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Autore: Rov    15/07/2015    3 recensioni
Cordelia ha diciassette anni quando Zar, il cavallo di suo nonno, le causa un terribile incidente che le impedirà di cavalcare di nuovo. Ora che perfino camminare è impossibile, vivere in un ranch di allevatori causa un doloroso ricordo. Ma la vera domanda è perché Zar si è imbizzarrito? Perché il nonno ha mentito, dicendo di averlo acquistato ad una fiera? E soprattutto, perché il nonno vuole salvarlo dalla soppressione?
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~~Le acque presero vita in un tumulto dello specchio, circondato da un buio freddo e da uno strano puzzo limaccioso; se qualcuno mi avesse chiesto di descrivere quell'odore, avrei detto che era quello delle profondità, dell'oscurità e dell'ignoto.
Il rumore che ne seguitò fu quello di un limpido respiro.
Non faceva movimenti bruschi; la creatura sembrava emergere con un incedere nettamente viziato e solenne, a testa alta e con la sicurezza di chi era abituato ad indossare una corona.
Era un Kelpie.
Non avevo mai conosciuto quella parola, non avevo mai letto di creature simili o nemmeno sentitoner parlare; eppure, quando il mio nuovo sguardo incrociò il suo gli occhi bestiali, alle mie labbra affiora quel nome.
Il suo aspetto era simile a quello di un frisone, un cavallo robusto, possente e infaticabile, dal manto morello e reso lucido dall'acqua. Con un fremito violento scuoteva leggermente il capo dimenando la sua criniera folta e barocca, che gli conferiva un aspetto elegante e slanciato nonostante l'enorme stazza del suo corpo asciutto.
Lo guardavo come si osserva una divinità palesata, in cui non si ha mai avuto speranza, e fu proprio in quel momento che notai che le uniche parti del suo corpo ad essere zuppe erano la criniera e la coda.
Quello era un Kelpie, senza ombra di dubbio.
"Cerchi aiuto?" domandò, schiudendo leggermente le labbra della sua bocca equina.
L'odore limaccioso si fece sempre più intenso.
Continuare a ripetermi che non avevo mai sentito parlare dei Kelpie in vita mia; eppure, quando quella creatura mi parlò, fu come se tutte le informazioni del mondo si affollassero nella mia mente.
Il Kelpie è uno spirito dell'acqua, per lo più un demone di natura ingannevole, alla ricerca eterna di un cavaliere.
"Che aspetti?!" intimò di nuovo la bestia.
Esitai ancora per qualche istante.
"Non posso."
L'animale non sembrò scoraggiarsi e fece scivolare la propria criniera umida all'atto del proprio collo, con un rapido movimento. Mi guardava stringendo forte le mascelle, mentre le sue orecchie ondeggiavano avanti e indietro in un piccolo movimento che tradiva il suo nervosismo.
"Oh, lo dici per quelle, vero?"
Non risposi.
"Le tue gambe." bisbigliò.
I miei nuovi occhi ascoltarono il profumo del suo alito: le sue parole erano vellutate, antiche e odoravano di speranza.
"Io posso essere le tue gambe."
Cercai di passare velocemente una mano sui ciuffi di capelli umidi e infangati che mi ricadevano sulla fronte: dentro di me stava crescendo un istinto molto forte, qualcosa che avrei potuto definire solo come un'infondata sicurezza, che mi spingeva ad arretrare.
"Io so correre, sai? Come il vento che frusta le onde."
Ma non volevo ascoltare.
Quella forza dentro di me era troppo graffiante per potermi sforzare razionalmente di dare ascolto a quella creatura: così puntai i palmi delle mani sul terreno e cominciai a spingere all'indietro con la schiena.
"No, no! Perchè stai scappando?" protestò  lo spirito.
"Lo sai cosa sono io?"
Cercai di fare appello alle mie conoscenze razionali, a quello che avevo conosciuto, imparato e visto per tutti gli anni in cui avevo vissuto con la mia famiglia.
L'atroce realtà che mi colpì, fu che non era rimasto nulla: non era come essere consapevoli di non riuscire a fare qualcosa in un determinato momento perché se è troppo agitati o spaventati; era semplicemente il vuoto.
