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Autore: Euridice100    18/07/2015    6 recensioni
"Ma l’altra rialza il capo e lo fissa con odio.
È allora che Gold la vede.
Arretra di un passo con la certezza di avere dinanzi a sé un fantasma.
'No, non può essere.'
Ma è allora che il passato torna a essere presente."
(Victorian!AU RumBelle
Seguito di "Cleaning all that I've become" e "All of the stars".)
Genere: Introspettivo, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Belle, Nuovo personaggio, Signor Gold/Tremotino, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Your dream is over... Or has it just begun?'
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XIV - Not strong enough
 
 
 
“I’m not strong enough to stay away,
can’t run from you.
 
 
 
Dopo Belle, Gold non aveva permesso a nessuna di riposare al suo fianco.
Il motivo gli pareva ovvio: dormire con qualcuno è qualcosa di molto, molto più intimo del sesso.
I corpi possono toccarsi e mischiarsi, mani, bocche e lingue possono cercarsi, mangiarsi, fondersi; ma anche se due divengono uno, non accederanno mai all’intimità che si raggiunge dormendo insieme. Condividere spazi e calore, essere l’uno custode del respiro dell’altro, la consapevolezza che ogni movimento avrà ripercussioni sull’equilibrio fragile di due esseri tanto vicini nell’incoscienza – nell’innocenza – notturna è qualcosa di molto, molto più sacro del sesso; è qualcosa che già profuma d’amore.
Credeva non avrebbe più avuto nessuna al suo fianco – che non avrebbe più avutol’unica che avrebbe voluto con sé. Che non l’avrebbe più sentita muoversi, agitarsi, rubargli le coperte; che non l’avrebbe più sentita accoccolarsi al suo petto, col volto affondato nell’incavo del collo, finalmente quieta, finalmente al sicuro.
Ma quella notte era successo.
Quella notte, dopo aver fatto l’amore, lui e Belle avevano dormito assieme, e per un istante – in quel momento magico che precede il sonno, in cui il fisico già riposa, ma un barlume di veglia ancora domina la mente – Gold aveva pensato che forse avevano trovato il loro modo di essere felici.
Che stavano avendo una seconda possibilità, e che ora era loro compito non sprecarla.
Custodirla, proteggerla, accrescerla.
Viverla.
Ma quando riaprì gli occhi, Robert Gold si ritrovò solo.
Ancora assopito, allungò il braccio certo di incontrare la sua Sweetheart; incontrò uno spazio vuoto e freddo. Bastò la percezione a farlo balzare dal mondo dei sogni alla realtà: si sedette di scatto e la cercò attorno, certo di scorgerla nella stanza; ma di lei non v’era traccia.
Si lasciò ricadere sul materasso, un pugno di ghiaccio che gli strozzava il cuore.
In fondo lo sapevi.
Che lui e Belle fossero felici, era un’ipotesi che trascendeva ogni realtà.
La loro gioia, forse così intensa, bruciava sempre in un momento: splendeva di fulgore arcano, ma si spegneva prima ancora di rischiarare le tenebre. La felicità era un’estranea nel loro rapporto: un’ospite tanto desiderata quanto sdegnosa, che rifiutava gli inviti e preferiva case altrui, regalando loro al più un sorriso fugace per poi allontanarsi in fretta. E quell’ultima realtà che aveva la stessa vivida immediatezza di un sogno– il sogno di Belle meravigliosa e fiera su di lui, dei suoi occhi che il piacere rendeva indaco scuro come orchidee e delle sue labbra ebbre di baci, il sogno di Belle che dormiva accanto a lui – erano dei memento che non sapeva ignorare.
Non poté tuttavia trattenere un leggero ghigno alla vista del segno che gli aveva lasciato sul petto. Non c’era stata solo dolcezza, quella notte. C’erano stati anche morsi e graffi, e segni che sarebbero andati via coi giorni.
La sua Belle.
Era così diversa da come la ricordava. Meno esitante, menoimpacciata, meno timida.
Ancora più determinata e più bella, se possibile.
Più vera.
Il pensiero gli corse ancora una volta a una sera in biblioteca. Una prima nuova volta come l’ultima –come a riprendere dallo stesso punto, come a ribellarsi a un destino che li aveva interrotti incuranti della loro volontà.
Il profumo di Belle, quell’aroma di tè e miele di cui poche ore prima si era inebriato fino a perdere coscienza di sé, aleggiava al suo fianco. Belle c’era stata – c’era, – e quella notte era successa: avevano davvero fatto l’amore, e davvero erano rimasti l’uno accanto all’altra per l’intera notte.
Ma dov’era andata, ora?
Si vestì ignorando i pensieri dal sapore acre di passato che iniziavano a morderlo. Stava parlando di Belle. Belle non era certo una persona da…
Doveva essere da qualche parte. L’avrebbe trovata, l’avrebbe presa per mano e avrebbero parlato di… Di cosa? Neanche lui ne aveva idea. Ciò che era successo quella notte non parlava forse più chiaro di mille discorsi?
Già una volta sono impazzito a causa tua, Sweetheart.
Perché…
Si fermò all’istante.
La risposta era così semplice e immediata, che si stupì persino di essersi posto il dilemma.
Sapeva perfettamente dov’era Belle.
 
 
 
“I just run back
to you.”
 
 
 
Quando aveva trovato Helena profondamente addormentata nel suo lettino, Belle aveva sospirato di sollievo.
Dopo una giornata come la precedente, la donna non aveva saputo frenare i timori di una nuova sparizione e, per quanto la ragione gliene ribadisse l’improbabilità, aveva deciso di verificare di persona.
E così eccola, seduta sul materasso ad ammirare la bambina come aveva fatto ben più di una volta negli ultimi quattro anni. Se le fosse successo qualcosa, Belle avrebbe… No, non sapeva come avrebbe reagito, né voleva saperlo. La terrorizzava cos’avrebbe fatto in suo nome, ma Helena significava troppo per lei: l’aveva davvero riportata alla vita dopo mesi di dolore segreto, era diventata il centro del suo universo, la causa e il fine di ogni suo sforzo. Helena era stata il suo ultimo regalo, quello che avrebbe custodito e protetto dal mondo in eterno; Helena era loro, loro e loro soltanto, e già anche solo per questo meritava ogni bellezza del mondo.
Il suo ultimo regalo.
Belle non era pentita di quanto successo. Non avrebbe disconosciuto il bacio dato a Robert, averlo seguito e aver trascorso la notte con lui: era successo perché entrambi lo desideravano, perché era un processo iniziato molto, molto tempo prima e che loro avevano solo potuto assecondare. Quando le aveva mormorato “Non mi lasciare”, qualcosa nel petto le era tremato e ogni residua barriera, ogni incertezza, ogni se e forse era crollato, lasciandola sola con i suoi sentimenti.
E allora non era stato difficile scegliere. Non era stato difficile spogliarsi oltre i vestiti, mostrare l’anima e non solo il corpo a chi aveva contribuito a renderla ciò che era, a chi l’aveva amata, odiata, amata con la stessa intensità che lei aveva saggiato sulla propria pelle e che rendeva la vita degna di essere vissuta.
Non era stato difficile amarlo.
E non lo era neanche ora, no. Non lo era mai.
Cosa sarebbe successo tra loro? La notte precedente si erano confessati il loro amore nel modo più chiaro e più vero, e al tempo stesso più foriero di conseguenze. Non sarebbe stato possibile tornare alla vecchia vita dimenticando quelle ore. Non andava bene, non era giusto; sarebbe stata una mossa vana capace di mascherare la realtà appena il tempo di uno sguardo.
Perché alla prima occasione in cui si fossero ritrovati accanto, alla prima occasione in cui le loro mani si fossero sfiorate, entrambi avrebbero provato ancora quell’emozione capace di farli tremare.
Perché quando pensava a Gold, Belle sapeva poche cose: sapeva che era qualcuno per cui valesse la pena combattere.Sapeva di volerne custodire il sorriso fragile.Sapeva che, quando poggiava la testa al suo petto e lui le baciava i capelli, si sentiva finalmente a casa.
Sapeva che a lui, a lui solo voleva dare tutto l’amore che aveva dentro.
Ed era ciò che, malgrado il mondo e Robert stesso contro, avrebbe fatto.
Quando sentì qualcuno bussare, la donna non ebbe dubbi: sapeva chi fosse.
- Posso entrare?
- Certo, – sottovoce, fece segno a Gold di avvicinarsi al letto – Non ci sono sedie, vieni pure qui.
- Ci ritroviamo sempre in camere senza sedie, – notò lui, una nota di malizia a colorargli il timbro.
Belle soffocò una risata altrettanto impertinente per non disturbare la figlia. Come dimenticare la notte in cui la stessa assenza li aveva costretti a una vicinanza tanto stretta?
La prima volta che avevano fatto l’amore.
- Ora come allora.
- Esatto, – l’uomo sorrise, ma tornò subito serio – Tu… – avanzò incerto – Va tutto bene?
Belle annuì convinta.
- Sì. Sai, – ammise senza remore – A dire il vero, non me l’aspettavo. Furiosa com’ero, ventiquattr’ore fa avrei ritenuto improbabile un similesviluppo. Però sono felice della scelta fatta, davvero. Incredula, e felice.
Lo vide riprendere il fiato che aveva inconsciamente trattenuto. Si mosse verso lui, le mani strette alle sue al punto che le ossa parevano fondersi, ma lui ricambiò la presa solo dopo un momento.
- Perché sei scappata?
Sbatté le palpebre perplessa, senza capire a cosa si riferisse l’uomo.
- Scappata?
- Mi sono svegliato e tu non c’eri. Ho temuto di aver sognato. O peggio, che ti fossi pentita e avessi deciso di andartene senza dirlo, – l’altradeglutì, consapevole della persona cui si stavano volgendo i pensieri dell’amato – È già successo. So come avviene, so che…
Belle gli prese il volto tra le mani e lo baciò, interrompendolo.
- Guardami. Robert, guarda me, lascia stare il resto, – gli ordinò con un sussurro, esattamente come aveva fatto lui pochi giorni prima – Guarda me. Io non sono Milah. Io non sparirò.Io non prenderò le mie cose, ionon fuggirò da un giorno all’altro. Io non ti lascerò solo, non ti abbandonerò all’improvviso, non me ne andrò senza darti una spiegazione. Io non ti lascerò mai in questo modo. Guardami, – ripeté – Mi sono alzata per controllare Helena e non ti ho avvisato perché stavi dormendo, altrimenti saremmo venuti qui insieme. Era questa la mia intenzione. Mi sono attardata perché ho iniziato a riflettere e non mi sono accorta del tempo che passava, ma no, non ti lascio. E stanotte te ne ho dato prova. Per quanto sia difficile, strappati dalla mente queste paure e abbi fiducia. In te e in me. In noie in ciò che abbiamo.
La donna si voltò verso la bambina, che riposava serenamente. Gold la imitò, ma l’ombra nei suoi occhi non svanì.
- Tre giorni fa sostenevi di non essere pronta a tornare.
- Ed era vero. Non lo dicevo per capriccio od orgoglio, ma perché ne ero convinta. Tre giorni fa non potevo tornare a Kensington. Se l’avessi fatto, ecco, quella sarebbe stata una costrizione; o meglio, una parte di me l’avrebbe vissuta come tale, e io so che tu non vuoi impormi nulla, nemmeno involontariamente. Per questo sono stata sincera e ho rifiutato l’invito. Non volevo ingannarti. Però, – gli carezzò una guancia – In pochi giorni possono cambiare tante cose. Si può fare chiarezza dentro, anche se fuori regna il caos. Sai, penso che il fattore scatenante sia stato l’arrivo di Emma e Killian. La situazione stava evolvendo, ma se gli eventi non fossero precipitati ci sarebbe voluto ancora del tempo. Un motivo per essere loro grato, non trovi? – quando l’onda d’argento della sua risata lo raggiunse, Gold distolse per un istante lo sguardo.
Un’indiretta coercizione, in realtà, c’era stata. Se Belle si era risolta adandare a Kensington, se aveva costretto in un angolo i tentennamenti, era stato anche a causa delle sue macchinazioni. Se le avesse comunicato immediatamente la presenza di Regina anziché decidere di attendere e poi restare inerte, probabilmente i due giorni precedenti sarebbero stati ben diversi.
Per non parlare della menzogna diquel giorno a Whitechapel…
Perché ti tratto così, se sei l’unica cui mi donerei completamente?
Se avesse parlato, avrebbe dato prova di fiducia a Belle, ma al tempo stesso forse la loro situazione sarebbe rimasta in stallo...
Qualunque fosse la loro situazione. Perché questo era un aspetto su cui non soprassedere.
Quasi leggendo il suo ultimo pensiero, la giovane gli sollevò il mento.
- Neanch’io so come faremo, come ci organizzeremo. Ma, sai, agli aspetti pratici penseremo dopo. Le questioni in sospeso sono ancora tante, e stavolta voglio risolverle tutte prima di… – s’interruppe per un istante che non passò inosservato a Gold – Prima di qualsiasi cosa. Ma finalmente ho capito la verità, la verità più importante, e questo conta, – lo guardò dritto negli occhi – Ho capito che abbiamo bisogno di te. Finorace l’abbiamo fatta da sole, ma ora tu ci sei, ed Helena ha bisogno di suo padre. Siamo una famiglia, e abbiamo bisogno di te. Io ho bisogno di te. Io ti amo.
Ogni frase, ogni ammissione gli accendeva il cuore. Chi mai al mondo gli aveva rivolto parole tanto belle? Parole che urlavano amore ben oltre la semplice dichiarazione, parole che erano amore.
Lei, lei è la sola che mi può davvero salvare.
Esitò appena prima di chiederglielo.
- Belle, – mormorò – Belle, ma noi ora… Cosa siamo?
Gli rivolse quel sorriso sincero che era suo e suo soltanto e che lo riscaldava più del sole.
- Siamo ciò che siamo stati. Siamo di nuovo noi.
 
