Fanfic su artisti musicali > Beatles
Segui la storia  |       
Autore: velvetmouth    19/07/2015    1 recensioni
'' E se la Beatlemania non fosse scoppiata negli anni '60? Come sarebbe andata la storia se i 4 di Liverpool fossero dei giovani d'oggi? Un'altra epoca, un mondo diverso, le loro vite completamente differenti...Proverò a raccontarvi questa What if? con tutta la passione e l'amore possibili, sperando che possa piacere anche a voialtri! Peace & Love''
Genere: Drammatico, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: George Harrison, John Lennon, Paul McCartney, Quasi tutti, Ringo Starr
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
CAPITOLO 4 - Ringo
http://www.hollywoodreporter.com/sites/default/files/2013/11/34cRingoStarrGenesisPublications.jpg


Il campanello suonò, più volte, insistentemente. Bussavano anche alla porta.
Nel fragore assordante sembrava non riuscire a sentire il vociare fuori dalla finestra. Poi un urlo.
Meccanicamente, senza bisogno di interrompere il battere sui piatti, si alzò con noncuranza una cuffia, la sinistra.
Di nuovo lo scampanellìo, ancora più forte. Sbuffò, interrompendo il suono e trascinandosi verso la porta d'ingresso.
La aprì, trovandosi il faccione rubizzo del vicino di casa a poche spanne dal suo.
- Starkey, vogliamo farla finita con questo cazzo di rumore?!-
''Le urla di tua moglie che piange disperata per le botte, quando torni a casa ubriaco non sembrano darti fastidio però, vero lurido maiale?''
Per tutta risposta il ragazzo, sorrise, sfoderando una fila di denti immacolati.
- Scusi Mr. Durff, smetto immediatamente!-
Poi senza neanche aspettare una risposta, si richiuse la porta alle spalle.
Camminò di nuovo verso il soggiorno, dove stava ben piantata una batteria di seconda o forse terza mano, ma che amava come fosse un prolungamento del suo stesso corpo.
Si mise a sedere sul seggiolino, la cui imbottitura veniva fuori da tutte le parti, come la pancia di un vecchio orsacchiotto di peluche. Respirò a fondo, si calò di nuovo le cuffie sulle orecchie e, con un sorrisetto sornione ricominciò a battere sulla grancassa.

Richard Starkey Jr. viveva in una casa a Dingle, chiamato così dagli immigrati irlandesi che vi andarono ad abitare nei primi del novecento, a ricordo di un' idilliaca radura del paese natale. Ma la Dingle di Liverpool era tutt'altro che un'oasi di pace e serenità. Era da sempre stata uno dei quartieri centrali più malfamati e vecchi di tutta la città, abitata in anni passati da operai e artigiani e adesso da famiglie che riuscivano a barcamenarsi alla meno peggio.
Liverpool non era in genere un bel posto dove vivere, questo Ritchie l'aveva sempre pensato. Era una città portuale, vitale in ambito di commerci e scambi, ma era comunque una vitalità tetra, brutale, che lui sentiva non appartenergli appieno.
Molte delle case del suo quartiere erano rimaste quelle della prima metà del '900, alcune ricostruite dopo la guerra, ma comunque delle vere e proprie catapecchie a schiera, con un accenno di cancello sul davanti e una porta che dava sul retro.
Viveva con sua madre Elsie, una donna sempre sorridente e allegra, dalla battuta pronta e una grande forza d'animo.
Era veramente una donna di carattere, una di quelle che sanno benissimo cosa vogliono e sono disposte a tutto pur di ottenerlo, come quel figlioletto, l'unico che avesse avuto e che aveva desiderato così tanto da avere poi una paura folle di perderlo.
Aveva conosciuto il futuro marito, Richard Sr., durante una serata a ballare e aveva capito subito che quello era proprio l'uomo fatto apposta per lei: affascinante, estremamente simpatico, gioviale e di bell'aspetto.
