Note: E
finalmente sono approdata anche su questo fandom!
Scrivere su nuove ship mi fa sempre fare un sacco di
complessi ahahaha~ BTW, la Stucky
è la mia OTP (anche se da sta fic non si direbbe) e spinta da alcune fanart meravigliose ho deciso di scrivere questa piccola
fic. Le fanart in questione sono questa
e questa.
So che non ha molto da senso da un punto di vista della trama dato che la
canzone in questione non era stata scritta ma ehi, licenza poetica dai. Per lo
stesso motivo ho deciso di lasciare le strofe in inglese, ma vi lascio un link con la
traduzione delle lyrics.
Infine, ma non certo per ordine di
importanza, dedico questa fic a una personcina a cui voglio tanto tanto bene e
che mi sopporta sempre (anche se non so proprio come faccia). Ti voglio tanto
bene e ricordati che "i'm with you till the end of the
line".
Cheers Darlin'
L’alcool è forte e pungente sulla punta della
lingua e, quando Bucky butta giù il primo bicchiere in un solo sorso, il
liquido ambrato brucia contro la gola e nello stomaco. Non ha un buon sapore. È
un alcolico senza nome che maschera la sua mancanza di aromi con i gradi alti,
è ciò che i soldati chiamano “il liquore della guerra”: una brodaglia da
mandare giù per dimenticare temporaneamente il tanfo della carne che si decompone
ed il sentore metallico del sangue che rimane impresso sulla pelle come un
tatuaggio, l’olezzo della guerra che non li abbandona mai.
Bucky non pensa ad amici caduti in battaglia
quando svuota velocemente anche il contenuto del secondo bicchiere. Nella sua
testa c’è solo spazio per Steve.
Steve che cerca sempre di proteggere chi lo
circonda e fare la cosa giusta anche quando non dovrebbe, che si occupa di sua
madre anche quando lui stesso ha attacchi di tosse talmente forti che Bucky
inizia a temere il peggio. Steve dall’anima candida e dagli occhi talmente
cristallini e pieni d’ideali che lo fanno sentire indegno ogni volta che
incrocia il suo sguardo. Steve che, puro e pieno di speranze, è un raggio di
sole nel grigio della guerra, la prova vivente che le persone buone esistono
davvero.
Steve è più forte di quel che sembra, il suo
candore non è mai stato sinonimo di debolezza e fragilità, eppure Bucky ha
sempre sentito il primitivo bisogno di proteggerlo dal mondo intero e
preservare la sua bellezza. Anche se è più
lui ad aver bisogno di Steve che non il contrario.
Il bicchiere viene riempito una terza volta
ma rimane intoccato per qualche minuto. Gli occhi azzurri di Bucky – più scuri
rispetto a quelli di Steve, più offuscati dall’alcool e dal cinismo – vagano
per la stanza, alla ricerca dell’unica persona in grado di occupare la sua
mente in ogni singolo istante.
Rimane deluso quando il suo sguardo non
incontra il piccolo e fragile ragazzino di Brooklyn.
A livello razionale, Bucky sa che Steve non è
cambiato. L’uomo che si trova davanti potrà anche essere più alto e muscoloso,
ma sotto l’uniforme che stringe in tutti i punti giusti si trova lo stesso
Steve Rogers che sfidava bulli il doppio di lui e che raccoglieva gatti randagi
per le strade – “non possiamo lasciarlo
qui, Buck! Rischia di non durare tre giorni!” – anche quando aveva appena
di che nutrire se stesso e la sua famiglia. Ne è sicuro, lo ha visto nei suoi
occhi quando lo ha salvato e lo ha portato a casa.
Non importa se si trovano in un accampamento
militare, “casa” per Bucky è sempre stata grandi occhi azzurri che in qualche
modo riescono a guardarlo dentro e cuscini del divano buttati sul pavimento. È serate
spese ad osservare la mano di Steve che abile si muove sul foglio di carta,
disegnando schizzi che Bucky cerca sempre di sbirciare senza mai riuscirci. È i
momenti in cui i loro volti nella penombra sono troppo vicini e Bucky è
costretto a distogliere lo sguardo ed allontanarsi prima di fare qualcosa di
cui potrebbe pentirsi – seppellirà il desiderio fino al momento in cui bacerà
labbra dipinte di rosso, cercando di non immaginare un’altra bocca ed un altro
corpo sotto di sé.
Casa è Steve,
non importa in quale forma egli sia.
