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Autore: Atra    07/07/2015    3 recensioni
Un viaggio a piccole tappe nell'infanzia e nell'adolescenza di Seifer
Almasy e di sua sorella, Atra Almasy.
Sarà una lettura alla scoperta di un rapporto del tutto
particolare, che potrebbe addirittura stupirvi.
Ogni ricordo è scolpito integralmente nella mente di Atra,
che racconta disegnando i contorni di un Seifer totalmente diverso da
quello che siamo abituati a conoscere.
Buona lettura!
N.B. Il "What if?" della presenza di Atra è riferito alla
mia fanfiction a capitoli, "Il legame del sangue". 
Genere: Comico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Fujin, Nuovo Personaggio, Raijin, Seifer Almasy
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Legami'
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Seifer aveva otto anni, io ne avevo sette. Era un bambino che poteva essere definito con qualsiasi aggettivo, tranne che "innocente".  Crescendo, era diventato sempre più insofferente nei confronti delle regole e aveva aspettato con pazienza esasperata che io compissi i sette anni per poter affrontare liberamente i mostri solo perché gliel'avevo chiesto io, dato che altrimenti gli insegnanti si sarebbero insospettiti se fossi stata abile già alle prime lezioni...e grazie agli insegnamenti di mio fratello ero già diventata molto brava, devo dirlo.
Comunque, fu nel Centro che affinammo le nostre tecniche di combattimento. Lui ha usato sin da subito il Gunblade: prima quello di misura ridotta, poi a dieci anni quello da adulti. Me lo ricordo mentre si sforzava di sollevarlo con quelle braccine striminzite che si ritrovava, il volto contratto per lo sforzo e le mani bianche, da tanto ne stringevano l'impugnatura. Ricordo che il peso dell'arma l'aveva trascinato a terra senza che lui potesse averne il controllo, nonostante la fronte imperlata di sudore e le mille imprecazioni sputate fra i denti. Il giorno dopo era in palestra a fare sollevamento pesi, contando forte e arrivando alle quattro cifre stremato e la settimana dopo era già in grado di tenere in mano la spada. Non serve dire che due settimane dopo la maneggiava come se non avesse fatto altro per tutta la vita.
Comunque, a otto anni lui usava ancora il Gunblade più piccolo e io l'arco, anche quello di misura ridotta. Fu nel Centro durante le nottate con Seifer che lui mi insegnò a combattere con il pugnale, circa un anno prima. E una volta mi sfidò a duello.
Eravamo a un passo dal laghetto che si trova al centro dell'area e la situazione era particolarmente tranquilla, dato che di solito in quella zona non si aggiravano né Grat né tantomeno Archeosaurus. Io stavo osservando il mio riflesso sull'acqua, accovacciata alla fine della passerella in legno, perché l'ultimo Grat mi aveva graffiata in viso e volevo vedere come fossi conciata.
Seifer era uscito con questa geniale idea perché, ovviamente, si era stufato a starsene lì in piedi contro il tronco di un albero a scavare solchi con la punta del Gunblade.
-Atra, ti sfido a duello!- aveva esclamato all'improvviso, puntando la lama della spada contro di me. Io l'avevo visto riflesso nell'acqua e la luce del Gunblade mi aveva abbagliata, costringendomi a guardarlo direttamente.