Fu un amore profondo, ma divertente: ad entrambi piaceva spassarsela bevendo tutta la notte di locale in locale.
Decisero di sposarsi quasi subito, perchè entrambi desideravano metter su famiglia e mettere anche un po' la testa a posto. Dopo 3 anni di matrimonio, proprio quando Elsie iniziava ad abituarsi all'idea che non sarebbero mai arrivati dei bambini, rimase incinta e il 7 luglio 1990 mise al mondo Richard Starkey Junior.
Qualcosa però cambiò in Richard Sr.: sentiva che le attenzioni di Elsie erano tutte rivolte a quel piccolo nuovo arrivato e che il suo ingombrante Ego ne stesse risentendo fin troppo. A pensarci bene, dopotutto, non era pronto per diventare padre, voleva continuare a divertirsi, uscire con gli amici, fare baldoria, avere altre donne...
Ormai certo di essere stato soppiantato nel cuore di Elsie da quell'esserino piagnucoloso, Richard Sr. si allontanò sempre più dalla famiglia, gettandosi in una spirale di tradimenti, sotterfugi, uscite notturne e bagordi senza fine, perse il lavoro e anche l'affetto della moglie.
Elsie resistette tre anni prima di riuscire a buttar fuori di casa quello che aveva sempre creduto essere l'amore della sua vita, e questo ovviamente non senza delle conseguenze, ma era una donna forte, che si rimboccava le maniche e stringeva i denti e, ottenuto il divorzio e il conseguente mantenimento, si diede da fare nell'accettare ogni sorta di lavoro che le permettesse di tirare avanti.
Era una donna ancora giovane, attraente e molto estroversa, con un paio di occhi vispi e limpidi... Non le fu perciò difficile trovare lavoro come barista in un pub non molto lontano da casa.
Per via del lavoro della madre, Ritchie era dunque costretto a stare da solo per molto tempo, escludendo la compagnia dei nonni e di un'amica della madre, che spesso le faceva il favore di badare al suo piccolino.
Elsie era iper protettiva nei suoi confronti, sia perchè era l'unico suo figlio, sia perchè dopo l'abbandono di suo padre, Ritchie rappresentava per lei un intero universo. Adorava quel bambino piccolo e gracile così tanto da essere con lui anche fin troppo indulgente e permissiva.
Era una santa donna, niente da aggiungere: una lavoratrice instancabile, una mamma amorevole e una donna veramente tosta.

-Ritchie, tesoro... Il signor Durff si è lamentato un'altra volta del casino che facevi oggi pomeriggio...-
Se avesse dovuto decidere chi salvare da un imminente Diluvio Universale, parte II, non avrebbe fatto fatica nella scelta: sua mamma, la persona che amava in assoluto più di ogni altra cosa al mondo. Non era il classico amore filiale il suo, quanto una vera e propria stima, che rasentava l'idolatria. Ecco, se avesse dovuto pensare a sua madre, sicuramente l'avrebbe immaginata nei panni di una Wonder Woman forzutissima e cazzuta, la sua personale supereroina.
Avrebbero dovuto scrivere un fumetto o almeno riservargli una serie televisiva.
Ritchie non era mai stato un ragazzino con tanti grilli per la testa, ne' particolarmente piantagrane, anzi tutt'altro. Da piccolo era stato estremamente cagionevole e verso i 6 anni aveva anche rischiato di morire a causa di una peritonite, che lo aveva destabilizzato per mesi e mesi portandolo persino al coma.
Era stato un periodo tremendo per sua madre, Elsie. Ogni giorno, appena poteva assentarsi dal lavoro, andava a trovare il piccolo all'ospedale, sperando che quei bellissimi occhioni blu potessero riaprirsi.
I dottori non avevano dato molte speranze, preparando la donna alla notizia più terribile.
Ma poi, quasi per miracolo Richard aprì veramente gli occhi, ''Ciao mammina'' disse, prima di perdere di nuovo i sensi.
Per Elsie fu uno dei giorni più belli della sua vita.
