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Autore: Atra    17/07/2015    3 recensioni
Un viaggio a piccole tappe nell'infanzia e nell'adolescenza di Seifer
Almasy e di sua sorella, Atra Almasy.
Sarà una lettura alla scoperta di un rapporto del tutto
particolare, che potrebbe addirittura stupirvi.
Ogni ricordo è scolpito integralmente nella mente di Atra,
che racconta disegnando i contorni di un Seifer totalmente diverso da
quello che siamo abituati a conoscere.
Buona lettura!
N.B. Il "What if?" della presenza di Atra è riferito alla
mia fanfiction a capitoli, "Il legame del sangue". 
Genere: Comico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Fujin, Nuovo Personaggio, Raijin, Seifer Almasy
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Legami'
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Eravamo al penultimo anno di scuola (ovvero l'anno precedente a quello in cui si presumeva avremmo ottenuto il nostro diploma da SeeD) quando ci avevano iniziato a parlare dei Guardian Force.
La prof.ssa Trepe aveva speso tutto il secondo quadrimestre a spiegarci cosa fosse la Junction e come potessimo sfruttarla a nostro vantaggio, senza divenirne schiavi.
-Il legame fra un G.F. e il suo padrone è estremamente unico e spetta proprio a noi rafforzarlo e alimentarlo - continuava a ripeterci, tanto che ormai io ripetevo a bassa voce con lei queste parole e anche: - Avere un G.F. può rendervi invincibili. Il confine tra questo e la morte è sempre meno di un passo-.
Collegarsi con un G.F. implica un grande dispendio di energia e l’occupazione di un’estesa regione del nostro cervello. Per questo si dice che l’uso prolungato dei G.F., come ad esempio è necessario ai SeeD, porti a una drastica perdita di memoria.
Beh, io non ne ho già per dote personale, l’unico rischio è di non ricordarmi più il mio nome, ma per quello c’è sempre Seifer che può rinfrescarmi la memoria.
Di solito durante il penultimo anno gli studenti potevano acquisire il loro primo G.F., che li avrebbe accompagnati per tutta la vita, che fossero diventati SeeD o meno. Tuttavia, erano selezionati solo gli studenti fisicamente e mentalmente preparati a sostenere una prova di quel genere. Seifer era ovviamente stato scelto per poter ricevere un G.F. e ne andava tutto fiero, come ogni volta che raggiungeva un traguardo.
Funzionava così: gli studenti selezionati erano sempre una decina e dovevano combattere contro un unico G.F., che avrebbe poi scelto il suo padrone in base alla forza e ad altre qualità che variavano a seconda del Guardian Force che si aveva davanti e della sua personalità.
La chiamavano “prova di forza” e non c’era nome più adatto: gli studenti avrebbero dovuto fare del proprio meglio per conquistare l’attenzione del G.F. e portarselo a casa.
L’anno in cui Seifer era stato selezionato, all'età di sedici anni, c’era Pandemon, di elemento vento. Infatti i professori non si arrischiavano ad evocare G.F. non elementali, perché erano i più pericolosi e complicati da addestrare. Contro gli elementali sarebbe bastato possedere le magie di elemento opposto e una buona abilità in battaglia per vincere in poco tempo e con risultati elevati.
Tuttavia Seifer aveva storto il naso:
-Ti pare che un G.F. così brutto si adatti alla mia bellissima persona?- si era lamentato, quando io gli avevo detto entusiasta che era stato scelto Pandemon.
-Che c’è, non ti va bene?- mi ero accigliata. Dal basso dei miei quindici anni ero totalmente affascinata dall’idea di avere un G.F. tutto mio, quindi non mi capacitavo della delusione di Seifer, che aveva scosso la testa:
-No, non mi va bene. Per me ci vuole un G.F. figo, come il Diablos del preside-.
Cid aveva posseduto Diablos per molto tempo, prima di rinchiuderlo in una lampada magica in attesa di una persona giudiziosa che il G.F. potesse servire senza far casini.
Giudiziosa, ho detto. Questo escludeva Seifer a priori.
-Comunque me lo porterò lo stesso a casa e poi vedrò che farmene- aveva concluso Seifer con un gesto della mano.
