadesse sul suo tavolo da lavoro. «Ti piacerebbe? Elanor per la tua prossima penna?» chiese, e i ricci rimbalzarono mentre lo Hobbit scrollò le spalle. I suoi pollici premettero nelle piccole tasche del suo panciotto, e Thorin desiderava, oh come desiderava, che questo Bilbo non fosse solo un frammento della sua solitudine e desiderio; che il vero Bilbo, vecchio e scricchiolante e perso nel tempo tra le mura della propria mente, lo potesse udire prontamente come la sua controparte immaginaria – prontamente quanto Gimli. Voleva andare dietro a Bilbo e sentire il piccolo corpo premuto contro il suo, sentire quanto facilmente poteva torreggiare su di lui, abbracciarlo, proteggerlo, eppure poter anche essere distrutto così facilmente. Voleva avvolgere le braccia attorno allo Hobbit e mettere i propri pollici accanto ai suoi nelle piccole tasche del panciotto. Voleva seppellire il naso nei strani, morbidi ricci, così diversi dai capelli Nanici, così accesi. Voleva che quella piccola lingua affilata lo scuoiasse vivo per i suoi crimini e lo rimettesse insieme per il suo futuro.

«Perdinci e accidenti, sei di nuovo melodrammatico» gemette Bilbo, e dondolò sui suoi talloni pelosi «Tu, mia borbottante Maestà, hai delle scuse da fare e qualche urgente conversazione da avere, quindi per favore smettila con tutte queste sciocchezze Naniche, fatti una tazza di tè, e vai.»

«Tazza di tè?» disse Thorin, e rise sottovoce.

«Oh, perbacco, sai cosa voglio dire» disse Bilbo, tirando su col naso. Poi fissò Thorin con uno sguardo truce niente male – per uno Hobbit. «Vai, smettila di cincischiare.»

«Odo e obbedisco» disse Thorin, e sorrise al suo irascibile, intelligente, adorabile piccolo Uno, lasciando che gli riempisse il volto lentamente e calorosamente e oh così facilmente.

Bilbo arrossì. «Oh, non è per nulla giusto» borbottò, e poi si raddrizzò, tirandosi giù fermamente il panciotto «Mi piace l'elanor. Sarà decisamente... soddisfacente. Vai allora!»

Thorin fece un respiro profondo, e un altro, e quando fece il terzo, Bilbo era andato.

Lui rimase lì, senza parole e in qualche modo più vuoto di prima. Il senso di colpa iniziò a tornare, e lui strinse i denti contro di esso. Sentiva il passaggio del tempo nella spinta del sangue nelle sue vene, il tic-tic-tic-tic del suo labbro mentre combatteva contro le linee di rabbia e vergogna nelle quale la sua faccia ricadeva così naturalmente.

Poi girò sui tacchi e uscì dalla sua forgia. Doveva trovare suo padre e suo nonno.

Thráin era nella sua forgia, trasferendo attentamente un contenitore d'oro in uno stampo usando delle pinze. Thorin fece un respiro improvviso alla vista del metallo sciolto, così luminoso e così bello. Poi alzò gli occhi verso quelli di suo padre.

«Ciao inùdoy» disse Thráin, e la sua lingua usciva dall'angolo della bocca. Per qualche motivo Thorin si era dimenticato che Thráin lavorava sempre con la lingua tra i denti. Sembrava un dettaglio tanto importante da dimenticare. «Aspetta ora – aspetta un momento fino a quando ho finito, e poi sono tutto tuo» disse, senza levare gli occhi dal contenitore e dalle pinze.

Thorin aspettò impazientemente, allontanando nervosamente gli occhi dal limpido, luminoso torrente d'oro che scendeva dal contenitore e nello stampo. Appena Thráin finì, lui fece un passo avanti e disse senza preamboli: «Devo parlare con te e col nonno.»

«Va bene, va bene» disse Thráin distrattamente, levandosi i guanti pesanti e stiracchiando le grandi dita robuste. La sua barba gloriosa era legata strettamente e infilata sotto a un grembiule in pelle, e aveva un monocolo da taglia gemme legato in testa. «Lascia che mi pulisca un po'. Il medaglione non era semplice, ti faccio sapere!»

Nonostante la sua impazienza, Thorin si trovò interessato. «Oh?»

«Aye, per tua madre» disse Thráin orgoglioso. Si massaggiò la nuca con un'espressione imbarazzata «Voglio farle una sorpresa per il suo giorno del nome, sai.»

«Ah» era il compleanno di Frís? Dov'era andato il tempo? «Io non ho ancora preparato niente» confessò Thorin mentre Thráin si toglieva il grembiule e metteva via il monocolo.

«Oh, c'è ancora un po' di tempo, ragazzo mio» disse Thráin tranquillo, dando una pacca sulla schiena di Thorin con una delle sue enormi mani «Solo – Thorin, non osare dimenticartene come quando avevi ventun anni!»

«'adad!» ringhiò Thorin, a Thráin rise ancora, una profonda risata rombante.

«Ah, ecco la mia piccola nuvola temporalesca, che inizia a tuonare» disse con affetto «Più vecchio di me, più saggio e duro di me, aye, ma a volte vedo ancora il mio ragazzino in questo Re.»

Thorin abbassò il capo, il volto in fiamme. «Lo stai facendo di proposito» borbottò, e Thráin mise un braccio pesante sulle sue spalle e lo condusse via dalla forgia.

«Certo che sì» disse «Sono tuo padre: fa parte del mio lavoro. Ora, andiamo a cercare mio padre, e potrai guardarlo mentre mi ripaga con la stessa moneta.»

«Splendido» rispose Thorin, e Thráin rise ancora prima che iniziassero a camminare, attraversando i grandi corridoi debolmente illuminati e tunnel serpeggianti delle Sale di Mahal.

«Allora cosa succede, figliolo?» disse infine Thráin, e gli occhi di Thorin caddero immediatamente sui suoi piedi «Ah. Così male?»

«Peggio» disse Thorin con voce bassa, e Thráin grugnì.

«Beh, nessuno può trovare una colpa nel tuo coraggio, se non il buon senso. Affrontiamolo e superiamolo, di qualsiasi cosa si tratti»

Thrór non era nella sua forgia, e nemmeno nelle sue stanze. Hrera non fu felice di essere interrotta. «Dove ti sei nascosto ultimamente?» sgridò, e Thorin immediatamente abbassò la testa «Oh, non tu, caro» disse, dandogli dei colpetti sulla mano, e poi si girò verso Thráin «Tu! Ti sei dimenticato come arrivare a tavola? Dovrei darti una guida?»

«Sto lavorando, 'amad!» disse, e Thorin si mise comodo, incrociando le braccia, per guardare lo spettacolo «Presto sarà il giorno del nome di Frís, e...»

«Oh, è dolce, caro, ma cerca di ricordarti che hai anche una madre» disse lei, e tirò una delle grandi trecce della barba di Thráin «Tsk. Scioccante. Guarda cos'hai fatto, puzzi come una fonderia e sembri una pecora di montagna! Thorin, non iniziare a ghignare lì, ragazzo mio, i tuoi capelli sono una disgrazia.»

