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Autore: Bolide Everdeen    14/07/2015    1 recensioni
[Storia ispirata alla fan fiction interattiva "500".
Distretto 6, Jeremy Corgan.]
Il fumo dell'ultima sigaretta che John, il suo coinquilino, aveva deposto nel portacenere vorticava ancora nell'aria, regalandole il suo retrogusto atroce di cenere.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Altri tributi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie '500 - Behind the scenes'
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Cenere

Sedici anni. Era una cifra, senz'alcun valore, solamente per valutare una delle sue nuove e persistenti sventure. L'età serviva solamente per caratterizzare quando erano accaduti alcuni avvenimenti che l'avevano trascinato fino a divenire la lurida, scarna figura classificabile come Jeremy Corgan. Così tanti si susseguivano, una fila di tristezze squadrate da un treno che lo scortava verso un buio ancora più costante, ancora più incessante.

Sedici anni. Quel giorno era il giorno del suo compleanno, ma non trovava assolutamente una ragione per festeggiare. Perché? Per se stesso? Per il dono che era stato per i suoi genitori? Sdraiato nella minuscola stanza della catapecchia divenuta casa sua, in quello che sarebbe dovuto essere definibile come “salotto”, Jeremy si abbandonò a una risata sguaiata, della rozzezza dovuta ad una sorta di sofferenza. E non si accorse delle lacrime che iniziavano a denunciarsi, ad inondare il suo sguardo, numerose come per ripagare del suo passato. Ma esso era solo da sotterrare, non da onorare con la sua tristezza. C'era da mettere a posto la casa, pulire la spessa coltre di polvere che infrangeva il pavimento, c'era da alzarsi e tentare di andare avanti. Già. Come se fosse stato utile.

Jeremy rimase lì, ancora un poco di tempo, ad osservare quel soffitto di legno così cadente che permetteva di osservare qualche scorcio di cielo. Non c'era alcun vantaggio in questo, perché quel giorno il distretto 6 era sormontato da una specie di perenne tristezza del colore della cupezza, il grigio, che non aveva alcuna intenzione di andarsene o dissiparsi in pioggia. A Jeremy, in realtà, la pioggia non dispiaceva. Però, se neanche gli esseri umani gli porgevano regali per il suo compleanno, era inutile attenderli persino dal cielo.

Il fumo dell'ultima sigaretta che John, il suo coinquilino, aveva deposto nel portacenere vorticava ancora nell'aria, regalandole il suo retrogusto atroce di cenere. Jeremy ci era abituato, ormai, lui stesso era vittima di quell'odore acre, l'aveva reso suo, l'aveva inspirato ed espirato, amato. E non solo il fumo delle sigarette, ma anche quello di canne; e non solo era avvezzo al depistante puzzo di entrambe, poteva ritenersi conoscente di sostanze più pesanti. Cocaina, morfina, oppio, tutto ciò che John vendeva. Un mercato vasto, che però non lo istigava ad acquistare una casa più vasta, una servitù dedita, una vita migliore.

No. A John piaceva ricordare le sue origini, di essere solamente un pittoresco dettaglio di quella casa, parte integrante di essa. Era consapevole che, per una strana sorta di maledizione, spostarsi avrebbe stimolato la sua più acuta nostalgia. E perciò, lui rimaneva lì. Assieme a Jeremy, assieme all'odore di fumo, assieme ai miliardi di cartine e di bustine diffuse a giro, sugli scaffali, assieme ai soldi nascosti nei materassi ed in ogni luogo cavo. Era tutto gradevolmente eterno. Tutto sembrava creare dipendenza.

Jeremy, nonostante gli sbuffi emessi in ripetizione dalla sua bocca, si alzò. Accanto al portacenere, dove giaceva la sigaretta ancora fumante, si trovava riverso in uno stato di assenza di coscienza John. Era come se dormisse, o come se fosse in coma. E Jeremy si aggrappava a queste labili speranze, eppure era fortemente consapevole che, dopo tutti quegli anni in cui John si era abituato al regime delle droghe, era stato condannato a morte da esse. Una morte dolce, illusoria, forse neanche accolta con gli occhi aperti dal suo ricevitore. Probabilmente, con il pretesto di festeggiare l'anniversario della nascita del suo migliore amico, aveva esagerato con il suo desiderio di benessere e si era trascinato fino alla morte. Che buffo, no? Si muore per le nostre maggiori passioni. Jeremy pensava questo, mentre tentava di gettare, nonostante la sua più totale assenza di mira, l'ormai mozzicone di canna nel portacenere, passando, senza soffermarsi un attimo per riuscire nel suo obiettivo. Poi, mentre sentiva gli effetti di quell'inconsapevole torpore aggredirgli ed accarezzargli il cervello, si chinò rumorosamente su John e tentò di ascoltare il suo cuore. Niente. Il silenzio più totale. John era morto. Perfetto.