E così aveva fatto. Pandemon aveva scelto lui, con mio grande orgoglio e sua grande...indifferenza. Certo, era lusingato del fatto di aver battuto un G.F. in un tempo ridicolo, ma non aveva nemmeno “avuto il tempo di sentire una raffica di maestrale sul collo”, come lui stesso aveva lamentato a me, Fujin e Raijin. Non so quanto fosse vero: io non ero riuscita ad andare a vedere la sua prova, perché avevo lezione con il prof. Yamazaki e se avessi saltato un'altra sua ora mi avrebbe sicuramente fatto ripetere l'anno, quella sottospecie di pallone baffuto con manie di protagonismo.
Comunque Seifer era stato di parola e aveva messo in palio il G.F. a un torneo di briscola. Quel brutto imbecille l’aveva fatto apposta a non indire un torneo di Triple Triads, perché sapeva che avrei vinto io: nessuno dei tre poteva battere me e le mie carte. Per molto tempo ero rimasta offesa del fatto che non me l’avesse regalato: ero sua sorella, dopotutto! Poi me l’aveva spiegato quando ero entrata in possesso di Leviathan e io avevo capito, apprezzando molto di più il suo gesto di allora.
Comunque, quel torneo era stato vinto da Raijin, che aveva regalato Pandemon a Fujin per il suo compleanno.
L’anno seguente era il mio turno e aspettavo con ansia le selezioni: corporatura, abilità in battaglia e con le magie, agilità, astuzia, intelligenza, valutazioni scolastiche e forza mentale...ero convinta di rientrare nei canoni!
Tuttavia a volte essere sicuri di sé non basta...infatti non mi presero.
Quell’anno furono selezionati fra gli altri Squall Leonheart e Zell Dincht. Il mio astio e la mia delusione erano cresciuti, soprattutto alla vista di Fujin che si allenava con il suo G.F.: fu la prima in assoluto del nostro anno ad averne uno e io non riuscivo a tollerarlo.
Neanche a dirlo, Seifer si era precipitato dal preside a protestare, ma Cid era stato irremovibile: non potevo essere selezionata perché il G.F. scelto per quell’anno era troppo per me. Erano sicuri che l’avrei battuto, ma non avrei potuto controllarlo.
-Gli ho detto di trovarsi una scusa migliore- mi aveva riferito Seifer, di ritorno dal colloquio con il preside. Io sedevo imbronciata sul mio letto, guardando dalla finestra tutti i miei sogni scoppiare come tante, ridicole bolle di sapone.
-Già - avevo annuito, sentendo la rabbia fremere ancora una volta - È ridicolo-.
Il giorno prima della prova era stato comunicato dalla Trepe il nome del G.F. scelto:
-Ragazzi, un attimo di attenzione - aveva esordito entrando in classe una mattina - Ho il nome del G.F. che affronterete domani-.
Zell si era chinato in avanti sul suo banco, mentre Squall era rimasto impassibile come al solito, le braccia incrociate al petto e l’aria di chi se ne frega del mondo.
-Shiva, G.F. del ghiaccio. Non sottovalutatela per niente- aveva rivelato la Trepe, aprendo il registro con uno scatto teatrale. Nell’aula era calato un silenzio...glaciale, è proprio il caso di dirlo. Io mi sentivo un pezzo di legno, fremente di rabbia e di invidia ovunque. Zell aveva stretto i pugni con un sorriso sicuro sul volto e Squall aveva chinato il capo per cercare una concentrazione che doveva volare molto bassa, a giudicare dal suo sguardo.
Il giorno seguente io non ero rimasta al Garden: non ero riuscita a sopportare il trionfo altrui alle mie spese, chiunque fosse stato a conquistarsi Shiva.
Le lezioni del giorno erano state sospese per noi del quarto anno, per permettere a chi era in prova di prepararsi e a chi non lo era di assistere: privilegio stabilito dal solito simpaticone di uno Yamazaki e riservato solo a noi del quarto anno. L'avevo già beccato mentre si aggirava furtivo per i corridoi, investendo ogni malcapitato che gli capitava a tiro con le sue ramanzine. Sicuramente se mi avesse visto non mi avrebbe risparmiato, ma io mi ero confusa con la classe di Seifer che si recava al Centro di Addestramento e l'avevo fatta franca.
Forse rimanere a guardare lo spettacolo sarebbe stato interessante e utile,
tuttavia io ero troppo orgogliosa per rimanere a guardare quando al posto di chi stava combattendo avrei voluto esserci io.
