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Autore: dilpa93    21/07/2015    2 recensioni
Il Capitano, accigliato, scosse la testa. Il giovane lanciò in aria il bastoncino e si pulì le mani sfregandole tra di loro. "Ok, niente bastoncini di pesce", si massaggiò le tempie cercando di concentrarsi, strizzando gli occhi e arricciando il naso.
"Ehm... Lei è?"
"Ma certo, che sbadato. Io sono il Dottore!"
"Dottore chi?"
Genere: Comico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Doctor - 11, TARDIS
Note: Cross-over, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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"Il passato non muore mai. Non è nemmeno passato"
William Faulkner
 



 
L'aveva vista stanca, il tempo non era stato certo clemente con lei, ma lui l'aveva trovata comunque bellissima. Era sicuro di aver visto un barlume di amore e speranza nel modo in cui gli aveva sussurrato "sei vivo... Sei tornato", e a quelle parole non aveva potuto che replicare con una battuta, per ricordare i giorni ormai andati, ed un sorriso sulle labbra. "Beh, non potevo lasciare la mia ragazza, non quando lei mi deve ancora un ballo".  Allora l'aveva vista sorridere, e per un istante gli era sembrato di tornare ai tempi della grande guerra, quando il sorriso furbo e dolce di Peggy era l'unica cosa a dargli speranza, quando la sua voce, poco prima di sprofondare nelle acque gelide, gli aveva donato conforto.
Dopo averla salutata, aveva passeggiato per le strade cercando di evitare quelle troppo trafficate. Si era trovato a prendere a calci i ciottoli lungo un marciapiede, con le mani nelle tasche dei pantaloni, nella zona periferica. Alzò per un istante lo sguardo rendendosi ben presto conto di non avere assolutamente idea di dove si trovasse, ispirando profondamente scrollò le spalle pronto a rimettersi a camminare. Da qualche parte sarebbe pur arrivato e, per uno come lui che aveva affrontato in prima linea i nazisti, non sarebbe certo stata la periferia buia della NewYork del ventunesimo secolo a mettergli paura.
Quando fece per riabbassare il capo, l'alzarsi del vento e uno stridore metallico attirarono la sua attenzione. Guardò verso il cielo e, dove prima non sembravano esserci altro che stelle e qualche nuvola, ecco d'improvviso comparire un bizzarro bagliore e pochi secondi dopo cominciare a materializzarsi, a qualche passo da lui, una strana cabina blu della polizia.
Rimase immobile, in attesa, convinto che si trattasse di una delle nuove super tecnologie di quel secolo, come i maxi schermi a Time Square. Del resto, non aveva ancora avuto il tempo di abituarsi a tutte le stranezze di quel futuro che mai, nella sua vita, avrebbe creduto di vedere e nel quale, invece, si era trovato catapultato da un momento all'altro, dopo settant'anni passati in una lastra di ghiaccio. "Come Han Solo nella grafite", così gli aveva detto Nick Fury. Ancora non aveva compreso appieno quella metafora, ma si era ripromesso di vedere la saga di Star Wars appena avesse sistemato tutte le cose in sospeso.
Quando il frastuono terminò, ci fu un lungo momento di silenzio, intervallato esclusivamente dal leggero soffiare del vento tra i rami degli alberi. Poi la porta della cabina si aprì e, dall'interno, un uomo vi si affacciò.
"Bene, bene, bene, vediamo un po' dove siamo finiti", diede un morso a ciò che teneva in mano e uscì dalla scatola blu.
Il Capitano portò le braccia al petto, incrociandole, aspettando che quel buffo giovane si accorgesse della sua presenza. Lo vide aggiustarsi il papillon rosso, estrarre dalla tasca della giacca, con la sola mano libera, uno strano arnese con tanto di luce incorporata, brandendolo poi verso il cielo.