«Nonna!» protestò Thorin, e si rassegnò ad avere sempre ventiquattro anni negli occhi di lei e mai uno di più. Era infuriante.

«Meglio non combatterla, inùdoy» sospirò Thráin mentre Hrera iniziava a sciogliergli le trecce da lavoro, borbottando con se stessa tutto il tempo.

«L'ho imparato molto tempo fa» disse Thorin solennemente, e sobbalzò quando Hrera gli pizzicò un gomito con le sue lunghe unghie con la punta d'argento.

«Coppia di disgraziati» sbuffò «Aspetta lì il tuo turno. Non lascerò che la mia famiglia sembri un branco di stagnini. Longobarbi! Come siete fatti!» esclamò, e tirò particolarmente ferocemente i capelli di Thráin. Lui strizzò l'occhio.

Quando finalmente riuscirono a fuggire, i capelli di Thráin erano stati lisciati in un ordinata treccia, e la sua barba era stata lavorata in due intricate parti che cadevano ai lati del suo grande petto. I capelli di Thorin erano stati slegati e oliati accuratamente (“Guarda qua! Vergognoso!”) e poi Hrera aveva passato un bel po' di tempo a lamentarsi delle ciocche grige sulle sue tempie prima di intrecciare una spessa treccia che partiva dalla cima della sua testa e scendeva lungo la sua schiena, lasciando solo la sue trecce laterali davanti alle sue orecchie.

Thráin e Thorin si guardarono l'un l'altro. «Non riderò se tu non lo fai» disse Thráin con la più totale solennità.

«I termini sono accettabili» rispose Thorin seriamente, e poi evitarono accuratamente di guardare la faccia dell'altro per i seguenti dieci minuti.

Infine trovarono Thrór nella sala da pranzo, anche se la testa era piegata su un pezzo di carta e non aveva cibo, solo una caraffa di birra. «Nonno» lo salutò Thorin.

«Uhm» disse Thrór, senza alzare il suo stilo che scribacchiava cirth sulla carta «Cosa? Devo finire questo rapporto. Balin è un dittatore peggiore di quanto suo padre sia mai stato. Perché nel nome di Durin abbiamo deciso che la Linea di Fundin fosse quella dei Siniscalchi? Sono dei tiranni!»

«Sembra tu possa fare una pausa» disse Thráin sedendosi.

«Uhm» disse ancora Thrór, e poi alzò lo sguardo. Le sue sopracciglia immediatamente salirono fino ai suoi capelli vedendoli. «Vedo che Hrera vi ha presi» disse pacificamente.

«Nessun commento» ringhiò Thorin. Il seguente colpo di tosse di Thráin suonava sospettosamente come una risata strozzata.

«Cosa succede allora?» Thrór si mise più comodo nella sua sedia e scosse la mano con cui scriveva, prima di allungarsi verso la birra.

«Non lo so, anche se so che non sarà piacevole. Thorin ha bisogno di noi, e ha lasciato cadere abbastanza indizi perché io mi preoccupi» disse Thráin, e poi si voltò verso Thorin con sguardo inquisitore «Inùdoy? Cosa succede?»

Thorin si congelò, il respiro mozzato dietro ai denti. «Oh» disse Thrór, il volto triste «Così brutto.»

«Peggio, sembra» disse Thráin, e prese la caraffa e riempì altri due boccali «Ecco. Potremmo aver bisogno di una goccia o due di questa.»

Thrór lo guardò male. «Prenditi la tua.»

«L'ho appena fatto» disse Thráin, alzando il suo boccale e spingendo l'altro verso Thorin «Ecco. Ora. Sputa, ragazzo. Andiamo.»

Thorin strinse le mani così strettamente da sentire le unghie che spingevano nella pelle dei suoi palmi. «Io...» iniziò. E poi afferrò la sua birra, prendendo tre lunghi sordi uno dopo l'altro.

«Molto male» giudicò Thrór «Bene. Ciò vuol dire che è lo Hobbit, Erebor, il ragazzo di Glóin o la malattia del drago.»

Thorin sentì tutto il suo corpo che si irrigidiva sentendo l'ultima.

«Bene, ecco la risposta» Thráin sospirò, e prese un sorso della sua birra, prima di girarsi verso Thorin «Perché ora?»

«Cosa?» Thorin parlò sorpreso, e la sua voce raspava come se non fosse la propria.

«Stavo aspettando questa conversazione da quasi ottant'anni, ragazzo mio» disse Thrór dolcemente «Perché ora? Cosa ti ha spinto a farlo?»

Thorin rimase in silenzio per un istante, e poi guardò su. «Molte... molte cose» disse, la voce ancora ruvida e dolorosa «Boromir. Théoden. La mia stella. Ma...» prese un altro sorso di birra, e deglutire faceva male «Ma soprattutto Frerin.»

«Ah» sospirò Thrór, e la vecchia tristezza e il senso di colpa – così, così familiari – iniziarono a danzare nei suoi occhi azzurri «Sì, tuo fratello è come tua madre in quel modo.»

«Di certo non ha la testa dura come il lato Durin della famiglia» disse Thráin, e Thrór sbuffò, e poi i due picchiarono assieme i loro boccali in un momento di umorismo nero.

«Non ho potuto impedirlo» disse Thorin, i denti stretti insieme con tanta forza che poteva sentire i muscoli della mascella che si contraevano «Non ho potuto impedirlo...»

«Aye» disse Thráin, e la sua grande mano dalle dita robuste andò al volto di Thorin per fargli girare i gli occhi verso il suo. Il suo palmo sfregò contro la sua barba, coperto di calli per la spada e rovinato dalla forgia. «Non è qualcosa che puoi combattere, Thorin. La follia non è come... come negarti il sapore della birra, o obbligarti a correre quelle ultime miglia in allenamento. Non è qualcosa che può essere sconfitto solo con la forza di volontà. Non è una questione di forza.»

«Non ti è mai mancata la forza di volontà, nipote» aggiunse Thrór, e si allungò sul tavolo per prendere la mano di Thorin «Ma la follia non rispetta la volontà. Colpisce tutti lo stesso, forti e deboli ugualmente. Non c'è differenza.»

«Ma...» cercò di dire Thorin, ma la sua gola sembrava piena di sabbia e la mano di suo padre sulla sua guancia era calda e solida.

«No, ragazzo» disse Thrór, piano e fermamente, ed era la voce del Re Sotto la Montagna, il grande costruttore, Thrór il Rinnovatore «Lo so, lo so meglio di chiunque altro come sia e come ci si senta e come devi affrontare te stesso dopo. E ho dei giorni buoni e ho dei giorni brutti, ma tutti i giorni devo ricordarmi: io non sono la mia follia, ed essa non è me. Io sono Thrór, io sono Umùhud-zaharâl, e ciò è chi sono davvero. La mia follia non è che una minuscola parte di ciò.»