Certo, avrei sempre avuto la possibilità di ottenere Ifrid alla Caverna di Fuoco l'anno prossimo, ma le selezioni erano il tipo di sfida che mi invogliava di più a dare il massimo per essere orgogliosa di me stessa. Una sfida persa già prima che cominciasse.
Questo pensavo, mentre mi avviavo verso la città di Balamb, l'unico posto dove potessi andare al di fuori del Garden, calciando i sassolini sula mia strada.
Non che amassi particolarmente la gente, il vociare dei negozianti, il rombo delle macchine e il muoversi affaccendato delle persone fra le vie; l'unico posto in cui mi sentivo un poco più a mio agio era il porto.
A quell'ora del mattino, con nessuna nave a sporcare l'orizzonte e neanche un'anima a stonare, con il suo semplice essere umano, con la natura del vento e del mare, stare lì era il rimedio perfetto per i miei nervi tesi e per il mio orgoglio ferito.
Mi ero seduta sul bordo della banchina, in un punto dove gli spruzzi del mare non potevano bagnarmi, pur arrivando a sfiorarmi la punta delle scarpe.
Mi ero impedita di riempirmi la mente di congetture inutili, lasciando che i miei unici pensieri fossero i sussurri delle onde contro la banchina sotto di me e il soffio del vento nelle orecchie.
Ricordo che, mentre mi scostavo i ricci dagli occhi, avevo lasciato correre lo sguardo sull'infinita distesa marina davanti a me, chiedendomi cosa ci fosse al di là di essa e se un giorno l'avrei saputo. Un po' come il mio futuro: imperscrutabile, immenso ma sempre a portata di mano. Prima o poi l'avrei affrontato e non vedevo l'ora.
Mi ero chiesta se un G.F. avrebbe davvero fatto la differenza nella mia vita. Ne volevo uno solo per poterne menare il vanto o perché ne avevo davvero bisogno? Potevo io aver bisogno di qualcun altro al di fuori di me stessa? Ero cresciuta tutta la vita a contare solo su di me, al massimo su Seifer.
In pochi minuti di riflessione a mente fredda avevo ribaltato la mia visione della situazione: era sciocco irritarsi per il fatto di non essere stata selezionata per avere il G.F., quando dietro quella situazione si nascondeva un'altra sfida più allettante: dimostrare che avrei potuto farcela anche senza un Guardian Force da cui trarre la forza.
E se fossi stata persino migliore di qualcuno che aveva avuto il privilegio di essere sostenuto da un valido aiuto, allora avrei vinto l'ennesima sfida con me stessa.
Mi ero alzata quando avevo visto delle nubi grigie addensarsi all'orizzonte, accompagnate dal brontolio dei tuoni, che si era fuso con il rombo, ora minaccioso, del mare. Il vento si era levato, freddo e sferzante, a colpirmi la pelle, accompagnato dal penetrante odore del sale, che sembrava posarsi sulla mia pelle con uno sfrigolio e un leggero bruciore.
Da dove mi trovavo potevo persino sentire una certa elettricità nell'aria, che agitava le onde del mare in una schiuma densa e perfettamente bianca.
Avevo deciso di tornare al Garden in tempo per la prova, contro i miei piani. Non potevo certo farmi sfuggire l'occasione di vedere un G.F. in azione. Speravo solo che non se lo pigliasse Leonheart...non sapevo come avrei reagito, essendo degna sorella di Seifer, soprattutto in posizione di minoranza.
Quando ero arrivata quasi alla porta della città, una scritta a caratteri cubitali posta sulla bacheca di Balamb aveva attirato la mia attenzione:
"ennesimo attacco a nave trasporto merci al largo delle coste di Balamb. nessun superstite".

Più in basso era riportata la testimonianza di un giovane marinaio che aveva visto l'incidente da un promontorio poco fuori dalla città:
«Era una bestia di dimensioni enormi e ha fatto a pezzi quella nave come se fosse stata di burro».
L'articolo parlava di almeno altri cinque attacchi, prima sulle coste di Galbadia nord e sud, poi in mare aperto e infine verso Balamb.
