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Autore: IoNarrante    13/07/2015    6 recensioni
Ven, aspirante avvocato, ragazza determinata, ligia al dovere, trasferitasi a Londra con un unico obiettivo: diventare socia di uno dei più grandi studi legali della capitale.
Il sogno per cui ha lasciato la sua famiglia a Tivoli, salutato tutti i suoi amici, riducendosi a vivere in un piccolo monolocale vicino a Regent Park.
La fortuna però gira dalla parte di Ven, perché le verrà affidato un caso importante e allo stesso tempo spinoso, che la costringerà a collaborare con un avvocato brillante e terribilmente sexy ma che allo stesso tempo rispolvererà alcune sue vecchie conoscenze.
Non è necessario aver letto Come in un Sogno
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Se il Sogno chiama...'
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Capitolo 26
 
«Mr. Force vi riceverà appena possibile, vi prego di aspettare in sala.» La segretaria del Daily Voice era piuttosto scorbutica, e anche brutta a dire la verità. Appena avevamo saputo dove questo giornalista prestava servizio e quale fosse il nome della rivista, io e Jamie ci eravamo fiondati alla sede senza perdere un attimo di tempo.
Ogni minuto era prezioso ormai.
«Spero non ci faccia aspettare in eterno,» sbuffai, fissando lo schermo del cellulare.
«Non possiamo saperlo,» sospirò James. «In fondo gli siamo piombati a lavoro senza alcun preavviso, avrebbe tutte le ragioni di scansarci.»
L’idea di tornare a casa a mani vuote mi gelò il sangue. Più tempo avremmo perso giorno dopo giorno, più il processo si sarebbe avvicinato e se non avessimo trovato qualcosa di concreto per quella data, Simone avrebbe perso la causa e si sarebbe dovuto accollare Miss. Cloverfield e la sua sete di fama.
Per non parlare di te…
Il mio subconscio riusciva sempre a mettermi di malumore. Ho già preso la mia decisione, ribadii più a me stessa che a quella parte di me che ancora insisteva ad essere così acida e scontrosa.
«A cosa pensi?» mi chiese l’avvocato, vedendomi un po’ assente.
Scrollai le spalle. Ormai potevo fidarmi di James, tutto ciò che aveva detto lo aveva fatto nel  mio interesse e non perché lui stesso ci avrebbe ricavato qualcosa. «A tutto questo,» dissi, mostrandogli ciò che mi circondava. «Non avrei mai pensato di amare questo lavoro ancora più di quanto avessi immaginato, ma è così.»
«È un gran bel lavoro,» sorrise l’avvocato.
Sospirai, abbassando lo sguardo. «Ed è proprio per questo che devo lottare e mettere da parte tutto il resto.»
Mi riferivo a Simone, ciò era piuttosto ovvio. Non avrei mai immaginato, un anno fa, che rinunciare ad un ragazzo per inseguire il mio sogno sarebbe stato così difficile. Appena conosciuto, Simone non era mai stato nulla per me. Lo avrei volentieri venduto al primo offerente se non fosse stato per la causa in corso che mi avrebbe permesso di diventare socia dello studio. Da quel giorno a questa parte, era cambiato tutto.
«Spaghetti-girl,» sorrise Jamie, mettendo una mano sulle mie e guardandomi comprensivo. «Non devi rinunciare per sempre, ricordalo.»
Stiracchiai un sorriso. Non sarebbe stato un addio definitivo, ma sapevo che il calciatore l’avrebbe presa molto male. Mi aveva sempre accusata di pensare più al mio lavoro che alla famiglia, visto che non avevo pensato due volte ad andarmene di casa alla prima occasione. Ma appunto per quello avrebbe dovuto comprendere quanti sacrifici avevo fatto per giungere sino a quel punto, scegliendo lui avrei buttato anni fuori casa per non ottenere nulla.
«Non capirà, James. Sentirà soltanto ciò che vorrà udire.»
L’avvocato non riuscì a darmi una risposta perché la segretaria del signor Force ci fece accomodare nell’ufficio del giornalista. Vidi un enorme iMac dietro al quale si nascondeva un omino piuttosto insignificante, con un paio di occhiali altrettanto sproporzionati al suo piccolo visetto.
«Buongiorno, a cosa devo questa visita improvvisa?» ci domandò.
Mi guardai attorno e notai che ogni oggetto presente in quelle quattro mura era di dimensioni esagerate, come se la carenza d’altezza di Bastian Force dovesse essere compensata da una miriade di cose enormi.
«Sono James Abbott e questa è la mia collega Venera Donati,» ci presentò subito James, stringendogli la mano. «Siamo venuti qui per farle delle domande in merito a questo,» e spiegò l’articolo di giornale sulla scrivania del signor Force.
L’omino afferrò il foglio con le dita tozze e corte, poi si sistemò gli occhiali sulla punta del naso e sorrise. «Dove siete andati a ripescarlo?» chiese allegro.
Ci guardammo un po’ perplessi. «Da una nostra conoscente,» arrabattai io. Bisognava comunque mantenere il riserbo sul caso di Simone. Bastian Force era un giornalista, si occupava di cronaca mondana e il Daily Voice era uno delle testate scandalistiche più famose di tutta Londra. Ci trovavamo nella tana del lupo e bisognava giocare d’astuzia.
L’omino sorrise furbescamente. «Cosa vorreste sapere e perché?»
Era evidente che aveva capito che sotto c’era qualcosa. James Abbott, per quanto fosse il membro più giovane dello studio tra tutti i suoi parenti, portava un cognome che brillava come un faro nella notte. Mr. Force aveva inteso tutto, o quasi.
«Signor Force,» incominciò James. «Siamo venuti per chiederle informazioni sulla notizia che lei ha pubblicato circa cinque anni fa su una rivista, dal momento che non riusciamo a trovare alcuna informazione in merito nei nostri archivi.»
E questa era la cosa più strana.
Se la Cloverfield era comunque giunta in tribunale, avremmo quantomeno dovuto conoscere qualche stralcio di quella faccenda. Invece sembrava del tutto cancellata dalla storia, quasi insabbiata.
Mr. Force unì le dita l’una all’altra, facendo combaciare i polpastrelli con una lentezza quasi snervante. «Tutto ha un prezzo, miei cari,» sibilò, come il rettile infimo che era.
Strinsi le mani nei pugni, trattenendo a stento la voglia di strozzarlo davanti a James. In ballo c’era molto, perché se avessimo conosciuto nei dettagli questa storia magari saremmo potuti venire a capo della causa, ma quale prezzo avremmo dovuto pagare?
Gettare Simone in pasto alle testate giornalistiche era un’azione di pura vigliaccheria.
«Ci dica qual è il suo,» lo incalzò James.