 
 
“Say my name,
but it’s not the same.”
 
 
 
Helena ce la stava mettendo tutta, ma proprio non capiva cosa fosse successo durante la notte. Perché, era evidente, qualcosa era accaduto.
Ne aveva avuto sentore nel momento stesso in cui i suoi genitori l’avevano svegliata – ed era stato strano vederli entrambi attorno al suo letto, sentirli salutarla e chiacchierare distesi quando solo poco prima erano parsi distanti più della luna. Mamma era – quasi – sempre allegra, ma quella mattina la sua gioia pareva diversa dal solito: come se non fosse una sua esclusiva, come se la spartisse con qualcuno senza per questo dimezzarla, anzi,moltiplicandola grazie a quella condivisione.
La mamma doveva essere raggiante perché l’aveva ritrovata, aveva concluso la bambina – sebbene non mancasse di precisare che lei non si era affatto persa, ma solo nascosta e partita per un’avventura; e papà si sentiva altrettanto sollevato, perché era felice quanto la mamma. Quando dopo erano scese, le aveva salutate con un inchino e regalato loro una rosa ciascuna. Helena aveva preso la sua contentissima, perché prima d’allora nessuno eccetto la mamma o Graham le aveva regalato un fiore, ma la reazione di Belle era stata ben diversa e per un certo verso sconcertante: era arrossita e aveva fatto una graziosa riverenza prima di mormorare come tra sé e sé una frase come: – Ora come allora,– cui papà aveva annuito.
I due si erano guardati in un modo stranissimo, ed Helena era stata sicura che, se non ci fosse stata lei, si sarebbero detti una di quelle cose serie che i grandi dicono quando non ci sono bambini in giro. In un’altra occasione Helena se la sarebbe presa molto, ma stavolta proprio non ci era riuscita: mamma e papà erano meravigliosi assieme, così belli da far splendere il sole attorno a loro. E poi le avevano confermato la notizia preannunciatale già la sera precedente: forse lei e la mamma si sarebbero fermate un po’ più spesso al Castello. L’idea la elettrizzava: avrebbe avuto molte più occasioni di esplorare la casa! Sarebbe stato divertentissimo!
La felicità collettiva era contagiosa: non poteva non toccare anche Helena e ricondurre a più miti consigli persino i più bellicosi propositi di guerra – ma non il temperamento di mamma,a quanto pareva.
Quando papà le aveva invitate a sedersi per fare colazione, Belle aveva inclinato il capo come stranita e detto che certo non si sarebbe fatta servire dai suoi stessi colleghi. L’uomo aveva corrugato la fronte e fatto presente che la situazione era cambiata – quale situazione? – e che non avrebbe certo potuto indossare un’uniforme e mettersi a spolverare per casa; a quel punto, sua madre aveva prontamente replicato che non c’erano ragioni per non farlo, anzi: era esattamente ciò che avrebbe fatto.
La mamma era la persona cui più voleva bene, ma alle volte Helena non riusciva a capirla: perché alzarsi e caricarsi di vassoi pesanti come a lavoro, quando poteva starsene seduta e rilassata almeno una volta nella vita?
Quando aveva espresso la sua opinione, sulla sala era piombato un silenzio che le aveva fatto temere il peggio. Ecco: ancora una volta aveva combinato un pasticcio, rovinando tutto. Aveva rotto l’atmosfera e ora tutti si sarebbero rattristati, forse avrebbero persino ricominciato a litigare. Come potevano dirle che non era colpa sua, se non ne combinava una giusta?
Ma, poi, tutto a un tratto,papà era scoppiato a ridere come mai l’aveva sentito fare prima e aveva applaudito orgoglioso. Mamma aveva guardato entrambi malissimo e borbottato qualcosa come:– Non vi lascerò mai più soli assieme. Siete pericolosi, – che, a dispetto delle apparenze, l’aveva tranquillizzata più di mille baci.
(Alla fine non c’erano comunque state ragioni: mamma era scesa e aveva aiutato gli altri, malgrado avesse appena giurato di non lasciare lei e papà da soli.
Certo che sapeva essere davvero strana.)
Sì, la situazione al Castello era diversa, decisamente migliore rispetto ai giorni precedenti; migliore per tutti, tranne che per Regina.
La ragazza doveva essere cocciuta quanto e più di Helena e dei suoi genitori perché molta, moltissima decisione, aveva declinato ogni invito di Belle a unirsi a loro ed era rimasta chiusa in camera. Attendendole,Gold aveva finto serenità, ma la bambina stessa si era accorta della sua tensione e del modo in cui aveva appena sospirato quando in sala era rientrata solo la stessa persona che vi era uscita.
Helena non capiva cos’avesse Regina, perché fosse tanto scontrosa e infelice. Era arrabbiata col mondo intero, era presuntuosa e alle volte persino cattiva; e al contempo era capace di gesti di insospettabile tenerezza. Neanche quella notte avevano dormito assieme, e rendendosene conto la bimba se n’era un po’ dispiaciuta: malgrado si conoscessero da poco, si era come abituata ad averla accanto, al calore del suo corpo morbido e al caratteraccio che la contraddistingueva.
Ma Regina se ne stava chiusa in camera e non voleva ricevere nessuno. Forse neanche te, la umiliò una vocetta malvagia all’orecchio. Avendo già avuto a che fare con la giovane, l’eventualità parve alla bambina tutt’altro che remota…
Però Helena non sarebbe stata figlia di sua madre, se non ci avesse almeno provato.
Per questo, alla prima occasione non ebbe dubbi sul da farsi: doveva andare dalla ragazza.
 
 
 
“You look in my eyes,
I’m stripped of my pride.”
 
 
 