Quella cosa si stava avvicinando e al Garden nessuno faceva niente. Perché non mandavano i SeeD a sistemare quella bestia? Era davvero necessaria una ragione politica ogni singola volta? Questo poteva valere anche per Galbadia: era la potenza militare numero uno in quel momento, cosa ci sarebbe voluto mandare una truppa ben fornita a dare un paio di legnate al mostro?
Mentre riflettevo indignata su quelle cose, la sensazione di tensione ed elettricità sulla pelle era tornata più forte di prima, mentre le prime gocce d'acqua gelata mi avevano fatta sussultare.
Mi ero chiesta il motivo della mia inquietudine: bastavano davvero due parole su un giornale e un temporale a mandarmi in paranoia?
Ovviamente no, se fossero stati solo quei due segnali.
-Mia sorella! - aveva strillato una voce infantile proprio in quel momento - E' caduta in mare! La mia sorellina! Io non so nuotare, aiutatemi!-.
Mi ero voltata di scatto, mentre un nanerottolo di circa otto anni mi sfrecciava accanto, agitando le braccia e le mani. La sua camicia gialla era fradicia di acqua. Si era sicuramente guadagnato l'attenzione di molti uomini ben piazzati, padri di famiglia che magari avevano dei figli della sua età...ma nessuno aveva mosso un dito o proferito parola per informarsi almeno dell'incidente.
Mentre il bambino mi ripassava accanto, inspirando profondamente per prorompere nell'ennesimo grido che si stava facendo rauco, l'avevo afferrato prontamente per il colletto, con grande sorpresa di tutti, persino di me stessa:
-Dove?- avevo chiesto meccanicamente. Hyne, quel bambino assomigliava dannatamente a Seifer, anche con dei semplici capelli castani. Nei suoi occhi azzurri lampeggiava il panico e il rimorso per un dovere non adempiuto. Il dovere di un fratello più grande. Il dovere di Seifer.
-Al...al porto!- aveva ansimato lui, frantumando ogni somiglianza con mio fratello con la sua voce innocente e incrinata dalla paura. La sensazione di déjà-vu era però rimasta, mentre mi passavano davanti agli occhi tutte le volte in cui mio fratello aveva cercato di proteggermi, a modo suo.
Non avrei mai permesso che succedesse qualcosa alla sorellina del ragazzino che avevo di fronte. Non potevo farlo perché capivo cosa significasse, anche se da un altro punto di vista.
Mi ero messa a correre, veloce come un fulmine, ripercorrendo a ritroso la strada che era stata teatro dei miei pensieri, mentre cercavo di frenare l'ondata di ricordi che era più potente dello spettacolo di onde alte come muri che si era presentato ai miei occhi.
Maledizione, a quell'ora la bambina poteva essere sicuramente annegata, ma non avrei certo dato nulla per scontato e avevo deciso che avrei fatto un tentativo.
-Rimani qui. Se non siamo tornate entro cinque minuti, ritorna in città e chiuditi in casa- avevo ordinato al bambino. Era inutile chiedergli dove esattamente fosse caduta la bambina: quel mare sembrava avere un proprio braccio e una propria mente e affidarsi a lui sarebbe stata una follia bella e buona.
Ma la mia vita stessa era un folle inseguimento di obbiettivi improponibili e sfide senza ricompensa né senso, così mi ero buttata di slancio in acqua, senza neanche spogliarmi.
Non appena il mare mi aveva circondata, una serie di scosse elettriche mi aveva avvolto il corpo, rischiando di farmi annegare per la sorpresa. Ero riemersa ansimando, cercando un punto di riferimento e la convinzione di non aver fatto l'ennesima cazzata. Che sarei tornata dal fratello con la sorellina. Che sarei tornata da Seifer.
Mi ero immersa, annaspando per vedere in maniera decente nell'acqua torbida di tempesta e schiuma. Della bambina non c'era traccia: nessuna ombra e nessun movimento.
Non appena avevo finito di guardarmi in giro, lottando con la furia della corrente, avevo percepito un movimento con la coda nell'occhio, seguito subito da un'ondata più forte delle altre. Tuttavia non era acqua, non era la forza dell'elemento. Era violenza, energia allo stato puro. Ed era proprio in quel mare.
L'acqua era stata frustata da un movimento potente, che mi aveva spedito a molti metri di distanza. Il colpo mi aveva raggiunto immediatamente dopo, mentre davanti a me iniziava a profilarsi una sagoma sinuosa e scattante.