Mi voltai verso l’avvocato pregandolo con lo sguardo che non dicesse sul serio. Al di là del fatto che avremmo sempre dovuto tenere tutto nascosto sin dall’inizio, come da contratto, a Simone tenevo più di me stessa e non potevo essere complice di questo.
«James,» gli sussurrai, stringendogli un polso.
Ti prego non farlo…
Mr. Force se la rideva sotto i folti ed enormi baffi. «Vorrei conoscere il motivo per cui state indagando su Miss Cloverfield,» disse serafico. «Ho sempre avuto una passione per quella piccola strega e da una parte ammiro la sua caparbietà nel farsi strada in questo mondo.»
Sgranai gli occhi. Davvero quella serpe ammirava addirittura Elizabeth? «Se lo può scordare,» iniziai ma vidi che James subito mi fece cenno di smettere.
«Va bene,» disse ed io sentii il sangue gelarsi nelle vene. «Però alle nostre condizioni.»
 
«Sei completamente fuori di testa?!» urlai.
Eravamo rimasti io e James nell’ufficio del mezz’uomo, come avrebbe detto Gandalf, mentre attendevamo dei documenti da firmare per la riservatezza.
«Calmati Ven, ho tutto sotto controllo.»
Per quanto mi fossi sempre fidata di James e del suo giudizio, quella volta ogni fibra del mio corpo mi stava urlando “cazzata!”. Era rischioso, troppo. Anche se le condizioni di riservatezza avrebbero obbligato Mr. Force ad avere l’esclusiva soltanto dopo la conclusione del processo, era pur sempre un giornalista.
Questi erano gente che pur di ottenere una prima pagina si sarebbero venduti persino la propria madre al mercato nero. La peggior specie che esisteva al mondo.
«Non possiamo fidarci di lui,» insistetti. «Tuo zio è stato chiaro su questo. Avremmo dovuto tenere fuori Simone e la Cloverfield dalle chiacchiere.»
«Dobbiamo per forza, Ven,» mormorò quasi disperato. «Non voglio mentirti, ma questa è l’ultima occasione che abbiamo per avere qualche speranza di vincere la causa!»
Per quale motivo era nel panico? In fondo non eravamo poi così disperati, eppure dalla sua voce e dal suo sguardo traspariva soltanto questo.
«D-Devi dirmi qualcosa, Jamie?»
In quel preciso istante fece il suo ingresso Mr. Force, trotterellando e tentando di mettersi a fatica seduto sull’ampia sedia.
«Qui abbiamo un accordo di riservatezza dove il Daily Voice e il sottoscritto si impegnano a non divulgare le informazioni ricevute prima del lasciapassare della Abbott&Abbott, a conclusione del processo.»
James afferrò il documento e lo lesse fino in fondo, nei minimi dettagli. «Bene.»
L’ometto sorrise. «Mr. Abbott una firmetta qui e qui, e una sigla in fondo.»
Ad ogni riga tracciata dalla Biro di James sentii il cuore tremare. Sapevo che l’avvocato stava facendo tutto quello nel bene di Simone e della causa, ma il mio intuito mi diceva che stavamo sbagliando. Forse c’era un altro modo per affrontare quella difficoltà.
«Ora è arrivato il momento di un buon the,» e chiamò la segretaria per ordinare. «Dobbiamo festeggiare questa nuova e conveniente collaborazione, non credete?»
«Preferirei passare ai fatti,» rispose perentorio James.
Mr. Force sorrise furbo. «Cosa volete sapere, esattamente?»
Questa volta decisi di intervenire. «Tutto,» ringhiai. Avevamo venduto Simone e la sua vita privata alla stampa e per quel motivo avrei preteso fino all’ultimo particolare di quella storia. «Cominci dal principio.»
L’ometto si voltò per raggiungere l’archivio. Frugò tra le scartoffie con le dita corte e tozze, scartabellando ogni piccola cartellina che aveva e ne tirò fuori una dal color verde bottiglia. «Eccoci qui,» disse, posando i fogli sulla sua immensa scrivania. «Cominciamo dall’inizio, signorina.»
 
***
 
Passammo l’intero pomeriggio, fin dopo cena, ad ascoltare, trascrivere e segnare ciò che il giornalista aveva scoperto in anni di indagini. Venne fuori che Miss Cloverfield aveva un passato di ragazza semplice, nelle campagne del Kent, e che il suo primo desiderio era stato sfondare nel mondo dello spettacolo.
«La cosa che più desidera al mondo è la fama,» disse Mr. Force. «Partite dal presupposto che farebbe di tutto per ottenere notorietà e non le importa il modo.»
Questa non era una notizia, sin da quando l’avevo conosciuta mi era parsa una persona scialba e senza alcuna personalità. Viveva solamente in base al suo aspetto e sui poveracci che poteva sfruttare sino a succhiargli via il midollo.
«La peggior specie,» sibilai schifata.
Il giornalista continuò elencando gli scatti di carriera della ragazza, una volta arrivata nella grande città, ma notammo che si arrestarono subito in quanto l’unico talento che possedeva era la bellezza.
«Qui capì che da sola non ce l’avrebbe fatta a sfondare,» disse l’uomo, indicando un vecchio articolo risalente al 2005, dove era riportata una foto della Cloverfield in compagnia di un giovane attore.
«Lui chi è?» chiesi, dal momento che non ero molto informata di gossip e star londinesi.
James mi guardò sorpreso. «Non sai davvero chi è George Wright?»
Scossi la testa dubbiosa.
«È stato uno dei più giovani attori ad aver recitato in una serie famosa della BBC che ha vinto numerosi e prestigiosi premi televisivi,» rispose Force. «Ha vinto anche il titolo di sex symbol britannico dell’anno.»
 Guardando la foto rimasi perplessa. Simone era molto più bello di quello lì, pensai ma due secondi dopo mi ritrovai ad arrossire perché mi rendevo conto di non riuscire a pensare ad altro che al calciatore.
«E cosa è successo dopo?» chiesi.
«Dopo viene il bello, ragazza mia,» rispose l’ometto.
Scoprimmo che la Cloverfield e il signor Wright si erano conosciuti in un locale di Londra, il Desire, frequentato quasi sempre da personaggi famosi.
È lo stesso pub dove ha incontrato Simone. Oltre ad essere una fagiana reale, era addirittura più stupida di quanto avessi mai immaginato. Andava a catturare le sue “prede” sempre nello stesso posto.
Mr. Wright e la giraffona erano usciti insieme per un paio di mesi poi lui, per motivi personali, aveva deciso di troncare la storia e dopo nemmeno una settimana aveva ricevuto la convocazione in tribunale.