Quando udì il lieve cigolio della porta, Regina non si domandò chi fosse il o la screanzata: da qualche giorno a quella parte,aveva a che fare una certa personcina irritante che reiterava il viziaccio incurante dei rimproveri. Per questo nemmeno alzò il capo: continuò impassibile a sfogliare il libro preso in biblioteca, ben decisa a non dedicare alcuna attenzione alla piccola nella speranza che se ne andasse in fretta.
- Ciao! – Helena la salutò allegra – Perché non sei scesa a mangiare?
Cosa credeva di fare Belle inviando la figlia? S’illudeva forse che lei,Regina Mills, si sarebbe fatta blandire dalle preghiere di una quattrenne? Se credeva di riuscirci, la French non la conosceva affatto. Era rimasta legata a un ricordo antico, un ricordo quanto mai distante dalla realtà.
- Non ho fame.
- Ma c’erano cose buone, ed erano tante. Potevi mangiare anche tu.
La ragazza sbuffò.
- Mettiamola così: non mi metterò all’ingrasso per accontentarti. D’accordo?
Helena alzò le spalle poco convinta. A lei Regina non sembrava affatto grassa. E comunque, anche se non avesse voluto mangiare sarebbe potuta scendere e stare con loro, no? Papà abbassava la voce quando parlavano di lei, ma non l’avrebbe certo cacciata, anzi: la mamma era andata a chiamarla!
Regina represse l’istinto di alzare gli occhi al cielo udendo le argomentazioni della ragazzina. Sì, era vero: era stata invitata al tavolo dei padroni, la castellana stessa – perché non chiamarla col suo nome? – aveva bussato alla porta ribadendo concetti che oramai avevano preso a nausearla e in cui lei non voleva riporre alcuna fiducia.
Belle sosteneva di aver reagito d’istinto ma di non nutrire rancore nei suoi confronti, di non reputarla la reale artefice delle sue disgrazie, o comunque di considerare le sue colpe inferiori rispetto a quelle altrui; e Regina sapeva, sentiva che almeno in questo la donna era sincera.
Forse le avrebbe rivolto l’invito anche se il giorno prima non fosse stata tanto coinvolta nelle ricerche di Helena e se non fosse stata lei a trovarla. Forse era solo una coincidenza – una delle tante di cui sembrava intessuto il loro cammino, simile a quella che una volta le aveva portate a sfiorarsi e a mancarsi per una manciata di minuti cancellando definitivamente un avvenire e scrivendone uno nuovo.
Certo. Forse lo era. Ma Cora Mills aveva educato la sua erede a considerare esistenti solo le coincidenze che si creano: non doveva essere un caso se Belle le aveva rivolto parole tanto accorate il giorno seguente al ritrovamento della figlia. Regina aveva chiesto il suo perdono, ma non poteva esserselo guadagnato tanto facilmente, non poteva – era semplicemente impossibile. Era palese che Belle volesse sdebitarsi per quanto successo, ma lei non intendeva divenire la salvatrice, l’eroina del momento coccolata e vezzeggiata per meriti presunti e ragioni improbabili: aveva cercato Helena solo perché…
Per provare la tua innocenza?
Per paura di Gold?
Per…?
No. Non c’era un perché. Semplicemente, quando la bambina sembrava svanita, un brivido le era corso lungo la schiena e mille possibilità le avevano affollato la mente, e…
Stai mentendo ancora.
L’hai fatto perché in realtà, per quanto tu possa fingere, tutto ciò che vuoi è un riscatto.
Vuoi essere accettata, non perdonata. Cerchi negli altri ciò che non sai darti tu, vorresti essere inclusa in questa famigliola, ma sai una cosa? Non ti accetteranno mai.
Non ti accetteranno mai perché sei cattiva dentro.
Una volta hai avuto una scelta e hai sbagliato. Hai scelto la tua condanna, e dovrai scontarla in eterno.
Anche ieri hai agito solo per egoismo, per essere ricompensata con un briciolo d’affetto che non avrai.
Non lo meriti, Regina, tu non meriti niente.
Tu non meriti amore.
Non era un discorso da fare a una bambina così piccola. Per quanto sveglia, non sarebbe stata in grado di comprendere concetti tanto nebulosi e carichi di dolore.
Regina le augurava di non essere mai in grado di comprenderli – perché certe cose, aveva imparato, si capiscono solo se le si vive; e qualcosa in lei, qualcosa d’indefinito a metà tra le costole e quel grosso buco nero che sentiva nel petto e si ostinava a chiamare cuore, voleva che Helena non le conoscesse mai.
“Potrebbe essere tua sorella.”
Non lo era, non lo era, ma se lo fosse stata?
Si era imposta di non pensare alla questione, ma il pensiero non l’abbandonava. Per quanto andasse indietro con la mente, non c’era un momento nella sua vita in cui non ci fosse stato anche indirettamente lo zio: le loro storie erano così intrecciate che sarebbero potute essere la stessa.
Ma se l’uomo sospettava qualcosa allora perché, dopo la morte di colui che eradoveva essere – suo padre, non l’aveva aiutata concretamente, perché l’aveva lasciata sola a fronteggiare Cora?
Perché avrebbe dovuto?
Cora è tua madre, e tu sei un sospetto, non una certezza.
Non sei come Helena.
Helena era sua. Helena era Gold anche se non ne portava il nome.
Helena non sarebbe stata come lei. Sarebbe stata una bambina privilegiata e adorata, riempita di amore dalla madre e di doni dal padre.
Eppure, quando la guardava, a farsi la guerra dentro Regina non erano rancore e invidia, no.
Dentro Regina si facevano la guerra rimorso e tenerezza. 1
L’adolescente abbandonò il libro e si alzò dal letto. Come incoraggiata, Helena mosse qualche passo verso la Contessina, che però s’avvicinò alla finestra e iniziò a fissare un punto indefinito oltre il vetro.
- Sarebbe cambiato qualcosa, se ci fossi stata? – chiese.
A Helena quella parve una domanda assai bizzarra, ma non se ne stupì più di tanto. Negli ultimi mesi la sua intera vita era diventata strana, tra la comparsa di papà, i regali e le cene, il trasferimento e ora la nuova… Amica?
Sì, amica, decise all’istante. Malgrado il pessimo carattere, Regina le piaceva e, nella sua breve vita aveva imparato a fidarsi di certe sensazioni; era certa che anche la giovane la ritenesse tale: si fingeva insensibile, ma era chiaro che le si fosse affezionata. Altrimenti, per quale motivo preoccuparsi tanto il giorno prima?
- Sì, – rispose senza esitare – Se c’eri sarebbe stato meglio. Più divertente.
- Splendido, – il commento non si fece attendere – Un modo per dire che sono il giullare di corte.
- Che?
- Lascia stare.
- Io dico davvero! – esclamò convintissima la piccola – Se si dicono le bugie cresce il naso e il mio non è cresciuto, quindi dico la verità! Voglio che stai con me!
Un desiderio che Regina non riusciva a capire. Per quale motivo la ragazzina era tanto attratta da lei, cosa l’aveva conquistata a tal punto? Tornando indietro, non le avrebbe mai permesso di dormire nel suo letto.
Forse lontana da Belle aveva visto in lei la madre o una figura simile, e le si era aggrappata in cerca di sicurezza.
Il pensiero di essere una sostituta di Belle la faceva ridere.
- Ma perché? – si voltò infine, le braccia incrociate al seno – Perché mi stai sempre appresso? Ti ho detto mille volte che voglio stare sola!
- Nessuno vuole davvero stare solo, dice la mamma! E se tu sei triste sono triste anch’io, perché ti voglio bene!
Ecco il problema. Forse anche lei, in un qualche modo ancora incerto, ancora informe, iniziava ad affezionarsi alla bambina? Era questo il vero motivo per cui il giorno precedente si era preoccupata tanto?
Regina odiava il suo sapere amare. Senza, sarebbe stato tutto più semplice.
- Helena, – la voce risuonò di colpo più angosciata – Tu ti fidi di me?
La bambina annuì.
Come temevo.
Un altro membro di quella sgangherata combriccola s’ostinava a riporre fede in lei.
Fino ad allora erano finiti tutti col cuore in pezzi.
- Ti hanno mai detto che somigli tanto a tua madre?
- Me lo dicono tutti! – gli occhi della piccola scintillarono di felicità.
Sciocca.
Non c’è felicità nell’essere buoni.
Solo nuovo dolore.
- Non compiere i suoi stessi errori, – si scoprì ad ammonirla – Una volta, tua madre si fidò della persona sbagliata. Non ci fu lieto fine per nessuna delle due.
Helena si accigliò. Che stava dicendo Regina? Sua mamma era la migliore al mondo, era intelligentissima e bravissima, non sbagliava mai!
- Non è vero. È finita bene: mamma ha me e papà. Forse è stato il cattivo a non avere il lieto fine, ma fatti suoi, era cattivo. Non lo meritava.
E se ti dicessi che la cattiva della storia sono proprio io?
Già, proprio la tua nuova amichetta.
Quando Regina rise, Helena si rese conto per la prima volta che non sempre una risata è sinonimo di allegria. Perché nella smorfia che le storse il volto, nelle parole che la ragazza pronunciò, c’era tutto eccetto gioia.
- Il problema è che cattivi non si nasce. Si diventa. E io lo sono diventata scegliendo. Capisci cosa sto dicendo? Capisci la morale della storia?
La bambina scosse il capo, confusa dall’improvvisa piega del discorso.
- È semplice. Non fidarti di nessuno. Neanche di me. Se…
Regina si voltò di nuovo verso il vetro e s’interruppe di colpo.
Sbatté le palpebre una, due, tre volte, incredula.
No.
È impossibile.
Sotto casa di Gold c’era Daniel Locke.
 
 

 
“And with your presence
my heart knows no shame,
I’m not to blame
‘cause you bring my heart
to its knees.”

 
 