"New York?!", lo sentì esclamare improvvisamente. "Oh andiamo! Co-come è possibile che siamo finiti a New York?". Si girò nuovamente verso la cabina appoggiandovisi con la mano destra e tenendo il braccio teso, con aria sconsolata. "Saremmo dovuti essere sugli anelli di Saturno in questo momento! Davano una festa, accidenti. Ma no, tu devi sempre fare di testa tua, non è vero? Mai una volta che mi dessi ascolto." Cominciò ad agitarsi camminando avanti e indietro, sempre davanti alla scatola blu. "Vediamo... se mi hai mandato qui ci sarà un motivo, c'è sempre un motivo. Quando mi sono svegliato", diede un altro morso a quel bastoncino molliccio che ancora aveva in mano, "Sapevo che sarebbe andata male!", borbottò in maniera quasi incomprensibile masticando voracemente.
"Posso aiutarla?", Steve si fece finalmente avanti, con la sua solita gentilezza ed uno sguardo che voleva essere rassicurante, ma che subito si trasformò in mera preoccupazione quando lo sconosciuto gli si avvicinò a passi lunghi additandolo con quello strano snack.
"Se puoi aiutarmi? Si, si, tu...", lo squadrò da capo a piedi girandogli attorno. "Potresti aiutarmi, o forse no. Bastoncino di pesce?", chiese euforico, terminando quello che ancora aveva in mano e offrendogliene uno appena tirato fuori dalle tasche.
Il Capitano, accigliato, scosse la testa. Il giovane lanciò in aria il bastoncino e si pulì le mani sfregandole tra di loro. "Ok, niente bastoncini di pesce", si massaggiò le tempie cercando di concentrarsi, strizzando gli occhi e arricciando il naso.
"Ehm... Lei è?"
"Ma certo, che sbadato. Io sono il Dottore!"
"Dottore chi?"
"Il solo, unico ed inimitabile, l'undicesimo me! Oh, aspetta un attimo..." Andò verso la cabina, sparendovi all'interno, per tornare pochi istanti dopo con in testa un fez che gli schiacciava il ciuffo dritto sugli occhi. Rogers lo indicò puntandovi contro l'indice, con sguardo interrogativo.
"È un fez, i fez sono forti, come i papillon! Mi fa sembrare più alto, non è vero? Ma torniamo a noi ehm..."
"Steve..."
"Steve, ma certo. Allora, dove eravamo? Ah si! Io sono il Dottore, quello è il Tardis."
Si grattò la nuca, lisciandosi la base dei capelli biondi, "Il cosa?"
"Il Tardis, ti-a-erre-di-i-esse, Time And Relative Dimension In Space. È molto suscettibile a riguardo, ti converrà tenerlo a mente. Viaggia in ogni tempo e in ogni luogo. Pianeti, stelle, tutto molto bello, ma adesso dobbiamo andare." Con la sua parlantina veloce aveva completamente stordito il Capitano. "Allora, vieni o no?"
"Venire dove? Io, io ho da fare."
"Da fare? Steve, neanche ti conosco e ti sto offrendo un viaggio, uno solamente, ai confini del tempo e del mondo. Ovunque tu voglia!", si agitava maldestramente, dando a Rogers l'impressione di essere un folle ubriaco. "Forza, entra dentro!", gli fece segno di seguirlo con la mano, sparendo nuovamente all'interno della cabina.
Steve vi si avvicinò cauto, guardandosi intorno con circospezione, come se qualcuno avesse potuto vederlo e pensare male di lui. Un uomo perbene e rispettabile, di un certa età anche se non si direbbe affatto, che entra nella cabina blu di uno sconosciuto... Sarebbe stato alquanto sconveniente, convenne Rogers. Ma la strada sembrava deserta e dovette ammettere a se stesso che un certo grado di curiosità lo stava divorando. Afferrò la piccola e sottile maniglia in metallo e spinse, sentendo il legno graffiare leggermente nell'aprirsi. La bocca gli si spalancò in un gesto del tutto involontario, dettato unicamente dallo stupore per ciò che i suoi occhi avevano appena visto.
