Il demone della Notte
A Death,
poiché mi soupporta da tanto tempo.
Capitolo I
Il silenzio della notte fu
bruscamente interrotto da un urlo disperato.
Dalla foresta adiacente al
tempio si alzò uno stormo di uccelli e le loro figure nere si stagliarono
all'improvviso contro la luna.
All'interno del tempio, sede
dell'oracolo di Raxum – il più importante del regno – una luce multicolore
illuminava la selva di colonne del pronao. Proveniva dalla sala più interna del
tempio ed era prodotta da un globo luminescente sospeso a mezz'aria.
In terra era disegnato un
cerchio, in cui erano scritte parole in una lingua sconosciuta ai più; poco
lontano da esso giaceva un corpo privo di sensi, mentre una figura femminile
gli stava accanto. Quest'ultima teneva in mano il globo, accarezzandolo di
tanto in tanto con le dita.
Il vestito nero, sfiorato da
una leggera brezza, si alzava, rivelando la carnagione chiara della donna: su
di essa, una catena di simboli si stava disegnando.
Quando il disegno fu completo,
la donna se ne andò, lasciando l'uomo al suo destino.
Il globo luminoso la seguì e
lei fu ben felice che s’insediasse nel suo corpo.
Iagei, questo il nome
dell'uomo, l'aveva invocata ma non aveva ottenuto il suo aiuto. Inoltre,
insieme ai suoi servigi, aveva perso anche i segreti degli evocatori.
L’uomo si alzò a fatica e,
appoggiandosi al bastone, uscì dal tempio, fermandosi sulla scalinata.
Lo spettacolo che gli si
presentò davanti agli occhi raggelò il sangue nelle vene.
La rigogliosa foresta si stava
trasformando in un groviglio di rami secchi e riusciva già a vedere le fugaci
figure di alcuni spiriti elementari. Fuoco, acqua, aria e ghiaccio iniziavano a
spadroneggiare nella foresta.
Tornò indietro e vide che le
scritte all'interno del cerchio erano cambiate.
Nascerà nella Notte colei che
le terre di Iktali alla rovina condurrà.
Si portò una mano al petto,
tastando la stoffa con ansia. Spalancò gli occhi, vedendo che il medaglione che
soleva portare nascosto tra le vesti aveva cambiato colore: da rosso splendente
era diventato nero.
Tempo cent'anni e le Terre di
Iktali sarebbero sprofondate nell'oblio.
***
Nessuno aveva mai saputonoscenza
di cosa fosse avvenuto nel tempio di Raxum: anno dopo anno, i pellegrini
avevano cominciato a disertare l'oracolo e il tempio era stato dimenticato.
Strane voci – leggende di spiriti e demoni – aleggiavano nell'aria e portate di
bocca in bocca, di villaggio in villaggio, giunsero in ogni parte del regno.
Dell'antico splendore rimanevano solo i segni che gli oggetti avevano lasciato
sulle pareti.
Nessuno osava avventurarsi nella
foresta: soltanto i tronchi – simili a scheletri – erano i guardiani di quel
tempio diroccato, costruito al centro della foresta sacra.
Quando Tairan salì al trono, il
regno era al culmine dello splendore.
Le fortunate campagne militari
dei suoi predecessori avevano allargato i confini del regno, inglobando
territori rinomati – e contesi – per la posizione strategica.
Tra questi, vi figurava anche
il piccolo villaggio di Ysame.
Pacifico e tranquillo,
arroccato su uno sperone roccioso e circondato da fertili campi, si era sempre
tenuto lontano dai conflitti.
Tairan aveva scelto come
governatore uno dei suoi migliori collaboratori.
Tuttavia, in quella zona così
tranquilla, a ventiquattro anni dalla sua salita al trono, accade un evento che
sconcertò buona parte della corte.
In un giorno d'inverno, un
ararlo recapitò un messaggio del governatore di Ysame.
Un fiore, dai petali rosso
sangue, era cresciuto improvvisamente nella piazza del villaggio.
Tairan volle recarsi di persona
per vedere quel fiore: il lungo corteo di guardie attirava molte persone sul
ciglio delle strade che percorreva, anticipato dagli stendardi che garrivano al
vento.
Ysame era stretto in una morsa
gelata ma nonostante il freddo, tutti si dettero da fare per accogliere al
meglio il re.
La folla si era accalcata in
piazza e le guardie riuscivano a stento a tenerla ferma.