-Cosa?- gli avevo chiesto, sicura di aver capito male. Lui aveva alzato gli occhi al cielo, rinsaldato la presa sul Gunblade e ripetuto:
-Ti sfido a duello! Sai cos'è un duello?- mi aveva chiesto poi, con aria di saccenza. Io, a malincuore, avevo scosso la testa e mi ero avvicinata a un cenno di mio fratello, che si era seduto a gambe incrociate picchiando il terreno accanto a lui per invitarmi a sedere. Io gli ero scivolata accanto ed ero rimasta affascinata ad ascoltarlo infervorarsi tutto per spiegarmi cosa diavolo fosse quel nuovo gioco:
-Ci sono due persone una di fronte all'altra e a un certo punto una dice: "Ti sfido a duello!" e l'altra risponde: "Ci sto!". Poi prendono le armi e combattono fra loro all'ultimo sangue, fino a quando uno dei due non si arrende- aveva detto lui, gesticolando come un forsennato e con un lampo di smania negli occhi. Ricordo di aver sollevato gli occhi, quella volta, chiedendomi quale tipo di duello si immaginasse di star combattendo proprio in quel momento. Però avevo anche storto la bocca:
-"All'ultimo sangue", hai detto? Vuoi davvero dissanguarmi?- gli avevo chiesto, un po' indispettita. Lui aveva inclinato la testa con aria di sufficienza:
-Beh no, sorellina. Potremmo solo vedere chi per primo tocca l'altro con la sua arma. Tu usi il pugnale e io il Gunblade. Allora, giochiamo?- poi aveva battuto le mani e contemporaneamente i suoi occhi di ghiaccio, in cui brillava già il sapore della sfida. Io avevo sentito lo stesso sapore sulla punta della lingua e avevo deglutito. Mi ero alzata e avevo sfilato il pugnale dalla cintura, lanciando un'occhiata a controllare l'arco e le frecce. Poi avevo annuito con un sorrisetto birichino: mio fratello sarebbe stato deluso, se credeva di vincere con me solo perché ero una femmina e perché ero più piccola.
-Ti sfido a duello!- aveva strillato Seifer, mettendo davanti a sé la lama del Gunblade a tagliargli in due la faccia, che pure rimaneva speculare all'altra mentre si rifletteva nell'acciaio dell'arma. Sul suo viso concentrato aleggiava la vittoria a ogni costo, cosa che poi si sarebbe tradotta nella sa filosofia intitolata "a me l'ultimo colpo!", che ha portato avanti fino ad ora, praticamente.
Nessun tremito a scorrergli sul corpo, nessuna esitazione e nessuna paura di ferirmi. Evidentemente mi conosceva bene e sapeva che sarei stata alla sua altezza.
E non c'era nemmeno un segno che chiarisse che stessimo giocando, sebbene dieci secondi prima mi avesse chiesto di "giocare".
Beh, neppure per me quello era un gioco. Ciò che divideva la realtà dal gioco era solo il fatto che non combattessimo per uccidere. Nient'altro.
-Ci sto!- avevo risposto con convinzione, stringendo la presa sull'elsa del pugnale e piegando leggermente le ginocchia come mi aveva insegnato lui.
Avevo sperato che sul mio viso si leggesse la stessa concentrazione e la stessa serietà che tanto gli invidiavo.
Quella fu la prima delle tante sfide che accettai da lui.
Seifer era partito in quarta a testa bassa, veloce e silenzioso come sempre. Nemmeno il rumore di un passo a tradirlo, solo lo spostamento d'aria. Fu sufficiente: avevo aspettato che si avvicinasse, per poi semplicemente scartare di lato e allungare il braccio che teneva il pugnale per colpirlo alla schiena. Ma lui aveva abbassato il Gunblade per spazzare il terreno sotto di me, allora avevo saltato e poi avevo fatto una finta all'indietro per recuperare l'equilibrio. Ma essendo una finta, ero subito scattata in avanti per approfittare del suo sbilanciamento in avanti per attaccarmi. Così lui aveva scartato di lato e sferrato un colpo di piatto per sorprendere il mio fianco scoperto. Allora ero arretrata velocemente, mandando il colpo a vuoto, per poi abbassarmi a colpirgli un piede, vicinissimo a me. Lui l'aveva ritratto di scatto e stava per colpirmi alla schiena, quando io ero rotolata in avanti fra le sue gambe per impedirglielo e gli avevo fatto lo sgambetto. Ma Seifer mica era caduto! Stava cadendo, sì, ma aveva lasciato la presa sul Gunblade e poi si era appoggiato a terra con le mani, così da non finire ai miei piedi e alla mia mercé. Ero scattata a prendere la sua arma, ma quando lui l'aveva raggiunta prima di me avevo scartato a destra per colpire la sua gamba. Lui aveva saltato e mirato alla mia schiena. Allora ero rotolata sul fianco e lui si era appoggiato a terra con la mano per evitare il mio pugnale pronto a colpirgli la pancia. Mi ero rialzata in fretta e in tempo per evitare che mi colpisse quando ero ancora distesa.