Eppure… Eppure qualcosa stona. Bucky lo
osserva e, annebbiato dai fumi dell’alcool, tutto quello che riesce a vedere è
una persona che gli è stata strappata via e che è stata trasformata nel simbolo
stesso della propaganda. Propaganda per quella guerra da cui Bucky voleva
tenerlo disperatamente lontano.
Digrigna i denti. Allunga la mano ed afferra
il bicchiere, portandoselo alle labbra.
Sulla punta della lingua l’alcool ora sa di
fallimento, di un sapore amaro che gli fa venire voglia di ridere ed urlare
allo stesso tempo. Non è riuscito nell’unica missione che davvero teneva a
portare a termine, non è riuscito a tenere Steve con sé, non è riuscito a
proteggerlo ed il solo pensiero che forse avrebbe potuto fare di più gli fa
abbassare lo sguardo in un moto di vergogna. Solleva gli occhi solo quando la voce
di Steve si erge per un momento più alta
delle altre, sovrastando il vociare dei soldati.
Al suo fianco c’è l’Agente Carter. Non c’è
nessun accenno di contatto fisico tra di loro e agli occhi dei più potrebbero
sembrare solo amici, ma la vicinanza dei loro corpi, i leggeri inconsapevoli
movimenti che vanno a diminuire man mano la distanza e le occhiate furtive che si
lanciano raccontano tutt’altra storia. Lo sguardo scivola su Peggy e oh, in quel momento ogni possibile
dubbio scompare, perché è ovvio che sia innamorata di Steve, Bucky riesce a
capirlo dal modo in cui lei lo guarda.
Non è la prima volta che vede uno sguardo
simile. Lo ha visto addosso a se stesso quando, camminando a fianco di Steve,
gli è capitato di specchiarsi nelle vetrine dei negozi. Bucky si morde
l’interno della guancia, il sapore metallico del sangue che va a mescolarsi a
quello dell’alcolico in un mix che gli fa quasi venir voglia di vomitare.
Sarebbe più facile da accettare se Peggy
fosse interessata a lui solo per il suo corpo. Sarebbe più semplice se solo non
vedesse Steve ricambiare le occhiate, concedendogli quegli sguardi di cui Bucky
vorrebbe appropriarsi, preda di una gelosia che mai lo ha preso con una tale
forza.
Mentre riporta il bicchiere alle labbra, non
può fare a meno di realizzare che siano una bella coppia. È un pensiero che
detesta, una constatazione oggettiva che è in netta contraddizione con la morsa
che prova a livello del petto e che gli mozza il respiro. Peggy è bella, ha
caldi e morbidi boccoli castani che incorniciano un volto dolce e forte allo
stesso tempo, ha labbra rosse ed una femminilità che viene tuttavia vista con
rispetto dagli uomini che la circondano. Steve… beh, è Steve. La persona più bella che Bucky abbia mai conosciuto, con o
senza muscoli.
Sembrano una coppia da film, uscita dalle
pellicole che ogni tanto lui e Steve andavano a vedere insieme. La
realizzazione che non potranno più vivere momenti simili insieme gli fa
aumentare la presa sul bicchiere. Le nocche diventano bianche.
Steve non è
più lo stesso. Steve è cambiato perché non è più suo.
Ha bisogno di sfogarsi. Ha bisogno di urlare
a pieni polmoni quello che prova e non importa se sarà l’alcol a parlare,
perché tutto quello che desidera è lasciarsi andare e sciogliere in qualche modo
il groppo che sente alla gola. Il mattino seguente sarà miserabile ed in preda
ai rimorsi, ma in quel momento non ha importanza. Nella sua mente una voce
appartenente a mille persone diverse e a nessuno allo stesso tempo gli ricorda
che è meglio avere rimorsi che rimpianti. Le labbra di Bucky si sollevano in un
sorriso amaro mentre afferra il microfono, strappandolo di mano ad uno degli
uomini a pochi decine di centimetri di distanza da lui. Il suo “ehi!” di
protesta non viene neanche ascoltato.
Non ha un discorso pronto o qualcosa che
vuole cantare. Bucky non ha la minima idea di cosa dire e quando si schiarisce
la gola e porta il microfono vicino alle labbra schiuse, rosee quanto le
guance, lascia semplicemente fluire il corso dei suoi pensieri. Il suo sguardo
non lascia Steve neanche per un istante.
«Cheers, darlin’» Intona con voce leggermente impastata, alzando il
bicchiere in direzione di Steve.
Solo allora il biondo si volta verso di lui.