"È... È più grande..."
"Più grande all'interno? Già... Mai nessuno che dica che è più piccola all'esterno", blaterò armeggiando alla consolle del Tardis, premendo pulsanti e tirando leve. Del fumo cominciò ad uscire mentre le luci lampeggiavano ed iniziavano a sentirsi suoni di vario genere. "Allora Steve, dove vuoi andare?"
Il Capitano era rimasto fermo all'ingresso con il naso per aria osservando ogni cosa meticolosamente, pur rimanendo sempre a debita distanza. "Posso scegliere?"
Il Dottore annuì con forza, tanto da rischiare di far cadere il suo amato fez. "Questa bellezza può andare ovunque! Vuoi vedere i dinosauri, o magari ammirare in anteprima la fine della terra? Potremmo andare a Nuova Nuova York, sul pianeta Exxilon, oppure sulle Isole di Lastox. Piene di lestofanti, e credo di essere ancora ricercato per una o due cosuccie che ho fatto... Ripensandoci", si grattò la tempia con l'indice, aggiustando poi il fez dandogli un leggero colpetto. "Meglio niente Isole di Lastox."
"Io non lo so", sussurrò confuso Rogers, accarezzando il piano della consolle.
"No, no, no, non si tocca. Guardare ma non toccare, potrebbe succedere di tutto. Allora? Non posso restare qui tutto il giorno, o notte... Ma che ore sono?"
Mentre il Dottore riprendeva a blaterare come di consueto, l'unica cosa che riusciva a pensare Steve era che non voleva di certo andare nel futuro, non di nuovo. Non dopo aver visto Peggy, invecchiata, malata, che a fatica si ricordava di lui. Non avrebbe sopportato di scoprire che le persone a cui si era affezionato non c'erano più, o che gli fosse successo qualcosa.
"Se non decidi tu lasceremo che sia il tuo inconscio a farlo. Non ho mai capito bene come funzioni questa cosa del conscio, inconscio, dell'iceberg... un giorno dovrò proprio andare a prendere una tazza di caffè da Freud". Si avvicinò a Steve strattonandolo per il braccio, "Forza ragazzone, metti le dita qui. Può essere una sensazione spiacevole, è un po', ehm, molliccio", ammise arricciando il naso in un'espressione schifata, troppo per uno che aveva da poco finito di mangiarsi un piatto di bastoncini di pesce e crema pasticcera. Il Capitano inserì i polpastrelli nell'esatto punto indicatogli dal Dottore, sentendo qualcosa di viscido attaccarvisi. In un primo momento ebbe l'impulso di ritrarsi, ma resistette. "Cosa devo fare?"
Il Dottore tirò a sé un piccolo schermo e se lo posizionò davanti per bene. "Tu assolutamente nulla, farà tutto lui, lei... L'ultima volta era una lei, e che lei! Il Tardis è collegato a te ora, alla tua linea temporale. Ah voi umani, vi stupite sempre delle cose più semplici", constatò notando la confusione dipinta sul volto di Rogers. "Bene, siamo pronti alla partenza e... Geronimooooooo!" Gridò mentre abbassava una leva.
In quel momento entrambi furono colti da un forte scossone, Steve a stento mantenne l'equilibrio e quando rialzò lo sguardo vide il Dottore appoggiato con la schiena alla balaustra metallica che proteggeva la consolle del Tardis, le braccia incrociate al petto ed un'aria compiaciuta, come se nulla fosse accaduto.
Il Dottore diede un'occhiata al monitor e poi si sistemò soddisfatto il cravattino alzando la leva e facendo stridere i freni della cabina.
"Siamo già arrivati? Come è possibile, non ci siamo praticamene mossi."