Il piccolo però dovette rimanere in riabilitazione per ancora molti mesi a seguito di una ricaduta, che lo lasciarono ancora più destabilizzato. Una volta tornato a casa, dopo ormai un anno, Ritchie aveva saltato talmente tante lezioni che fu costretto a perdere l'anno. Per un bambino così fragile e solitario, per via dei ricoveri e l'assenza di amicizie o anche solo di una vicinanza con altri coetanei, la scuola divenne un vero incubo e si riufiutò di metterci piede, dopo essere stato preso in giro e ostracizzato.
Ma Elsie, come sempre, si rimboccò le maniche e fece in modo che suo figlio non rimanesse indietro ed anzi, sacrificò il suo tempo libero dal pub per accettare un lavoro di pulizie, pur di pagare al bambino le lezioni private.
Ma salute pareva essere una persecuzione per il piccolo Ritchie: anche a tredici anni a seguito di uno shock polmonare dovette perdere la scuola per due anni.
Con tutti quegli anni persi, Ritch si sentiva estremamente demoralizzato, riusciva a malapena a leggere e sua madre era profondamente preoccupata per il suo futuro.
Era rimasta al suo capezzale per giorni, sperando che il piccolo si risvegliasse, quando era entrato in coma.
Aveva versato tutte le lacrime che un essere umano potesse consumare e alla fine, dopo innumerevoli preghiere, gli occhioni blu del suo bambino si erano riaperti.
Lo aveva stretto forte al suo petto, non avrebbe mai più permesso che niente e nessuno lo portassero via da lei; le si stringeva il cuore quando, finito l'orario di visite doveva lasciare quella piccola creaturina stesa tra le lenzuola di quell'immenso letto di ospedale. E adesso era successo di nuovo.
Una volta dimesso dall'ospedale, Elsie avrebbe voluto che Richard terminasse la scuola, ma non i soldi per pagare le lezioni private non bastavano più e Ritchie non se la sentiva di tornare a scuola a 15 anni, così avevano lasciato che ad occuparsi della sua istruzione fosse il patrigno Harry, che aveva sposato Elsie l'anno prima.

Il rapporto tra i due ''uomini'' della casa non fu idilliaco sulle prime; Ritchie, così visceralmente legato alla madre non sopportava molto la presenza di quel ''coglione coi baffi'', perciò almeno inizialmente, decise di rendergli la vita difficile.
Ma Harry era un uomo di spirito e profondamente buono, molto comprensivo e dotato di una dolcezza quasi femminile.
Non fu difficile accaparrarsi l'affetto del ragazzo, a poco a poco.
Fu proprio Harry il primo a notare la predilizione del ragazzino per la musica: casualmente notò come il figliastro passasse il tempo a battere sulla testiera del letto d'ospedale ogni genere di attrezzo che si trovasse sotto mano, passava il tempo a quel modo, tenendo il tempo e facendo baccano mentre gli altri ragazzini rimanevano ore incollati alla tv.
Grazie ad un progetto musicale all' interno dell'ospedale Ritchie scoprì che la sua passione così viscerale e innata aveva un nome: percussioni. Inizialmente il suono era piatto e privo di verve, ma a poco a poco, e senza prendere lezioni, Ritchie si rese conto di possedere un'energia e un'inclinazione innata per quei ritmi complicati e le dinamiche di tempo.
C'era come un istinto naturale in quello che faceva, anche se in realtà non sapeva cosa stesse facendo. Gli bastava impugnare le bacchette per poi dar vita a vivaci strutture ritmiche, la cadenza ,la sincope, il movimento, lo slancio.
Non c'era niente di accademico o tecnico in quello che riusciva a creare, si lasciava trascinare dalla cinetica, semplicemente.
Fu così che una volta tornati a casa l'uomo decise di comprargli una batteria tutta sua, che Ritchie ormai aveva imparato a padroneggiare proprio durante la permanenza in ospedale.
Adesso era diventato piuttosto bravo e suonava in un gruppo con altri ragazzi conosciuti alla scuola serale.