«È normale, sire. Il clima è
rigido in questa zona ma gli abitanti sono molto ospitali» spiegò il
governatore.
«Anche troppo» borbottò poi fra
sé l’uomo, rabbrividendo al ricordo della settimana costellata di banchetti
interminabili che aveva seguito il suo arrivo e il suo insediamento a Ysame.
Tairan costatò quanto gli fosse
mancata la presenza di quell’uomo che, nonostante la statura piuttosto bassa,
riusciva a farsi obbedire. Non era cambiato dall’ultima volta che l’aveva
visto: il capello castano chiaro erano sempre pettinati in modo perfetto.
Soltanto le iridi verdi erano velate da una leggera malinconia.
Tairan, come tutti gli altri,
era rimasto incantato dal fiore. I petali rossi contrastavano con l’azzurro del
cielo mentre le foglie e lo stelo, di un verde acceso, ornavano le pietre del
selciato.
Tutti concordavano sul fatto
che, negli ultimi giorni, il fiore fosse cresciuto: tuttavia, alcuni dicevano
che era un buon segno, simbolo di prosperità; altri che era un brutto segno,
simbolo di sventura.
«Spesso coloro che sono
ritenuti pazzi sono portori di una tragica verità».
Quando quella voce li
raggiunse, Tairan e il governatore si girarono.
Un uomo, dai lunghi capelli
bianchi e una barba incolta dello stesso colore, avanzava verso di loro,
appoggiandosi a un bastone.
Al collo portava un amuleto,
una pietra nera, che spiccava vistosamente sulla tunica verde chiaro.
Quando fu abbastanza vicino al
sovrano, l'uomo s’inchinò.
«Chi siete?» domandò Tairan
mentre gli tendeva una mano per farlo rialzare.
«Iagei, l'ultimo degli
Evocatori. Un tempo, anche Sommo Sacerdote di Raxum».
Il re trasalì nel sentire quel
nome. Troppe volte quel tempio maledetto aveva turbato i suoi sogni di bambino.
«Cosa ci fate qui?»
«Sono venuto ad avvertirvi».
«Di cosa?»
«Il regno corre un grave
pericolo».
«È al massimo dello splendore»
ribatté Tairan, non senza un pizzico di orgoglio nella voce.
Iagei sospirò, stringendo il
bastone con entrambe le mani.
Gli spiriti l'avevano avvertito
che quel re dai capelli color del ghiaccio sarebbe stato una testa dura.
«Per poco lo sarà. Addio,
Maestà».
Tairan guardò stupito prima
l'uomo poi il governatore, confuso quanto lui.
«Aspetti!» gridò il sovrano e
l’uomo si fermò.
«Che cosa sa dirmi su questo
fiore?»
«Nascerà nella Notte colei che
le terre di Iktali alla rovina condurrà».
La voce di Iagei, lenta e
maestosa, riecheggiò a lungo nella piazza.
«E con ciò? La conoscono tutti,
quella profezia» borbottò Tairan.
Iagei si volse e, sorridendo,
gli disse: «Recati al tempio di Raxum, da solo. Hai tempo fino alla prossima
luna».
Tairan era rimasto a Ysame,
incuriosito da quell’invito: aveva congedato metà delle guardie, tenendo solo
una piccola scorta per il viaggio verso Raxum. Aveva ordinato di prepararsi
alla partenza la sera stessa: voleva percorrere il prima possibile la distanza
che lo separava dal tempio.
Quando Tairan disse che
sarebbero partiti all'alba del giorno successivo, Isgar dovette trattenersi dal
maledire il sovrano per la sua avventatezza.
Per tutta la notte, il
governatore non aveva fatto altro che scongiurarlo di tornare nella capitale.
Tairan, all’ennesima preghiera,
aveva sorriso, scuotendo la mano come per scacciare una mosca.
«Ma via, mio buon amico. Come
potete dire che quell'uomo stesse mentendo?»
«Da quando è nato quel fiore,
la situazione è cambiata. Molti avvertono sensazioni ostili. Ed io non sopporto
la magia. È un'inutile perdita di tempo» sbottò il governatore, sedendosi su un rozzo sgabello.
«Eppure tempo fa, non sembravi
disdegnare quell’arte» gli disse Tairan alzando un sopracciglio. Il governatore
si limitò a scrollare le spalle, borbottando qualcosa che fece sorridere il
sovrano.