"Ma lo abbiamo fatto, ci siamo spostati nel tempo, arrivando esattamente nel... 1944!", il Dottore ci rifletté un attimo storcendo il naso, "Mai che voi umani scegliate un posto felice e tranquillo!  Prima la distruzione di Pompei... no, lì credo sia stata colpa mia. Ehm, i vampiri a Venezia! No, anche lì la colpa era mia. Ci sono, l'incontro faccia a faccia con Hitler! Oh no, no, anche questa volta colpa mia... Beh insomma, ora non mi viene un esempio, ma sembra che voi siate attratti dal pericolo. Ultimi giorni di guerra, rischio bombardamenti... " Si accertò che il cacciavite sonico fosse nella tasca della giacca e aprì la porta. "Seguimi!"
Vedendolo uscire dalla cabina, tirò le mani verso di sé cercando di staccarle dall'interfaccia, ma sembrava che il Tardis non avesse intenzione di lasciarlo andare. Una resistenza simile l'aveva provata solo quando aveva cercato per la prima volta di alzare il Mjolnir di Thor e aveva fallito miseramente. Si guardò intorno un'ultima volta e poi uscì in strada.
 
Per uno come lui abituato ad avere tutto sotto controllo, la situazione aveva del surreale.
Percepì immediatamente una sensazione familiare, nonostante non fosse ancora convinto di aver realmente viaggiato nel tempo. E mentre intorno a lui il Dottore farneticava a vuoto, lui si godeva il profumo dell’autunno e la musica che veniva trasportata dal vento dal bar appena in fondo alla strada. Attirato come un’ape dal miele, si trovò in pochi minuti con la mano sul pomello della porta del locale, quando questa venne bloccata dal Dottore.
“Hai capito?”.
Rogers lo guardò senza dire una parola, facendo scivolare le dita lontane dalla maniglia. La luce tenue dell’insegna gli illuminava il profilo lasciando parte del viso in penombra, donandogli così un’aria cupa che non gli si addiceva affatto.
“È importante. Resta in disparte, guardati intorno ma non parlare con nessuno a meno che non sia io a dirtelo. Ci sono dei punti fissi nel tempo e qualsiasi tua mossa potrebbe pregiudicarne uno. Strane e spiacevoli cose accadono se ci si intromette nel tempo senza seguire le regole. Io ne so qualcosa...”.
Non poté non pensare a Rory ed Amy.
Aveva letto la postfazione del libro di Melody Malone almeno migliaia di volte, nonostante si fosse ripetuto spesso di gettarla via e smettere di legarsi a persone che non faceva altro che ferire. Sapeva che alla fine di tutto loro erano stati bene, ma benché Amelia lo avesse a modo suo ringraziato di essere capitato nel suo giardino di casa quando era appena una bambina, non poteva che sentirsi in colpa. Aveva promesso al padre di Rory che sarebbero stati al sicuro, che non gli sarebbe accaduto nulla, ma ancora una volta le cose gli erano sfuggite di mano. Quell’ombra di tristezza che gli aveva momentaneamente velato gli occhi non era passata inosservata al Capitano. “Dottore...”, accennò a chiamarlo dolcemente.
“Su, non restiamo qui. Fa quello che faccio io e andrà tutto bene! Ne ho viste di epoche, so passare inosservato praticamente ovunque.”
Steve si fece precedere, guardandolo entrare nel locale ed immergersi nella nuvola di fumo che aleggiava pesante all’ingresso con un sorrisino abbozzato. Era una delle poche volte in cui incontrava qualcuno che non era a conoscenza di chi lui fosse. Tutti in città sapevano qual era la sua identità. C'erano stati documentari su di lui, era stato ripreso dalle telecamere durante l’ultima guerra interplanetaria che aveva visto New York fare da campo di battaglia. Il Dottore sembrava l’unico a non sapere che lui era Steve Rogers, alias Capitan America. Eroe della seconda Guerra Mondiale, il primo uomo potenziato geneticamente attraverso l’incontro tra scienza e tecnologia. Se c’era qualcuno che avrebbe potuto mimetizzarsi al meglio negli anni ’40, quello era proprio lui.
Sempre che fossero stati davvero nel 1944.