Richard non amava di certo lo studio e tutto il tempo perso per via della sua salute non aveva di certo migliorato la situazione; quello era forse il solo cruccio che Elsie avesse... Per il resto il suo Ritchie era un ragazzo d'oro, un po' ribelle certo, ma chi non lo era alla sua età?!

- Può lamentarsi di quello che gli pare, non mi sembra di infrangere la legge se riempio quelle sue orecchie di stronzo con la mia musica!-
-Ritchie, sai che non sopporto questo linguaggio!-
Richard sollevò i palmi delle mani, in segno di resa.
-Sì, ma' scusa... Ma sai che genere di persona è, e poi...-
- Non sono affari nostri, Ritch... Tu pensa a non infastidire troppo con quella tua batteria e cerca di suonarla un po' più piano!-
Harry, che stava guardando il notiziario in salotto grugnì, nascondendo a malapena il ridere, a cui si unì Ritchie, esplodendo in una fragorosa risata.

Marie Maguire.
Quella sì che era una ragazza.
Intelligente, dolce, simpatica e bella da star male.
Aveva quattro anni più di lui da quando ne aveva memoria, si era sempre presa cura di lui: lo controllava quando usciva con i suoi amici, lo ammoniva se lo scopriva a fare qualche casino e una volta gli aveva persino dato uno schiaffo, sorprendendolo a farsi una canna.
Ma una volta gli aveva detto che il suo naso non era poi così male. E il suo naso era veramente molto brutto.
La conosceva da quando ne aveva ricordo. Le loro mamme erano amiche e spesso Marie aveva anche provato ad aiutarlo con i compiti.
Si vergognava da cani quando doveva leggere o scrivere davanti a lei, con quella calligrafia sgangherata da analfabeta, ma dimenticava ogni cosa quando guardava negli occhi scuri e profondi di lei.
Richard era certo che lei non sospettasse nulla, erano sempre stati solo amici e niente di più e così voleva che le cose rimanessero.
Non riusciva a capire perchè ma in sua presenza si sentiva impacciato e sfigato. Non che fosse proprio uno spaccone in generale, ma aveva il fascino del ''ragazzo disastrato''.
Faceva tenerezza, perchè aveva un sorriso in grado di far sciogliere come il burro, un'aria abbattuta e un po' mesta che faceva esplodere l'istinto da crocerossina che hanno tutte le brave ragazze.
Ma la sua dote principale (oltre al ritmo, certo) era senza dubbio quell'ironia pungente che lo rendeva subito simpatico a tutti;
anche se un po' soffocato dall'amore esagerato della mamma, Ritchie era sempre stato un tipo molto sveglio e aveva imparato ben presto a cavarsela da solo e ad affilare la lingua con una dialettica spigliata e scattante, sicuramente ereditata da Elsie. La parola era lo strumento che più prediligeva, essendo piccolo di statura e facilmente preda dei bulli di quartiere e Dingle era piena di attaccabrighe e brutti ceffi.
Per non parlare poi del suo buon cuore, cercava sempre di aiutare chi ne avesse bisogno, a dispetto dell'apparenza piuttosto torva e schiva. Un tipo che sapeva divertirsi insomma, dalla battuta pronta e la lingua tagliente, ma che gli rimaneva del tutto asciutta di fronte al sorriso candido e timido di Marie.
Al Caldwell, nome sul palco Rory Storm, col quale suonava ormai da qualche mese, lo prendeva quotidianamente in giro per via di quella storia.
-E allora, Rings? Di che colore sono le mutandine della bella suor Marie? Uhm? Uhm?-
Il più delle volte il biondino doveva cercare di schivare una delle sue bacchette.

Ripensandoci, non sapeva nemmeno perchè le avesse dato appuntamento quel pomeriggio. Si sentiva un perfetto idiota.