«Agisce sempre allo stesso modo,» rifletté James.
Gli occhietti di Mr. Force si illuminarono, pregustando informazioni sul caso attuale che riguardava Miss Cloverfield.
«Quindi ci ha riprovato?» tentò di chiedere.
James lo ignorò, come la sottoscritta. «E dunque perché tutto ciò non compare negli archivi del tribunale statale?»
L’ometto sorrise. «Anche se Miss Elizabeth può sembrare una donna priva di materia celebrale, ha fatto i suoi compiti a casa. Molto spesso avere conoscenze in alto è molto più utile di avere un QI sopra i centodieci punti.»
«Vorrebbe dire che…»
«Non posso provarlo, Mr. Abbott,» lo fermò subito il giornalista. «Detto con sincerità ho provato ad indagare, anche utilizzando metodi poco ortodossi e al limite della legalità, ma ogni foglio, notizia o dato di quel famoso processo che mentalmente molti ricordano, è sparito. Non è rimasta traccia concreta di nulla.»
James si mise le mani tra i capelli. «Come faremo a dimostrare queste notizie se non esiste alcuna prova?» domandò disperato.
Mr. Force tornò all’archivio, frugando ancora tra le scartoffie. «Questo e l’unico documento che sono riuscito a recuperare dal tribunale ed è una copia originale del processo sbobinato e trascritto. Non ci sono altri documenti esistenti ma questo porta il sigillo del giudice Major, che all’epoca seguì il processo, e che potrebbe testimoniare. Miss Cloverfield si è adoperata per cancellare ogni ombra scura incombesse sul suo passato, anche i suoi stessi errori, ma la mia tenacia ha fatto sì di poter pubblicare l’articolo che avete trovato senza alcuna denuncia di diffamazione,» concluse. [da rivedere]
«E come mai soltanto il vostro giornale ha trattato questo argomento?» domandai. Se la notizia era reale e dimostrabile, per quale motivo soltanto la rivista per cui aveva lavorato Force cinque anni fa era uscita con quel pezzo?
Il giornalista sospirò. «All’epoca non possedevo tutto questo,» disse, facendoci notare il suo salto di carriera e di importanza. «Il giornale per cui lavoravo a suo tempo era poco conosciuto e io stesso ancora dovevo farmi un nome nel mondo del giornalismo,» sospirò. «Riuscii ad ottenere un titolo sulla copertina solamente perché ogni parola che scrissi era dimostrata dai fatti o dai documenti che avevo riportato, cosa che nessun mio collega era riuscito ad ottenere. Riuscimmo ad avere l’esclusiva di quel pezzo, ma andò quasi del tutto perso tra gli altri gossip più noti.»
In quel momento compresi lo stato d’animo di Mr. Force. Cinque anni fa era agli inizi della sua carriera, un po’ come me, era ancora onesto e lavoratore, un tipo che si era diviso il quattro pur di poter scrivere un articolo degno di nota. Il suo impegno non era stato premiato all’epoca e forse la Cloverfield non aveva dato alcun peso a quelle poche righe stampate su un giornale che nessuno avrebbe mai letto o comprato.
«Miss Cloverfield la denunciò?» chiese James, annotando tutto.
Force scosse la testa. «Ci arrivò una querela in ufficio, ma quando presentammo i documenti in tribunale pronti ad affrontare il processo, Miss Elizabeth si offrì di pagarmi pur di ritirare quel piccolo neo che macchiava la sua intera carriera come giovane attrice.»
Spalancai gli occhi. Era davvero una vipera quella donna.
«All’epoca ero puro di cuore e non accettai, ma ora come ora mi pento di aver rifiutato quelle 100.000 sterline che mi prometteva. Se avessi saputo che quei miei sforzi non avrebbero portato a nulla…» ridacchiò.
«Beh, meglio per noi,» disse James soddisfatto. «Oppure adesso non avremmo tutto questo materiale da analizzare e sfruttare a nostro vantaggio.»
Notai il nome di John Voight all’interno dell’articolo, cosa che mi aveva sorpreso appena letto. «Chi è John Voight?»
Il giornalista sorrise. «Cinque anni fa ricevetti una telefonata dall’avvocato di Mr. Wright,» disse sollevato. «Erano venuti a conoscenza dell’articolo che stavo per pubblicare e si adoperarono per limitare i danni già causati dalla ragazza. Mi chiesero di utilizzare possibilmente un nome di fantasia, e per quella volta accettai.»
Mi parve piuttosto logico, anche se non riuscii davvero a credere che quel piccolo essere approfittatore si fosse lasciato convincere da un semplice “ti prego”.
«Ovviamente lo feci sotto compenso,» ridacchiò.
E ti pareva!
«Quindi, ricapitolando,» analizzò James, rileggendo gli appunti. «Quando Mr. Wright si è reso conto di voler troncare la relazione con Miss Elizabeth, tempo una settimana e viene citato in tribunale per una causa…»
«…di dubbia paternità,» concluse Mr. Force.
Non fa una piega.
«Miss. Cloverfield affermava che l’attore l’avesse voluta abbandonare una volta scoperta la gravidanza di lei, per questo si era sentita in dovere di proteggere la sua persona e la creatura che portava in grembo.»
Strinsi ancora di più i pugni, conficcandomi le unghie nei palmi. Venire a conoscenza di quella storia che si ripeteva nel tempo mi mandò su tutte le furie. Come poteva agire in modo così meschino? Per quale ragione quella donna sfruttava la gente soltanto per ottenere una cosa futile come la notorietà?
La fama è qualcosa di passeggero.
«E come si concluse il processo?» chiesi, anche se nell’articolo avevo letto qualche anticipazione.
Il giornalista si allisciò i folti baffi castani. «Ricordo che seguii il processo in prima persona. Non avevo ancora le idee chiare sul mio articolo, ma quella vicenda mi incuriosì molto. Si svolse in circa due anni, in quanto la prima volta vennero smarrite misteriosamente delle cartelle mediche, ricomparse soltanto dopo, e ci furono numerosi rinvii per lo stato di salute della ragazza. Ricordo che dopo il quarto mese non fu quasi mai presente in aula e soltanto quando venne a galla la verità, perché Mr. Wright aveva assunto addirittura un investigatore privato, si capì che era tutta una farsa.»
«Quindi non era incinta?» chiese James.
Il giornalista scosse il capo.
«Una volta che la difesa ebbe la brillante idea di chiedere la conferma del DNA ad una clinica fidata e convenzionata con lo studio, venne fuori che le analisi presentate dall’accusa erano soltanto un falso.»
Quella storia era passo dopo passo sempre più simile a ciò che ci stava accadendo. In pratica avevano compiuto le nostre stesse mosse, senza che noi conoscessimo nulla di questa vicenda. D’altronde avevano agito come qualsiasi bravo avvocato avrebbe fatto.