La mattina seguente, Tairan
uscì da Ysame con una piccola scorta.
Cavalcava in testa al drappello
e il mantello blu notte ricamato d'oro si agitava, seguendo i movimenti del
cavaliere. Il destriero, un cavallo purosangue nero – compagno del re da molti
anni – sbuffava, scuotendo la testa. Davanti a loro, si estendevano solo campi
coperti da un manto bianco e i capelli di Tairan sembravano scomparire in
quella candida copertura.
Faceva freddo ma il re non se
ne curava: ogni tanto spingeva in avanti la sua cavalcatura al galoppo per poi
tornare indietro. Ai richiami delle guardie rispondeva alzando le spalle e
ridendo.
La sua ennesima risata
cristallina fu spezzata dall'apparizione di una luce, poco distante da loro.
Il cavallo di Tairan s’impennò,
nitrendo spaventato. Il re perse la presa sulle staffe e sulle briglie per poi
cadere nella neve con un tonfo sordo.
Una guardia si precipitò a
calmare il destriero mentre Tairan si avvicinava alla luce. Man mano che avanzava
a fatica nella neve, notò che non era un globo luminoso, come aveva creduto
all'inizio, ma uno spirito del fuoco. Aveva visto alcune rappresentazioni in un
libro di magia ma non sapeva altro di loro: il precettore gli aveva sempre
ricordato quanto esercitare la magia – in particolar modo l'evocazione di
spiriti – fosse pericoloso per un re. Tuttavia, quel vecchio scorbutico non
pareva ricordarsi che era stato proprio grazie all'aiuto degli evocatori che
suo nonno, molti anni prima, aveva vinto una lunghissima guerra.
«Tairan?»
«Sono io» rispose il re.
«Seguitemi, maestà».
Tairan fece cenno alle guardie
di tornare indietro e si avviò verso la foresta che circondava Raxum: gli
scheletri neri degli alberi cominciavano già ad apparire in lontananza.
Dopo qualche ora di cammino,
Tairan non poté più tenersi dentro una domanda che gli agitava l'animo dal
momento in cui Iagei aveva pronunciato la profezia.
«Cos'è la Notte?»
Lo spirito continuò ad andare
avanti, brillando nella distesa bianca.
«Cent'anni orsono, le terre di
Iktali vivevano in un'estrema povertà; solo il tempio di Raxum continuava a
splendere. Così, sollecitato dalle preghiere della popolazione, Iagei invocò un
demone, nella speranza che aiutasse la popolazione. Ma tutto fu vano. Il demone
invocato rubò a Iagei tutte le sue conoscenze: la foresta fu la prima a morire.
Come vedi, di tutti gli alberi rimangono solo gli scheletri. Poi, i pellegrini
cominciarono a non chiedere più vaticini all'oracolo e il tempio cadde in
disgrazia. Giorno dopo giorno, arrivavano notizie macabre: tutti gli evocatori,
ad eccezione di Iagei, erano morti. Così si è trovato a passare anni di
sofferenza, solo, in quel tempio dimenticato da tutti».
Lo spirito si fermò un attimo,
indicando la foresta ormai completamente visibile.
«Ciò che ha scoperto con il
tempo è che quel demone l'ha maledetto, costringendolo a vivere per altri cento
anni. Quanto bastava per vedere la tragica conclusione del suo gesto. Quando ha
saputo della tua salita al trono e della nascita di quel fiore a Ysame – eventi
posti a ventiquattro anni di distanza l’uno dall’altro – ha annunciato che la
Notte era vicina e che il caos avrebbe presto regnato».
«Perché io?»
La domanda si perse nel
silenzio e Tairan scelse di non chiedere più niente.
Un canto lugubre si fece
sentire poco dopo che furono entrati nella foresta e il re si bloccò sul posto.
«Chi osa oltrepassare i confini
sacri del regno di Nyris?»
Lo spirito del fuoco si voltò
verso Tairan, guardandolo terrorizzato.
«Vattene, scappa lontano! Ormai
ora come ora non puoi fare niente! Giungerà un tempo migliore in cui la
giustizia prevarrà!»
Tairan si guardò intorno
spaventato, facendo poi come gli era stato detto.
Nel correre, inciampò in una
radice, cadendo rovinosamente a terra.
Le vesti si strapparono e
alcuni brandelli di stoffa blu rimasero incastrati nei rami.