 
Non rispondi, “Dearie”? Fingi di non ricevere le mie lettere? Le leggi e le bruci per vendetta, come io ho fatto coi tuoi ricordini, o neppure le apri perché non hai il coraggio di affrontare la realtà?
In fondo non me ne stupirei. Sei un codardo, e lo sei sempre stato.”
Pensavo di essere stato sufficientemente esplicito, ma i fatti mi smentiscono. Te lo ripeterò per l’ultima volta: non voglio più avere a che fare con te. Non scrivermi più. Se mi contatterai ancora, non sarò più magnanimo. Il tempo della pazienza e delle richieste cortesi è scaduto.”
Era immerso in quella che si augurava fosse la risposta all’ultima missiva della Zelenyy quando Belle entrò nello studio.
- Ciao!
- Ciao a te, – la salutò, nascondendo subito il foglio sotto un pesante registro – Dimmi pure.
- Sono venuta a curiosare un po’. E…
- E?
- …E a disturbarti molto.
- Tu non sei un disturbo. Spesso e volentieri sei petulante, alle volte sei saccente e il nostro è stato il peggior accordo mai concluso, – ghignò mentre s’alzava per raggiungerla – Ma sei non un disturbo.
- Come osi! – Belle si finse indignata e arretrò di un passo vedendolo avvicinarsi – Il tempo ti ha donato ulteriore fascino, ma non diplomazia, a quanto noto.
- La natura non può dar tutto. A me ha dato ciò che conta.
Le avvolse le braccia al collo e la baciò, vincendo fin troppo in fretta la resistenza delle sue labbra serrate. Dio, quanto gli era mancato baciarla. Tanto quanto scorrere la dita tra i suoi capelli, sentire la carezza delle sue ciglia sul viso e le sue carezze di seta. I suoi baci, pensò mentre le accarezzava la bocca con la punta della lingua, sembravano bruciare la carne, scavare nella pelle fino a purificare.
La magia s’interruppe di colpo quando Belle lo morse.
- Ahi! – si lamentò scostandosi d’impulso e portandosi una mano alla bocca.
La donna sollevò un sopracciglio.
- Considerala una giusta vendetta.
- Per?
- Molte cose. Ma stai tranquillo – stilerò un elenco per essere certa di non dimenticarne alcuna.
- Che creaturina rancorosa, – la sbeffeggiò riprendendola tra le braccia. Lei non si ritrasse – Così vendicativa e crudele. Mi piace.
- Conseguenze della tua vicinanza – sottolineò con una smorfia, salvo addolcirsi presto – Poi però, – disse guardandolo negli occhi – Stilerò anche l’elenco delle cose che amo di te. E quello sarà molto, molto più lungo.
No, c’era qualcosa che a Gold era mancato più dei baci, più della morbidezza o del profumo di Belle, più di ogni altra cosa: averla accanto. Discutere e scherzare, chiacchierare e ridere senza mai sentirsi uno sciocco. Con lei tutto era più semplice, immediato; spontaneo come bere un bicchiere d’acqua dopo aver attraversato il deserto e sentire finalmente l’arsura lasciare il posto al sollievo.
Con lei era tutto migliore.
- Sai, ho riflettuto sugli aspetti pratici, – nell’istante in cui la donna lo dichiarò, Gold tornò subito serio – Per un po’ io ed Helena potremmo dividerci tra Kensington e Whitechapel. Alternare una settimana qui e una lì, ecco, per qualche tempo, –proseguì pacata, ma ferma – Non posso togliere a Helena quello che finora è stato il suo mondo. Si trova bene qui, ma sono ancora i primi giorni, e presto inizierà a mancarle chi l’ha cresciuta e resterà sempre un punto di riferimento per lei. E, quanto a noi due, dobbiamo essere cauti se non vogliamo sbagliare ancora.
Gold annuì. Belle era nel giusto, e aveva ogni diritto di tornare a Whitechapel, di sperimentare quella strana forma di vita che forse davvero non avrebbe negato nulla a nessuno. Non poteva che condividere il ragionamento.
Ma non l’avrebbe fatto a cuor leggero.
Una parte di lui sperava che Belle decidesse di trasferirsi definitivamente da lui, di concedergli la chance definitiva restandogli accanto, seguendolo passo passo. Non sarebbe andata così: l’avrebbe sì avuta vicina, ma ci sarebbero stati anche dei momenti, delle settimane in cui avrebbe dovuto affrontare se stesso da solo.
Era giusto così, in effetti: Belle dimostrava di reputarlo per quel che era, un adulto maturo in grado di comprendere i propri errori e non ripeterli, non un infante che…
Ma Belle ti giudica sempre con più indulgenza di quella che meriteresti.
Non sa che le hai mentito su qualcosa che lei avrebbe accettato.
Non sa che appena pochi minuti fa avevi quel segreto tra le mani.
Lei ha fiducia in te, te lo dimostra anche ora.
Tu…
Tu i tuoi errori li ripeti sempre.
- Va bene così, – disse infine – Non ho intenzione di costringerti a qualcosa che non vuoi, tanto più in un caso come il nostro. Se credi che la scelta non destabilizzerà Helena, anzi, andrà a suo beneficio, l’accetto. Certo, – non si trattenne dall’ammettere – Avrei preferito restaste qui, evi vorrei in un quartiere più sicuro piuttosto che nell’East End,  ma la gradualità potrebbe aiutarci.
Belle gli sorrise prima di sfiorargli le labbra. Sapeva che avrebbe capito, ma conosceva anche – pensava di conoscere anche – le oscure previsioni che, se non al momento, presto avrebbero iniziato a infestare l’anima dell’amato quando sarebbe tornato sul punto.
- Ci vedremo anche nelle settimane in cui non saremo assieme, se lo vorrai. E comunque, – precisò – Tu sarai sempre al centro dei miei pensieri. Ti ho detto che non ti lascio, e non ho certo cambiato idea rispetto a stanotte o a stamattina.
- Lo so. Ma… Niente, – all’improvviso, malgrado la chiara intenzione di aggiungere qualcosa, Gold tacque – Niente.
Belle non demorse.
- Abbiamo promesso di confidarci. Di non nasconderci nulla. Prova a parlare, – lo incoraggiò in tono conciliante – Io proverò a capire.
L’industriale sospirò e rimase in silenzio per lunghi istanti.
- Penso sempre agli ultimi anni, – quando all’improvviso iniziò, alla donna parve una benedizione – Gli anni in cui non ci sono stato e sarei dovuto esserci, e mi chiedo come tu abbia fatto a perdonarmi. A concedermi un’altra possibilità, l’ennesima. Mi pare impossibile star vivendo questo. Tutte le volte, – abbassò la voce – Tutte le volte che sono stato felice è finita troppo presto. Non voglio accada anche stavolta, ma so che potrebbe succedere, e so anche che non potrei sopportarlo. Davvero, Belle – guardami dentro, se non mi credi. Senza di te non sento niente. Senza di te sono niente.
- Ma stavolta il tuo passato non condiziona il tuo futuro, – gli posò le mani sulle spalle e lo guardò dritto in volto – Io ed Helena ci siamo, e ci saremo finché lo vorrai.
- Io vi voglio sempre con me, sempre.
- Lo so, – Belle annuì comprensiva – Ma non me ne sono andata perché non ti amassi, perché fossi stanca della situazione o qualcosa di simile. Me ne sono andata perché tu hai voluto me ne andassi. La mia non è un’accusa, credimi,ma una considerazione: io non ti avrei lasciato, mai, e mai lo farò se tu non mi costringerai a farlo. Se lo vorrai, sarò con te fino alla fine.
- Crederei a te sola, ora.
- Intendo in senso più lato. Quanto successo stanotte, quanto ci siamo detti e ci stiamo dicendo non risolve i problemi che abbiamo. No, Robert, non neghiamolo, – lo precedette – Noi abbiamo dei problemi. Di relazione, di comunicazione, chiamali come preferisci, ma li abbiamo. Forse è normale, forse tutti li hanno e li ignorano per non disturbare il loro piccolo idillio, ma io non sono d’accordo. L’unica finzione che mi piace è quella dei libri, ma la vita non è un romanzo, l’abbiamo imparato a nostre spese. La vita è la realtà, e con te io non voglio la finzione –voglio la realtà. Per quanto possa essere più complicata, più brutale, più dolorosa, io voglio costruire la vita, la realtà con te.
Dio, cos’aveva fatto per meritare una persona così speciale al suo fianco? La sola l’avesse mai amato tanto a fondo, malgrado i suoi infiniti problemi. Quasi gli pungevano gli occhi dalla commozione. Quanto male gli avrebbe fatto saperla lontana, anche solo pochi quartieri?
- Ti amo, – le disse tracciando la curva del suo sorriso leggero – Sei perfetta.
- Non dirlo. La perfezione non è di questo mondo, e io ho sbagliato, sbaglio e sbaglierò ancora. È naturale.
Se glielo dicessi ora, cosa…
Ma non ha senso, la preoccuperesti inutilmente.
Ma ha il diritto di sapere!
- Dov’è Helena? – si sentì chiedere infine.
Vigliacco.
- Ha detto di voler andare da Regina,– Regina. Altro tasto dolente che l’uomo non sapeva, né voleva affrontare – Appena le ho chiesto di aiutarmi, si è dileguata. Ma andrò a riprenderla a breve e mi sentirà – tre giorni con te hanno mandato in fumo quattro anni di sforzi. Complimenti, Mr Gold, – lo canzonò.
- Ha tutto il diritto di essere servita e riverita.
- No che non lo ha, nessuno lo ha. Non è mai troppo presto per imparare a cavarsela da soli. Non voglio diventi una piccola viziata che non muove un dito e pretende di essere sempre al centro dell’universo.
- Invece dovreste poter non muovere neanche un dito. Dovreste essere sempre al centro dell’universo. Siete mia figlia e mia… – cercò invano un termine per descrivere la sua posizione. Come l’avrebbero chiamata, la compagna della Bestia? Avrebbe ucciso se avessero osato definirla il suo giocattolo o la sua puttana: Belle non era nulla di tutto questo. Belle era sua. Cos’erano, allora,fidanzati? Non più, purtroppo. Amici? Ma lo erano mai davvero stati? Amanti? Non voleva averla per concubina. Non l’aveva voluto allora, non lo voleva ora. Avrebbe preferito regolarizzare quanto prima la situazione.
- Non esiste modi di definirci, lo so, – Belle intuì il suo disagio e gli venne incontro – Ma, ti dirò, non ne sento la mancanza. La realtà è un calderone di scoperte, una figura con facce impossibili da inquadrare. Noi siamo una di quelle facce.
Piccola, sognatrice Belle.
La realtà può anche essere come dici tu, ma non la società.
- La nostra situazione porterebbe a uno scandalo, se scoperta.
- Anche sposare una spiantata come me avrebbe questa conseguenza. Cos’è, il grande Mr Gold teme uno scandalo, ora?
- Temo per te e per Helena. Non voglio tenervi all’ombra come successo finora, per quanto la situazione, soprattutto quella della bambina, sia difficile…
Belle chinò il capo. Quando lo rialzò, sembrava che una pennellata avesse cancellato ogni espressione.
- La situazione di Helena non è difficile. L’amiamo.
- Ma proprio per questo devo, voglio tutelare tanto te quanto lei, – constatò Gold – Senza menzionare Cora, che certo non si lascerà mettere all’angolo tanto facilmente. Voglio tu lo sappia, Sweetheart, voglio solo tu sappia questo: basterà un cenno, e io sarò ai tuoi piedi con un anello oggi stesso.
- No, – malgrado l’improvviso pallore, la voce di Belle non tremò – Niente anelli.
Lo sguardo di entrambi scivolò sulla mano sinistra dell’uomo. Al quarto dito splendeva sempre una banda d’oro con una pietra celeste.
- Belle, no. Io non intendevo…
- So che non intendevi – solo generosamente il sorriso di Belle avrebbe potuto definirsi tale – Ma l’anello che mi hai donato non ha funzionato. Subito dopo è finito tutto. Non credere che io non voglia sposarti: i tre sì che ti ho detto quel giorno valgano ancora. Valgono sempre. Anch’io ti sposerei oggi stesso, e razionalmente so che sarebbe il modo migliore per cautelarci per avere meno preoccupazioni, ma il punto è sempre uno: sarebbe davvero la soluzione migliore, coi nostri problemi? Se ti sposo, Robert, deve essere per sempre. Non per un mese.
Ha ragione, sai?
Il giorno in cui scoprirà tutto si stancherà di essere sempre stata messa al secondo posto.
Di illusioni gliene hai regalate fin troppe.; questa sarebbe la peggiore.
Ma poteva sempre parlare. Poteva sempre spiegarle di New York, i motivi per cui non aveva parlato prima e il suo pentimento. Belle voleva risolvere i problemi prima di procedere a qualsiasi passo; non era forse esso stesso un – il – problema?
- Belle, – disse – C’è una cosa che...
La porta dello studio si aprì appena, lasciando scivolare nella stanza Helena. Gold non seppe se maledire o benedire il suo arrivo.
- Amore! – Belle accolse la figlia – Com’è andata con Regina?
La bambina fece una smorfia di fastidio.
- Ha visto uno dalla finestra e ha iniziato a piangere e a ridere ed è corsa via. E mi ha lasciata così! Anche se sono sua amica! – snocciolò indignata.
I due adulti si guardarono preoccupati e perplessi.
- Ha detto qualcosa su questa persona?
- Ha detto solo un nome, – s’imbronciò ulteriormente il faccino, come se il solo pensiero dell’usurpatore la facesse arrabbiare – Ha detto Daniel.
 
 
 
“And it’s killin’ me
when you’re away,
I wouldn’t leave,
I wouldn’t stay.”
 
 
 