Sentii che quella razionalità era sparita e non avevo modo di cercarla in nessuna parte di me stessa perché tutto quanto era stato sostituito dai colori notturni, dagli odori penetranti e dall'istinto.
Un istinto animale.
"Un Kelpie." sussurrai, come se quella parola fosse un'ammissione delle mie colpe.
"Oh!" esclamò quello, come preambolo di una cantilena beffarda.
"E dimmi, cosa sai dei Kelpie?"
Ripresi a guardare nella direzione di quello spirito, reprimendo il desiderio di allontanarmi il più velocemente possibile.
Era la mia unica speranza di avere delle spiegazioni.
Adesso, subito.
Cercai di concentrarmi sulla domanda che mi aveva posto e di far affiorare alle labbra tutto ciò che la mia nuova memoria custodiva a mia insaputa.
"So che cerchi un cavaliere."
"Esatto! Cerco soltanto qualcuno con cui poter essere una cosa sola. Un cavaliere che possa portare con me."
"Chiunque accetti di cavalcarti non riuscirà mai più a scendere, lo porterai nelle acque con te."
La mia voce si fece tremante.
"E annegherà."
Il cavallo scosse leggermente la criniera facendo sì che una serie di piccole gocce ne percorressero il crimine sinuoso, perdendosi nuovamente nel limpido specchio d'acqua.
"Ma io ho qualcosa che vuoi."
"Che cosa?"
"Ho delle gambe, ricordi?"
Scossi la testa e puntai nuovamente i palmi per spingermi ancora un po' più indietro.
"Non è quello che hai sempre desiderato?"
"Stai cercando di ingannarmi."
"No! E' la verità! Hai memoria di un Kelpie che mente?"
Effettivamente non ne avevo.
Pensai che potesse semplicemente trattarsi del fatto che quelli, per natura, erano dei demoni manipolatori in grado di rigirare conversazioni, domande, interazioni in modo che ogni situazione volgesse a loro vantaggio. Il Kelpie aveva diritto di uccidere chiunque si concedesse volontariamente alla propria stella, e per questo non potevano mentire.
"Sei un abile manipolatore."
L'animale scosse nuovamente il capo, come se non fosse d'accordo.
"Allora morirai divorata dalle bestie della foresta."
Quella frase morì nel mio udito e fece male come uno scoppio: un'altra peculiarità dei Kelpie era quella di essere in grado di predire il futuro.

"Aspetta!" urlai, ma sembrò troppo tardi perfino per quella richiesta.
Il Kelpie aveva preso ad indietreggiare e a sparire al di sotto del livello dell'acqua verdastra, facendo frustare al vento il crimine della coda.
Non pareva intenzionato fermarsi.
"Aspetta!"
La foresta era commossa, convulsa in un silenzio bramoso di scoperta. Era strano, ma era come se tutto intorno a me fosse vivo e consapevole di ogni cosa che succedeva al suo interno.
Tremaglia al pensiero che le presenze vitali che riuscivo a percepire fossero in realtà animali crudeli pronti all'agguato, semplicemente spaventati dalla presenza del Kelpie.
Avrebbero aspettato che si fosse inabissato prima di aggredirla?
"Kelpie, aspetta!" esclamai nuovamente, senza ottenere alcun risultato è ormai quella figura scura si era ormai immersa fino a metà del busto.
"Ti prego."
L'animale si fermò.
Qualcosa nella supplica l'aveva convinto perlomeno a ritardare la sua sparizione solenne; scosse leggermente il capo sbuffo con il naso.
"Che begli occhi, che hai..." sibilò poi in un ghigno crudele.
Ebbi l'istinto di portarmi uno dei miei palmi infangati al volto, ma non lo feci.
"Dove siamo?" chiesi.
"Nella foresta, ti pare?"
Il Kelpie emise uno strano suono rauco, qualcosa che interpretai come una strana risata canzonatoria. Mi sentii una stupida perché anche quella era stata una domanda inutile: sapevo perfettamente dove mi trovavo, o meglio lo sapeva la mia memoria.
"Glam." bisbigliai.
"Esatto, sei a Glam."
Il Kelpie si esibì in una leggera sgroppata e la sua testa s'inchinò leggermente, con uno sguardo che interpretai come carico di comprensione.
"La terra delle meraviglie, non credi?"