Thorin lo fissò, e poi si lasciò cadere la testa fra le mani. «Non so chi sono quando non posso essere forte» disse, cercando di non sentire il pozzo senza fondo sotto di sé «E ora mi dici che non importa!»

«Perché è così, inùdoy» disse Thráin e mise di nuovo un braccio attorno alle spalle di Thorin «Essere stato torturato fino a impazzire mi rende debole o forte?»

«Come puoi dirlo» Thorin quasi ringhiò, e Thráin fece un piccolo suono esasperato nella gola.

«Non importa quale» disse con la pazienza di uno che sta insegnando una lezione importante «Ciò che importa è che è successo. Per te, non importa se sei debole o forte. Non è nulla. Il Nano più forte può tremare prima di una battaglia – e il più debole può tenere la testa alta e non esitare mai. Ciò che importa è come ti comporti con ciò che ti è successo.»

E così fanno tutti coloro che vivono per vedere questi tempi, ma non sta a loro decidere. Tutto ciò che dobbiamo decidere è cosa fare con il tempo che ci è stato dato. La secca, ruvida, gentile voce dello Stregone rimbombò nel teschio di Thorin, e lui strizzò gli occhi.

«Non devi guidare un popolo dimenticato qui, Thorin» disse Thrór con dolcezza infinita «Non devi essere il simbolo di forza per una razza senza radici e disgraziata. Devi essere solo te stesso. Allontana tutte queste inutili domande di debolezza e forza, e vai avanti come te stesso.»

«E se non so chi egli sia?» Thorin guardò su con occhi che bruciavano.

«Lo sai» disse Thráin, divertito «Lo hai sempre saputo. È il dono che il nostro Creatore ci diede.»

Le palpebre di Thorin si chiusero, e in un tono a malapena udibile sussurrò il suo Nome Oscuro.

«Aye» disse Thrór «Ci dice chi eravamo, nel profondo dei nostri cuori, così che noi non lo perdiamo mai di vista.»

Thorin respirò lentamente col naso, sentendo l'aria che gli riempiva i polmoni e poi si prosciugava quando la lasciava uscire. «Io... proverò.»

«È tutto quello che possiamo fare, certi giorni» disse Thrór, e il suono del suo boccale che colpiva il tavolo risuonò attraverso la sala da pranzo «Ora, questa è stata una conversazione molto pesanti e che ha portato molta sete, e quel bruto di tuo padre ha bevuto tutta la mia birra. Fai il bravo e vai a prenderci un'altra caraffa, sì?»

Thorin lo guardò tra le dita, e suo nonno gli sorrise dolcemente e agitò la caraffa vuota. «Prenditela da solo» borbottò Thorin, ma si alzò lo stesso e iniziò ad andare verso i grandi barili che non erano mai vuoti.

Fu interrotto da un corpo che si scontrava contro il suo, e poi ci fu un Nano sfocato che gli afferrava le trecce e parlava rapidamente. «Ètornatoètornatoètornatoètornato!» disse la sagoma in voce acuta, e Thorin scosse la testa e cercò di mettere a fuoco.

«Aspetta, calmati» ordinò, e la figura di rivelò essere Frerin, con un sorriso che andava da un orecchio all'altro e stava quasi danzando di felicità.

«È tonato! Ci credi? Io non riesco a crederci! Oh, lei sarà così felice!» esclamò Frerin, e Thorin afferrò la spalla di suo fratello per vedere se faceva qualche differenza per la sua iperattività.

Apparentemente no.

«Chi?» chiese «Chi è tornato? Gandalf?»

«No!» sbuffò Frerin, prima di iniziare a saltellare da un piede all'altro «Aragorn! È vivo, ed è tornato!»

«Aragorn!» ripeté Thorin in meraviglia, e poi lanciò indietro la testa e rise in improvvisa, sorpresa gioia. Gimli aveva avuto ragione!

«Ma non va tutto bene» disse Frerin, diventando serio con la velocità con cui era apparso «Arriva al Fosso di Helm con un esercito alle calcagna, e non uno amichevole. Isengard è stata svuotata, dice, e tutti gli Orchi di Orthanc, diecimila in tutto, marciano verso il Trombatorrione.»

La risata di Thorin gli morì in gola, e afferrò strettamente le spalle di Frerin. «Mostrami.»

«Thorin?» lo chiamò Thráin, il volto preoccupato.

«Il Fosso di Helm» disse Thorin brusco, e si girò e lanciò la caraffa vuota a suo padre «Saruman sta per schiacciare Rohan. Devo tornare!»

«Vai» disse Thrór, alzandosi e annuendo fermamente.

Thorin annuì a sua volta, prima di correre dietro alla rapida, piccola di figura di suo fratello che era scattata dritta come una freccia verso la Camera di Sansûkhul.

Óin era già lì, e aveva le labbra bianche e l'aria cupa. «Hai sentito le novità allora?» disse, coi capelli castano rossicci che gli cadevano negli occhi.

«Se intendi la battaglia in arrivo, allora sì» disse Thorin, il respiro rapido mentre si sedeva al suo posto e automaticamente faceva spazio a suo fratello. Frerin si sedette e iniziò a fissare le acque come se stesse cercando di convincere le stelle ad alzarsi ancora più veloce dalle loro profondità.

«Cos'altro?» sospirò Óin, e si sedette mentre la vasca iniziava a brillare come ithildin alla luce della luna «A meno che tu non intenda l'assedio di Erebor.»

«Cosa?» disse Thorin brusco, proprio mentre le stelle lo avvolgevano e strizzavano via tutta l'aria dai suoi polmoni.

Si risvegliò sulle Mura Fossato. Erano alte almeno venti piedi, e così larghe che quattro Uomini potevano camminare affiancati in cima. Erano solide e ben fatte, con fessure fra la roccia dalle quali potevano tirare gli arcieri. Lui guardò il cielo che si scuriva. «Quanti giorni è stato via Gandalf?» disse al cielo violaceo.

«Due» disse Frerin piano «Dovrebbe tornare domani.»

Thorin sospirò, e poi si voltò per guardare le porte del Fosso. La sulla gradinata camminava Théoden, e al suo fianco era una figura malconcia, insanguinata e lurida, eppure alta e dritta e regale. Thorin riconobbe Aragorn, e il cuore gli saltò nel petto. «Non perduto» disse a se stesso, e sorrise «C'è ancora tempo per iniziare a capirti, riluttante Re di Gondor.»

«Voglio che gli Uomini e i ragazzi forti, capaci di reggere le armi, siano pronti alla battaglia entro stasera!» urlò Théoden alla sua Éored «Noi sorveglieremo la strada rialzata e il cancello dall'alto. Nessun esercito ha mai creato una breccia nelle Mura Fossato o messo piede nel Trombatorrione!»

Un grugnito molto Nanico risuonò da dietro al Re, e Théoden si girò per guardare Gimli in piedi con le mani incrociate sulla sua grande ascia da battaglia. «Questa non è una marmaglia di stupidi Orchi. Questi sono Uruk-Hai. Hanno armature spesse e scudi imponenti» ringhiò nella sua bassa voce rombante, e Thorin si voltò verso Théoden e incrociò le braccia.