Sulla mia pelle era esplosa una serie interminabile di scosse elettriche e sensazioni pungenti, mentre ancora una volta un colpo violento mi aveva piegata su me stessa. In quel frangente avevo fatto in tempo a vedere una serie di squame azzurrine e striate di blu sfilarmi davanti. La vicinanza con esse mi aveva trasferito una scossa immediata e quasi ero stata sopraffatta dalla sensazione.
Improvvisamente mi ero domandata da quanto tempo fossi sott'acqua e in risposta avevo sentito i polmoni bruciare e il petto fremere come un uccellino in gabbia. Avevo guardato sopra di me, solo per rendermi conto che, qualsiasi cosa ci fosse laggiù, mi aveva spedito così in profondità da disperare di raggiungere la superficie in tempo per non annegare.
In quel momento quel "qualcosa" si era fermato proprio davanti a me e, sebbene stessi annaspando disperatamente alla ricerca di un briciolo di ossigeno, ero rimasta profondamente colpita da quello che era stato descritto come il peggior incubo di navi e marinai. E in quell'istante ero rimasta folgorata dalla comprensione del motivo di così tante parole sprecate su di lui.
Il serpente disegnava una sinuosa S nell'acqua, che tremolava attorno a lui a ogni respiro del suo corpo. La coda, di uno straordinario azzurro chiaro, fremeva leggermente, sfiorando le miriadi di bollicine che rendevano il mare frizzante in quel punto. Le sentivo scoppiare sulla pelle, fra le ciglia degli occhi, sulla punta della lingua.
Le lunghe e artigliate pinne del mostro disegnavano dei lenti otto, come le ali di fragili colibrì quando nuotano nell'aria. Di fragile però quel mostro non sembrava aver nulla: persino le sottilissime corna blu avevano l'aria di scalfire il diamante.
Il serpente aveva gettato indietro la testa, le punte delle corna avevano sfiorato con un clangore metallico le squame della schiena, mentre il suo becco azzurro si apriva in un ruggito a ultrasuoni che aveva trapassato la distanza che ci separava, trafiggendomi le orecchie.
In quell'esatto momento il fondale sotto di me aveva iniziato a tremare, mentre lo strato di dura sabbia si crepava per far affiorare la roccia sottostante. Non ero riuscita a mettermi in piedi, sebbene graffiassi con le unghie e con la pelle la pietra, perché la corrente era ancora troppo forte.
Il mostro aveva battuto l'acqua con la coda, iniziando ad attorcigliarsi su se stesso in una spirale di bolle e squame.
La pietra sotto di me aveva scricchiolato, espandendosi sulla sabbia circostante, fino a quando mi ero ritrovata su un'isola di roccia frastagliata ed estremamente tagliente. Il sangue proveniente dalle ferite sulle mie ginocchia aveva disegnato volute scarlatte che si erano allungate come tentacoli verso il serpente marino ed erano state spazzate via dal movimento delle sue pinne.
Improvvisamente il fondale si era alzato di colpo e l'acqua mi aveva schiacciata sulla roccia con violenza. Avevo intravisto le squame del mostro danzare davanti a me, le sue corna a un centimetro dalla mia bocca.
E poi di colpo l'ossigeno mi aveva frustato i polmoni, così come l'aria aveva accolto la mia pelle gelida e tremante.
Mentre mi ero riscoperta perfettamente asciutta, con mio grande stupore, il mostro aveva danzato con grazia anche sull'onda del vento, sfiorando un'ultima volta la montagna di roccia su cui ero accovacciata in quel momento.
Quando il mio respiro aveva tornato a funzionare e i tagli sulle ginocchia avevano smesso di sanguinare, mi ero guardata intorno.
Non ero a Balamb, né in qualsiasi altro luogo conoscessi o avessi sentito nominare.
Mi trovavo su un promontorio di pietra bianca e tremendamente affilata, che si allungava a uncino, come il becco di un rapace, su una distesa di acqua grigio piombo, che si confondeva con il velo di nuvole che nascondeva il cielo. Mi ero sforzata di lanciare lo sguardo il più lontano che potessi, ma non ero riuscita a individuare la fine di quell'oceano e di quel cielo.