Si era messo una camicia a maniche corte, a quadri bianchi e rossi e più si guardava allo specchio, più gli sembrava di assomigliare ad una tovaglia. Si rigirava febbrilmente gli anelli che portava alle dita, uno dei suoi vezzi più peculiari... Proprio per questo Rory lo aveva soprannominato Rings, poi tramutato inevitabilmente in Ringo e in breve tempo tutti avevano preso a chiamarlo così, persino sua madre doveva riflettere qualche istante prima di ricordarsi il suo ''vero'' nome.
Sbuffò, osservando l'ora lampeggiare sullo schermo del suo cellulare.
Le aveva mandato un messaggio perfettamente idiota. Le aveva chiesto aiuto per una recensione di Moby Dick per la scuola serale, lei lo aveva letto, poteva per caso aiutarlo?
Sì, bella scusa... Non avevano nemmeno mai parlato di Moby Dick a scuola... che figura avrebbe...?
Il campanello suonò, chiaro, argentino, squillante. Ringo sperò che non si trattasse di lei. Qualunque cosa ma non lei... La regina Elisabetta, la vicina che chiedeva un po' di sale, lo scoppio di una nuova guerra mondiale, tutto sarebbe stato migliore di trovarsela davanti e dover avere a che fare con quell'ansia tremenda.
-Ritchie! C'è Marie!-
-Porca troia!-
- Che hai detto, Ritch?-
Si voltò lentamente, maledicendo il telo da pic nic che portava addosso. Lei era lì, sulla soglia della porta di soggiorno.
Indossava una camicetta bianca, che esaltava perfettamente la pelle leggermente abbronzata, un paio di jeans scuri e delle scarpe da ginnastica consumate.
-Ciao Marie! Come va?-
Le andò incontro, scrutando il viso interdetto di lei, poi se la strinse fra le braccia per una manciata di secondi. Sentì nettamente il suo seno contro il petto e per un attimo gli sembrò che il basso ventre gli andasse a fuoco. Si discostò sorridendo.
- Sto bene, Ritchie... E tu?-
Con un cenno del capo indicò la batteria, piantata nel mezzo del salotto.
-La mia bimba sta bene, grazie dell'interesse!-
Marie sorrise, scuotendo la testa.
- Meglio se ci mettiamo a lavoro, caro il mio batterista!-
Ritch la prese sottobraccio, con quel fare scanzonatorio.
- Ringo Starr, baby... Sentirai parlare di me! Orde di fans urlanti invocheranno il mio nome, strappandosi i capelli!-
Per tutta risposta Marie lo agguantò per il colletto della camicia e gli dette uno spintone, che lo fece finire lungo disteso sul divano.
- Pensiamo a Moby Dick, adesso!-
Ammiccò la ragazza, mettendosi affianco a lui, che intanto nascondeva a malapena quel suo sorrisone a 32 denti.

Studiare non era il suo forte, ma studiare con affianco quella visione celestiale lo era ancora di meno.
Se ne stava seduto, la testa poggiata sul palmo della mano osservando le labbra umide di Marie che si contraevano ad ogni parola, gli occhi bassi, nascosti sotto un paio di ciglia lunghissime, scorrere sulle pagine e quanto adorava quel gesto, quel tic di arrotolarsi una ciocca di capelli attorno all'indice.
-...La solenne lotta dell'uomo contro le forze del Male trova nel romanzo di Melville la sua più grandiosa espressione, infatti... Ritch, mi stai ascoltando?-
Il palmo della sua mano fece su e giù davanti ai suoi occhi, perfettamente imbambolati.
- Ah? Uh! Certo che sì! Ero preso, cioè sono preso da questo romanzo voglio dire è strafigo, la balena bianca gigante, il capitano Aaron e la nave insomma...-
- Il capitano è Achab, Rings...-
Marie lo lasciò farfugliare, avrebbe voluto ricordargli che se avesse continuato su quella strada non si sarebbe mai diplomato in tempo e che rischiava di perdere l'anno persino alla scuola serale, che avrebbe dovuto impegnarsi di più, che c'erano cose più importanti della batteria, ad esempio pensare ad un futuro migliore... Ma lasciò morire tutto nello spazio di un sorrisetto abbozzato, che non riesciva a trattenere.