«E quale fu il risultato?» domandai.
Mr. Forse annuì compiaciuto. «Aveva falsificato le analisi del sangue e i test relativi al DNA, alterando dei valori con la collaborazione di qualcuno che alla stampa non fu mai rivelato. Quella ragazza ha sempre un asso nella manica, ma ovviamente non poteva prevedere che il giudice accordasse una riprova del test in un’altra clinica. A quel punto non poté fare assolutamente nulla e si scoprì l’inganno.»
A distanza di cinque anni c’erano due casi prettamente identici di cui non si sapeva quasi assolutamente nulla. Forse anche Mr. Wright, all’epoca, esigeva la stessa privacy che avevamo riservato a Simone. Una vicenda che avrebbe fatto scalpore se portata alla luce e confermata dai fatti, e per fortuna – per una volta – la stampa era stata utile a quel proposito.
«Ora tocca a voi, miei cari. A cosa devo il rilascio di queste preziose informazioni?»
 
Una volta in strada, fuori dagli uffici del Daily Voice, non riuscii più a trattenere le emozioni. Avevo l’adrenalina che mi scorreva in corpo, un po’ perché finalmente il caso aveva trovato un punto di svolta un po’ perché non sopportavo il fatto di aver in qualche modo tradito la fiducia di Simone, consegnando la sua vita privata in mano a quella serpe.
«Perché abbiamo dovuto farlo?» sbottai, fissando James preoccupata.
Lui mi restituì uno sguardo spento. «Mi dispiace ma era l’unico modo. Hai visto quante informazioni abbiamo ottenuto da Force e senza qualcosa in cambio non avrebbe aperto bocca.»
«Ma tuo zio è stato chiaro, dovevamo mantenere il riserbo su questa storia!»
Tirai fuori la balla di Mr. Abbott, ma sapevamo entrambi che la mia preoccupazione verteva unicamente sul calciatore.
James si avvicinò posandomi una mano sulla spalla. «Non ti ho detto tutto Venera,» sospirò.
Odiavo il modo in cui pronunciava il mio nome per intero. Significava solo una marea di guai in arrivo, un po’come faceva mia madre quando trovava la mia stanza in disordine.
«Ho dovuto firmare il patto di riservatezza perché qualche giorno fa è arrivata la riprova delle analisi del St. Charles e non sono buone notizie,» sospirò. «Al contrario di ciò che è accaduto a Mr. Wright, questa volta i risultati sono positivi e non c’è giudice che possa evitare di tenere conto di questo. O Miss Cloverfield si è fatta più furba, oppure ciò che dice è vero.»
Mi crollò il mondo letteralmente addosso. Tentai di spostarmi poco più in là, ma l’onda d’urto mi colpì con la potenza di un uragano. Con tutta me stessa avrei voluto cancellare le parole di James, ma era del tutto inutile.
«L’articolo di Force era l’unico modo per andare avanti,» sospirò. «Anche se mi dispiace averti fatto un torto.»
Sospirai. «Se avessi saputo, avrei fatto lo stesso. Non ti preoccupare.»
Ci incamminammo verso Courtney Road rimanendo in silenzio. La pioggia di quella giornata si era calmata, lasciando spazio alla luce della sera che piano piano si allontanava. I tramonti del nord Europa erano molto diversi da quelli che ammiravo nella mia terra. Le giornate estive infinite, i climi miti e le belle giornate primaverili, con il tepore del sole che riscaldava le mattinate. Qui a Londra mi ero abituata ad uscire sempre di casa armata di sciarpa e ombrello. Il tempo cambiava repentino e i giorni in cui mettere gli shorts o le gonne senza le calze si potevano contare sulle dita di una mano.
«Forse è meglio che ne parli tu a Mr. Sogno,» disse James, interrompendo il silenzio. «Credo tu sia la persona più adatta da cui ricevere questo tipo di notizia.»
Annuii. Certo sarebbe stato un duro colpo per Simone ricevere quella notizia, anche se ormai avrebbe dovuto farci l’abitudine. Nessuno gli aveva detto che quel test fosse infallibile, una possibilità c’era e si era confermata.
Non sarebbe stato facile accettare nulla di quello che gli avrei dovuto dire, ma da qualche parte avrei dovuto iniziare. Certo la nostra indagine per fortuna era arrivata ad un punto di svolta, ma non era affatto detto che si trattasse solo di una farsa.
È quello che speri tu.
Speravo con tutto il cuore si trattasse di un ingegnoso piano organizzato da St. James, con la complicità di quella infima giraffona, ma le possibilità si assottigliavano sempre di più.
«Ora come faremo a dimostrare ciò che abbiamo scoperto al Daily?» dissi scoraggiata.
Senza alcuna prova documentata del processo avvenuto cinque anni fa ai danni di Mr. Wright, avremmo presentato in aula soltanto delle prove circostanziali. Nessun giudice avrebbe ammesso quelle notizie come certe.
«Non ne ho davvero idea,» sbuffò James con le mani in tasca.
Aveva le spalle curve, sconfitte, quasi come se si rendesse conto che il prezzo che aveva pagato per quelle notizie fosse stato del tutto vano. Pensai alle parole di Mr. Force, a ciò che Elizabeth era stata in grado di fare insabbiando tutto e al fatto che il giornalista era andato fino in fondo per scoprire la benché minima prova, mettendo letteralmente a ferro e fuoco il tribunale, eppure mi sfuggiva una cosa essenziale.
«Forse ho avuto un’idea!» dissi trionfante, fermando James in mezzo alla strada.
«Quale?»
Gli puntai il dito indice contro, ottenendo tutta l’attenzione che meritavo. La vecchia Ven era tornata, la ragazza che non si sarebbe fermata di fronte a nulla aveva temporaneamente sostituito la Venera più sentimentale e lunatica. «Dovremmo fare una chiacchierata con Mr. Wright. In fondo, chi meglio di lui – che ha vissuto la storia in prima persona – conosce tutti i particolari? Magari i suoi avvocati hanno conservato qualcosa, potrebbero esserci delle prove o a limite una testimonianza!»
L’attimo di eccitazione dell’avvocato si spense all’improvviso. «Non ha nemmeno voluto essere citato in prima persona nell’articolo, come pensi possiamo convincerlo a testimoniare?»
«Dobbiamo tentare,» dissi. Mr. Wright costituiva la nostra ultima speranza per avere qualche possibilità di vincere la causa.
 
***
 
Tornare a casa dopo una giornata fredda e umida era sempre un piacere, soprattutto se ad attendervi c’era un ragazzone alto più di un metro e novanta completamente insonnolito sul divano. Entrai delicatamente in casa, attenta a non svegliarlo, ma non appena Simone udì le chiavi tintinnare alzò la testa fissandomi insonnolito.