Nel vedere Bucky, i suoi occhi sembrano diventare in qualche modo più tristi.
In essi il moro legge una delusione che probabilmente non esiste.
«Here's to you and your lover» L’ultima parola viene quasi sputata fuori, pronunciata con
rabbia non tanto verso Peggy – potrà anche essere geloso, ma Bucky sa che non
riuscirebbe mai ad odiare davvero qualcuno in grado di far nascere genuini
sorrisi sul volto di Steve – quanto verso se stesso. Il sorriso sulle sue
labbra non raggiunge i suoi occhi.
Intorno a lui nessun uomo sembra capire. I
soldati che non stanno chiacchierando tra di loro e che gli stanno prestando
attenzione lo incoraggiano ogni tanto e si godono lo spettacolo, ma niente di
più. Steve ha un’espressione strana sul volto, un misto di confusione e
qualcos’altro che Bucky non riesce a decifrare ma che sa essere lontano dalla
consapevolezza.
Con Peggy invece il discorso è diverso. I
loro sguardi si incontrano per la prima volta e nell’esatto istante in cui ciò
avviene, Bucky capisce che lei sa quello che lui fatica ad ammettere persino a
se stesso.
Il contatto visivo è difficile da mantenere.
Guardare Peggy è come guardare uno specchio e se c’è qualcosa in cui Bucky ha
sempre fatto schifo quella è affrontare se stesso ed accettare la natura dei
propri sentimenti.
Il bicchiere che viene svuotato è una scusa
come un’altra per poter spostare lo sguardo. Non passa molto prima che qualcuno
pensi a riempirlo nuovamente.
«I got years to wait around
for you» Lo sguardo si sposta nuovamente su Steve.
Bucky fa fatica a concentrarsi su qualcosa
che non sia il migliore amico –
pensare che non potranno mai essere niente di più fa più male di un calcio allo
stomaco ed il moro cerca di mandare giù il dolore con un altro sorso. Steve è
il suo centro di gravità, la persona che sempre lo attirerà a sé pur non
essendone davvero consapevole. Steve è il suo sole e Bucky non è nient’altro
che un pianeta che ruota intorno a lui.
«I've got your wedding
bells in my ear» Continua, le dita che si stringono con più forza
intorno all’asta del microfono. Era certo che lasciare andare le proprie
emozioni e sfogarsi lo avrebbe fatto sentire meglio, ma evidentemente si
sbagliava. Per qualche motivo la cosa lo fa quasi ridere. O piangere. Fare una
distinzione è difficile.
«You give me three cigarettes
to smoke my tears away» Le uniche lacrime che
verserà saranno in solitudine, gocce salate che Bucky strofinerà con il dorso
della mano prima che potranno raggiungere il mento.
«And I die when you mention her
name»
Qualcosa nel volto di Steve cambia. Le
sopracciglia si sollevano, le labbra si schiudono appena e gli occhi azzurri –
quei pozzi cristallini e profondi che Bucky ha sempre amato ed odiato al tempo
stesso – si spalancano. In tutta risposta Bucky gli lancia un altro mezzo
sorriso pieno di amarezza. È come se non riuscisse a fare altro quella notte.
Solamente la sera precedente Steve gli aveva
parlato di Peggy. Per un momento tutto
sembrava essere perfetto. Il cielo stellato sopra di loro era luminoso come non
mai ed i loro volti erano talmente vicini che Bucky poteva sentire il respiro
caldo di Steve sulla propria pelle. Lo aveva guardato dritto negli occhi allora
e per qualche secondo aveva finto che fossero amanti, che quello sul suo volto fosse
amore nel senso passionale e romantico del termine, che i suoi sentimenti
fossero completamente ricambiati. Bucky era rimasto in silenzio ed aveva
ascoltato la voce di Steve, facendo scivolare le iridi azzurre sulle labbra
altrui più spesso di quanto è consono ad una coppia di semplici amici. Per un
momento aveva addirittura accarezzato la
possibilità di sporgersi ulteriormente in avanti e colmare quel divario di
pochi centimetri che non ha mai avuto il coraggio di cancellare.
Poi Steve aveva continuato a parlare. Ogni
fantasia si era spenta nel momento stesso in cui la parola “Peggy” era uscita
dalla sua bocca.