«Ascoltano, Signore dei Cavalli» borbottò Óin «I tuoi ragazzi sono più alti, ma muoiono anche meglio dei nostri.»

Théoden sembrò non curarsi delle parole di Gimli. «Io ho combattuto molte guerre, Mastro Nano. So come difendere il mio bastione» disse rigidamente.

«Ma questo bastione è di Erkenbrand» sospirò Thorin, e Frerin mise la mano sul braccio di Thorin e tirò piano.

«Vieni» sussurrò.

Aragorn diede una pacca alla spalla di Gimli mentre lui e il Re superavano il Nano. Gimli scrollò le spalle senza speranza, ma la sua bocca si incurvò comunque in un sorriso alla vista del suo amico ristorato. «Beh, ci hai provato» mormorò Aragorn.

«Forse tu potresti avere più fortuna» disse Gimli «Forse le parole di un Uomo saranno più fidate di quelle di un Nano.»

«Morditi la lingua!» esclamò Óin, e Thorin scattò in avanti immediatamente.

«Thùragâl» ringhiò, e gli occhi di Gimli brillarono.

«Birashagimi, melhekhel» disse più piano che poteva, e Óin lasciò che la sua testa cadesse indietro mentre sbuffava.

«Khuzdul. Ancora» disse, e procedette a tentare di picchiare la testa contro la pietra.

«Gimli?» sussurrò Legolas, e Gimli alzò una mano in segno di avviso mentre il Re avanzava, parlando ancora di come potessero ricostruire e ristorare dopo la distruzione portata da Isengard.

«Noi sopravviveremo» finì Théoden, il volto serio e gli occhi determinati.

«Non vengono a distruggere le colture o i villaggi di Rohan» esclamò Aragorn infine «Ma la popolazione, fino all'ultimo bambino!»

Théoden si girò verso di lui e la sua espressione cambiò improvvisamente da determinazione a furia disperata. «Cosa dovrei fare io?» soffiò «Guarda i miei uomini. Il loro coraggio è appeso a un filo. Se dev'essere la nostra fine, allora farò far loro una grande fine, che venga ricordata per sempre.»

«Invia messaggeri, mio Signore» disse Aragorn «Tu devi chiedere aiuto.»

«E chi verrà?» disse Théoden amaramente «Gli Elfi? I Nani? Non siamo fortunati come te nelle amicizie. Le vecchie alleanze sono morte.»

Aragorn parve combattuto per un momento, e poi esclamò: «Gondor risponderà.»

«Gondor!» esplose Théoden, e scattò più vicino ad Aragorn, le guance colorate di rosso per la rabbia «Dov'era Gondor quando cadde l'Ovestfalda? Dov'era Gondor quando i nostri vicini ci hanno circondato?! Dov'era Gon-» si interruppe, respirando pesantemente, prima di calmarsi con grande sforzo «No, mio Signore Aragorn» disse, freddo e amaro «Noi siamo soli.»

Aragorn sembrò sgonfiarsi mentre il Re se ne andava, ancora urlando ordini. Gimli e Legolas andarono accanto a lui, e Legolas lo toccò tentativamente con un gomito. «Aragorn?»

«Ah, nin ú-chenia, Legolas» sospirò Aragorn «Tôl auth.»

La bella faccia di Legolas a malapena si mosse, ma i suoi occhi Elfici brillarono al tramonto.

«Saranno qui stanotte» disse Aragorn, e poi si girò di nuovo verso il fosso. Solo allora Thorin notò che stava zoppicando leggermente.

«Non ci servi mezzo vivo» disse Legolas tagliente «Dovresti riposarti.»

«Dopo» disse Aragorn, e si allontanò «Ora, ci prepariamo per la guerra.»

Gimli lo guardò andare, e scosse la testa. «Aspettalo, ragazzo» disse, e corrugò la fronte «Ha molto per la testa ora.»

Legolas lo guardò brevemente. «Gondor?»

Gimli annuì. «Aye.»

Thorin sentì le proprie sopracciglia stringersi insieme, e al suo fianco Frerin sospirò in comprensione. «Cosa vuol dire?» borbottò nell'orecchio di suo fratello.

«Anche se Aragorn ha passato tutta la sua vita fuori da confini di Gondor, è ancora parte di quel popolo nel cuore» disse Gimli, e si appoggiò contro il muro «Si deve sentire tradito dalla sua stirpe, sapendo che Gondor non può venire in aiuto di Rohan come un tempo.»

«Ah» disse Thorin, e sentì la sua schiena che si raddrizzava nel ricordo della rabbia «So bene come sia.»

Frerin inclinò la testa, un'espressione esasperata sul volto. «Nadad» disse con passione «Te lo dico con tutto il mio rispetto e il mio amore, ma sta zitto, ti prego.»

Thorin batté le palpebre, e si girò a lanciare a Óin che ridacchiava un lungo, freddo sguardo. Quando Gimli ricominciò a parlare, tenne la propria lingua. (Però lui diede una piccola sberla sulla nuca di Frerin)

«Questo luogo è già di mio maggior gradimento» stava dicendo Gimli, e picchiò sulla roccia coi piedi con uno schianto di pesanti borchie «Il mio cuore si rinfranca sempre avvicinandosi alle montagne. È una campagna dalle ossa robuste; le sentivo sotto di me mentre salivamo dalla Diga sino a qui. In un anno e cento della mia razza farei di questo posto una rocca contro la quale gli eserciti si infrangerebbero come flutti.»

Legolas si appoggiò al parapetto, gli occhi cercavano nell'oscurità. «Non lo metto in dubbio» disse pensierosamente «Ma tu sei un Nano, ed i Nani sono gente strana. Io non amo questo posto, e la luce del giorno non cambierà i miei sentimenti. Ma tu mi conforti, Gimli, e sono contento di averti accanto, con le tue robuste gambe e la tua dura ascia.»

Óin fece una faccia straordinaria. «Le orecchie devono farmi degli scherzi di nuovo» si disse.

Thorin non si fidava a parlare.

«Vorrei che ci fosse qualche altro della tua razza con noi» continuò Legolas, e raddrizzò gli occhi lontani «Ma desidererei ancora di più un centinaio di buoni arcieri del Bosco Atro.»

«Mai prima d'ora aveva un Elfo desiderato altri Nani al suo fianco» disse Gimli, sorridendo «Però fa buio per le frecce. È davvero ora di dormire. Dormire! Non avrei mai pensato che un Nano potesse sentirne a tal punto il bisogno. Eppure l'ascia è irrequieta nella mia mano. Datemi una fila di Orchi e un po' di spazio per prendere lo slancio ed ogni stanchezza scomparirà dalle mie membra!»

Una commozione davanti alle porte del Fosso si mosse nell'angolo del campo visivo di Thorin, e si girò per vedere Éowyn che chinava la testa davanti al Re, il volto vivo di risentimento.

«Éowyn, figlia di mia sorella» mormorò Théoden «Non lo faccio per punirti.»