Mentre osservavo le macchie del mio sangue sotto di me, il vento mi aveva schiaffeggiato il viso, portando con sé un odore umido e bagnato, mescolato all'amaro e penetrante retrogusto di ruggine e sale, che avevo ritrovato anche sulla punta delle labbra, unito a uno strano pizzicore della pelle. Anche lì, dunque... non solo nell’acqua.
Quella era stata la chiave che mi aveva fatto capire cosa accidenti stesse succedendo: eccola lì la mia prova, quella che stavo aspettando da anni.
La mia "prova di forza".
Perché avevo davanti un G.F.
Avevo automaticamente allungato la mano dietro di me per afferrare l'arco che portavo a tracolla, trattenendo il respiro nella speranza che non si fosse rotto. Un sospiro di sollievo e in pochi secondi ero già in piedi a tendere la corda, che aveva cantato una nota bassa e vibrante.
Non ero stata altrettanto fortunata con le frecce: me n'erano rimaste solo due, troppo poche per avere la meglio sul G.F.
Mentre il mostro si inarcava per seguire le correnti d'aria, gli avevo lanciato uno Scan per conoscerlo meglio. Il mondo era rimasto in sospeso, mentre le informazioni contenute nella magia scorrevano dietro le mie palpebre chiuse.
Leviathan.
Elemento: acqua

Quando avevo riaperto gli occhi, Leviathan era proprio di fronte a me: il muso tendente dal blu all'azzurro era lucido e appannato dall'umidità evaporata. Dalle corna gocciolava l'acqua, così come dalla punta del becco aguzzo. I suoi occhi completamente blu emanavano un'aura decisa. Il G.F. non avrebbe rinunciato alla sua libertà tanto facilmente.
Beh, e io non avrei rinunciato alla mia vita con altrettanta arrendevolezza.
Nel momento stesso in cui le mie labbra si erano piegate in un sorriso per invitarlo ad avanzare, gli occhi di Leviathan si erano illuminati intensamente e avevano sprigionato un raggio sottile di luce, diretto proprio verso di me. Anni di addestramento avevano affinato i miei riflessi, così ero riuscita a scansarmi in tempo, mentre la roccia calpestata dai miei piedi appena un attimo prima si era sciolta, sfrigolando.
Avevo riportato lo sguardo su Leviathan, preparandomi alla mia mossa. Come in risposta, le sue pinne avevano ripreso più velocemente il movimento a otto, sibilando nell'aria.
Avevo ripassato nella mente quale fosse l'elemento contrario all'acqua e come utilizzarlo a mio vantaggio; ironia della sorte: con tutta quell’elettricità nell’aria, era proprio il tuono. Un semplice Thunder non avrebbe messo in ginocchio Leviathan, ,lo sapevo. Ma nemmeno una semplice freccia avrebbe penetrato la sua corazza di squame.
Mentre ne incoccavo una, avevo spostato velocemente l'arco, cercando un punto debole a cui tirare. In quel momento Leviathan aveva inarcato la schiena per emettere ancora il suo ruggito, generando un vortice d'acqua e sale che mi aveva sferzato le guance. Mi ero abbassata in tempo per non essere investita dall'onda e da lì avevo avuto una visione perfetta del ventre liscio e indifeso del serpente. Avevo scagliato la freccia proprio nel momento esatto in cui Leviathan si era allontanato da me con un colpo di coda e un sibilo, come quello della freccia che si perdeva nel vuoto.
Mi ero morsa il labbro, stringendo convulsamente l'ultima freccia rimastami, mentre il serpente sfrecciava in aria con gli artigli della spina dorsale ben tesi, ad avvertirmi che probabilmente nel giro di pochi minuti sarei finita allo spiedo.
Avevo cercato di controllare il tremito delle mani: eppure mi sarebbe bastato distrarre il G.F. per conficcargli una freccia in pancia...
Come per offrirmene l’occasione Leviathan era volato fin sopra di me, prima di gettarsi in picchiata come un dardo scagliato dal cielo. Non ci avevo pensato due volte: avevo scagliato l'ultima freccia, prima di proteggermi dall'impatto con un Protect innalzato all'ultimo minuto. Leviathan era rimbalzato indietro e la barriera si era infranta su di me con un tintinnio di frammenti sulla roccia che erano poi svaniti nell'aria. Mi ero alzata velocemente per scoprire se avevo fatto centro, ma Leviathan era ancora in piedi e agitava furioso la coda, scuotendo in contemporanea la testa e disegnando cerchi in aria con le pinne. Conficcata al centro del ventre aveva la mia freccia, che però non sembrava avergli arrecato un danno critico.