Mentre volava per le scale, mentre superava un’Emma Nolan più che perplessa nel vederla spalancare l’uscio di servizio e precipitarsi in giardino, Regina non aveva pensieri.
Ogni capacità di raziocinio era stata annullata da Daniel Locke: lui c’era, lui era vivo, e questo, solo questo contava.
Solo questo.
- Daniel! – urlò correndo verso il cancello – Daniel!
Il giovane doveva essersi accorto di essere stato notato, perché non se n’era andato: era lì, di fronte a lei, con le sue mani forti, il suo sorriso buono e… I suoi lividi. Regina trasalì alla vista: gli occhi grigi del giovane erano così gonfi da essere due fessure, aveva il labbro inferiore malamente tagliato e una guancia era ammaccata come un frutto maturo.
- Cosa… Cosa ti hanno fatto? – la futilità della domanda era evidente, ma la ragazza non riuscì a trattenersi.
- Questo? Oh, nulla di che! – l’ex stalliere provò a minimizzare – E chi ci ammazza a noi Locke? Abbiamo la pellaccia dura, non ci facciamo metter fuori gioco da così poco. Diciamo però che la tua fuga ha creato scompiglio… E che Mal ha imparato dalle sue compagnie più cose di quante immaginavamo. Anche lei è scappata, – la informò – È da Stefan. Aveva offerto protezione anche a me, ma sai come la penso su di lui… È parecchio arrabbiato con gli uomini di tua madre per come gli hanno conciato la ragazza, sai? Secondo me fa una retata.
Regina era felice che l’amica fosse salva, ma in quel momento nella sua testa c’era posto solo per un’altra persona; c’era posto solo per Daniel che, picchiato a sangue, ferito, comunque non si era spezzato e aveva sfidato la sorte pur di tornare da lei. Malediceva il cancello che li separava, i miseri spazi attraverso cui sfiorarsi le mani; desiderò spalancare il portone e farlo entrare, nasconderlo, proteggerlo dal mondo intero. Desiderò stringerlo a sé, abbracciarlo e perdersi, farsi sopraffare dal cieco bisogno di lui che nulla, nulla avrebbe mai potuto attutire.
Desiderò lui; e al contempo odiò sua madre, che li aveva condotti sino a quel punto.
Come preoccupato dal suo silenzio, il giovane le strinse più forte le mani.
- Guarda che sto bene, Regina, dico sul serio. Non devi preoccuparti: sono ammaccato, ma già sta passando. Starò bene, e saremo di nuovo insieme.
Si era innamorata di Daniel anche per questo. Per il modo in cui riusciva a essere ottimista, in cui cercava di mostrarle gli aspetti positivi di ogni situazione arrivando persino a inventarli per farla sentire meglio. Per il modo in cui, tra le sue braccia, le insicurezze mordevano meno.
Ma ora le sue braccia erano troppo lontane – c’era il ferro a dividerle, intrecci e ghirigori arzigogolati quanto le loro vite. Nulla sarebbe stato come prima.
Neanche loro.
Quando rialzò il capo, i suoi occhi scuri sprigionavano dardi d’ira capaci d’uccidere.
- Come mi hai trovata?
- Ti conosco abbastanza da conoscere i tuoi rifugi, – ammiccò; o meglio, provò a farlo, prima che il dolore lo facesse desistere – Resterai qui?
- Qui non puoi venire.
Daniel s’irrigidì. Non era la replica che attendeva.
- Non mi aspetto d’entrare in casa. So di non essere benvenuto tra i ricconi, dal momento che non distinguo la forchetta da pesce da quella…
- Asino che non sei altro, non è certo per questo!
- E allora per cos’è? – il servo attese risposta a lungo. Un dubbio molto più doloroso delle percosse s’insinuò nella sua mente – Regina, tu… Per caso hai… Hai cambiato idea su noi?
L’altra lo guardò sconvolta.
- No! – ringhiò all’istante – Ma mia madre sa che sono qui, è già venuta e tornerà ancora. E certo avrà previsto una tua visita, e avrà ordinato di tenere d’occhio la zona e catturarti. Questo è un quartiere sempre controllato, come Belgravia, e se ti vedessero sarebbe la fine; se non succederà oggi, potrebbe succedere domani, o dopodomani o non so quando, ma potrebbe succedere, e questo mi basta. Non posso più farti questo – non posso più metterti in pericolo a causa mia. Mai più.
Il giovane fece passare le braccia attraverso le inferriate e le prese il volto tra le mani, incurante dei tentativi di Regina di divincolarsi.
- No, – la sua voce fendette il silenzio – Come io ho ascoltato te, ora tu ascolti me. Se pensi che mi farò fermare da tua madre o da chi per lei, non hai capito nulla. Non m’importa di lei, non m’importa del mondo. M’importa solo di te, Regina, e sono pronto a dimostrarlo a qualsiasi costo.
- Ma non ne valgo la pena,– la nobile mormorò appena.
Daniel accostò il volto alle sbarre e la baciò.
- Quando capirai che tu vali la pena?
Rimasero così, fronte contro fronte per quelli che sarebbero potuti essere minuti od ore intere, a rincorrersi le dita e sussurrarsi il reciproco amore.
- Non mi lasciare, Daniel.
- Mai.
- Giuramelo.
- Te lo giuro, Regina. Te lo giuro.
All’improvviso un rumore di passi indusse la Contessina a voltarsi. Ogni briciolo di quiete defluì assieme al sangue che aveva in viso quando vide Belle French avvicinarsi; d’istinto fece scudo all’amato col suo corpo. Sentì la donna chiamarla, ma non le prestò alcuna attenzione, tutta tesa a trovare un modo per proteggere Daniel da neanche lei sapeva bene cosa.
- Vattene, – gli sibilò continuando a tenere sott’occhio l’altra.
- Ma…
- Vattene.
Il ragazzo le lanciò un ultimo sguardo, ma non poté far altro che obbedire. Vedendolo andare via, Belle s’affrettò, ma fu vano.
- Perché gli hai detto di scappare? – chiese senza nascondere lo stupore. Il modo in cui la ragazza la guardava, tesa e pronta a schizzare via come una gatta di vicolo, la ferì – Avresti potuto farlo entrare. Mi sembrava ferito, avremmo potuto chiamare il medico e…
- Non è saggio far entrare in casa un perfetto sconosciuto.
- Non mi sembrava fosse un perfetto sconosciuto, – osservò Belle con naturalezza, facendo arrossire l’interlocutrice – È carino, sai? E Daniel è un bel nome. Quanti anni ha?
Regina non rispose. Mille ansie l’affliggevano: stante i trascorsi, era improbabile che Belle andasse a riferire qualcosa a Cora, ma lo zio? Per non parlare della vergogna di essere stata scoperta in atteggiamenti compromettenti… Come aveva potuto comportarsi tanto stupidamente?
- Dirai qualcosa allo zio?
- No, – la tranquillizzò. Non era il caso di precisare che Gold già sapeva – Ma ti assicuro che, anche se alla luce degli ultimi accadimenti potrebbe non sembrare, comunque non ti allontanerebbe per questo motivo, – attese paziente una risposta che non giunse – Sai, – riprese complice, nel tentativo di conquistarne la fiducia – Anch’io alla tua età avevo un pretendente. Si chiamava Gaston. Era piuttosto bello, ma tanto superbo ed egoista da risultare insopportabile… Credeva che l’intero mondo ruotasse attorno a lui e non voleva nemmeno che leggessi! Insomma, – concluse – Non certo un bel tipo.
- Daniel è gentile. È orgoglioso dei miei voti., dice sempre che… – l’adolescente s’interruppe. Non intendeva parlare oltre, finire col confidarsi e pentirsene. Per quanto gli scopi di Belle non apparissero – né probabilmente fossero – minacciosi, aveva il dovere di proteggere il suo amato. Fissò la sua prima e unica amica in cagnesco.
Belle sospirò. La sua prima impressione trovava conferma istante dopo istante, ma doveva far capire a Regina come stessero le cose. Era quello il motivo per cui era scesa personalmente: era l’ennesima occasione per parlarle, stavolta senza una porta a separarle, e non l’avrebbe persa.
- Posso farti una domanda? – Potrei forse impedirtelo?, l’altra fu sul punto di rispondere – Perché hai mandato via Daniel quando mi hai vista arrivare?
La ragazza si morse il labbro. Non si aspettava un quesito simile. Perché aveva mandato via Daniel? Non sapeva dare una risposta univoca.
- Perché… Perché ho avuto paura, – disse infine. Capì all’istante dove l’avesse condotta Belle: alzò lo sguardo e nei suoi occhi celesti trovò solo conferma.
- Allora puoi ben capire il perché della mia reazione l’altro giorno. È naturale: più vogliamo bene a qualcuno, più siamo pronti a tutto pur di proteggerlo. È una cosa bellissima, per la quale non ci si deve scusare; però vorrei tu capissi che, come io non credo tu costituisca più un pericolo per noi, noi non costituiamo un pericolo per te e Daniel. Se non iniziamo a fidarci l’una dell’altra, non potremo convivere. Non sarà facile, – Belle non lo negò – Ed entrambe sbaglieremo, ci fraintenderemo e forse falliremo, però dobbiamo almeno provare. Se non per me, fallo per Helena: le dispiacerebbe vedere sua mamma e la sua nuova amica perennemente imbronciate. Vuoi fare un tentativo per lei?
Pur non espressa, la risposta di Regina fu palese.
- Perché vuoi fidarti di me, ora? Potrei tradirti di nuovo.
- Se non lo facessi, il passato forse cambierebbe? E comunque no – non penso che mi tradiresti di nuovo.
- Come fai a esserne certa? Lei è mia madre. È la mia sola famiglia, quella di Belgravia la mia sola vera casa…
- Lo so, – Belle annuì – Ma so anche che non sempre casa è il luogo migliore cui tornare, – le sorrise tristemente prima di chiederle: – Torniamo in casa?
Le porse una mano che Regina accettò.

 

Like a moth
I'm drawn into your flame.”

 

Dopo la visita da Gold, Cora era tornata a casa con l’emicrania più violenta che l’avesse mai afflitta. La ragione non era poi tanto peregrina: aveva lasciato Belgravia con l’intento di tornarvi vittoriosa, ed era stata sconfitta.
Due volte
No, s’impose di smentire, non è ancora detto. Tante volte nella vita la situazione le era parsa disperata, ma lei era riuscita a ribaltarla a proprio vantaggio e a imporsi su un destino che la voleva ultima tra gli ultimi. Doveva evitare a ogni costo il pericoloso pensiero della resa: aveva subito duri colpi, vero, ma erano due battaglie, non la guerra; la strategia per la vittoria esisteva, ne era certa, e sarebbe stata sua.
Devo solo trovarla.
Il fatto che Belle avesse dato una figlia a Gold l’aveva sconvolta più di quanto avrebbe creduto; di una cosa però era conferma: della furbizia della French. Aveva pensato a tutto, la ragazzina: a suon di moine e falsa compassione aveva trovato la strada per il cuore dell’uomo, gli aveva scaldato il letto nelle notti d’inverno, e il risultato era una bamboccia con cui legarlo a sé in eterno. Perché Robert si fosse lasciato irretire così, esulava dalle sue capacità di comprendonio: aveva i soldi, il potere, tutto, e si perdeva dietro le gonnelle di una serva che – solo ora la Mills si pentiva del suo disinteresse cinque anni prima – sarebbe davvero dovuta finire in qualche dannato bordello e creparvi con la sua bastarda.
Bastarda che però era una realtà di fatto. Era troppo tardi per intervenire in un qualche modo, e malgrado una parte della Contessa potesse illudersi del contrario, se Gold l’aveva accettata significava che era davvero sua. In materia lui aveva sempre avuto una sorta d’intuito che…
Non era questo il punto. Il punto era la bambina. Helena, l’avevano chiamata i presenti. Il padre la conosceva da sempre, o solo da poco ne aveva scoperto l’esistenza? A questo punto non poteva escludere che Belle l’avesse seguito in America.
In tutta onestà, Cora non odiava la piccoletta: non le importava abbastanza da sprecare un simile sentimento per una mocciosa. Era insignificante come la madre cui, espressione a parte, somigliava, ma aveva il privilegio di un grande nome che, seppure non ufficiale, l’avrebbe aiutata non poco nella vita. Furba e curiosa, era entrata nel salottino correndo come una scalmanata e vi aveva dato spettacolo. Se da piccola sua figlia le avesse disobbedito così , le avrebbe tirato un ceffone da farle ronzare le orecchie per giorni; ma era evidente che la French seguiva qualche diversa scuola di pensiero e aveva viziato la mocciosa con attenzioni che ora ella era abituata a pretendere. Magari trascorreva con lei addirittura ore e ore…
Ecco, una cosa simile non sarebbe mai riuscita a capirla. Suvvia, chi passava tempo coi propri figli? I bambini non si dovevano vedere, né sentire. Servivano per assicurare un futuro al nome, ma andavano tenuti lontani finché non si rendevano necessari una volta adulti.
O almeno quando avrebbero dovuto essere adulti.
Non come Regina…
Altro problema. Cora pensava che qualche giorno di riflessione l’avrebbe fatta tornare in sé, ma era stata smentita anche sul punto: la ragazza pareva cieca dei rischi che correva e perseverava nel suo folle progetto di autodistruzione sociale. Quanto altro tempo sarebbe potuta ricorrere a scuse per coprirla? La verità sulla sua nuova dimora sarebbe emersa e la sua reputazione distrutta.
Possibile che avesse fallito a tal punto con lei? Le aveva dato tutto ciò che una fanciulla di buona famiglia desiderava, e ne era stata tradita. Sin da piccola sua figlia era stata così sorda ai consigli, così  resistente ai suoi tentativi di raddrizzarla, che la donna più di una volta si era chiesta a chi davvero somigliasse. Non a lei, questo era certo: Cora era come l’acqua, che passava inosservata e intanto scavava costante cunicoli e galleria ed erodeva persino i massi più antichi, animata da una forza di volontà capace di piegare ogni ostacolo sul cammino. Regina, invece era fuoco: tutto ciò che incontrava, non aveva pietà, non lasciava scampo
Eppure, è l’acqua a spegnere il fuoco, non il contrario.
E alle volte, il fuoco finisce per consumarsi da sé.
Ma la contessa Mills non avrebbe mai permesso alla sua chiave per l’ascesa di perdersi.
Malgrado quanto detto durante l’ultimo incontro, doveva tornare da Regina e farle capire chi avesse torto e chi ragione. Forse stavolta non ci sarebbe riuscita, ma sarebbe arrivato il giorno in cui la figlia l’avrebbe ascoltata; e, in ogni caso, sarebbe stata un’occasione per rammentare a Robert una o due cosette che l’uomo pareva intenzionato a ignorare.
Di per sé Cora non avrebbe più voluto avere realmente a che fare col suo ex amante, ma questo non significava certo che avrebbe permesso a lui e alla sua troietta di vivere sereni con la loro bastardina.
Anzi, quanto a quest’ultima, era l’ora che scoprisse il suo posto al mondo; e almeno il modo di far questo, c’era.
Scialba come sua madre o meno, tuttavia in una cosa la mocciosa era stata fortunata.
Se non altro, si disse Cora, non ha il naso di suo padre.

 

There's nothing I can do,
my heart is chained to you.”