"Meraviglie..."
"Oh, sì! Proprio come i vuoi occhi..."
Ma io non potevo vederli, potevo soltanto sentirsi come una nuova parte di me stessa senza comprendere da dove fossero arrivate o che cosa fosse accaduto.
"Cos'hanno di speciale?" chiesi in un filo di voce.
Il Kelpie sembrò irrigidirsi come se avessi posto la domanda sbagliata e non rispose.
"Cosa mi è successo?"
"Siete stati attaccati, e qualcuno deve averci rimesso la pelle."
Ripensai immediatamente al nonno e a tutto ciò che era accaduto; cercai di scavare nei miei nuovi ricordi se da qualche parte ci fosse un nome, un sentimento una consapevolezza che potesse farmi identificare che cosa potesse averci attaccato.
Il nonno era un uomo pacifico e non riuscivo nemmeno a immaginare chi...
"Naturalmente tutto dipende da chi è morto, non credi?" bisbigliò il Kelpie reclinando il capo in un movimento interrogativo.
"Che cosa intendi dire?"
Quello sbuffò.
"Non capisci proprio niente, ragazzina!"
"Allora aiutami a capire." disse con tono rabbioso, stanca di essere presa in giro da quello spocchioso atteggiamento di sufficienza.
Il Kelpie alzò gli occhi e fissò un punto indefinito della foresta alle mie spalle. Sembrò prendere un lungo respiro in un'improvvisa fame d'aria.
"Quegli occhi saranno la tua rovina. Io lo vedo, lo sento."
"Perchè?"
"Ti sono stati donati da qualcuno che non avrebbe potuto portarli con sé. Io quegli occhi li conosco, li ho visti tanto tempo fa."
Riuscii a percepire il battito del mio cuore sempre più forte, come un richiamo animale, un alito della natura. Era così incessante, così squarciante che il mio petto quasi vibrava incredulo alle parole di quella creatura.
"Sono occhi poteti e saranno la tua rovina."
A quel punto fu praticamente impossibile resistere alla tentazione di spingermi nuovamente in avanti, verso la superficie dello specchio d'acqua, per poter guardare il mio volto.
Per potermi guardare negli occhi e riconoscere quelli del nonno, che probabilmente aveva saputo molte più cose di quante non ne avesse mai detto.
Forse non era stato consapevole fin dall'inizio dell'esistenza della foresta, di Glam e di ciascuna delle sue assurde malevole creature.
Qualcuno di quegli strani esseri avrebbe potuto compiere il miracolo? Quanta reale speranza aveva il nonno che le mie gambe potessero riprendere a camminare?
In un attimo realizzai che probabilmente, quella speranza, il nonno non l'aveva mai avuta.
Forse mi aveva portato in quel luogo maledetto solo per poter morire e per potermi donare la sua conoscenza, il suo sguardo aperto sul mondo.
I suoi occhi.
"Vieni, avvicinati!" esclamò il Kelpie non appena intuì il mio desiderio.
"Non ti farò del male, lo prometto."
Ma qualcosa mi tratteneva ancora. Il mio istinto mi aveva portato quella distanza per non essere ignorato, e se mi ero allontanata da quella pozza d'acqua seguendo quelle strane voci che ormai erano parte di me doveva esserci un motivo.
Mi soffermai sulla grandezza di quella pozza.
Si trattava di una specie di piccolo stagno, grande poco più di una piscina. L'aria fredda pareva non scalfirne la superficie e i piccoli arbusti che ne delimitavano il confine gli conferivano delle piccole ombreggiature di profondità.
La profondità, certo!
Chissà quanto poteva essere quella di quello stagno.
Guardai in un attimo il Kelpie, mentre a sua volta rimirava lo specchio dell'acqua: il suo sguardo sembrava triste e solitario.
"Vivi da solo lì dentro?" domandai.
Lui esitò e un'ombra fuggevole si fece strada sul suo volto: era da molto tempo che qualcuno non gli poneva una domanda del genere.
Fu strano, ma ero certa che ne fosse felice.
"Sempre solo. E' la mia natura."
Scosse di nuovo rapidamente la testa in modo che la criniera si liberasse al vento, umida e limacciosa.