Ero arretrata con rabbia, battendo i piedi sulla roccia per sfogarmi. Mi ero chiesta cosa avrei dovuto fare per portare dalla mia parte quel serpente che in quel momento mi guardava facendo oscillare il collo elastico, come per invitarmi a fare di meglio.
Come per sfidarmi.
Ma se non avevo i mezzi per accogliere la sfida come avrei potuto anche solo pensare di vincerla?
Avevo gettato da parte l'arco con un grido esasperato: l'arma era rimbalzata con un tonfo sulla pietra, distraendo temporaneamente Leviathan.
Temporaneamente, perché subito il serpente aveva riportato la sua attenzione su di me per folgorarmi con un altro raggio di luce. Ero riuscita a schivarlo all'ultimo, prima di buttarmi a terra per non essere travolta da un suo colpo di coda.
Ricordo che per la prima volta avevo temuto di non uscirne viva. Non avevo più un'arma con cui attaccarlo a distanza e un corpo a corpo era impensabile...era stato in quel momento che ero stata folgorata da un'idea, proprio nell'attimo in cui mi alzavo in piedi e il mio sguardo si posava sul coltello nel mio stivale.
Certo, non avrei potuto accoltellare Leviathan da lì. Ma se avessi lanciato un Thunder sulla lama del pugnale e poi l'avessi scagliato contro il suo ventre? Valeva la pena di provare con l'ultima arma che mi era rimasta.
Avevo schivato l'ennesimo colpo del serpente, prima di accorgermi che qualcosa non andava. Dietro di me echeggiava un ruggito nuovo, che rimbalzava sulla roccia sotto di me e contro il cielo sopra di noi.
Mi ero voltata per trasformare quella che era un'intuizione nella realtà: un muro d'acqua alto come un palazzo correva all'impazzata verso di me, obbedendo al controllo mentale del G.F.
Leviathan stava lentamente sbiadendo, come se stesse per diventare una gigantesca S di acqua.
Era la mia ultima occasione.
L'avevo visto sollevare la coda per spingermi ancora più indietro e più vicina all'enorme onda che si stava avvicinando, come un'enorme bocca spalancata. L'avevo visto calarla sul mio corpo con un ruggito che si era propagato fino agli estremi confini di quel mondo solitario, confondendosi con il canto letale dell'acqua in arrivo.
Avevo sguainato con forza il pugnale, lacerando un lembo di pelle dello stivale, sentendo l'aria risucchiata dallo tsunami sempre più vicina al collo.
Avevo evocato con un grido disperato la magia del fulmine, che si era scatenata sul metallo del pugnale con un crepitio da nulla, in confronto alla furia dell'onda appena dietro di me.
Infine avevo scagliato l'arma con un gemito, il mio braccio che veniva spinto dal soffio dell'acqua e dalla disperazione. Leviathan si era inarcato per ordinare il crollo di quel muro trasparente proprio sopra di me.
Il tonfo del coltello che lacerava la carne.
Il boato di un intero mondo sopra il mio corpo.

Erano stati secondi di incoscienza per me: nelle orecchie avevo sentito lo sciabordio dello tsunami che si disfaceva una volta travolto l'obbiettivo, il sibilo dell'aria mentre precipitavo e la collisione dell'acqua contro la roccia.
Improvvisamente la mia caduta aveva trovato terra con un tonfo. Avevo provato la sensazione di qualcosa di liscio e scivoloso sotto di me: una terra viva e quasi familiare.
Poi l'ennesimo ultrasuono mi aveva costretta ad aprire gli occhi con un sussulto, per rendermi conto che non ero morta come credevo.
Ero più viva che mai.
Leviathan mi aveva dato un colpetto con un artiglio della pinna per aiutarmi a mettermi cavalcioni sul suo collo, mentre dietro di noi l'onda era diventata una cascata che erodeva il promontorio a becco d'uccello.