Si trascinò a stento fuori
dalla foresta, inginocchiandosi poi nella neve.
Si portò una mano sul braccio:
i graffi non erano profondi ma producevano un dolore tale da immobilizzare
l'arto.
Guardò con occhi colmi di paura
la foresta: chiunque fosse quella Nyris, era certo che il suo potere fosse
molto grande. Tra gli alberi aveva intravisto innumerevoli creature, dagli
aspetti più vari. Creature che, inevitabilmente, erano state evocate.
Tairan sentì le forze venirgli
meno non appena qualcosa lo colpì al petto. Cadde riverso nella neve e le vesti
si sporcarono di sangue. Una donna dai lunghi capelli neri uscì dalla foresta
e, con passo lento, si diresse verso Tairan.
Si abbassò ad accarezzargli una
guancia ma quel gesto di tenerezza fu stroncato dal ghigno che le tagliò in due
il volto. Lo guardò con disprezzo, allontanandosi poi in direzione di Ysame,
accompagnata da uno spirito di nero vestito. Sopra la sua testa, il globo
multicolore emetteva bagliori di varie tonalità. Questi, accompagnati da
antiche formule rituali pronunciate dalla donna, non appena toccavano la
distesa nevosa, facevano nascere nuovi spiriti e famigli, pronti a servire
colei che gli aveva evocati.
Quando la sua esile figura
scomparve dietro una collinetta, Iagei si precipitò a soccorrere Tairan.
Indossava una veste bianca e si
confondeva con la neve; dal fianco pendeva un fodero rozzo, formato da pelli.
Al contrario, l’elsa della spada era riccamente decorata: fili d’oro e
d’argento si univano in uno stretto e complicato reticolo.
Iagei estrasse la spada dal
fodero e la lama brillò, colpita dai raggi del sole. La posò delicatamente sul
petto del sovrano, indugiando poi a lungo con la mano sopra l’arma.
«Avrei voluto spiegarti tutto,
Tairan. Dirti cosa sta succedendo nel tuo regno e chi sono veramente le persone
cui tieni di più. Purtroppo, Nyris me l’ha impedito. Confido in te, Tairan.
Adesso sei l’unico che può salvare le Terre di Iktali».
Si allontanò di pochi passi,
stringendo tra le mani il bastone mentre osservava il sole splendere nel cielo.
Iagei chiuse gli occhi mentre
il suo corpo era avvolto da un fumo nero.
Tairan aprì gli occhi a fatica:
cercò di mettere a fuoco il luogo dove si trovava ma vedeva solo immagini
distorte sulle pareti.
Lasciò vagare lo sguardo sul
soffitto, osservando alcune crepe.
Ricadde ben presto
addormentato, ma il sonno fu agitato da incubi e immagini. Si svegliò di
soprassalto e cercò di mettersi a sedere. Una mano, la stessa che l'aveva
svegliato, glielo impedì.
«Calmati, Tairan. Nelle tue
condizioni, agitarti così ti fa solo peggio».
«Dove sono?»
«A Ysame. È stata una fortuna
che quel drappello ti abbia trovato».
«Cos'è successo?»
Il governatore scosse la testa.
«Questo lo sai solo tu. Avevi
questa spada sul petto».
Tairan sfiorò appena la lama
con un dito.
«Non sembra forgiata da mano
mortale».
«No, infatti. È stata prodotta
dagli spiriti».
Il governatore sospirò vedendo
l’espressione confusa del sovrano.
«Lo sai che conosco le basi
dell'arte dell'evocazione. È tutto ciò che ricordo del tempo in cui vivevo a
Raxum».
«Immagino quindi che anche il
nome con cui ti conosco non sia lo stesso».
«No, maestà. Isgar è sempre
stato il mio nome».
«Almeno questo».
«Mi spiace avervi mentito per
così tanto tempo ma...»
«Non preoccuparti. E ti prego,
non mantenere quel tono formale anche ora».
«Grazie, Tairan. Adesso riposa.
Le ferite si stanno rimarginando. Fortunatamente, non sono profonde e
soprattutto non hai perso molto sangue. Penso che Iagei ti abbia trovato in
poco tempo e che ti abbia soccorso nel miglior modo possibile. Spesso, gli
evocatori hanno conoscenze ottime anche nel campo della medicina».
«Dov'è Iagei?»