"Il più vecchio dei nostri antenati venne catturato durante la guerra delle ceneri. I nemici lo costrinsero a lavorare nella miniera, trainando carri colmi di sacchi pesanti quanto lui. Nessuno ricorda il suo nome, qualcuno dice che lo abbia dimenticato anche il tempo."
Fece una piccola pausa in cui cercò l'approvazione nei miei occhi.
Fu incredibile: io conoscevo quella storia!
"Qualcuno lo aiutò a scappare, non è così?" domandai.
"Esatto! Qualcuno tra coloro che lo avevano catturato lo cavalcò fino ai confini del regno di Glam, dove c'è il mare, e fu proprio lì che si ribellò. Uccise il suo cavaliere lanciandosi tra i flutti e facendolo annegare e calpestandolo verso le profondità. La leggenda racconta che l'anima di quel cavallo fu dannata per sempre e dopo quel gesto non riuscì mai più ad uscire dall'acqua, come noi altri. Generati dal tradimento e dall'onda"
Il suo sguardo cadde tristemente verso il confine dello stagno, mentre io rimasi immobile con i palmi induriti dalla coltre di fango secco.
"Perchè cerchi un cavaliere?"
Ma il Kelpie scoppiò in una risata fragorosa e più beffarda delle precedenti.
"Perchè è la mia natura. Nessuno è mai riuscito a farsi condurre a riva da un cavaliere; è più forte di noi. Appena sentiamo il peso di un condottiero sulla nostra groppa ci invade una forza primordiale, potente ed eccitante. E andiamo giù."
Rabbrividii.
"Così siete voi a scegliere di non essere mai liberi."
"Oh, non si tratta di questo! Lo facciamo per il piacere che ne comporta, e non si tratta del piacere nell'uccidere, ma semplicemente del potere di dominare e decidere della sorte.
Non c'è libertà che ci conceda la stessa libido."
Ascoltai il battito del mio cuore, l'immobilità dei rami silenti e le parole dolorose di quella creatura.
In un certo senso era come se fossimo riusciti a trovare un contatto.
Riuscivo a comprendere quella rassegnazione, quella consapevolezza di dover rimanere costretta sempre nello stesso ambiente, nelle stesse quattro mura.
L'unico limite che si poneva quell'animale era imposto proprio da sè stesso: non era costretto ad uccidere, ma sceglieva di farlo perchè infondo era giusto così.
Era una realtà amara, ma era la sua e non poteva cambiarla.
"Quindi tu.."
"Attenta!" esclamò il Kelpie bruscamente impennandosi e rompendo il perfetto equilibrio dello stagno.
Il tonfo di ricaduta fece alzare un'onda selvaggia che si riversò crepitante sulla riva e dagli alberi scuri un frullio d'ali indiscret si dileguò nella notte.
Mi guardai intorno, immeditamente nel panico.
Sapevo che le mie considerazioni andavano ben oltre le mie vecchie capacità intellettive e stavo cercando di catalogare le informazioni che il mio sguardo percepiva.
C'era un nuovo odore pungente e fumoso che contrastava con il limaccioso profumo selvaggio di quel demone d'acqua.
Mi sentivo come la più fallibile delle creature.
La più facile delle prede.
Era cambiato qualcosa e il Kelpie si era immediatamente inabissato: la sua discesa verso le profondità non era stata altrettanto solenne come la sua comparsa, anzi, aveva assunto una posizione scomposta in cui la criniera zuppa aveva preso a frustare con violenza lo speculo d'acqua e il suo collo vigoroso si era fatto contratto e nervoso.
Sapevo che i demoni delle acque avevano paura soltanto di due cose, dei fulmini e del fuoco, e che non erano esattamente delle creature spaurite per quel bastasse un semplice fra scheggiare del vento per metterli in fuga.
Istanti successivi mi volarono davanti come una pioggia confusa: voltai la testa e qualcosa di incredibilmente luminoso, distante qualche metro, e incredibilmente sfuggente apparve alle mie spalle.
Osservai il mio nemico immersa nel fango e con le gambe inerti.
Stringeva nel pugno una torcia impregnata di un liquido oleoso, che puzzava di pece.
Teneva la fiaccola con il braccio leggermente piegato davanti a sé, in modo che il bagliore illuminasse tutto ciò che lo circondava.