«Dove scei scitata?» biascicò, con i capelli sparati in tutte le direzioni.
Erano appena le 23.00, eppure non mi ero resa conto di quanto tempo avessi passato con James cercando di rintracciare l’equipe di Mr. Wright in modo da fissare un appuntamento. Quell’uomo era diventato quasi introvabile.
«Lavoro, lavoro e lavoro!» sbuffai, togliendomi sciarpa e cappotto.
Lanciai letteralmente le scarpe senza nemmeno curarmi di dove andassero a finire e mi trascinai letteralmente tra le sue braccia. Quel giorno avevo fatto anche il prelievo e i sintomi di sonnolenza si fecero sentire molto presto. Purtroppo c’erano ancora molte cose in sospeso che mi impedirono di prendere sonno subito.
«Passi molto più tempo con quello che con me,» infierì Simone, cominciando a fare la sua solita sceneggiata gelosa da bambino di cinque anni.
A questo punto, se le analisi risultano corrette, dovrai crescerne due di bambini, anziché uno solo!
La prospettiva non era delle più allettanti, in effetti.
«Smettila di essere così infantile, te l’ho spiegato un’infinità di volte che dobbiamo lavorare insieme perché siamo un team. Lui è il mio tutor e mi affianca in questo tirocinio, per me è molto importante questo lavoro. È l’opportunità che sogno da sempre.»
Sperai di fargli capire una buona volta quali fossero le mie priorità e le mie ambizioni.
Simone posò la testa sul mio grembo, fissando il pavimento.
Cominciai ad allisciargli i folti capelli bruni, tentando di dare un senso a tutto quel disordine ma rinunciai quasi immediatamente.
«Il tuo lavoro viene prima di tutto, l’ho capito,» mormorò serio. «Anche prima di me.»
Sapevo che saremmo andati a finire di male in peggio quella sera. Lo costrinsi ad alzarsi e a fissarmi negli occhi, ma fu l’errore più grande della mia vita. Non avevo mai visto Simone Sogno così espressivo. I suoi occhi erano una marea di oro nero liquido in cui annegare, come la pece ed io ero la gabbianella che non riusciva più a volare.
Riusciva sempre ad intrappolare ogni mio pensiero, a far vacillare le mie certezze.
«Devo dirti una cosa,» mormorai. Non ero ancora pronta a lasciarlo andare. «Riguarda il caso.»
Simone si raddrizzò meglio. Cominciò a torcersi nervosamente le dita, mangiucchiandosi un unghia e sospirando ansioso. «Bella o brutta?» chiese solamente ma già dalla mia espressione aveva avuto il sospetto che non si trattava di buone nuove.
«Il secondo test del DNA che abbiamo richiesto noi alla St. Charles è risultato anch’esso positivo,» sospirai. «A livello scientifico tu sei indubbiamente padre della creatura che Miss Cloverfield porta in grembo.»
Tentai di essere più professionale possibile, evitando strafalcioni o nomignoli. Per quanto odiassi quella donna, dovevo rimanere calma per Simo. Non era una situazione facile né per me né per lui, ma per adesso avrei mantenuto il mio segreto.
«Dannazione,» ringhiò, mettendosi le mani tra i capelli. «Stupido! Stupido! Stupido!» gridò, picchiandosi violentemente la fronte. Cercai di fermarlo in tutti i modi, di evitare che si facesse male così lo strinsi forte al petto evitando che infierisse su se stesso.
«SMETTILA!» urlai disperata. Sentii le lacrime salirmi agli occhi perché non avrei mai immaginato una reazione del genere. Simone era sempre stato quello sorridente, quello che ironizzava su tutto e addirittura trovava il lato positivo e scherzoso di ogni cosa. Io ero la metà più realistica, tragica e addirittura noiosa.
Il calciatore si calmò, stringendomi a sua volta. «Mi dispiace,» sussurrò.
«Non fa niente, tranquillo, sono cose che capitano. Basta che non lo ripeti mai più perché mi hai spaventato.»
«No,» ripeté serio, alzando lo sguardo. «Mi dispiace per te.»
Cosa voleva dire con quelle parole? Non capii di cosa si stesse scusando e frettolosamente ripensai a qualunque cosa fosse successa.
«Non capisco…»
Mi prese il viso con una mano, accarezzandomi con il pollice delicatamente. «Se solo ti avessi incontrata prima,» mi confessò. Avevo il cuore che mi batteva a mille e lo stomaco completamente attorcigliato su sé stesso. «Sarebbe stato tutto diverso e non mi sarei trovato in mezzo a questo casino. Mi dispiace soprattutto per te Ven, che nonostante i nostri alti e bassi e il mio carattere di merda continui a supportarmi.»
Si era ammattito tutto insieme? Lo avevano forse rapito gli alieni? Sedato? Magari gli avevano fatto il lavaggio del cervello!
Devi ammettere che questa versione ti piace…
Sorrisi, con gli occhi lucidi. «Non devi scusarti,» replicai. «Innanzitutto non ci conoscevamo quindi se la situazione si fosse svolta in modo differente magari a quest’ora saremmo stati dei completi estranei. Inoltre, non puoi cambiare il passato e in questo caso possiamo soltanto rimediare agli errori, anzi ti dirò che forse non è nemmeno totalmente colpa tua.»
Lui alzò un sopracciglio dubbioso. «Cioè?»
Spiegai a Simone quello che avevamo scoperto io e Jamie quei giorni di intensa attività investigativa. Gli parlai del giornalista, di Mr. Wright e di quello che era successo cinque anni fa e di cui nessuno sapeva praticamente nulla.
«Hai capito la stronza…» concluse lui, esprimendo appieno anche i miei pensieri.
«Non cantare vittoria,» lo fermai subito. «Questo caso ha troppe somiglianze con quello precedente ma purtroppo non possediamo alcuna prova concreta. Domani dovremmo incontrare Mr. Wright e speriamo ci possa dare qualche informazione in più. A questo punto tutto può essere, non dobbiamo escludere a priori la possibilità che la Cloverfield non sia davvero incinta.»
Simone scosse il capo. «Se solo ricordassi qualcosa di quella dannata notte!» ringhiò.
Gli dissi pure del Desire e di Mrs. Finchel, di come tutto quadrasse con ciò che aveva detto la giraffona. «Abbiamo due testimoni che hanno visto te ed Elizabeth insieme quella sera, per cui fino a prova contraria l’hai condotta nel tuo appartamento.»