 

Belle ringraziò con un cenno il lacchè che si offriva ad aiutarla a smontare dalla carrozza. Non era per superbia se non accettava la mano che le veniva offerta: semplicemente, sapeva che se fosse stata ancora una cameriera quella gentilezza non ci sarebbe stata. Non sarebbe mai riuscita ad accettare ossequi derivanti dal suo repentino cambio di status: come poteva un aspetto tanto incidentale influire in simile modo sulla considerazione del prossimo? Non accusava il dipendente: senza dubbio Robert – la donna sospirò – l’aveva minacciato di pesanti ritorsioni se non si fosse mostrato cerimonioso, ma tante attenzioni la imbarazzavano, più che lusingarla. Per Helena aveva accettato di essere seguita a distanza dalla scorta e di prendere una carrozza: aveva optato per la meno vistosa, pur sapendo che la vettura si sarebbe comunque distinta nella miseria di Whitechapel suscitando domande; domande che si sarebbero moltiplicate se avessero visto smontare dalla vettura la cameriera di Granny’s.
Strinse più forte la manina della bimba. Lungi da lei diventare paranoica come l’amato o smettere di riporre fiducia nel prossimo, ma i rischi paventati da Robert esistevano. Forse l’uomo aveva ragione: avrebbero dovuto blindare la loro posizione per mettersi al sicuro…
Ma Belle non era d’accordo. Gli inganni di Cora erano stati la molla che li aveva portati a una separazione le cui radici erano però molto, molto più profonde: quella sfiducia che nessun atto ufficiale avrebbe potuto colmare. La fede nasce da dentro, nasce dal cuore; e in sua assenza, ogni progetto è vano.
Ma non era il momento di vagheggiare: lei e la figlia dovevano entrare nella locanda alla svelta. Quando scostò la porta, fu investita dal cicaleccio e dal tipico odore del pub: fumo, cibo e birra; non fece in tempo a guardarsi attorno che subito fu raggiunta da una voce ben familiare.
- Belle! – Ruby si asciugò le mani sul grembiule e le corse incontro. Le due si abbracciarono felici: non si vedevano da pochissimi giorni, ma dopo aver vissuto assieme per cinque anni quella separazione era parsa loro molto più lunga.
La bruna si chinò poi a baciare Helena, che smaniava per la sua attenzione.
- Fammi indovinare, –le disse fingendo di riflettere – Questo vestito viene dritto dritto da Parigi! Dalle migliori sarte francesi, oserei dire!
- Non lo so. Quando torniamo lo chiedo a papà e poi vengo a dirtelo!
La Lucas si voltò verso l’amica, un sopracciglio maliziosamente inarcato.
- Quando torniamo, eh? – Belle ghignò di tutta risposta e non evitò lo sguardo indagatore, pur sentendo le gote imporporarsi. Ruby rise e pizzicò l’amica –Granny è da Marco per degli sgabelli, e guarda caso è voluta andarci per forza lei… Però ora troviamo un modo e mi racconti tutto, – le disse sottovoce – Tra l’altro, aspetto Tink. Speriamo sia con uno dei suoi bambini per Helena.
In quel momento l’uscio si spalancò e, come evocate, fecero il loro ingresso la volontaria e la piccola Grace Hatter.
- Diamine di un’afa, oggi, – borbottò la donna avvicinatasi alla cameriera e notando solo allora l’altra – Chi si rivede! – malgrado le brusche parole, la Barrie strinse a sé Belle e le sorrise con calore – Sono contenta di rivederti. Come stai?
- Benone! – ammiccò Ruby, approfittando della distrazione delle bambine già intente a giocare – Chiunque al suo posto lo starebbe!
La bionda le guardò di sottecchi.
- Cioè?
- Lasciala perdere, la conosci, – l’ex domestica scosse il capo fingendosi esageratamente rassegnata – Comunque, effettivamente di novità ce ne sono, e non poche.
Le tre si sedettero e subito Belle iniziò a esporre i convulsi accadimenti degli ultimi giorni senza tralasciare nulla: l’acceso confronto con Gold, la presenza di Regina, l’angoscia per la sparizione di Helena e ciò cui aveva contribuito il suo ritrovamento; le riflessioni della mattina e la decisione di concedere l’ultima, definitiva chance a Robert, con ciò che ne seguiva. Ruby ascoltava attenta, non lesinando le sue solite battutine maliziose, ma alla fine del racconto, era emozionatissima.
- Oddio, Belle… Sono così felice per voi! Non ti nascondo che sarà triste non avere te ed Helena in casa dopo tanto tempo, ma dovete andare. Dovete essere la famiglia che sareste dovuti essere sempre; meritate di stare finalmente assieme.
- Ma saremo qui ogni settimana, e quando non ci fermeremo qui verremo comunque a trovarvi!– sottolineò la donna stringendo le mani all’amica – Tu e tua nonna siete la nostra famiglia non meno di Robert: ci avete accolte e aiutate quando eravamo sole al mondo, e sarei un’ingrata se scordassi certe cose. Come potrei andarmene e dimenticarvi? No, no, – scosse la testa – Non accadrà.
- Che c’entra, io parlo in generale! Mi mancheranno le piccole cose, gli scherzi, il lavoro insieme. Mi mancherà doverti salvare ogni volta che inciampi, o fare i versi degli animali per Helena, o la tua mania per il tè. Però va bene così, – Ruby le fece l’occhiolino – Il giorno in cui anch’io sarò una ricca signora torneremo a vederci ogni giorno anziché una settimana sì e una no, e non riempiremo mai più mezzo boccale: saremo troppo impegnate a fare spese folli nei negozi che riforniscono Buckingham Palace!
Belle si unì alla risata della bruna: la sua spensieratezza, che tanto l’aveva aiutata nei momenti bui, le sarebbe mancata non poco. Ma le promesse che le aveva fatto erano sincere: non avrebbe scordato la sua vecchia vita per alcuna ragione al mondo. Anche Ruby e Granny, anche quel locale confusionario e quelle strade sporche e malfamate erano la sua vita, erano esperienze ed episodi che avevano forgiato la sua personalità non meno della serena infanzia e adolescenza, della caduta e dei primi mesi a Kensington; e non intendeva barattar ciò che era in cambio di abiti in seta e preziosi gioielli.
Solo Tink non aveva condiviso la risata delle due: era rimasta nel suo angolo, taciturna e seria come poche volte prima d’allora.
- Sei taciturna, oggi. Non mi dici la tua?
- Te la direi, se ne avessi bisogno. Tu hai già preso la tua decisione.
Belle s’irrigidì appena.
- Ciò non significa che io non voglia comunque conoscere il tuo parere.
- Il mio parere? – finalmente Tink alzò gli occhi dal boccale di birra – Io penso che in questo mondo ci siano parole più pericolose di qualsiasi magia, e “ti amo” è una di queste. Ma “ti amo” non significa “non ti lascerò mai”, e dovresti essere molto, molto più cauta che in passato, ora che c’è Helena.
- Ci ho pensato,  – Belle fissò l’amica con altrettanta determinazione – Ed è anche per lei se ho deciso di compiere questo passo. Suo padre c’è, l’ama – ci ama – e si sta impegnando per essere un uomo migliore. Si sta impegnando con tutto se stesso e so che ci riuscirà. Le cose non andranno di nuovo male. Non accadrà.
- Non fraintendermi, – la volontaria le rivolse un’occhiata grave – Siamo amiche da anni, e sai come la penso, ora come allora. Sarei felicissima se tutto andassero per il meglio: lo sarei stata cinque anni fa, e a maggior ragione lo sarei ora. Anzi, – aggiunse in fretta – Te lo auguro dal profondo del cuore. Ma proprio perché è già successo, proprio perché sai che le cose potrebbero finire bene tanto quanto male, vorrei tu fossi attenta a ogni segnale, a ogni avvisaglia. I primi tempi tutto sembra magico, ma è proprio questo il momento in cui si creano le voragini che possono inghiottire. Non permettergli di farsi amare senza amare, non subire nulla, anche a costo di litigare ogni giorno. Se lo farai, un giorno ti ritroverai a dover andare via amandolo ancora.
Non accadrà.
(Lo ripeti a lei o a te stessa?)
- Quello che Tink vuole dire, – intervenne Ruby conciliante – È che alle volte l’amore non basta. Non basta se non c’è rispetto reciproco, se non c’è sincerità.
- Non cadere sotto il suo incantesimo, Belle, – ribadì Tink – Lui è bravo, maledettamente bravo con le mezze verità... Ma sono mezze verità, appunto. E tu devi pretendere l’intera verità.
Lo so.
Ma lui è diverso, ora – lui non mi mentirebbe più, non nasconderebbe più i suoi problemi.
(Lo ripeti a lei o a te stessa?)
- Stamani stessa abbiamo parlato, – quando riaprì bocca, la voce di Belle suonò bassa, ma non tremante – Mentre succedeva avevo quasi le lacrime agli occhi dall’emozione. Sembra una cosa da nulla, lo so, ma per com’è fatto lui è una conquista immensa. È segno che tutto è diverso, ora, che stavolta non solo pretenderò la verità, la otterrò. Tutto è cambiato, tutto eccetto una cosa – guardò negli occhi le amiche mentre lo diceva –Mai gli ho permesso di mancarmi di rispetto, e certo non glielo permetterò ora. Io resterò me stessa, qualsiasi cosa accada. A qualunque costo.

 

“And I can't get free,
look what this love did to me.”

 