Il primo sentimento che contagiò Jeremy, offuscato dagli effetti della droga, fu la preoccupazione, la domanda di cosa ne sarebbe stato della sua vita. A quattordici anni gli era stata privata una casa da suo padre, per la sua passione per la musica grunge, e John l'aveva accolto nella sua nobile catapecchia. Questo forse non sarebbe accaduto, se la madre di Jeremy non fosse caduta in uno stato simile a quello dell'amico in quel momento, per una ragione più meritevole, quando lui aveva cinque anni. Ecco che arrivano gli anni, non poté evitare di pensare il ragazzo, mentre si trascinava verso la cucina alla ricerca di un sorso di qualcosa miracolosamente superstite ai loro pranzi, alle loro cene e alle loro mancate spese. Trovò una bottiglia d'acqua, sul cui fondo si tratteneva ancora qualche goccia, che Jeremy inghiottì in modo famelico. Non gli sarebbe dispiaciuto mangiare un qualche cibo, se solo in quella casa si fosse trovato qualcosa. Si sarebbe potuto concedere un briciolo del paradiso di stupefacenti che era quel posto, al posto del desinare. Senza il coraggio di sollevare i piedi da terra, e perciò trascinandoli, Jeremy tornò nel salotto, e si trovò ad affrontare il più profondo vuoto. Il cadavere di John per terra. Il portacenere pieno, mentre il fumo aveva desistito nel suo ricordo. E il caos che popolava ogni angolo. Avrebbe cercato più tardi.

Ora si sarebbe potuto sdraiare; sì, sdraiare un altro po', aspettare anche lui la sua morte mentre lui si consumava, come il mozzicone di una sigaretta, un tiro dopo l'altro, il fuoco a divorargli prima i piedi, le gambe, lasciare che si diffondesse in tutto il corpo e lo consegnasse a quel paradiso o a quell'inferno in cui sua madre e John si era nascosti, perché no...

Una voce estranea per una vena di coscienza in sé prese a sussurrargli all'orecchio, unica sopravvissuta di quegli abusi, di quelle potenti grida che lo trascinavano a ridursi alla disperazione di quelle considerazioni: Ma ti sei reso conto che John è morto? Colma di disperazione, piangente, implorante una resurrezione. E perciò, nella confusa mente di Jeremy si affacciò John, e con John sua madre, e con sua madre il ricordo di lei che si dirigeva ad una riunione comunale con la sua determinazione di esprimere le sue idee contro Capitol City, e con la sua partenza il suo non ritorno, e con il suo non ritorno la morte... e con la morte John. Perciò, era questo la morte? Non poter più parlare con lui? Rimanere solo?

Solo, senza una persona interessata al tono della sua voce, senza qualcuno che badasse al numero di canne fumate o di sostanze ingerite; solo, come la settimana in cui suo padre lo aveva cacciato di casa, ed il suo unico sostentamento era divenuto il furto di pane. Evidentemente, era il suo destino. Al di fuori di ogni controllo di se stesso, Jeremy iniziò a ridere, e a piangere, e a mescolare queste due azioni fino ad essere solamente un essere in preda ai suoi difetti, alle sue debolezze, all'attesa della morte.

Giusto. Lui stava attendendo la morte. E allora, perché attendere che fosse lei a correre verso di lui, ad abbracciarlo con il suo possessivo dolore? Jeremy ringraziò di non essersi ancora sdraiato, per non avere il dovere di rialzarsi in piedi, afferrò una giacca rimasta in bilico su una sedia, se lui o di John non era importante, e si precipitò al di fuori della sua catapecchia, senza neanche considerare che avrebbe potuto donarle un'ultima, disperata, occhiata, per imprimersi nella sua breve memoria, fino a prima della sua fine. No, l'aveva vista abbastanza. Ogni giorno, per due anni della sua vita. Gli ultimi due.