Cominciarono ad affiorare brutti pensieri associati a quella notte. Immaginai Simone ed Elizabeth insieme, avvinghiati l’uno all’altra, mentre facevano l’amore per tutto l’appartamento.
Magari anche sul divano dove sei seduta te.
Rabbrividii e decisi di alzarmi e andare in cucina per prendermi una tisana. Di sicuro mi avrebbe calmato i nervi.
«Sicura che va tutto bene?» mi chiese di nuovo, vedendomi strana.
Ormai era impossibile nascondergli qualcosa. Simone riusciva a percepire ogni variazione del mio umore, anche il più piccolo tremolio della voce, per cui era quasi inutile mentire.
«Nulla di importante,» tagliai corto.
Dovevo evitare di tirare fuori il mio lato da ragazzina gelosa, soprattutto dopo mesi passati a vivere insieme in quell’appartamento. La verità era che mai avevo pensato così nello specifico a quella notte. Per me era come se non fosse mai accaduta, se fosse stata unicamente la fantasia di una pazza.
Simone decise di raggiungermi e piazzarsi tra me e il bancone della cucina. «Venera,» disse serio, enfatizzando il mio nome particolare. Era già la seconda persona in quella giornata che mi chiamava per intero, facendomi capire quanto importante fosse quel momento.
«Presente!» sdrammatizzai, ridacchiando.
Anche lui si fece una risata, ma fu appena un accenno. «Stronzate a parte, vuoi dirmi perché ti sei incupita tutta insieme?»
Scrollai le spalle con il broncio, fissando il pavimento nemmeno fossi una bimba di cinque anni. Ero triste per il processo, per le analisi, per quello che avrei dovuto dirgli in merito al mio lavoro e per quello che c’era stato tra lui e la giraffona. Mi urtava. Provavo un immenso fastidio perché era palese che voleva soltanto approfittarsi di lui e se l’avessi avuta tra le mani, giuro su Dio che l’avrei strangolata.
«Veeeeeeeeeen!» m’incalzò il calciatore.
Sbuffai sonoramente, irritandomi. «Sono infastidita da quella, da tutto! Dal perché l’hai portata a casa, l’hai baciata, ci sei andato a letto. Mi da fastidio che quella maledetta ti sfrutti senza pagare e non provi alcun rimorso per quello che ha fatto. La odio!»
Ecco, quello era un degno riassunto – un po’ caotico – di tutte le mie sensazioni al momento.
Simone sbarrò gli occhi, alzando le mani in segno di resa. «Okay, diamoci una calmata. È meglio che forse ne prepari due litri di quella tisana. Ti deve forse venire il ciclo?»
A quella parola sbiancai. «Ehm, no, n-non credo, che dici?»
Sorrise. «Era tanto per dire, eh. Mi sembri abbastanza nervosetta.»
Tirai un sospiro di sollievo. Per un attimo avevo pensato che Simone possedesse davvero un quoziente intellettivo tale da permettersi di fare due conti e capire che non c’era stata nessuna pausa tra i nostri rapporti intimi dovuta alle mie cose.
Beati gli uomini che riescono ad avere un pensiero alla volta, massimo.
Simone sembrò divertito da tutta quella situazione. «Che hai da ridere sotto i baffi?» gli chiesi sospettosa. Possibile che trovasse quel mio sfogo così divertente? Forse mi ero esposta troppo lasciandomi andare ai sentimenti…
«Oh piccola Vennie-Pooh,» disse, abbracciandomi stretta. I nostri fianchi si sfiorarono provocandomi un brivido. «Mi piace saperti gelosa.»
Se non mi avesse tenuta stretta al suo corpo, giuro che lo avrei preso a schiaffi. L’essere così fragile non era da me, non ero abituata nemmeno a quegli scatti improvvisi o cambi d’umore. Forse stavo cambiando anche caratterialmente, mi stavo aprendo di più. Ben presto le parole di James mi tornarono alla mente e pensai che presto o tardi avrei dovuto affrontare la questione della separazione momentanea. Mi lasciai andare tra le braccia di Simone, soffocando tutte quelle voci che mi dicevano di prendere in mano la mia vita e trovare il coraggio solo che in quel momento non ne ebbi la forza. Prima o poi sarebbe arrivato quel giorno, ma non era oggi.
Lo sentii sbadigliare sonoramente e alzai lo sguardo oltre il suo petto. «Vuoi andare a nanna, eh, piccolino?» ridacchiai, prendendolo anche un po’ in giro. Lui mi fissò con quegli occhi che parevano appartenere ad un altro mondo, non al nostro.
Senza dire una parola, mi prese per mano e mi condusse verso il corridoio, in direzione della camera da letto. L’idea di dormire mi allettava, anche perché dopo quella giornata piena ero sinceramente esausta. Dentro di me, però, ancora si muoveva qualcosa. Era come se, sotto la pancia, avvertissi un calore inaspettato, come se una creatura antica e dormiente si stesse svegliando all’improvviso donandomi una strana voglia.
«Sono esausto,» sbadigliò Simo, cominciando a spogliarsi. Il vederlo al centro della camera da letto, la nostra ormai, con indosso soltanto un paio di slip mentre nella penombra della stanza potevo intravedere ogni singolo muscolo che guizzava sotto la pelle chiara e delicata mi fece rabbrividire. Quel famoso mostro che abitava dentro di me incominciò a prendere ulteriormente possesso del mio corpo.
Che ti è preso stasera?
Non ero mai stata un tipo voglioso. Le mie relazioni le avevo avute, certo, anche se si potevano contare sulle dita di una singola mano, eppure non avevo mai incontrato nessuno che mi scatenasse tutte quelle pulsioni. E in quelle ultime settimane erano notevolmente aumentate, senza che mi spiegassi il perché.
C’è sempre un problemino che stai trascurando…
Zittii il mio cervello e pensai che era giunto il momento che si facesse un po’ di affari suoi. Spensi ogni funzione cognitiva perché volevo godermi quel momento, anche se non avevo mai preso l’iniziativa in ogni rapporto che avevamo avuto.
Finsi uno sbadiglio. «Awwwwwwwwwnche io!» e mi coricai velocemente sotto il piumone per tentare di spegnere l’imbarazzo. Simone poteva anche non avere idea di cosa stessi pensando, ma la mia mente andava a briglia sciolta. Pensai alle più svariate trame, degne di un film di Tinto Brass, ma avrei dovuto raccogliere molto coraggio per metterle in atto. Nel frattempo, il mostro nella mia pancia continuava a scalpitare inquieto.
Simone mi fissò perplesso. «Stai proprio diventando vecchia!» e si riparò immediatamente alzando un gomito perché, prevedendo un’offesa partita da quella bocca da piccola serpe, avevo afferrato una pantofola e gliel’avevo lanciata dritta in faccia.