Era troppo lontano perché potessi intuirne le fattezze con chiarezza, ma il suo corpo sembrava ruvido, dimesso ed ingarbugliato sotto una coltre pelosa.
Ebbi la sensazione che quella torcia potesse trattarsi non solo di una fiaccola, ma di una luce che avrebbe segnato la sua posizione ad altri suoi simili.
Sapevo che stava fissando me, da quella posizione riuscivo a vederne le lunghe gambe che lo sorreggevano in quell'atto scrutatorio; avrei potuto definirlo come un inquietante vedetta apparsa dal nulla nelle tenebre.
La foresta attorno a noi aveva assunto il colore del piombo è una piccola sensazione di freddo mi fece rabbrividire più della paura.
Ad un tratto la creatura si inginocchiò al suolo ed estrasse qualcosa dalla tasca che non riuscii a vedere.
Sentii un guizzo e un attimo dopo udii i miei sensi affievolirsi: il fruscio degli alberi si era inebetito per tendere l'orecchio e origliare quello strano spettacolo.
Avevo male agli occhi.
Nessun odore.
Poco prima che le mie forze mi abbandonassero quasi del tutto osservare gli il pallido disco bianco della fiaccola farsi sempre più intenso verso di me: quella creatura si è avvicinata e ora mi sedeva accanto, in attesa di chissà cosa.
La mia vista si stava appannando e riuscivo a vedere solo le sue mani sfuocate, appoggiate sulle proprie ginocchia mentre tamburellava leggermente con le dita.
Il vento aveva cominciato a soffiare e avevo freddo mentre lo guardavo scompigliare il pelame che ricopriva il corpo di quell'essere.
Cercai di fare appello alla mia nuova memoria alla ricerca di un'immagine su cosa potesse essere e su quali fossero le sue intenzioni; tuttavia mi stupii del fatto di non avere provato nessuna paura al momento in cui si era avvicinato a me.
Il torpore aveva ormai preso possesso dei miei sensi e quando una delle sue mani mi toccò il volto percepii quel tocco come un formicolio fastidioso.
Mi accarezzò la pelle, mi scostò i capelli e appoggiò il suo pollice sulla mia palpebra sinistra per impedirmi di chiudere del tutto gli occhi.
D'improvviso, sentii la pressione che il suo dito provocò nell'alzarmi quel piccolo lembo di pelle per osservarmi meglio è una piccola immagine scherzosa di mio nonno che controllava le gengive dei giovani puledri alla fiera della contea mi fece sorridere di un ghigno inebetito.
La creatura indietreggiò immediatamente, la fiaccola si fece più lontana.
"Oh!" esclamò nel sobbalzare.
Non riuscire a distinguere se si trattasse di un'esclamazione di stupore o di paura.

Il mio risveglio fu stranamente molto dolce, come quello di una carezza amichevole, che ci sorprende in un momento di dolore. I miei occhi fecero fatica ad abituarsi alla fioca luminosità di quell'ambiente: doveva certamente essere ancora notte ma non mi trovavo più nella foresta.
Inspirare profondamente lasciando che un profumo penetrante di resina di pino, di foglie umide e di terra bagnata mi invadesse i polmoni.
Le mie dita si fecero strada su una ruvida superficie legnosa che andava costituire una sorta di pannello verticale con uno strano foro nel centro, da cui scorgevo il leggero fascio di luce di una candela. Ero rintanata in un ambiente protetto e caldo, come se qualcuno mi avesse chiusa in un armadio.
Impiegai qualche minuto per comprendere che quello non era effettivamente un armadio, ma bensì un'alcova; un letto con un pannello scomparsa simile alla cuccetta di un treno  che conferiva alla persona che dormiva in quel giaciglio una buona quantità di calore e di privacy.
Il legno era piuttosto rustico, niente lavorazioni o disegni intrecciati e tribali; semplici assi levigate disposti secondo un sistema di incastro per cui potessero scorrere in un buco nel muro.
Diedi una sbirciatina dal foro, mia unica finestra sull'ambiente in cui mi trovavo e immediatamente spalancare la bocca per lo stupore.