«Allora perché sono sempre io a doverlo fare?» disse lei, la voce dura e amara attraverso labbra stretta «Perché mi allontani come se una Scudiera della nostra linea non sia più adatta alla guerra che una balia?»

«No!» disse Théoden, e le prese la testa fra le mani «No. Éowyn, ho bisogno che tu faccia le mia veci, mi capisci? La gente seguirà la casa di Éorl. Guarderanno te quando si tratterà di proteggerli e tenerli al sicuro.»

«Ci sono altri» disse lei, guardandolo con la ribellione negli occhi.

«Ci sono, ma nessuno è della nostra casata» disse lui gentilmente, e lei chiuse gli occhi contro le sue lacrime di rabbia «Éowyn. Fallo per me.»

«Ho sempre fatto il mio dovere nei tuoi confronti, mio Re» disse lei, gli occhi ancora chiusi e le parole fredde e prive di emozione.

«Sì» disse lui, e le passò il pollice sotto a un occhio, raccogliendo l'umidità che si era accumulata lì «L'hai fatto. E mia amata ragazza, ti darei tutto ciò che tu desiderassi se ci fosse un altro modo, ma non c'è.»

«Dì piuttosto “tu non lo farai” e risparmiami questi discordi» disse lei, aprendo gli occhi e fissandolo «Non allontaneresti Éomer dal tuo fianco.»

Théoden fece un respiro frustrato. «Non posso dire cosa farei, perché Éomer non è qui. Tu sì. Éowyn, tu sei tutto ciò che mi resta.»

Lei si congelò, e poi chinò la testa rigidamente. A Thorin sembrava una donna fatta di ghiaccio, così forte eppure così fragile, luminosa alla luce della luna appena sorta. «Come il mio Re comanda» disse debolmente.

«No» disse Théoden, e le prese di nuovo il volto «Io non comando. Anzi, te lo chiedo, come tuo zio che ti ama e ha bisogno di te: Éowyn. Prenditi cura di loro.»

Lei lo guardò, colpita, e poi annuì di nuovo e si girò con una girandola di gonne verso il Fosso.

«Oh, nârinh» disse Frerin, quasi senza ossa per l'adorazione.

«Dove sta andando?» si chiese Thorin.

«Ci sono delle grotte oltre il Fosso» disse Gimli inaspettatamente, e Óin imprecò e si girò per fissare di nuovo suo nipote «La gente dell'Ovestfalda e la gente di Edoras hanno preso rifugio laggiù.»

«Grotte, eh?» disse Óin, e fissò a occhi socchiusi le ripide scogliere delle Montagne Bianche che li tenevano nelle loro braccia rocciosa «Bene, quindi.»

«Non ora» gli disse Thorin.

Théoden guardò sua nipote per un momento, il volto pieno di rimpianto e risoluzione. Poi abbaiò: «Gamling. Vieni con me!» e andò verso i livelli superiori «Devo prepararmi per la battaglia.»

«Dov'è andato ora Aragorn» borbottò Gimli «È più difficile da tenere sotto controllo del fumo, quell'Uomo!»

«Sarà andato verso l'Armeria» disse Legolas, guardando gli Uomini allineati fuori dai baracconi, che prendevano lance e archi dalle grande pile fuori dalle porte «Vieni, mellon nín. Forse troveremo quello scudo di cui ha parlato il Re.»

«Forse» disse Gimli, e si spinse via dal muro e seguì l'Elfo col suo pesante passo instancabile.

Però sembrava che l'Uomo fosse di pessimo umore quando arrivarono. Litigò con Legolas nella cinguettante lingua Elfica, e il volto di Gimli divenne sempre più scuro per l'irritazione.

Legolas infine si girò verso l'Uomo e urlò: «Natha daged dhaer!»

Aragorn scattò in avanti e ritorse: «allora io morirò come uno di loro!»

L'improvviso respiro di tutti i Nani, morti e viventi, sembrò impossibilmente rumoroso nell'improvviso silenzio.

Aragorn si girò e se ne andò, e Legolas, gli occhi che brillavano di confusione e rabbia, fece per seguirlo.

«No» disse Gimli, prendendo il braccio dell'Elfo e tenendolo fermo. Legolas aveva le stesse possibilità di muovere quella ferrea presa Nanica che di muovere la montagna. «Lascialo andare, ragazzo. Lascialo stare.»

Legolas guardò Aragorn per un altro istante, e poi finalmente sembrò notare i Rohirrim immobili che li circondavano guardandoli. Disse una parola nella sua lingua che Thorin supponeva dovesse essere un'imprecazione di qualche tipo (anche se suonava troppo dolce per essere qualcosa di adeguato) e si sedette accanto al Nano. La sua eleganza Elfica sembrava essergli sfuggita per la rabbia, e i suoi lunghi arti sembravano allampanati, nervosi quasi.

I Rohirrim infine iniziarono a parlare piano fra di loro, e Gimli prese la sua pipa e iniziò a prepararla. «Ora, Legolas» disse con serietà «vuoi dirmi a che pro era tutta questo?»

Legolas si tese, e poi ricadde su se stesso, diventando privo di ossa come un gatto al sole. «Non riesci a indovinarlo?» disse.

«Aye, penso di avere un sospetto» disse Gimli, strofinando l'acciarino di suo padre e accendendosi la pipa «Però vorrei sentirti che lo dici. Fare supposizioni sarebbe ingiusto.»

«Allora se lo sai, non c'è bisogno che io lo dica» disse Legolas.

«Legolas» disse Gimli gentilmente ma fermamente, e la sua mano si alzò per prendere di nuovo il braccio di Legolas.

Legolas guardò il Nano da sotto le ciglia. «Io...» iniziò, e poi chiuse la bocca con uno snap!

«Beh, se tu non riesci a metterlo a parole, proverò io» disse Gimli, appoggiandosi al muro e iniziando a fumare «Vedi tutti questi mortali attorno a te, o no? E ti chiedi quando saranno presi, voleranno via come le foglie d'autunno al vento, così rapidi e silenziosi? E poi diventi arrabbiato e indisponente, perché anche due dei tuoi amici sono mortali, entrambi hanno quella debolezza, e tu non puoi fermare il corso del tempo che ci è dato più di quanto tu non possa fermare il sole. Quindi ti sfoghi con Aragorn, che apparentemente è tornato a noi tramite un miracolo chiamato Brego. Ci sono andato vicino?»

Se gli sguardi potessero uccidere, Gimli sarebbe stato una macchia sul pavimento.

«Ah, vedo che l'ho fatto» disse Gimli, e rise «Legolas, noi non vogliamo gettare via le nostre vite. E inoltre, in battaglia, tu sei in pericolo quanto me. Gli Elfi saranno anche immuni al tempo, ma non all'acciaio. Quel nemico lo abbiamo tutti.»

Il volto di Legolas era di nuovo posseduto da quella strana mistura di tristezza e confusione, e suonava molto più vecchio e Elfico quando disse: «Lo so, mellon nín, lo so. Ma non dà conforto al mio cuore.»