- Robert, non è gentile mostrarsi così corrucciati in presenza di un’ospite, su. Per quanti dissapori possiamo aver avuto, abbiamo pur sempre un passato.
Gold digrignò appena la mascella. Se ben ricordava, Cora aveva dichiarato di non voler più avere a che fare con la figlia; e invece, appena due giorni dopo quell’affermazione, eccola a torturarlo coi suoi sorrisetti affettati e le sue maniere fintamente cortesi. Non comprendeva il perché di una simile farsa: avrebbe preferito avere a che fare con la vera Cora, la donna decisa e franca che non si lasciava intimidire da niente e nessuno e non faceva mistero sulle sue mire.
La donna che per un lungo periodo aveva creduto di amare, che forse aveva amato.
Per lo meno, la visita coincideva con l’assenza di Belle ed Helena, tornate dalle Lucas: riaverle tutte nella stessa stanza era un’esperienza che la sua sanità mentale gli implorava di non ripetere.
- Credevo intendeste andarvene subito, dal momento che Regina non vuole vedervi, – le ricordò senza curarsi di nascondere il fastidio.
- Mia figlia potrebbe sempre cambiare idea, sapendomi qui. Ah,– scosse il capo rassegnata – La sua è davvero un’età terribile, e non tanto per chi la vive quanto per chi deve subirla. Ti sta causando molti fastidi?
- Meno di quanto me ne dia la madre.
- Mi spiace che questa brutta situazione sia capitata proprio ora. Immagino avresti voluto trascorrere un po’ di tempo con la tua camerierina e la sua trovatella… A proposito, – aggiunse con noncuranza studiata a tavolino – Ho portato un regalino per Helena. È una bimba così adorabile… Ti somiglia, sai?
La vista di Gold si illividì.
- Gentile da parte vostra, Milady. Mia figlia ha avuto il buon senso di prendere da sua madre.
Gli occhi di Cora, neri come la più malvagia delle maledizioni, furono attraversati da un guizzo.
Robert, ricordami di ringraziarti per la tua ingenuità.
- La qual cosa, – osservò fin troppo dispiaciuta – Purtroppo ne rende più incerta la paternità…
Ti sta provocando.
Non cadere nella sua trappola, non aspetta altro, si redarguì l’industriale.
Ma mantenere la calma dinanzi a simili insinuazioni era troppo.
La guardò con odio, ogni fibra del suo essere che scalpitava per assalirla. Non gli importava che fosse una donna, non gli importava che fosse stata la sua amante per un ventennio: se avesse potuto, in quel momento Robert Gold avrebbe ucciso; e l’avrebbe fatto col sorriso sulle labbra, l’avrebbe fatto senza pentirsene in seguito: perché il suo sarebbe stato forse un assassinio commesso in innocenza, commesso col solo fine di riequilibrare una congiuntura che da troppi, troppi anni pendeva ingiustamente a suo svantaggio.
- Se pensi di instillarmi il dubbio in merito, ti avverto immediatamente: non ci riuscirai,– si stupì della sua pacatezza, malgrado la furia che lo incendiava – Helena è mia. Ne ho la certezza, e tu non potrai far nulla per convincermi del contrario. Perciò, se è questa la ragione della tua visita, puoi tornare da dove sei venuta. Credo di essere stato chiaro.
Cora sostenne il suo sguardo con indifferenza appena tinta di una compassione che non nutriva.
 - Non capirò mai come fai a credere a una come la French, – ammise in uno dei rari attimi di sincerità che si concedeva – Una che dal primo momento ha brigato per accalappiarti senza neanche farne mistero.
- Oh, Dearie, – un sorriso sottile danzò sulle labbra dell’uomo – Se lei mi piace tanto un motivo c’è. Lei non è te.
Cora si vietò di lasciarsi sfiorare dalla provocazione.
- Questo non lo metto in dubbio, – concordò – Un confronto con una persona del genere mi offenderebbe non poco.
- Ci sarebbe confronto se fossi indeciso, e mi preme assicurarti che non lo sono. Come ti ho detto quando hai inventato la notizia della sua morte, non riuscirai a riportarmi da te, per quanto possa provarci. Rassegnati.
A quel ricordo la Mills, notò Gold, ebbe persino l’audacia di mostrarsi oltraggiata.
- Non ho inventato niente. Ti ho riferito quanto si diceva in giro.
- E tu sei alacremente venuta a riferirmi tutto. Quanta premura, – l’uomo alzò gli occhi al cielo, rimarcando il sarcasmo dell’ultima frase.
- Io tengo agli amici. Cosa che non tutti possono affermare, visti i trascorsi... Sai, – fece improvvisamente meditabonda, senza dargli il tempo di ribattere – Io non credo di esagerare coi miei giudizi sulla situazione. Però ho comunque provato a considerarla sotto un altro punto di vista, e il quadro che ne esce non è per te… Gratificante, ecco.
Gold la osservò inquisitorio, insospettito dal repentino cambiamento.
- Temo di non seguirti.
- Oh, Robert, non offendere la tua intelligenza. Perché dubito tu non ci abbia mai pensato… Ipotizziamo, – Cora gli rivolse un sorriso degno di un dipinto di Leonardo – Che io abbia preso un abbaglio. Cosa che non è, ma ipotizziamo per un attimo che la tua servetta non sia una scalatrice sociale pronta a tutto, ma l’angelo che tu ti prefiguri, la dolce fanciulla sempre pronta ad aiutare il prossimo. Ipotizziamo che, per qualche strano e perverso motivo, si sia davvero affezionata a te, abbia davvero voluto aiutarti e sostenerti nella buona e cattiva sorte… Se questi presupposti fossero veri, se davvero Belle avesse avuto tua figlia e tu l’avessi licenziata, non ti saresti comportato da gentiluomo nei suoi confronti.
Gold strinse le labbra in una linea sottile. Sosteneva lo sguardo scaltro dell’ex amante con indifferenza, ma la sua voce tradì una lievissima ansia di cui la donna si beò.
- Ho commesso molti errori nei confronti di Belle, e credere a te anziché a lei è stato il più grave. Non intendo sottrarmi alle mie colpe.
- Naturalmente, – la Contessa lo guardò come se stesse proferendo un’ovvietà – Ma questo non rende meno grave la posizione di quelle due infelici. Non sarà solo Belle a risentirne, lo sai. Tra pochi anni un’innocente dovrà scontare le colpe paterne. Potresti anche legittimarla, ma i suoi natali non sarebbero dimenticati: tuttora si mormora sulla mia ascesa… –ricordò rammaricata – Non parteciperà mai ai balli cruciali delle Stagioni, non verrà mai presentata a Corte. Sarà sempre una paria, a causa tua.
- Le darò tutto ciò che desidera, la migliore educazione, le migliori feste. Non le mancherà nulla. E soprattutto, sarà amata.
- Certo, la sua nascita è senza dubbio un errore cui cercherai di rimediare per tutta la vita,– concesse, con gli occhi luccicanti di un gatto che lascia scappare il topo catturato per il solo gusto di vederlo correre un’ultima volta – Ma anche se le dessi il mondo le mancherà essere accettata. Sarà questo, questo a farle più male. Tuttavia, mio caro,– scosse appena il capo – Non è il suo il caso più grave. Il mondo è in perenne divenire e la creaturina ancora piccina: quando giungerà il suo tempo, magari, la società sarà meno intollerante… Ma la situazione di sua madre, oramai, è compromessa per sempre.
- È mia intenzione sposarla a breve, – incurante di rivelarlo, Gold controbatté all’istante – Non permetterei mai che…
- Non permetteresti mai? – per la prima volta da quando aveva intrapreso la conversazione, nell’animo di Cora iniziò a farsi strada, tra il piacere e la soddisfazione, un barlume di rabbia. Robert realizzava ciò che stava dicendo o replicava per il solo gusto di farlo? – L’hai permesso, Robert, l’hai permesso per cinque anni, quando non avresti dovuto attendere neanche cinque giorni. È per questo che, in conclusione al mio ragionamento, sono costretta a chiedermi se tu tieni a Belle French tanto quanto affermi.
Gold le lanciò uno sguardo che era un pugnale.
- Io amo Belle French.
- Robert, Robert, – lo guardò sconsolata – Ti conosco troppo bene per far finta che la tua maschera sia realtà. Tu credi di essere innamorato perché ne hai bisogno, ma non l’ami, – si alzò e gli si avvicinò, ammirando soddisfatta il pallore che si era impadronito del volto dell’uomo – Tu l’hai scelta perché ti era vicina. Perché non ti avrebbe mai tradito, perché era gentile e comprensiva. Perché forse era vergine, e l’idea di una ragazza inesperta e innamorata che si affidava totalmente a te, l’idea di avere potere ti intrigava, ti faceva sentire forte accanto a una bambina. Ma non l’ami – non l’hai mai amata. Se l’avessi fatto, non l’avresti trascinata nella tua discesa personale nell’abisso.
Gold non voleva ascoltarla, non voleva; ma ogni parola della Contessa era una lama che sapeva colpire là dove faceva più male, che sapeva insinuarsi, seviziarlo, trafiggerlo, ed eppure lasciarlo vivo.
Se vita poteva definirsi l’agonia.
Non c’era forse un fondo di verità in quelle frasi? Se era sicuro, se era certo del suo amore per Belle, non era forse men vero che se avesse davvero avuto a cuore il suo bene mai l’avrebbe toccata, mai avrebbe corso il rischio di comprometterla e farle ingrossare le fila delle donne perdute?  C’era stato un tempo in cui l’aveva evitata per proteggerla, quasi temesse di infettarla respirandole troppo vicino: forse allora l’aveva davvero amata, e non quando l’aveva abbandonata incinta e non sposata, condannandola a una vita d’asservimento.
Questo, almeno questo era un fatto incontrovertibile.
- Oh, Robert, – Cora sussurrava il suo nome con deliberata lentezza, come il più lascivo dei peccati. Lo disgustava, eppure non sapeva sottrarsene – Non è mia intenzione turbarti, credimi. Ma, per quante incomprensioni ci siano state tra noi, è comunque mio dovere cercare di aprirti gli occhi e impedirti di soffrire ancora… E far soffrire. Immagino sia difficile staccarsi da un affetto che si è idealizzato tanto, ma mentire, anche a te stesso, ti riesce facile. L’innocenza, l’onestà non ti si addicono, mentre per Belle – se davvero è chi tu dici che sia – sono essenziali, e lo stesso dicasi per la sua bambina. Potresti offrir loro questo? O le feriresti ancora, ancora e ancora?
Conosci la risposta.
La conosci perché già stai ferendo l’unico tuo amore, la madre di tua figlia, già la stai uccidendo.
La stai uccidendo con le bugie, con la codardia, con la tua incapacità di reagire a Cora.
La stai uccidendo restando immobile qui, a lasciarti anche solo sfiorare da colei che avrebbe voluto, che vuole, vederla morta.
La stai uccidendo.
Solo che lei non se n’è ancora resa conto.
Forse era Cora ad avere ragione. Forse l’aveva sempre avuta, almeno sul punto, e lui era stato sordo per tutti quegli anni. Com’era che lo chiamavano? Il mago dei tessuti, la Bestia? E Belle, Belle non era forse bella e pura come le principesse delle fiabe? Le storie non insegnano forse che la principessa s’innamora del cavaliere che la salva, non del mago cattivo che la rapisce, che la tiene prigioniera, che la viola?
- Loro non sguazzano nel fango. Noi sì, – la frase era una carezza, intima e insinuante –  Dicono sia l’ombra a far risaltare la luce, ma vale anche il contrario. Anzi – dove vi è più luce, l’ombra è più scura.
Ma la tenebra non può scacciare altra tenebra.
Solo la luce può.
Poteva quasi sentire all’orecchio la voce di Belle.
Combatti, amore mio.
Resisti.
Non credere a lei, credi in noi.
Aveva commesso dei peccati, era vero. Aveva rovinato Belle, le aveva imposto una figlia e le aveva distrutto la vita; ma al tempo stesso, nel suo modo contorto, sbagliato, sincero, l’amava. L’amava con ogni fibra della carne, del sangue e dell’anima; se ancora aveva un’anima, apparteneva a Belle. Era a lei che doveva fedeltà; e non solo la fedeltà del corpo che in una terra lontana le aveva negato, ma anche,soprattutto, la fedeltà dell’anima che resisteva, che mai era venuta meno.
Che non sarebbe venuta meno adesso.
- Vattene, – non seppe mai dove avesse trovato la forza – Vattene. Le tue parole dimostrano la tua pochezza. Se capissi cos’è l’amore, non le pronunceresti.
Non era il comando che Cora si sarebbe attesa, era chiaro.
Ma la Contessa non si lasciò intimidire.
- Oh, no, Robert, – mormorò con un sorriso sbieco – Proprio perché so cos’è l’amore, io le pronuncio.

 

I'm so confused,
so hard to choose.”

 

- E poi Grace mi ha detto che gira un cane vicino all’orfanotrofio, un cane tutto grigio e con gli occhi azzurri come i tuoi, ma’! Ha detto che Tink le ha detto che è un cane che si chiama… Hu… us…
- Husky? – Belle le suggerì gentile.
- Sì, esatto, ma’! Dici che papà mi prende uno?
 