«Non lo so: i cavalieri hanno
trovato solo un medaglione nella neve. Immagino che il suo tempo sia finito e
la Notte sia vicina. Inoltre, imminente è anche il momento della nostra
battaglia contro il male».
Nelle ore successive, Tairan
chiese spesso spiegazioni a Isgar sul significato delle ultime parole che lo
spirito gli aveva rivolto.
Soltanto la sera, il
governatore si decise a parlare, convinto più dalla spada che il sovrano gli
stava puntando alla gola che dalle sue parole.
«Maestà, siete certo che…»
«Sì. Voglio capire cosa sta
succedendo nel mio regno e sembra che tu sappia una verità che io ignoro».
Isgar si fermò davanti alla
finestra, osservando le colline innevate che si estendevano intorno a Ysame.
«È colpa di quel demone… ha
fatto in modo di accumulare più potere possibile prima di scatenare la peggiore
delle sciagure. L’ho intravista di sfuggita una sola volta: ha l’aspetto di una
donna bellissima – occhi color dell’oro e lunghi capelli corvini. Nessuno può
resisterle: se uno non cade tra le sue braccia, cade colpito dalle creature da
lei evocate. Sei in pericolo, Tairan. E Ysame non è un posto sicuro per te».
«Isgar…»
Il governatore si portò le mani
tra i capelli, mormorando parole di scuse.
Tairan abbassò la testa,
sospirando sconsolato.
«E cosa possiamo fare?»
«O aspettare e morire o
prepararci e combattere».
«Isgar. Calmati. Combatteremo.
Ho giurato di donare a questo regno anche la mia vita, non sarà un demone a
fermarmi».
Isgar fece per aprire bocca ma
un improvviso boato fece sobbalzare entrambi.
Tairan guardò il governatore:
Isgar sembrava pietrificato sul posto mentre la terra tremava.
Non era la prima vola che un
terremoto scuoteva le Terre di Iktali – Isgar e Tairan ne era ben consapevoli –
ma quella volta sembrava diversa dalle precedenti. Mai nessuna cronaca aveva
riportato un tale boato o una tale violenza della terra nel tremare.
Nelle strade si scatenò il
caos: le persone, in preda al panico e incapaci di capire ciò che stava
succedendo, correvano di qua e di là, urlando per la paura. Ovunque si vedevano
le case crollare: quegli ammassi di pietre e fango non resistettero alla
violenza del terremoto. Nessuno seppe mai quale fu il numero di vittime: le
cronache riportarono che il terremoto si sentì in ogni parte del regno, facendo
crollare interi villaggi e alcune città – tra cui la capitale, amatissima da
Tairan – riportarono seri danni.
Lo splendore delle Terre di
Iktali era stato ferito nel profondo.
Isgar si riprese
all’improvviso: afferrò il polso di Tairan e lo trascinò lungo i corridoi,
cercando di evitare la servitù che correva qua e là all’impazzata.
Non appena uscirono all’aperto,
Tairan rabbrividì: indossava solo una leggera veste bianca e il freddo si era
fatto più pungente. Isgar lo coprì con il proprio mantello, facendogli segno di
seguirlo.
Il re strinse la mano sul
fodero della spada. Era riuscito ad afferrare l’arma un attimo prima di correre
fuori.
«Isgar, guarda là» mormorò
Tairan con voce tramante.
Il governatore notò con orrore
che tutt’intorno a Ysame vi erano degli spiriti. Isgar estrasse la propria
spada, dicendo a Tairan di correre il più lontano possibile.
Le urla spaventate che si
levavano da ogni parte del paese accompagnarono la fuga di Tairan a lungo
finché il silenzio della neve non ebbe il sopravvento: guardò Ysame, ormai un
cumolo di sassi e fango, un’ultima volta prima di inoltrarsi lungo la neve.
Osservò sconsolato come lui, il
re, si ritrovasse a vagare tra le nevi, in compagnia di una spada e senza
indumenti per proteggersi dal freddo, se non il mantello di Isgar. Si fermò
ansimante accanto a un albero: il dolore al petto gli impediva di continuare la
fuga. Si sedette, appoggiando la schiena al tronco e stringendosi nel mantello.
Ben presto, complici il dolore e la fatica, cadde in un sonno profondo.
Tairan aprì con fatica gli occhi:
le ultime parole di Isgar gli tornavano in mente. Il sovrano lasciò vagare lo
sguardo tra le fronde degli alberi poi cercò di alzarsi ma un dolore lancinante
gli artigliò il petto: la ferita continuava a fargli male.