«La prossima volta miro in mezzo alle gambe e ti eviro!» sibilai offesa.
Simo mi fissò con quegli occhi da gatto persiano e iniziò a gattonare sul letto, in maniera davvero provocante. Riusciva a sorprendermi in ogni suo comportamento, sia che fosse serio o triste, sia quando prendeva l’iniziativa nella nostra relazione.
Era una sorpresa continua.
«Non ti conviene, so che ormai tu e lui siete diventati migliori amici…» insinuò, facendomi rabbrividire. Sentii ogni cellula del mio corpo vibrare a quelle sue parole e d’istinto chiusi le gambe avvertendo i miei lombi pulsare di desiderio.
«Smettila di darti tante arie,» lo rimproverai.
Per quanto avesse ragione su ciò che stava dicendo, dovevo mantenere il controllo. Volentieri mi sarei lasciata andare quella notte, forse anche prima che Simone si svegliasse, ma il mio carattere mi imponeva di tenergli sempre testa senza mai lasciarmi andare.
Il calciatore si infilò sotto il piumone, facendo finta di essere offeso. Capitava spesso che smorzassi il suo desiderio comportandomi in maniera così acida e scontrosa, però avevo deciso che quella notte sarebbe stato di nuovo mio, a tutti i costi. Almeno prima di raccontargli cosa lo studio mi avrebbe costretta a fare, dovevo soddisfare – forse egoisticamente – un mio bisogno fisico e personale di lui. In verità, mi sarebbe mancato in tutto ma non potevo dirglielo o la separazione sarebbe stata impossibile.
«Ti sei offeso?» gli dissi, strisciando piano piano sotto le coperte.
«Pfffff,» disse imbronciato, scostandosi.
Sapevo che lo stava facendo apposta. Per quanto poco conoscessi gli uomini, capivo quando Simone aveva bisogno di attenzioni, peggio di una ragazza. «E dai,» insistetti, facendomi sempre più vicina e allungando le mani verso i suoi fianchi atletici. «Non tenermi il broncio oppure divento triste…»
Quella sceneggiata diventava sempre più divertente. Era come se i nostri ruoli si fossero invertiti, come se Simone fosse la ragazza offesa e irritabile, che non voleva fare sesso, mentre io ero il ragazzo arrapato fradicio.
Cosa che in realtà sei per davvero, da ben una mezz’ora.
La fortuna di noi ragazze, per l’appunto, era proprio quella. Nonostante fossimo notevolmente eccitate, nulla di visibile poteva dimostrarlo ad un occhio inesperto.
Simone smise di muoversi, anche perché il materasso era giunto alla fine.
A quel punto avrei dovuto attaccare, senza ulteriori indugi, altrimenti quella sera sarei andata in bianco e a giudicare dal mostro della mia pancia non potevo affatto permettermelo.
«Cosa c’è qui?» dissi sorridendo.
Simone poteva fare l’arrabbiato quanto voleva, avrebbe potuto tenermi il broncio a vita, non rivolgermi mai la parola, tenermi lontana ma le reazioni del suo corpo lo avrebbero sempre tradito. Non appena la mia mano aveva accarezzato dolcemente i suoi fianchi, scivolando sul pube, aveva trovato con soddisfazione un’erezione impossibile da nascondere.
E lui sussultò subito a quel tocco, voltandosi e incontrando il mio viso.
Aveva gli occhi lucidi, le iridi tipiche di chi era in uno stato di eccitazione quasi incontrollabile. Oserei dire animale. Nessuno aveva mai reagito al mio corpo in quel modo, nessuno mi desiderava così tanto che addirittura il saperlo mi provocava dolore.
Si voltò stringendomi e cercando subito le mie labbra. Mi morse per violare la mia bocca con la sua lingua, in fretta, quasi come se avessimo un tempo limite per consumare quella notte d’amore. E in effetti mi sentii proprio braccata. Era come se quella fosse l’ultima volta in cui potevamo essere felici, in cui avremmo potuto goderci la nostra passione senza che la realtà ci piovesse addosso come un’incudine.
Il rumore di baci tiepidi riempì la stanza, insieme ai gemiti che lentamente uscivano dalla mia bocca non appena lui trovò le mie mutandine umide. Il mostro nella mia pancia cominciava ad essere soddisfatto, ma voleva di più.
Tornai con la mano a stuzzicare la sua erezione, sempre più grande e turgida, tanto che riusciva ad uscire da sola dagli slip, senza alcun bisogno di toglierli. «Hai visto che effetto mi fai?» mi disse, con le labbra gonfie di baci e di morsi e i capelli completamente stravolti.
Non gli risposi.
Anzi, lo spinsi supino sul materasso e mi sedetti a cavalcioni su di lui imponendo la mia supremazia come il mostro mi aveva suggerito. Quella notte mi sarei presa tutto da Simone, lo avrei consumato fino all’ultima goccia vitale che aveva da offrirmi. Mi comportai come se quella fosse l’ultima notte che avremmo passato insieme.
Mi sedetti sulla sua erezione, rabbrividendo quando entrò in contatto con la mia intimità. Ci fu un contatto elettrico che mi diede quasi la scossa, ma non persi tempo e mi chinai a cercare le sue labbra per distruggerle ancora.
Avvertii le sue mani sul mio sedere, lo stringevano forte quasi a lasciarmi dei lividi ma non mi importava. Simone mi offrì la sua lingua ed io la succhiai dal fondo verso la punta, simulando un rapporto orale che lo fece mugolare di desiderio. «Mi stai uccidendo,» disse con voce strozzata.
Per un attimo decisi di mettere da parte la vecchia Venera e di spegnere per un attimo il cervello, lasciandomi andare solamente all’istinto. «Voglio farti tutto quello che vuoi,» gli sussurrai all’orecchio, cominciando a dondolare sulla sua erezione procurandogli brividi di piacere. «Ordinami quello che vuoi ed io lo farò.»
Mai nella mia intera esistenza avevo permesso ad un uomo di comandarmi, né a mio padre né tantomeno ai miei amici o ai miei fidanzati. Quella notte volli provare per la prima volta a lasciarmi andare, a sottostare a degli ordini come spesso piaceva agli uomini.
Potevi dargli direttamente il frustino o il gatto a nove code.
Scossi la testa. Non si trattava di sadomaso o altre pratiche piuttosto ridicole, volevo soltanto compiacere Simone fino ad ogni sua piccola fantasia più recondita.
Sentii le sue mani stringermi le natiche, allargarle per fare spazio all’erezione che avvertii pulsare. «Sicura di ciò che hai detto?» mi chiese, dandomi la possibilità di tornare sui miei passi.