Così eravamo tornati a fronteggiarci, come due leoncini fratelli che avevano scoperto come darsele di santa ragione, facendolo passare per un gioco.
-Maledizione Atra, sei così brava!- aveva sputato lui fra i denti. Io avevo riso tutta orgogliosa:
-Lo so, lo so- avevo cantilenato sprezzante.
-Hai imparato dal migliore, ricordatelo-. Seifer aveva sollevato un dito e un sorriso orgoglioso gli aveva incurvato le labbra. Io avevo battuto i piedi con impazienza:
-Sì, ma anche io sono brava!- mi ero lamentata, stizzita del fatto che mio fratello si stesse prendendo tutto il merito. Lui aveva sputato una risata e aveva sollevato la mano in un gesto conciliante (lo stesso che gli è rimasto ancora oggi, quando si sente attaccato dagli altri):
-Certo che sei brava...sei la mia sorellina- aveva osservato. La solita constatazione che mi aveva sempre fatto pensare a quanto sarei stata inutile senza mio fratello. E per un certo periodo lo ero davvero stata: completamente devota a Seifer, un cagnolino che lo seguiva ovunque.
Poi ero cambiata, da quando avevamo iniziato a frequentare lezioni separate. Beh, tirare con l'arco e usare un Gunblade sono due discipline davvero diverse. Fu in quel periodo che Seifer e Squall iniziarono a collidere paurosamente fra loro.
Seifer aveva visto intanto la mia distrazione e aveva deciso di approfittarne, all'urlo di:
-Atra mantieni la concentrazione, che diamine!-.
Io mi ero riscossa in tempo per schivare il colpo. In quel momento un Grat, richiamato dalle nostre urla e dai nostri movimenti, era zampettato fino a noi. Io l'avevo notato per prima e mi ero preparata a lanciargli il pugnale, quando anche Seifer se n'era accorto e aveva interrotto la sua piroetta per riprendere l'equilibrio e guardare l'orologio, mentre io continuavo a tenere d'occhio il mostro.
-Le quattro meno dieci. Dobbiamo andare, sorellina- mi aveva avvisato con una punta di dispiacere nella voce. Poi mi si era avvicinato con il Gunblade rivolto a terra:
-Bello scontro. Mi sei piaciuta molto, Atra - mi aveva elogiato mettendomi la mano sulla spalla - Ma non finisce qui-. La sua voce si era abbassata e chiunque si sarebbe sentito turbato da quelle parole e dal modo in cui erano state pronunciate. Tutti, ma non io. Avevo sorriso e l'avevo guardato dritto negli occhi, sollevando il mento:
-Ovvio che no- gli avevo risposto, sollevando le sopracciglia e godendo della luce che gli avevo visto attraversare gli occhi e scendere a illuminargli il viso. Era esaltato e il suo petto si alzava e si abbassava velocemente, seguendo il ritmo concitato del suo respiro e del suo cuore.
Lui si era voltato a guardare il Grat, molto vicino a noi, e aveva sollevato di nuovo il Gunblade:
-Ti sfido! Vediamo chi lo fa fuori per primo!- aveva strillato, prima di avventarsi contro il mostro.
-Ehi, non vale!- avevo urlato a mia volta, precipitandomi a prendere il mio pezzettino di carne da scannare.
L'ennesima sfida. Su questo filo passavano le nostre giornate e nessuno avrebbe detto che fossimo fratelli. In perenne litigio e un battibecco dopo l'altro stavamo costruendo la nostra relazione.
In realtà ci stavamo misurando l'uno con l'altra e cercavamo il limite oltre il quale il gioco avrebbe lasciato spazio alla rivalità.
Non l'abbiamo mai trovato.
   
 
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