- Non so, Helena. Un cane non è un giocattolo, devi prendertene cura sempre e per un po’ noi saremo anche a Whitechapel.
La bambina sbuffò.
- Secondo me papà me lo prende. Soprattutto se gli dico che ha gli occhi come i tuoi!
Belle rise. Per fortuna almeno la figlia la distraeva dai pensieri cupi. Sapeva che Tink e Ruby erano in buona fede e volevano solo aiutarla: al loro posto sarebbe stata dello stesso avviso, avrebbe dato i medesimi consigli; però al contempo – sebbene lei e le amiche si fossero salutate in massima amicizia – la conversazione l’aveva rattristata.
Era conscia dei pericoli da cui l’avevano messa in guardia le due, ma non intendeva farsene fermare. Perdere per paura la possibilità di essere felici non era forse ciò che aveva fatto Gold? Imitarlo non era nei suoi piani, anzi: lei gli avrebbe dimostrato che, malgrado tutto, esisteva la strada per loro, e l’avrebbero percorsa assieme, fianco a fianco, aiutandosi nelle difficoltà e gioendo delle meraviglie che la vita, ne era certa, avrebbe ancora riservato loro. Si erano lasciati portar via fin troppo tempo: non sarebbe più, mai più accaduto.
- Andiamo da papà, dai, – disse dirigendosi verso lo studio; ma passando accanto al salottino, colse una frase che la fece fermare di colpo.
- Proprio perché so cos’è l’amore, io le pronuncio.”
Non fu difficile ricondurre la voce femminile alla sua proprietaria.
Belle dovette ingoiare la rabbia al pensiero della Mills in casa. Cos’era tornata a fare? La scusa era senza dubbio Regina, ma come illudersi sui suoi veri fini? Non pensò a nulla in quel momento: sotto lo sguardo esterrefatto della figlia, si voltò ed entrò nella stanza proprio come aveva fatto due giorni prima.
Al loro ingresso, un tremolio impercettibile increspò l’aria.
- Buon pomeriggio, – mormorò senza chinare il capo.
- Buon pomeriggio a te, Belle cara, – Cora rispose con un sorriso sereno. Perché non avrebbe dovuto rivolgerle uno?  Forse non era arrivata fin dove avrebbe voluto, ma era ugualmente soddisfatta di aver angustiato Gold; la presenza della French e della bambina avrebbero assicurato piena soddisfazione alla seconda metà del suo piano –Credo proprio sia l’ora di farti gli auguri: il nostro comune amico mi ha messa al corrente della vostra intenzione di adempiere agli obblighi sociali, ora che sei tornata dal mondo dei morti. A quando l’annuncio sul Times?
- In verità, – sebbene sorpresa, Belle non esitò a controbattere – Aspettavamo di dirtelo assieme. Sappiamo bene quanto tieni alla felicità del mio futuro fidanzato…
Cora non diede segno di aver colto la frecciata.
- Che dolcezza, – commentò amabile – Ho anche portato un presente per Helena. Sei una bambina meravigliosa, lo sai? – si complimentò rivolgendosi alla piccina.
L’interpellata non rispose. Cosa fare? Scappare subito via dalla stanza e nascondersi in attesa che la mamma di Regina se ne andasse? Mamma le aveva raccomandato attenzione e ordinato di riferire l’eventuale incontro a lei o a papà… Ma ora erano entrambi presenti e lei non sapeva come comportarsi.
- I tuoi doni non sono graditi, – un gelido Gold digrignò la mascella.
- Sciocchezze, – lo liquidò con un cenno delle dita – Sono certa che tua figlia l’apprezzerà. I suoi gusti sono certamente migliori dei tuoi… Non che ci voglia molto a superarli, negli ultimi anni.
Non essendoci alcuna reazione, la dama sospirò e iniziò a scartare il pacchetto.
- Sono madre anch’io. Credete davvero farei del male a una bambina?
Dopo pochi istanti, la confezione lasciò emergere un cagnetto di peluche.
Gli occhi di Helena si allargarono mentre il gioco passava dalle mani della donna a quelle molto più attente di Gold e di Belle e infine alle sue. Lo strinse al petto: se la signora le aveva fatto un dono, avrebbe dovuto considerarla ancora cattiva? Le persone cattive non erano generose…
- Grazie, – disse infine. Nel dubbio lei sarebbe stata educata come le era stato insegnato. La signora nel frattempo si era alzata e se ne stava andando; ciononostante, Helena si fece coraggio e decise di porre la domanda che le premeva, nella speranza che la risposta fosse quella sperata.
- Che cane è?
Cora rallentò appena.
Bambina cara, serve impegno per ereditare il peggio di tua madre e il peggio di tuo padre.
- Intendi la razza? Oh, no, tesoro, – smentì inclinando il capo dispiaciuta – Questo è un cane molto più adatto a te. Un bastardino.
La Contessa richiuse la porta alle sue spalle e avanzò verso l’ingresso, certa che nessuno l’avrebbe raggiunta.
Incontrò solo una persona, la persona che era concausa della visita: sua figlia, che stava scendendo le scale, si bloccò appena la vide.
Le due si guardarono per un momento, un ciclone di parole, di emozioni, di domande senza risposta a travolgerle.
Un ciclone che Cora ignorò.
- Fa’ ciò che devi, – fu la sua sola richiesta.
Dopo un istante, un’unica parola lasciò le labbra di Regina.
- No.

 

And I know it's wrong,
and I know it's right,
even if I try to win the fight,
my heart would overrule
my mind.”

 

 

Se Belle non era scattata addosso a Cora, era stato solo a causa di Robert.
Come intuendo le sue mosse, l’uomo l’aveva trattenuta contro la sua volontà, mormorandole senza sosta parole che lei non era riuscita a comprendere.
Ma come poteva calmarsi, come poteva lasciar correre l’ennesima offesa a loro figlia?
La bambina aveva guardato dubbiosa la porta da cui era uscita la donna e i genitori i cui gesti non capiva. Sapeva solo che quello non era un husky e che la signora le aveva rivolto di nuovo quella parola strana che faceva arrabbiare tutti.
- Che significa “bastardo”? – aveva chiesto curiosa.
- Non significa niente, – Belle aveva ringhiato – Niente.
Significa che è solo colpa mia, era stato l’unico pensiero di Gold, che le aveva mandate dagli altri di lì a poco e si era chiuso nello studio.
Belle si era resa conto di aver obbedito solo dopo averlo fatto, ma lì per lì non se n’era pentita.
Gli aveva dato tempo. Aveva aiutato gli ex colleghi cercando di distrarsi, di non lasciarsi torturare dal pensiero di ciò che Cora aveva detto a Robert prima del suo arrivo, al discorso di cui lei aveva udito solo la conclusione; l’aveva atteso ore intere nella sua camera, nella speranza lui salisse.
Ogni sforzo era vano.
Non era questione di gelosia, quanto di ansia: dalla reazione di Gold era chiaro che le parole della Contessa l’avessero colpito in un angolo segreto, in una ferita non rimarginata che ora aveva ripreso a sanguinare copiosa.
Con Robert Gold, però, non si sapeva mai quale ferita si fosse andati a toccare, tante ne aveva.
E il problema era sempre lo stesso: lui non chiedeva aiuto. Non diceva mai di cos’aveva bisogno, non esprimeva mai le sue paure, i suoi dubbi.
Era rotto, e non lo diceva.
Ma le cose stavolta andranno diversamente.
Belle non pretendeva Robert cambiasse per lei, non pretendeva che da un giorno all’altro diventasse espansivo: se se ne era innamorata, era stato anche per il suo essere introverso, per la sua timidezza e fragilità; ma almeno voleva essere messa a parte di una questione che riguardava anche lei e che aveva turbato l’uomo a tal punto da farlo isolare da tutto e tutti, famiglia in primis.
Non chiese permesso prima d’entrare nello studio, non si lasciò fermare dal suo sguardo: andò verso di lui arrabbiata e addolorata a un tempo, ben decisa a risolvere la questione subito.
- Belle, – l’uomo si alzò – Non…
- No, ora mi ascolti, – esordì – Non so cosa sia successo con Cora, ma ti ho dato tempo per riflettere, per metabolizzare, per… Non so, ma ti ho dato tempo perché è giusto così. Ti ho dato tempo nella speranza…
- No, non capisci come sono andate le cose…
- …Che tu venissi spontaneamente a spiegarmi, perché è così che ci comporta in una coppia, perché in una coppia non ci si nasconde, non ci si vergogna, e invece, invece, nulla. Ti ho aspettato, ma tu non sei venuto da me.
- Come potevo farlo se…
- Potevi, comportandoti come hai promesso di fare, smettendo di aver paura di me, decidendo…
- Non potevo comportarmi così! – le urlò afferrandole i polsi, facendola trasalire – Sai cosa mi ha detto Cora? No, non lo sai! Mi ha detto quello che una parte di me pensa da sempre: che ti ho usata e rovinata, che se ti avessi mai amata ti avrei mandata via prima di qualsiasi cosa. Lo so, – l’anticipò – Cora l’ha detto per provocarmi, e sono stupido a darle ascolto. Perché io so che non è vero, Belle, so che non è vero perché ti amo; ma so anche che è vero, perché ti amo ma non ho avuto pietà. Mi sono sentito come quando credevo fossi morta: tutte le mie colpe, tutti i miei errori mi sono caduti addosso all’improvviso e io non ho potuto dir niente, fare niente se non restare immobile. Ciò che ti ho riservato, la fama cui ho condannato Helena… Tutto, –la voce si perse in un sussurro, mentre lasciava scivolare il capo sulla spalla della donna – Sono io la causa di tutto. E se io non riesco, se io non posso perdonarmi, come puoi tu? Come possiamo, Belle, come possiamo?
Sentì l’amata stringerlo a sé: ricambiò con furia, come un naufrago che nella tempesta si aggrappa all’asse di legno che è la sua unica salvezza. Sentì le sue dita carezzargli i capelli e poi percorrergli la linea della mascella; la sentì sfiorargli una guancia con le labbra.
Non sono abbastanza forte.
Belle parlò all’improvviso.
- C’è solo una cosa che non potrò mai perdonare.
Gold rialzò il capo. Negli occhi che in tanti descrivevano come spietati regnava tutta la paura del mondo.

- Non potrò mai perdonare il modo in cui tu giudichi te stesso.

 

And I'm not strong enough
to stay away”
“Not strong enough” – Apocalyptica ft. Brent Smith

 

1: adattamento di “Dentro di me si fanno la guerra rancore e tenerezza”, da “Skagboys” di Irvine Welsh.

 

N.d.A. : Salve salvino, bellezze! ♥
Come procede? Spero che anche per voi la sessione sia finita e che possiate godervi l’estate, il dolce far niente e il mare! *_* Euridice porterà sotto l’ombrellone i libri per la tesi e quelli per l’ultimo esame, quindi direi che non l’attende un’estate di splendido ozio… Divertitevi anche per me! XD
Passando a noi, allora, che ve pare? Sapete che i vostri commenti sono la mia forza, perciò fatevi sotto e date il vostro parere anche critico senza temere di offendermi o simili, perché – ve lo ripeto da un anno e mezzo – potete solo aiutarmi! Se notate incongruenze, OOC – io temo sempre per tutti, e negli ultimi tempi più per Belle e Regina che per Gold – o errori, parlate!
In molt* si preoccupavano per le sorti di Daniel e Mal, ed ecco svelato l’arcano: non farò più trascorrere tanti capitoli prima della loro prossima ricomparsa. Cora è tornata all’attacco, e si rivela la bi*ch di un tempo, senza cuore, incapace di avere pietà persino di una bambina e sempre pronta a mandare in crisi Gold... Ah, benedetta Belle!
Ora, le brutte notizie: per gli impegni citati nelle prime righe temo che non mi sarà possibile garantire aggiornamenti puntuali ogni due settimane. I capitoli sono lunghi e non sempre facili da scrivere, e non intendo procedere alla carlona per sbrigarmi: tengo molto alla storia e a voi lettori, non sarebbe giusto nei confronti di voi che mi avete sempre seguita e aiutata! Per questo, almeno per un po’, pubblicherò ogni tre settimane – quindi ci si rilegge qui sabato 8 agosto!
Nel frattempo mi trovate sulla pagina Facebook “Euridice’s World”, su cui porto avanti il progetto dei "segreti" delle long, i particolari che per un motivo o l'altro non ho sviluppato, le possibilità prese in considerazione e scartate, i "what if", headcanon interni e simili.
Mi scuso se non ho ancora risposto alle recensioni – provvederò quanto prima! Grazie mille a chi recensisce o legge in silenzio e a chi inserisce la storia in una categoria: il fatto che impieghiate il vostro tempo a tal fine mi lusinga sempre tanto! *_*
Ci si rilegge presto, Dearies adorat*, e ricordate sempre che RumBelle rocks! :D
Bacioni! ♥ ♥ ♥
Euridice100

 

   
 
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