Visto da lì, avvolto da una nube di vapore acqueo, il blocco di roccia era un'isola di pietra nel mare più ampio che avessi mai conosciuto e...sì, la sua forma ricordava proprio il serpente che mi stava portando via.
Ma via...dove?
-Ehm...Leviathan- avevo provato a tossicchiare. In quel momento una corda nella mia mente si era tesa al massimo, mettendomi in collegamento con i pensieri del G.F., che aveva sollevato obbediente il capo senza distogliere lo sguardo da davanti a sé.
Allora mi aveva scelto. Allora...era mio.
-Leviathan - avevo ripetuto, trattenendo a stento un sorriso di orgoglio - Abbiamo una bambina da salvare-.
Il ruggito del mio serpente si era subito levato in risposta a spezzare l'illusione del suo mondo, che aveva iniziato a sgretolarsi come la roccia erosa dall'acqua e dalla voce del suo padrone: il suo ruggito oceanico.
***
Quando ero tornata al Garden, Seifer mi aveva accolta con uno sguardo preoccupato e le mani nervose che si muovevano nei guanti neri:
-Dove sei stata, sorellina? Ormai le prove sono finite- mi aveva rimproverata, prima di lasciarsi scivolare dal viso la smorfia preoccupata e sostituirla con una confusa.
-Che cos'hai?-.
L'avevo abbracciato di slancio, contenta di sentirlo accanto a me di nuovo. Non avevamo nulla da temere: eravamo in camera mia e Fujin, con cui la condividevo, non era ancora rientrata. Seifer aveva affondato il viso nei miei riccioli, prima di riformulare la domanda nel mio orecchio.
L'avevo guardato negli occhi e avevo sorriso, accogliendo l'invito a raccontare con un certo orgoglio.
Alla fine io e Leviathan avevamo salvato la bambina, riportandola al suo fratellone con il rimprovero di non lasciarsela più sfuggire in situazioni così pericolose.
Nessuno aveva saputo che la minaccia dei mari era stata trasformata in un valido aiuto e io non avevo intenzione di farlo presente. Leviathan era mio, ora. Non avrei permesso che qualcun altro gli avesse fatto del male.
Tanto più che, essendo un Guardian Force, sarebbe stato difficile batterlo.
Tranne per me, ovvio.
-Un G.F.? Nelle acque di Balamb? E chi l'avrebbe mai detto!- aveva esclamato Seifer, dopo aver sentito tutta la mia storia. Poi mi aveva strizzato l'occhio con un sorriso:
-Brava, sorellina! Te lo sei anche portato a casa. E dimmi una cosa: come ci si sente?-.
-Benissimo- avevo risposto ridendo, mentre passavo un pollice su un taglio del ginocchio per guarirlo con un'Energia.
-E adesso capisci perché non ti ho lasciato Pandemon?- mi aveva domandato mio fratello, accovacciato ai miei piedi per guardarmi bene in viso. Avevo annuito, mentre avevo sentito le guance arrossire:
-Beh...sì. Scusa, sono la solita idiota orgogliosa- avevo risposto con un sorriso imbarazzato. Seifer era scattato in piedi:
-Ehi, ti ho insegnato anche a essere degli idioti orgogliosi nella vita! Cosa vorresti dire con questo?-.
Ero scoppiata a ridere indicando la sua smorfia arrabbiata, prima di essere colpita da un altro pensiero, che mi aveva distratta:
-E chi si è portato a casa Shiva, oggi?- gli avevo chiesto. La smorfia scocciata sul volto di Seifer mi aveva suggerito la risposta ancora prima che lui sbuffasse, scimmiottando:
-Il damerino Squall Leonheart, ovviamente-.




Ok, chiedo umilmente perdono per la lunghezza estrema di questo ricordo...descrivere la scena di combattimento fra Atra e Leviathan non è stato facile, soprattutto in breve...lo so, non so contenermi!
Tuttavia, spero che non sia stato noioso e che vi abbia interessato sapere la storia del suo primo incontro con il G.F.!
Lo so, qui Seifer è poco presente, ma ho cercato di inserire qua e là qualche allusione al rapporto con la sorella, in questo caso nel renderle certamente la vita piena di soddisfazioni, ma non gratuite bensì frutto del suo sudore! Che ne dite, Atra se l'è meritato Leviathan?
Aspetto i vostri commenti (di qualsiasi tipo!) !
   
 
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