Ripensò a cosa fosse successo la
sera prima: aveva visto Isgar combattere con tutte le sue forze contro quegli
spiriti per dargli una minima possibilità di sopravvivenza. Lui era scappato,
piangendo la sorte dell'amico e aveva trovato rifugio nella foresta di Rakat, a
poca distanza da Ysame.
Sapeva che gli spiriti lo
stavano cercando: appena sveglio, aveva sentito i loro lugubri lamenti e in
lontananza aveva visto le loro figure muoversi leggiadre. Inoltre, sogni
popolati di demoni e strane profezie avevano tormentato il suo sonno.
Isgar...
Non aveva la minima idea di
dove fosse in quel momento l’amico: molto probabilmente era caduto combattendo
o era prigioniero di quel demone. Si sentiva solo e vulnerabile: si stringe di
più nel mantello, cercando protezione in esso.
Tairan estrasse la spada dal
fodero, osservandola attentamente. Sulla lama vi erano incise delle lettere:
tracciandone il contorno, scoprì che formavano una frase.
La speranza della luce
offuscata dalle tenebre del male presto risorgerà.
Tairan appoggiò la schiena
contro il tronco di un albero: lui era un uomo di corte, educato fin dalla
nascita a governare e tutte quelle profezie lo facevano andare impazzire.
«Fossi almeno un evocatore...»
si disse fra sé, non del tutto convinto della veridicità della profezia mentre
rinfoderava la spada
«Cosa farai adesso, grande
Tairan? Aspetterai qui la morte o combatterai?»
L’uomo sobbalzò.
«Non temere, sono qui per
aiutarti».
«Chi sei?»
Uno spirito del fuoco fece
capolino da un albero lì vicino e si avvicinò lentamente a Tairan.
«Sono evocato dall’unico
discendente di Iagei. Mi ha pregato di aiutarti».
«Qual è il tuo nome?»
«Noi spiriti non abbiamo nomi,
sempre che non ci sia dato da chi ci ha evocati».
«Posso chiamarti Tait?»
Lo spirito inclinò la testa,
sorridendo appena.
«Conosci la lingua degli
spiriti, grande Tairan?»
«Appena».
«Perché mi avete assegnato il
nome che significa lealtà?»
«Perché la lealtà è ciò che ha
contraddistinto fino alla fine la persona a me più cara».
«Non preoccupatevi, vi sarò
fedele fino alla fine, maestà».
«Parli come alcuni dei miei
cortigiani».
«Vi manca la corte?»
«Un po’… più che altro
quest’evento è giunto inaspettato eppure, a questa faccenda di spiriti e demoni
ci credo, anche se ho sempre disprezzato la magia».
Tait sorrise.
«So che devo spiegarti molte
cose. Ma adesso andiamo, gli spiriti di Nyris non ci metteranno molto a
trovarti».
«Ho sempre sentito il suo
nome... Chi è Nyris?»
«È colei che ti accingi a
combattere, il demone che minaccia il tuo regno. E quella spada è l’unica arma
in grado di sconfiggerla. Ma da sola non funzionerà: solo se la mano che la
impugna è salda nella forza della giustizia, sarà sconfitta».
Tairan annuì e Tait continuò.
«È stata la spada a proteggerti
dagli spiriti stanotte: fu forgiata in tempi lontanissimi nel mondo degli
spiriti ed è in grado di tenere lontano dal suo possessore gli spiriti legati
al male. Tuttavia non potrà proteggerti per sempre: dovrai imparare a usarla e
a difenderti dal Male. L’eterna lotta tra Bene e Male dilania ogni luogo in
ogni tempo: nessun regno può dirsi tale se tale conflitto non lo lacera almeno
una volta. Ricordati di coloro che ti sono stati vicino in tempo di guerra, che
hanno condiviso con te il dolore delle sconfitte e la gioia delle vittorie. La
forza più grande per combattere il futuro sta nell’imparare dal passato».
«Posso fidarmi completamente di
una sola persona».
«Ne sei certo?»
«Ho visto molte persone nude
nelle loro debolezze».
«E cosa hai capito?»
«Che solo una, mentendo pur di
salvarmi, ha mostrato la sua vera natura».
Tait annuì.
«Non temere, allora. Va’ per la tua strada: io ti accompagnerò ovunque».