Mise un solo piede all'interno del locale e fu la porta che, chiudendosi, lo costrinse ad entrare definitivamente. Nessuno parve accorgersi di lui o della sua entrata maldestra.
Meglio così, pensò. Quando alzò il capo per guardarsi attorno un brivido gli percorse la schiena lungo la spina dorsale.
Le risate, il chiacchiericcio, i boccali di birra che si scontravano a mezz'aria e la schiuma che traboccava fino a raggiungere il pavimento. Le divise impeccabili, tutti con lo stesso taglio di capelli, qualcuno approfittava del fascino della divisa per conquistare le ragazze sedute al bar a sogghignare e lanciare sguardi ammiccanti. Ripensò ai suoi vecchi compagni, all'intesa che c'era tra loro, il legame che li avrebbe uniti per sempre, anche una volta finita la guerra, se solo lui non si fosse messo in testa di fare l'eroe.
Vide una ragazza al bancone, sola, rigirare l'oliva nel suo martini. Ogni ragazzo che le si avvicinava lo scansava velocemente, ma non c'era presunzione nel rapido movimento del capo con cui negava ad ogni cavaliere un ballo. Il vestito rosso le fasciava il corpo longilineo e per un momento gli parve di vedere Peggy quella sera in cui fu Bucky, per la prima volta, ad essere ignorato, come invece prima era sempre successo a lui in sua presenza.
Quando finalmente la ragazza si voltò non poté credere ai suoi occhi.
Non assomigliava semplicemente a Peggy.
Era Peggy.
Tirò fuori dalla tasca dei pantaloni la bussola che portava sempre con sé, aprendola la vecchia polaroid dell'Agente Carter si riflesse nei suoi occhi e, confrontandola con la ragazza, non ebbe più alcun dubbio.
Avvicinandosi a lei ripensò alle parole del Dottore, ma nulla più di un fugace pensiero, del resto lui non sembrava essere nei paraggi e, come aveva spesso sentito dire, occhio non vede, cuore non duole. Sperava sul serio che il Dottore non se la sarebbe presa troppo per quella sua scelta avventata.
Le si mise accanto, i pollici in tasca, in quella posa che ormai gli era diventata abitudinaria. Lanciando uno sguardo al suo bicchiere si accorse che il martini era ormai quasi finito, ed era certo che una volta terminato si sarebbe alzata e con eleganza avrebbe lasciato il locale, incurante degli sguardi degli uomini su di lei.
"Sono venuto a riscuotere il mio ballo", sussurrò con voce profonda, dolce e rassicurante. La vide fermare immediatamente il movimento svogliato della mano con la quale ancora rimestava l'oliva nel bicchiere. I suoi occhi, seppur sgranati dallo stupore, erano più belli e luminosi di quanto ricordasse.
"Steve...", sussurrò schiudendo appena le labbra e in Rogers si riattivò il ricordo di quel bacio rubato, e il desiderio di risentire il suo sapore si fece forte come un fuoco ardente. "Come puoi essere... Tu eri... Io ti ho, ti ho sentito. La radio non funzionava più e sei caduto. Sei caduto, Howard ti ha cercato ovunque, non sono riusciti a trovare l'aereo! Non puoi essere qui, come puoi essere qui?"
"Non lo so Peggy, vorrei avere una spiegazione, ma non ce l'ho. Però, ti prego, non spaventarti."
Continuava a guardarlo con occhi ancora spalancati, indecisa se alzarsi e scappare via, se affrontare l'uomo che aveva davanti, oppure dargli una chance.
"Sono io... Ricordi quando mi hai sparato?", riprese dopo qualche secondo in cui aveva scavato tra i ricordi nel tentativo di cercare qualcosa che potesse convincerla. "Stark mi stava mostrando gli scudi. Io non ci capivo niente, eppure mi ero fissato con quello in-"
"In vibranio", mormorò come se pendesse dalle sue labbra.