Perciò, a sedici anni, si sarebbe suicidato. Non sapeva come mai gli era naturale abbinare il momento della sua scomparsa con l'età, ma lo trovò ovvio, come quando pensava al momento degli eventi più importanti della sua vita. Lo stesso discorso era identico per la definizione “dodici anni”, accordata con tanta facilità al suo primo tentativo di suicidio, da effettuare davanti a tutta la classe, agli stessi ragazzi che gli avevano ispirato quell'azione, in collaborazione con un video di una delle sue antiche band preferite, i Pearl Jam. Sarebbe stato così tanto divertente vedere i ragazzini i quali lo torturavano per il solito dispiacere della differenza, per l'aspetto così trasandato di quello strano essere, fingere di essere i suoi migliori amici, di ammirarlo e rispettarlo per la sua stessa condizione. La morte lustrava ogni persona, ogni reputazione, anche quelle più madide di macchie. Però, adesso, non aveva nessuno con cui confrontarsi. Solo, non avrebbe avuto senso continuare a vivere. Quello che stava per dare era solo un taglio, una delle più utili conclusione di una strada che non avrebbe potuto altro che condurlo in un profondo bosco.

Continuò, calpestando le comuni strade periferiche del distretto 6, fino a quando non arrivò ad un muro in cui lui e John era soliti soffermarsi, sedersi, fumare qualcosa, e continuare i loro eterni vagabondaggi. Da un lato, quello da cui lui arrivava, sembrava non prevedere alcun pericolo, per il suo mezzo metro di altezza. Dall'altro, però, prometteva ciò che lui cercava: la fine, dieci metri di caduta oltre alla quale non ci sarebbe stato più nulla. Si avvicinò, con una cautela rituale, accarezzò la pietra che rendeva quella barriera concreta, si affacciò verso il suo desiderio, inspirò, e...

Una mano lo trattenne, intrappolandogli il gomito, prima che Jeremy potesse raggiungere il suo desiderio, provocando una profonda insoddisfazione. Adesso, avrebbe dovuto replicare la sua cerimonia d'addio, la quale comunque sarebbe stato il preludio della fine. Non c'era motivo di tornare indietro.«Lasciami andare» implorò lui, senza neanche osservare chi era che l'aveva obbligato a continuare la sua immotivata esistenza, mentre da dietro una voce lo raggiunse:«No. Scordatelo. Non ti lascerò andare così, senza che tu mi abbia spiegato i tuoi motivi.»

«E perché?» non poté evitare di replicare Jeremy, lasciandogli la vincita e raddrizzandosi, per evitare il continuo di quell'irritante contatto, trovando la figura di un ragazzo sconosciuto, forse suo coetaneo, con il viso seriamente contratto dalla preoccupazione. Dovuta a cosa? Alla probabile conclusione della sua vita? Oh, impossibile. Neanche lo conosceva. E, se l'avesse conosciuto, si sarebbe accorto che la sua scelta era la migliore«Perché ti renderai conto che sono dei motivi inutili» rispose lui, il ragazzo sconosciuto, mentre liberava il suo gomito e porgeva una mano, in segno di una conoscenza, un'alleanza nei confronti della vita:«Chris.»

«Jeremy» rispose lui, afferrando la mano con indifferenza, attendendo con la sempre più impellente necessità della morte la sua scomparsa. Però, quando gli strinse la mano, provò un brivido, qualcosa di nuovo, forse di scomparso, forse di mai provato, che lo portò per la prima volta a scontrarsi con il suo sguardo. E nello sguardo di Chris, dell'ormai non più sconosciuto, trovò le stesse sfumature di ciò che l'aveva afferrato prima.

Forse, era fiducia nella vita.

In quel momento, contagiò un poco anche lui.

 

Spazio autrice

Sì, qui potrei continuare all'infinito, con questa storia. Comunque, non vi voglio troppo annoiare, e lascio spazio ad un breve riassunto della vicenda successiva.

Dopo la morte di John, Jeremy incontra appunto questo Chris, il figlio del sindaco, che in tal modo gli salverà la vita e gli donerà una casa, portandolo a vivere con sé. I due, poi, si metteranno insieme. Quando Chris viene chiamato per l'edizione straordinaria degli Hunger Games per i cinquecento anni di Panem come tributo, Jeremy si offrirà volontario, perdendo la sua vita. Questo è uno scorcio della storia di Jeremy che si scopre all'interno della storia da cui deriva questa one shot, ovvero la fan fiction interattiva “500” che probabilmente vi ha tormentato per tutto questo tempo nel fandom. Ancora diciannove one shot da sopportare, ed avrò finito.

E... non so cosa puntualizzare. Non sono così soddisfatta di questa storia, però spero vi piaccia. La storia si svolge nel 6, come accennato un paio di volte. Ah, i Pearl Jam esistono veramente, sono stati recuperati dal padre archeologo di Jeremy insieme ad altri dischi e filmati di band grunge, e il video della canzone probabilmente è quello di “Jeremy Spoken” (non me ne intendo, me l'ha detto mia sorella). E ora posso scomparire.

Scusate il disturbo,

Bolide

 
  
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