I colori di quella stanza erano ammantati di una luce calda, conferita dalla sola illuminazione di qualche candela disposta qua e là. La tavola era sufficientemente grande per ospitare un proprietario e un paio di ospiti, tuttavia non riuscivo a vedere sedie; il portone sembrava essere pesante e la maniglia era stata realizzata con un vecchio ferro probabilmente proveniente dallo smontaggio di un attrezzo agricolo.
Più in là, proprio all'ingresso, stavano un paio di stivali di cuoio lunghi fino alle ginocchia con accanto un bastone a tre piedi che doveva fungere da attaccapanni; non esattamente un dettaglio rassicrante che mi spinse a roteare gli occhi alla ricerca del proprietario di quelle scarpe.
C'era una dispesa con uno sportello leggermente socchiuso e un buon profumo di erbe bollite, anche se non c'era alcun fornello nè segni di un'avvenuta cena.
Nell'angolo più lontano stava una cesta con un drappo rosso accartocciato sul fondo, una scopa dalle setole ruvide e quattro tronchetti di legna da ardere. Nessuna ascia.
"Consolante..." pensai tra me e me mentre le mie mani avevano preso a far scorrere il pannello di chiusura dell'alcova.
Ebbi un momento di esitazione: la stanza che stavo osservando non era a livello delle mie abituali osservazioni quando stavo seduta, ma avevo una visuale leggermente più alta, così devisi di lanciare uno sguardo furtivo proprio ai piedi del giaciglio, oltre il buco.
Una scaletta.
Ma era fantastico!!
Mi sopresi nel ritrovare la mia vecchia ironia punzecchiante e fastidiosa, poi dentro di me pensai che al nonno, quella battuta,  non sarebbe piaciuta.
Decisi di proseguire con la mia esplorazione sileziosa, standomene al sicuro aldilà del pannello; tanto, chiunque avesse avuto la brillante idea di stordirmi con qualche robaccia magica e di portarmi in quel luogo avrebbe sicuramente assecondato la mia richiesta di scendere da lì e di riaccompagnarmi a casa, o per lo meno al limitare della foresta.
A patto che non mi volesse mangiare...
Accantonai brevemente quel pensiero assurdo, catalogandolo come una scopacciata infantile di insulsi libercoli sulle streghe cattive e cavolate del genere.
"Questo è un dono!" esclamò ad un tratto una voce soffocata con tono di protesta.
"No, il punto non è questo!"
"Invece è proprio questo, Gathel! Ormai è stato scelto così e dobbiamo accettarlo."
C'era qualcuno in quella casa, ma la visuale conferita dal mio spioncino non mi permettere di capire nè quanti fossero nè che aspetto avessero.
Le loro voci erano ferme e sicure; discutevano pacatamente, con tono acceso ma modulato.
"Quando ho riconosciuto quegli occhi io..." ma quella voce si strozzò come in un lamento; era quella di una donna
Tesi le orecchie, ma non mi occorreva ulteriore conferma che stessero parlando di me e del dono del nonno e mi pervase un calore famigliare al pensiero che qualcuno li conoscesse. Sentii improvvisamente di essere al sicuro.
"Gathel, non temere. Certe cose accadono per volontà più grande di noi e dobbiamo solo saperle accettare, col tempo e le responsabilità che comportano." quell'affermazione aveva un suono più profondo e arrotato, come se provenisse da labbra più antiche.
"Ma noi non abbiamo tempo!" esclamò un terzo.
"Ha ragione!"
"Fermi!" li interruppe il vecchio. "Quella ragazza ha ricevuto un dono prezioso e pericoloso; non l'ha preteso, non lo ha rubato. E' accaduto, e lei sarà sicuramente sorpresa e spaventata quanto noi, ma dobbiamo fidarci." fece una pausa.
"Zar ha compiuto la sua ultima scelta, e quest'erede è l'unica speranza che abbiamo."
Una fitta di dolore bruciante mi percosse il petto come uno spillo rovente e soffocai con mani una negazione amara e carica di disprezzo per me stessa.
Chiusi gli occhi e li strinsi così forte fino a farmi del male.
Un tonfo improvviso mi fece trasalire: qualcuno aveva battuto un pugno sullo scomparto di legno e un paio di severi occhi color del legno fecero capolino dal pertugio.
"Si è svegliata!" sbuffò.

   
 
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