Mi bastò un colpo di fianchi per farlo sibilare e soffrire. «Se me lo chiedi di nuovo ti lascio qui con il problema da risolvere cinque contro uno, eh,» lo minacciai.
Non serviva che mi chiedesse conferma di ogni cosa che dicevo. Ero adulta e vaccinata, sarei andata in contro alle conseguenze che quella decisione avrebbe comportato. Come, del resto, tutte le scelte che avevo intrapreso nella mia vita.
Mi fece cenno di abbassarmi così mi chinai per raggiungere con l’orecchio la sua bocca. Sentii l’umido della saliva circondare la conchiglia e rabbrividii. In seguito Simone prese il lobo del mio orecchio tra le labbra e lo succhiò. La mia mente non poté che immaginare quelle morbide labbra attorno alla mia intimità, mentre erano occupate a farmi urlare di piacere.
«Voglio leccarti, Vennie-Pooh,» sussurrò con voce roca. «Voglio assaggiare il tuo miele.»
Alzai lo sguardo solo per bearmi di quegli occhi lucidi e di quelle guance arrossate che suggerivano uno stato di eccitazione mai raggiunto prima.
«Tutto quello che vuoi,» dissi, scendendo dai suoi fianchi e mettendomi a mia volta supina sul grande letto a due piazze. Simone mi fu subito sopra, alzando la maglia del pigiama e cominciando a baciarmi il ventre.
D’istinto mi coprii quella parte, quasi fosse più importante della mia stessa intimità o del seno, ma la percepii come vulnerabile. Pensai come se da un semplice contatto, Simone potesse accorgersi o capire che c’era qualcosa di diverso in me, anzi, che lì in mezzo a noi ci fosse qualcuno.
«Ehi,» mi disse, cercando il mio sguardo.
«Mh?» mugugnai, imbarazzata.
Scivolò su di me per regalarmi un tenero bacio. «Devi fidarti, dopo tutto questo tempo è ora che ti fidi di me.»
Il cuore mi batté all’impazzata perché non sapevo come reagire. Ben presto tutti quei pensieri negativi, il caso giudiziario, la giraffona, le analisi del sangue e la separazione da Simone sembrarono sciocchezze rispetto a ciò che stavo provando. Il mio cervello si spense nel momento esatto in cui la sua lingua umida si posò sul mio clitoride bollente.
Fu in quel momento che il mio cervello si spense definitivamente e non pensai ad altro che a godere. Eliminai ogni tipo di stress, ogni preoccupazione o pensiero che potesse rovinare quel momento di estasi in cui avvertivo soltanto le mie grida nel silenzio dell’appartamento.
Simone mi fissava soddisfatto dal basso, con le labbra intente a succhiare, mordere, seviziare la mia intimità senza alcuna pausa. Allungò la mano soltanto per carpire il mio seno e strizzarlo, mentre io stessa mi occupavo dell’altro cercando di non fare troppo rumore.
Ma era difficile.
Come avevo sempre sostenuto, Simone era bravo ad usare la lingua.
Che si trattasse di offendere, sputare sentenze, auto elogiarsi oppure praticare sesso orale, ci sapeva davvero fare.
«Oddio ti prego, lì, continua ti prego.»
Non riuscivo nemmeno più a collegare il cervello alla bocca. Mi venivano in mente soltanto quelle tre parole che ripetevo di continuo, a volte anche senza filo logico.
Simone sorrise e mi afferrò una mano, portandosela tra i capelli scompigliati.
«Stringi,» mi impose.
Quel particolare contribuì ad eccitarmi ancora di più. Voleva che gli tirassi i capelli, che gli spingessi violentemente la testa tra le mie gambe ed esigessi di più. Ancora una volta i ruoli si erano invertiti, ma forse in una coppia c’era questo bisogno di primeggiare una volta per uno, dando una scossa al rapporto.
Obbedii. Passai lentamente le dita tra i suoi morbidi capelli, poi strinsi forte. Avevo paura di fargli male, ma quando avvertii un mugolio di piacere capii che tutto ciò che avrei dovuto fare era stringere e donargli ancora più brividi.
«Se continui così, vengo,» lo avvertii.
Simone smise soltanto quell’attimo necessario per guardarmi. «Meglio,» e poi più nulla. Rovesciai gli occhi all’indietro e avvertii quel tipico calore nel basso ventre. Portando una mano alla bocca, sperando che i vicini non sentissero le mie grida, arcuai la schiena e raggiunsi l’orgasmo tanto agognato.
Simo continuò a massaggiarmi, lasciandomi lente e piacevoli ondate di piacere.
«Come va?» sorrise.
Aveva le labbra gonfie e umide, ma non m’importò. Raccolsi le ultime energie che avevo e cercai la sua bocca tentando di ringraziarlo silenziosamente. Ormai avevo imparato che un rapporto doveva funzionare per il 50% fuori dal letto e per l’altra metà dentro. Il troppo dell’uno o dell’altro avrebbe rovinato l’equilibrio.
«Mmmm,» mugugnai soddisfatta, avvinghiandomi a lui come un koala.
«Mi merito il momento coccoloso?» ridacchiò.
Sorrisi beffarda, quasi un po’ come lui mi aveva insegnato. «Oh beh, se ti accontenti soltanto di quello…»
Avevo voglia di torturarlo ancora un po’, facendo la difficile. Sapevo di avere un “conto in sospeso” con lui, soprattutto dopo le meravigliose sensazioni che mi aveva dato, ma adoravo vederlo imbronciarsi.
«Eh no, ora non scappi!» ridacchiò, cercando di farmi il solletico.
Sgusciai fuori dal letto e mi misi a correre attorno alla stanza in prenda all’isteria, urlando come una bambina. Con lui mi sentivo così, come se avessi ancora cinque anni e credo proprio che stare in sintonia con una persona significasse proprio quello.
Anime gemelle.
Mi distrassi quel millesimo di secondo per perdere di vista Simone. Con due falcate mi raggiunse e mi schiacciò tra lui e il letto, sghignazzando. «Presa.»
E a quel punto ricambiai molti e molti favori, anche se non glieli dovevo.

 
Dunque, dunque!
Eccoci a lunedì, eccoci con un nuovo capitolo! Dalle recensioni ricevute, molte mi hanno chiesto quanti capitoli mancano e siamo a 26/31, quindi ne mancano 5 più o meno.
Beh cosa dite? Vi è piaciuto? State apprezzando il risvolto ''investigativo'' della storia? Io sinceramente sto continuando ad amare Simone e Venera, il loro percorso, come sono cresciuti e come sono cambiati caratterialmente dall'inizio della storia. Voi?
Fatemi sapere :3
Ci vediamo a lunedì prossimo!

Marty 
   
 
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