«Allora trova conforto in questo» disse Gimli, e strinse il braccio di Legolas «Trova conforto in me, come hai detto sulle Mura Fossato. Io sono qui. Io sono vivo. Così lo sei tu. Così è Aragorn. Così sono questi Uomini attorno a noi. Così è la pietra sotto i nostri piedi e l'erba sul fianco della montagna. Domani – chi lo sa? Ma ora – qui – noi siamo vivi, ugbal bâhûn

«Aye» disse Legolas, e Thorin batté le palpebre udendo una risposta tanto Nanica che usciva da labbra Elfiche. Legolas si voltò per guardare meglio il Nano, e lasciò che i suoi occhi rimanessero sulla bassa, larga forma di Gimli nelle ombre. Una luce sembrò accendersi nelle loro profondità blu. «Come hai detto, sei qui, e mi dai conforto.»

«Bene!» disse Gimli, e svuotò la pipa e la mia via alzandosi «Allora dovremmo trovare Aragorn ora. Non sarà andato lontano, e la battaglia è troppo vicina perché malumori rovinino la nostra compagnia.»

«Compagnia» ripeté Legolas, e seguì ubbidientemente Gimli fra i tunnel, fidandosi che senso della pietra del Nano guidasse la strada. I suoi occhi non si mossero dalla forma bassa e robusta di Gimli.

«Perché Legolas si comporta così...» disse Frerin sospettosamente.

«È teso per la battaglia» disse Thorin dopo averci pensato un attimo «Lo sono tutti. Non ricordi?»

«Non ricordo di aver mai fissato un altro Nano fino a bucargli la schiena con gli occhi» borbottò Frerin, e Óin si strozzò.

«Cosa hai detto?»

«Ho detto-»

«No, no, ho sentito, volevo solo...» Óin si grattò la testa, e poi guardò tra la silenziosa sottile forma di Legolas, al Nano robusto e muscoloso – e poi, stranamente, i suoi occhi si fermarono su Thorin. Con un suono inarticolato, scosse la testa rapidamente.

«No» disse con calore, scuotendo un dito a caso «No, non è il caso e io non lo avrò. No, mi senti?»

«Óin, cosa nel nome di Mahal» iniziò Thorin, ma Óin fece uno strillo strozzato e si mise le mani fra i capelli.

«No, ho detto!» squittì, e poi le stelle lo avvolsero in luce brillante, e lui scomparve.

«Che reazione particolare» disse Frerin perplesso «Per caso Óin si è dato di nuovo alla birra?»

«No, non che io sappia» disse Thorin, ugualmente confuso.

Gimli infine mise all'angolo Aragorn in una piccola anticamera dell'armeria principale, che si armava con fervida determinazione. Legolas gli porse la sua spada prima che lui potesse prenderla.

Aragorn si fermò, sospettoso. Legolas fu diretto e brusco dicendo: «Finora ci siamo fidati di te. Non ci hai mai delusi. Scusami. Sbagliavo a disperarmi.»

«Ú-moe edaved, Legolas» rispose Aragorn nella lingua Elfica, e i due si afferrarono la spalla in riconciliazione.

«Di ndegithanc ne ndagor» disse Legolas, le sillabe liquide che scorrevano dalla lingua «I beng nîn linnatha a magol dhîn.»

«Ahem» disse Gimli educatamente.

Aragorn rise la sua raramente udita risata. «Scusaci, Gimli. Noi-»

In quel momento, uno strano, limpido corno risuonò sulla valle.

«Non è il corno degli Orchi» disse Legolas, girandosi, una speranza impossibile sul volto, prima di correre via dalla stanza, rapido come un passero.

«Ah, ancora correre» ringhiò Thorin quando Gimli scattò dietro di lui con stivali che rimbombavano, seguito da Aragorn. Le scale andavano dall'armeria a uno sperone di roccia che dava sulla strada rialzata, e là, marciando in perfetto unisono, veniva una fila luminosa di un esercito di leggende.

«Elfi» disse Frerin, meravigliato dalla vista di tanti degli alti guerrieri ultraterreni.

«Verranno in difesa degli Uomini, ma non dei Nani» ringhiò Thorin, la vecchia rabbia che bruciava come sempre. Gimli si accigliò.

«Questi non sono Elfi di Bosco Atro» disse piano «Non vedi?»

Splendente nella luminosa armatura dorata, una familiare alta figura era in piedi in testa alla colonna. «Porto notizie da Elrond di Granburrone» disse l'Elfo, facendo un passo avanti con un aggraziato segno di rispetto. Quando si raddrizzò, Thorin riconobbe improvvisamente il volto e la forma orgogliosa di Haldir, Guardiano di Lórien, che era stato così freddo verso la sua stella.

«Elfi di Lothlórien» disse, e Frerin li fissò a bocca aperta.

«Sono così brillanti» disse.

«Potrebbero avere ancora una benda o due nelle loro belle maniche, quindi non essere così impressionato, nadadith» disse Thorin.

Gimli alzò gli occhi al cielo. «Portano notizie della Dama» disse, mettendo molta enfasi sull'ultima parola. Thorin si arrese con riluttanza, guardando storto Haldir e borbottando.

«Un'alleanza esisteva una volta fra Elfi e Uomini. Moto tempo fa abbiamo combattuto e siamo morti insieme» Haldir alzò lo sguardo per vedere i Tre Cacciatori che si lanciavano giù dalle scale verso di lui, e la sua bocca si incurvò nel piccolo sorriso degli Elfi «Siamo qui per onorare questa lealtà.»

Aragorn non si fermò alla base degli scalini, ma afferrò l'alto ed elegante Elfo e lo trascinò in un goffo, grato abbraccio. «Sei più che benvenuto» disse ferventemente.

Haldir diede dei colpetti imbarazzati sulla schiena di Aragorn, senza apparentemente sapere cosa fare.


Era quasi mezzanotte, e un mare di acciaio scintillante soffiava davanti al Fosso di Helm.

Thorin guardò il tappeto strisciante di Uruk-Hai, il cuore che gli rimbombava nelle orecchie e gli faceva tremare il petto. «Orcrist» borbottò, e poi guardò le nuvole tempestose sopra di loro.

«Avrei voluto non vedere mai più una battaglia» disse Frerin al suo fianco, e Thorin si allungò e prese la mano di suo fratello, avvolgendola nella propria «E ne ho viste così tante ora» continuò Frerin, fissando l'esercito incredibilmente grande davanti a loro «Così tante.»

Thorin strinse la mano di Frerin, e mormorò: «forza, fratello mio. La notte passerà, e Gandalf arriverà.»

«Uno Stregone contro diecimila Uruk» sospirò Frerin, e non allontanò lo sguardo.

Davanti a loro, Aragorn era in piedi, affiancato dai suoi compagni. «Arrivano» disse.

«Potevi scegliere un posto migliore» borbottò Gimli, e guardò su verso Legolas «Non. Una. Parola.»

«Non oserei» disse l'Elfo solennemente. Poi guardò la vallata del Trombatorrione con il sguardo inquietante.