Ringo la guardò di sottecchi, mentre continuava a fare il buffone.
- Per non parlare poi del finale, quando osserva la montagna di scatolette che son venute fuori dalla balena!-
-Rich, nel finale  la balena e il capitano muoiono assieme e la nave affonda... Il solo a sopravvivere è il narratore, Ishmael! Sei senza speranza...-
- Però stai continuando a ridere!-
- Perchè sei un buffone!-
Marie si avvicinò a lui, sollevò una mano e il fiato del ragazzo si mozzò di colpo, gli occhi blu spalancati e la bocca semi-aperta.
Ma non avvenne nulla di quello che avrebbe immaginato, Marie si limitò a scompigliargli i capelli.
Il resto del pomeriggio lo passarono a studiare, senza che niente di incredibile accadesse, poi quasi verso sera qualcuno suonò alla porta.
La mamma e Harry erano a lavoro, così Ritch si alzò dal divano e arrivò fino all'ingresso.
Davanti alla porta uno dei ragazzi più affascinanti di tutta Liverpool, Alan Caldwell.
Erano diventati amici ormai, anche se si conoscevano da relativamente poco tempo, infatti lo stesso Al (che però usava principalmente il suo nome da palcoscenico: Rory) aveva appositamente chiesto di lui come batterista per il suo gruppo, gli Hurricanes.
Inizialmente Ritch aveva dovuto farsi un po' desiderare, visto che suonava già in altre formazioni, tutte molto abbozzate e in tutta onestà abbastanza scadenti. Gli Hurricanes invece erano già una band abbastanza affermata, almeno in città e spesso venivano chiamati a suonare nei locali della zona.
Rory era un tipo estroverso, aperto e un grande intrattenitore: sembrava essere nato per il palcoscenico. Eppure, dietro questo suo lato spaccone e tronfio si nascondeva un animo altruista e gentile che Ringo stava imparando a conoscere.
A volte il biondino tendeva ad esagerare, in linea di massima però si trovavano molto d'accordo, sopratutto perchè erano due compagnoni a cui piaceva scherzare e spassarsela.
Dopo qualche settimana di attesa, di visite e messaggi (quasi di supplica, che per l'ego di Rory erano una vera tortura) Ritch aveva deciso di accettare ed unirsi agli Hurricanes.
- Era la cazzo di ora!-
Gli aveva sibilato Rory, che poteva rivelarsi una vera tempesta inattesa a volte, di nome e di fatto.

Con quel sorriso da marpione Rory allungò il collo verso l'interno della casa: dall'ingresso la visuale del salotto era perfetta, si vedeva la nuca bruna di Marie china sui fogli.
- Disturbo?-
Disse tra i denti ben esposti in un ghigno sardonico.
Richard avrebbe voluto strozzarlo.
Lo fermò con i palmi delle mani sul petto, prima che potesse fare un passo con quelle sue gambe lunghe e magre.
- Rory sai che ti voglio bene e tutto quanto, ma entra adesso in questa casa e giuro che ti rompo il culo!-
L'altro per tutta risposta fece un passo indietro, la sua bocca si tramutò in una ''O'' perfetta, per poi prendere a battere vistosamente i denti, gli occhi che viaggiavano febbrilmente da una parte all'altra.
- Oh, oh, signor Starkey, che gran paura!-
 Intanto dal salotto si sentivano i passi di Marie che avanzavano. Ritch mimò a Rory la morte violenta che da lì a poco gli sarebbe toccata.
- Hey Ritch, finiamo la recensione dai... Fra poco devo tornare a casa, sai quanto è paranoica mia ma...-
Silenzio.
Un silenzio dolorosissimo per Ritch, che osservava come se fosse lontano anni luce, il lampo che aveva d'improvviso acceso gli occhi del suo tenero amore. E ovviamente quel lampo non era affatto per lui.
