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Autore: giulina    16/07/2015    2 recensioni
"Ho sorriso così tanto, quella notte. Sorridevo e ridevo e ti guardavo e ti sentivo vicina come non lo eri mai stata."
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"C'era una musica, un ballo
una piazza e d'un colpo
tra tutte le persone
c'eri anche tu."

-Lo stato sociale




Mi ricordo che c'è stato un periodo in cui eri fissata con le gonne di jeans.
Ne avevi comprate qualcosa come cinque o sei al Mercato di Pizza X agosto un sabato pomeriggio di inizio maggio e le indossavi sempre. Quelle e i tuoi maglioncini leggeri di cotone e le scarpe di tela rossa che avevano un buco sulla suola ma che te non volevi buttare. "Le scarpe non si buttano, Cesco, si riparano."
Me lo dicevi sempre.
E mi dicevi sempre che le tue gambe lentigginose ti erano iniziate a piacere quando ci avevo passato sopra le dita la prima volta, quella sera di aprile. Me lo confessasti qualche settimana dopo, mentre eravamo chini sui nostri libri di politica comparata. Me lo dicesti ridendo, lo sguardo sfuggevole, prima di uscire da quell'aula studio silenziosa incrociando le tue dita a quelle di quel ragazzo di ingegneria che frequentavi da un paio di mesi.
Era un ragazzo alto e secco come un chiodo, una testa di riccioli inumana e arrogante come poche persone al mondo. Ma a te piaceva un sacco, lo avevi confessato alla Lalla una sera mentre ti facevi l'ennesimo cicchetto di Tequila al pub davanti la nostra facoltà.
Ti piaceva la sua saccenza e la sua sicurezza. Quella sicurezza che te eri sicura di non possedere, che ti era estranea come a me erano estranei i tuoi pensieri delle quattro di notte.
Avevo imparato a riconoscere alcune tue espressioni, stati d'animo, ma i tuoi pensieri me li nascondevi come i tuoi polsi tatuati e il sorriso di denti imperfetti. Sono certo che non li conosceva nemmeno quello spilungone che aveva il permesso di toccarti i fianchi morbidi e baciare il collo bianco.
"Domani lo lascio!" mi dicesti dopo aver passato Statistica al terzo tentativo, mentre stavi vivendo la sbronza più grande della tua vita.
Me la ricordo bene quella sera di metà giugno, io e te seduti per terra in Piazza San Francesco in mezzo alle nostre cicche spente di sigarette, che ci facevamo aria con i volantini rubati dentro un kebabbaro.
Ho sorriso così tanto, quella notte. Sorridevo e ridevo e ti guardavo e ti sentivo vicina come non lo eri mai stata. È stato per quel motivo che ti ho baciata: per la prima volta da quando ti conoscevo mi sembrava di riuscire a sfiorare i tuoi pensieri, come se con dita leggere riuscissi ad accarezzarli e a farli miei.
Non sai quanto ho pregato per quel bacio, quanto tremavano le mie mani quando mi sono avvicinato al tuo viso.
E ti ringrazio per avermelo concesso, per esserti resa vulnerabile quella sola notte. Perchè il giorno dopo le tue dita ricoperte di anelli le ho viste di nuovo incrociate a quelle di quel ragazzo che avresti dovuto abbandonare senza ripensamenti. E senza dolore.
Quel dolore che soltanto io sapevo che sapore avesse, e sapeva anche un po' di te.
Ho incontrato la Lalla alla stazione centrale qualche settimana fa, dopo due anni che non ci vedevamo. Davanti ad un caffè macchiato mi ha mostrato una foto di noi tre durante il nostro primo anno. In quella instantanea indossi un paio di scarpe di tela rosse sbiadite e non sorridi. E io ti guardo, come forse non ho mai guardato nessun'altro.

 

 

 

 




Tornare a scrivere dopo tanti anni è un po' come tornare a respirare di nuovo.
Grazie a chiunque butterà un'occhiata a queste poche parole.


Giulia.

   
 
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