«Beh, ragazzo, qualunque sia la tua fortuna, che superi questa notte» disse Gimli, e toccò l'ascia impazientemente.

«I tuoi amici sono con te, Aragorn» disse Legolas.

«Speriamo che loro superino la notte» mormorò Gimli, e si prese una ginocchiata nella schiena da Legolas come risposta. Lui ghignò all'Elfo, tirandosi su l'elmo alla sua maniera abituale. Legolas fece un sorriso tirato, prima che il suo sorriso svanisse e lui si limitasse a fissare Gimli come se avesse la risposta a lungo cercata di una domanda che non si poteva pronunciare.

Il tuono rombò sulle montagne, e Thorin sentì le prime gocce che colpivano le armature mentre i cieli si aprivano. La pioggia all'inizio era leggera, ma presto divenne rapida e pesante, un velo argentato che fermava la vista. Aragorn alzò la mano e disse qualcosa in Elfico, e gli arcieri di Lothlórien incoccarono tutti insieme i loro archi.

I combattenti si fissarono, aspettando che un errore fosse fatto.

Quando avvenne, fu improvviso e inaspettato. Un vecchio arciere di Rohan, in lotta col suo arco, per sbaglio fece partire una freccia prima degli altri. La freccia colpì un Uruk fra la corazza e l'elmo, e la creatura gemette come un toro moribondo e cadde a faccia avanti, morto.

«Beh, eccoci qui» sospirò Frerin mentre l'esercito di Isengard eruttava in ruggiti e ringhi e in orrende imprecazioni sbavanti nella loro lingua maledetta.

Legolas preparò il grande arco di Galadriel, gli occhi fissi sulla marea di Orchi che veniva verso le Mura Fossato. Una doccia di frecce fu lanciata dagli Elfi, seguita dalla doccia meno efficace dei Rohirrim. Il rumore degli Uruk-Hai e dei tuoni era tremendo, e Thorin dovette premersi le mani sulle orecchie.

Delle scale furono portate contro alle mura, e Gimli ruotò l'ascia pronto mentre esse torreggiavano minacciosamente in aria. Alcuni degli Uruk, troppo impazienti per aspettare, corsero sulle scale persino mentre venivano alzate. «Bene!» ringhiò Gimli, e saltò davanti alla mischia, l'ascia che brillava «Baruk Khazâd! Khazâd ai-mênu!» ruggì, e due Orchi caddero senza testa. Il resto scappò dalla terrificante visione del grande Nano illuminato dai fulmini.

Lui tornò al suo posto sulle mura accanto all'Elfo. «Due!» disse, dando dei colpetti all'ascia.

«Due?» disse Legolas «Ho fatto di meglio, ed ora dovrò andare in cerca di frecce perdute: le mie sono tutte esaurite. I miei conti ammontano almeno a venti. Ma ciò rappresenta solo qualche foglia nella foresta.»

Gimli lo guardò, la pioggia che gli colpiva la faccia. «Bene allora» disse, e si strofinò le grandi mani «Non lascerò che un orecchie a punta mi batta. Cosa vuoi scommettere?»

«Niente, per la tua vita» disse Legolas seriamente, e si fermò per guardare Gimli «Non la metterei in palio per tutti i gioielli che sono mai stati o che saranno.»

Le sopracciglia di Gimli si alzarono. «Ve bene allora, per il gusto di vincere» disse, e scrollò le spalle, prima di girarsi per seppellire l'ascia nel cranio di un Orco, e poi un altro «Tre, quattro» contò senza fiato.

Arrivò a diciannove quando un urlo giunse da sotto. «Mastro Nano, Mastro Nano!» arrivò una voce, e Gimli e Thorin si girarono all'unisono per vedere Gamling nel Fosso oltre alle mura. Stava agitando le braccia mentre urlava. «Mastro Nano, il tuo aiuto?»

«Il mio aiuto?» disse Gimli, stupefatto, e si voltò verso Legolas pieno di confusione.

«I Nani godono reputazione di gente esperta di pietre» urlò Gamling, e indicò verso dove una piccola fogna si apriva alla base delle Mura Fossato, dove un sottile torrente scuro scendeva dalle nevi delle Montagne Bianche «Gli Uruk strisciano nella grata ed entrano nel Fosso. Gli Uruk sono dentro le mura!»

«Dentro le mura!» urlò Gimli, e piegò le gambe e saltò giù «Ai-oi, gli Orchi sono all'interno delle mura e ce n'è a sufficienza per ambedue. Vieni Legolas! Khazâd ai-mênu!»

A Legolas si mozzò il fiato vedendo Gimli che saltava. Si era evidentemente scordato quanto resistentemente fosse fatto un Nano. Si premette una mano al petto per il sollievo, e un Orco fu su di lui. I suoi coltelli bianchi lampeggiarono nella debole luce lunare. «Ventidue!» disse, e si girò, tagliando la gola dell'Orco in un gesto così elegante che avrebbe potuto far parte di una danza elaborata.

Sotto, Gamling indicò la fogna. «Dobbiamo chiudere questa tana di topi» disse, la rabbia che gli colorava il volto e il tono «Non hai segreti per noi, Mastro Nano?»

«Sono felice che Óin se ne sia andato» disse Frerin ferventemente.

«Non lavoriamo la pietra con le asce da combattimento né con le unghie» disse Gimli «Ma farò del mio meglio.»

Dietro le direzioni di Gimli, gli Uomini dell'Ovestfalda ammassarono grandi massi e rocce rotte e bloccarono l'argine interno del torrente, mentre combattevano con le lance e le spade appuntite degli Uruk-Hai. Il muro così creato non era una struttura permanente, ma bloccò i tentativi degli Uruk di strisciare nel Fosso. Il Fiume Fossato gonfiato dalle piogge si bloccò come risultato, e iniziò ad allargarsi in pozze dietro alle mura. «Venite!» disse Gimli, alzando l'ultimo macigno come se fosse stato fatto di piume «sarà più asciutto sopra!» e spinse il macigno direttamente in faccia a un Uruk che stava cercando in vano di passare nella nuova barricata. Uno squittio risuonò dall'altro lato.

«Non di molto» grugnì Gamling, e lanciò un'occhiataccia al cielo.

Gimli si arrampicò di nuovo sulle mura, e diede un'occhiata trionfante a Legolas. «Ventuno!» disse.

«Bene!» disse Legolas allegramente, arrossato dal calore della battaglia e in qualche modo più selvaggio e più alieno di quanto Thorin non lo avesse mai immaginato «Ma io ora sono a due dozzine. Il pugnale ha avuto da fare quassù.»

Théoden, in piedi di fronti al fosso, rise di derisione. «È tutto qui? È questa tutta la tua magia, Saruman?» disse, mentre gli Uruk caricavano la fortezza e morivano.

Aragorn combatteva poco lontano, la spada più rapida di un serpente tagliando fra le orde di Orchi che andavano verso le mura. Ancora una volta Thorin rimase colpito dallo strano misto di tecniche che usava: qui un rapido colpo Elfico, là una parata Gondoriana. Improvvisamente la sua spada si abbassò quando Aragorn vide qualcosa nella valle.