«And I lied, I should
have kissed you when we
were running in the rain»
Riesce quasi a sentire lo scrosciare della
pioggia nelle orecchie e l’asfalto bagnato nelle narici. L’odore è talmente
forte che sembra in qualche modo essere arrivato sulla punta della lingua e sul
palato: nonostante siano passati mesi a Bucky sembra di avere i vestiti fradici
e di star tenendo la giacca sopra la testa di Steve, che continua a lamentarsi
perché non ne ha bisogno. Non è un ricordo troppo lontano, eppure sembra
appartenere ad un’altra era: esso possiede il sapore dolce e quasi nauseante
della nostalgia e di cose che non potranno ripetersi mai più.
Steve aveva il fiatone a causa della corsa e
Bucky ricorda come il suo respiro pesante e la sua condizione di asma lo
avessero fatto preoccupare, portandolo a pensare che forse avrebbe dovuto prenderlo
in braccio. L’uscio di casa si era poi presentato dietro l’angolo e Bucky lo
aveva amichevolmente spinto contro di esso, grato che fossero al riparo e che
Steve avrebbe presto smesso di tremare.
Ricorda le risate che si erano spente quasi
all’unisono, soffocate dal rumore delle gocce sulla strada, il modo in cui
Steve lo aveva guardato dal basso verso l’alto e quell’istante in cui il suo
cuore aveva smesso di battere perché ommioddio, ora si alza
sulle punte e mi bacia per davvero e tutto questo non è un sogno e sono l’uomo
più felice della terra. La distanza tra le loro labbra si era fatta sempre
più piccola e poi… poi Bucky si era allontanato di scatto, come se le spalle di
Steve bruciassero e quella situazione lo disgustasse. Solo perché in lontananza
aveva sentito una voce conosciuta.
Non è mai stato in grado di tirare fuori il
discorso con Steve. Tutto è stato dimenticato, spinto sotto il tappeto come un
cumulo di polvere.
Bucky riprende contatto con il mondo reale
quando il punto su cui aveva focalizzato la sua attenzione si sposta. Steve si
avvicina a passi lunghi e decisi e prima che Bucky possa rendersene davvero
conto ci sono due mani sulle sue braccia. La stretta è ferma ed in qualche modo
dolce allo stesso tempo. È un ossimoro di cui solo Steve è capace.
«Buck.» Mormora semplicemente e in quella
singola parola ci sono anni di cose non dette e di silenzi non riempiti.
«What am I darlin'?» Le labbra si
sollevano in un sorriso mentre la voce fuoriesce, il ritmo della canzone ormai
perso del tutto.
Ha bisogno di risposte. Ha bisogno di qualcosa, perché non ce la fa più a
vivere in quel modo, con domande inespresse sulla punta della lingua ed un peso
opprimente nel petto.
Steve si morde il labbro inferiore. L’incertezza
ed il dubbio in un lampo attraversano le sue iridi chiare.
«Non qui.» Risponde solamente, prima di fare
un cenno alle persone che li circondano –
ah giusto, esistono, Bucky quasi se ne era dimenticato – e spostarsi in un luogo più appartato, con il massimo della
privacy che possono ottenere in un accampamento militare.
Steve si fa più vicino. Avviene tutto con una
lentezza tale che a Bucky sembra quasi di trovarsi all’interno di una bolla
sospesa in aria, un piccolo angolo di mondo in cui il tempo scorre più
lentamente. Sono solo una manciata di secondi eppure sembrano una vita intera
ed insieme alla frequenza del battito cardiaco aumenta anche l’impazienza. Non
può più aspettare.
Steve si fa più vicino e Bucky pensa che lui
voglia baciarlo, che voglia rimediare a quell’errore compiuto quel giorno di
pioggia, rendendo realtà le fantasie che hanno tenuto sveglio Bucky per notti
intere.
Le braccia di Steve – braccia più muscolose
ma che sanno comunque di casa – si stringono intorno al suo corpo e Bucky
sospira come non ha mai sospirato prima, stringendosi al petto altrui e per una
volta lasciandosi andare. «Buck...» Steve lo chiama con voce bassa e Bucky
pensa che sia arrivato finalmente il momento, sorride e si sporge in avanti.
Poi… avviene.
Bucky sa che non dovrebbe esserne
sorpreso, che è l’azione che dal punto di vista della logica ha più senso,
eppure quando Steve lo stringe in un abbraccio non può che essere deluso.
Qualcosa nel suo petto si
incrina, produce un rumore straziante che Bucky è sicuro che l’altro abbia
sentito.
Nessuno dei due dice qualcosa
quando la prima lacrima si fa strada sul volto niveo di Bucky ed atterra sulle
spalle di Steve.