Rory intanto se ne stava appoggiato alla porta d'ingresso, un sorrisetto allusivo bene impresso su quella sua faccia tosta.
- Ciao!-
Le guance di lei avvamparono per un attimo.
- Tu sei Rory, vero? Quello degli Hurricanes?-
- Anche io suono negli Hurricanes, se mai qualcuno se lo fosse dimenticato!-
Lo sguardo al fiele di Ritch non scalfì neppure per sbaglio il momento.
Rory dal canto suo si limitò ad annuire, laconico e misterioso. A Ritch sembrava di sentire il pulsare violento del cuoricino innamorato di Marie. Quello era e sarebbe stato sempre il suo destino: ogni ragazza che gli fosse anche lontanamente interessata si sarebbe tolta le mutande davanti a Rory e alla sua capigliatura platino.
Non ribolliva di rabbia come avrebbe creduto, era più un fastidio incontrollato alla bocca dello stomaco, ma questo come al solito non lo diede a vedere. Mascherò la sua galoppante gelosia con battute e risate.
Nel giro di un quarto d'ora insieme sapeva già che Marie era cotta e stracotta. Non faceva altro che fissare Rory, sembrava pendere dalle sue labbra, perennemente incurvate in un sorrisetto irriverente.
Dopo essere rimasti per qualche tempo a parlare, Marie dovette andare a casa.
Rory si offrì di accompagnarla, ma lei rifiutò ringraziandolo e diventando rossa come un peperone. Evidentemente aveva preferito dire di no perchè sicuramente si sarebbe sentita male di fronte a quell'emozione esplosiva.
Una volta rimasti soli, Ringo aveva una faccia da funerale che Rory non gli aveva mai visto.
- Comunque, a cosa devo la fantastica visita?-
Ironizzò Ritch, mettendosi a sedere alla batteria. Voleva liquidarlo al più presto  e suonare fino a che non gli fossero sanguinate le mani; era l'unico modo di sfogarsi che non contemplasse il bel faccino di Rory.
L'amico gli si fece accanto, poggiandogli una mano sulla spalla.
- Dai, Rings... Mica ce l'avrai con me? Non ci stavo provando, cioè non te la farei mai una cosa del genere... Hai visto come mi guardava no? Non meriti una che non è minimamente interessata a te e lo sai...-
Gli strinse la mano attorno alla spalla e Ritch vide quel gesto consolatorio come l'apoteosi della pena che doveva suscitargli in quel momento. Lo osservò dal basso, seduto sul suo sgabello malconcio.
Per un attimo lo invidiò; una stilettata al petto che durò solo una manciata di secondi, ma che gli fece salire alle labbra il sapore acido della gelosia. Alto, bello, biondo, sorriso smagliante... Cosa avrebbe potuto desiderare di più una ragazza?
Ma questi non erano pensieri da Ringo e lo sapeva anche lui, fin troppo bene. Non gli appartenevano sentimenti di odio, rancore o collera, anzi. Lui era sempre stato il collante, quello che riusciva a sdrammatizzare anche nel momento più nero, per le occasioni più meste.
Sì, Rory era sincero e dopotutto non era colpa sua se aveva quel fascino innegabile e se gli piaceva giocarci su. Ma non poteva nascondere che questo lo faceva soffrire da matti, perchè in cuor suo sapeva che la cotta per Marie non sarebbe sparita a comando.
Si limitò a riservargli un sorriso tirato, rassicurandogli che gli sarebbe passata presto, ma non ci credeva poi molto.
Rory buttò a terra la maschera dello spaccone e si mise a sedere sul divano, di fronte a lui.
Lo guardò per qualche minuto e, così intensamente che per poco Ritch non gli chiese se avesse voluto una foto.
Poi, finalmente un sorrisetto complice si fece largo sulla faccia perfettamente simmetrica del bel biondino:
- Andiamo in Scozia, Rings... Ti conviene preparare i bagagli!-
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Beatles / Vai alla pagina dell'autore: velvetmouth