«Legolas!» urlò, la voce debole sopra al ruggito delle voci degli Uruk-Hai e al rombo del tuono «Togo hon dad, Legolas!»

Thorin si girò, e al suo fianco Frerin iniziò a tremare. «Cos'è quello?» esclamò, stringendo la manica di Thorin.

«Qualche malvagia stregoneria di Saruman» disse Thorin, guardando la cosa nella mano dell'Orco che sfrigolava e scintillava come fuoco di drago intrappolato, blu e bianco come un lampo e ronzante come un nido di vespe.

Legolas piegò l'arco di Galadriel, mirando all'Orco. Andava dritto verso la fogna che Gimli aveva bloccato prima, sbuffando come un toro furioso mentre correva. L'arco cantò: la freccia volò. L'Orco barcollò all'indietro quando affondò nella sua spalla, ma non rallentò.

«Dago hon!» urlò Aragorn «Dago hon!»

Legolas incoccò l'arco di nuovo, e di nuovo esso cantò la sua canzone mortale. La freccia successiva uscì dall'altra spalla dell'Uruk, ed esso si piegò di lato prima di barcollare in avanti.

«No!» ululò Aragorn, e poi ci fu uno schianto e un lampo di fuoco e fumo. Massi che erano stati sistemati nei grandi giorni di Gondor furono scagliati a dozzine di piedi in aria. Le acqua del Fiume Fossato soffiarono e schiumarono mentre uscivano: non erano più strozzate. Un enorme buco era stato creato nelle antiche, spesse, apparentemente imprendibili Mura Fossato.

«Diavoleria di Saruman!» urlò Aragorn, e si lanciò in avanti con la spada in pugno «Hanno acceso i fuochi di Orthanc sotto i nostri piedi! Elendil! Elendil!» urlò mentre saltava nella breccia. Un fiume di figure scure gli corse incontro, sbavando e ringhiando.

«Ritirata!» ruggì Gamling «Ritirata!»

Una grande scalinata di arrampicava dal Fosso lungo la Rocca dove erano i cancelli posteriori del Trombatorrione, una via per fuggire all'allagamento e ritirarsi verso la Cittadella. Accanto ai piedi delle scale era Aragorn: anche se molti Rohirrim si erano ritirati, lui rimaneva fermo. Oltre agli scalini più alti era inginocchiato Legolas, l'arco pronto di nuovo, anche se la freccia incoccate era nera e con la punta uncinata. L'aveva presa dal campo di battaglia dopo essere sceso rapidamente dalle scale su uno scudo – un'azione alla quale Thorin rimase a bocca aperta e scosse la testa.

«Quello» annunciò Frerin stupidamente «è stato fantastico.»

«Tutti quelli che sono riusciti a fuggire sono ora sani e salvi all'interno, Aragorn» chiamò Legolas, coprendo le spalle dell'amico «Torna su!»

Aragorn si girò e corse su per le scale, gli Uruk alle calcagna, le lunghe braccia allungate e le loro voci dure ringhiavano nella loro orrida lingua. Aragorn fu più veloce, evitò un'altra tempesta di frecce degli arcieri di Lothlórien, e raggiunse la porta. Lui e Legolas la chiusero contro alla carica degli Orchi, e poi Aragorn si lasciò cadere contro al legno.

«Le cose si mettono male» ansimò, asciugandosi il sudore dalla fronte.

«Male sì» disse Legolas, e guardò la porta con i suoi rinforzi d'acciaio «ma non da disperarsi. Dov'è Gimli?»

Aragorn batté le palpebre per levarsi il sudore dagli occhi, e poi sembrò allarmato girandosi per fissare anche lui le porte chiuse. «Non so. L'ultima volta che lo vidi stava combattendo dietro alle mura, ma il nemico ci allontanò l'uno dall'altro.»

Legolas sbiancò così velocemente e drammaticamente che Thorin temette che stesse per svenire. «Nel Fosso?» disse debolmente «Queste sono cattive notizie.»

«È forte e robusto» disse Aragorn, facendo un passo avanti e afferrando strettamente le spalle di Legolas «Speriamo che riesca a rifugiarsi nelle caverne. Lì starebbe al sicuro per un po'. È un tipo di rifugio che dovrebbe proprio piacere a un Nano.»

Il respiro di Legolas era rapido mentre disse in un sussurro: «lo spero veramente.»

«Legolas» disse Aragorn disperatamente, ma l'Elfo scosse la testa bruscamente e il suo volto era così deformato e scavato che Thorin poteva a malapena credere appartenesse a uno dei Primogeniti.

Aragorn scosse le spalle sottili con fermezza. «Legolas, starà bene» giurò.

«Desideravo...» disse Legolas, e alzò la testa per incontrare lo sguardo dell'Uomo, qualcosa di feroce e indomito e disperato nel suo sguardo «Desideravo dirgli che che i miei conti ammontano ora a trentuno.»

«Se riesce a raggiungere le caverne, ti supererà nuovamente» disse Aragorn incoraggiante «Non ho mai visto adoperare tanto un'ascia.»

Legolas annuì silenziosamente, e poi disse: «Devo andare in cerca di freccia.»

Aragorn gli lanciò un'occhiata dubbiosa, ma gli lasciò le spalle e iniziò ad incamminarsi attraverso i tunnel del Trombatorrione.

Legolas rimase dov'era per un momento, e poi si raddrizzò. Il suo volto era ancora bianco come il latte, ma aveva due macchie accese di colore sulle guance e sembrava quasi impazzito dal dolore. «Ascoltami, Thorin Scudodiquercia, se sei vicino» disse con voce che si rompeva e tremava «trovalo. Lascia questo luogo e trovalo! Farò qualsiasi cosa, soffrirò per te qualsiasi penitenza, se solo potrai dirmi che lui è vivo e sta bene! Se ciò non può farti cambiare idea, allora per il bene che entrambi gli vogliamo, trovalo. Proteggilo. Non posso perderlo!»

Thorin fece un breve, rapido respiro che gli fece male ai polmoni tanto fu improvviso. «Ci proverò» disse al figlio del suo vecchio nemico, e prima di potersi fare delle domande si era lanciato attraverso la porta e giù dalle scale verso il Fosso. Tremava e si riempiva di Orchi: un'orribile calderone bollente.

«Thorin, cosa stai facendo?» ululò Frerin dietro di lui.

«Troverò la mia stella» ringhiò Thorin, i fuochi della battaglia che gli accendevano il sangue come non avevano fatto per ottanta anni «Troverò Gimli.»

TBC...

Note

Sindarin

Erkenbrand era il Signore dell'Ovestfalda, e il nobile in carica della fortezza del Fosso di Helm

Narciso – Rispetto, amore non corrisposto, sei il solo, il sole brilla sempre quando sono con te

Parte del dialogo è preso dai capitoli “Il Fosso di Helm” e “L'Attraversamento delle Paludi” e dal film.

Tutte le fanart e i lavori ispirati a Sansûkh possono essere trovati sul blog dedicato.

   
 
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