"Si... Stark non era sicuro fosse pronto e potesse funzionare. Non ci hai pensato due volte a spararmi contro per testarlo."
Sorrise, divertita e allo stesso tempo imbarazzata dal ricordo. "Mi fido di Howard. Ero certa che qualsiasi sua creazione avrebbe funzionato."
Quel suo accento inglese gli fece girare la testa, lieto di poterlo sentire di nuovo. "E hai avuto ragione, ma non nego di essermi... spaventato." I suoi occhioni chiari si illuminarono speranzosi di averla convinta con quell' aneddoto, ma nonostante questo Peggy non perse la sua compostezza e il suo aplomb. Si sistemò i capelli portandoseli dietro le spalle, senza smettere per un secondo di guardare Steve negli occhi, come se fossero loro, e non le sue parole, a poterle rivelare che quello davanti a sé era davvero il suo soldato, quel ragazzo gracile che si era dimostrato più forte di qualsiasi altro sbruffone che quell'anno si era unito all'esercito.
Alla fine del suo rimuginare, allungò la mano verso di lui aspettando che l'afferrasse deciso per aiutarla ad alzarsi.
La pista da ballo era gremita di gente, ma in quell'istante per entrambi esisteva solo l'altro. Fu nel momento in cui la strinse tra le sue braccia che Steve si ricordò che ancora non aveva imparato a ballare, e forse quello era il momento meno opportuno per accorgersene. Si stupì quando, facendo i primi passi, lei gli sorrise con quel suo solito cipiglio, sorpresa quanto lui della sua inaspettata bravura.
Si lasciarono trasportare dalla musica, danzando senza che nessuno potesse sentire ciò che si sussurravano.
D'improvviso, dopo una sua battuta, lei scoppiò a ridere come una ragazzina.
Erano mesi che non si sentiva così. Libera, spensierata, e di certo questa sensazione non era dovuta alla piega che la guerra stava prendendo e alla loro, sperava imminente, vittoria.
Sorridendo si guardò intorno, forse per scongiurare quella sensazione di sentirsi osservata, per rendersi conto che quello che stava vivendo non era un sogno e Steve era davvero al suo fianco in quella sala, o forse per mostrare a tutti che anche lei qualche volta era capace di divertirsi e di lasciarsi alle spalle il suo essere un Soldato.
La musica cambiò all'improvviso dando il via a un lento vero e proprio.
Rogers l'attirò di più verso sé premendo delicatamente sulla sua schiena, sentendola poi posare la testa sul suo petto. Con leggerezza le poggiò il mento sul capo, incastrandosi alla perfezione in quella posa che sembrava così naturale. Entrambi sapevano che quel momento non sarebbe potuto durare in eterno ma, lasciandosi sospingere dalle note suonate dalla band locale, si ritrovarono a sperare di non essere interrotti tanto presto.
 
Il Dottore aveva girato per il locale, curioso come suo solito. Aveva parlato con ogni persona sospetta, verificato che grate o strane crepe non fossero portali temporali. Non riusciva a capire come mai il Tardis gli avesse fatto incontrare Steve, come mai li avesse portati in quell'esatto momento se non c'era nulla da sistemare, prevenire o nessuno da aiutare.
Qualcuno d'aiutare, in realtà, c'era ma per capirlo il Dottore avrebbe dovuto guardare il tutto da una diversa prospettiva.
"Bel farfallino! Cosa ti porto ragazzo?", chiese l'anziano barista alzando la voce per sovrastare il frastuono. Il Dottore sorrise soddisfatto all'uomo aggiustandosi il papillon, "Té, di quello forte, lasci la bustina. Molte grazie."
"Té?", l'anziano lo guardò stranito. "Facciamo che ti porto qualcosa io. È ora che inizi a temprare lo spirito, figliolo."
Il bicchiere che gli venne messo davanti non fu accolto certo da un ampio sorriso.
Due dita di liquido ambrato rifrangevano la luce soffusa del locale e, ora, anche la faccia curiosa e stranita del Dottore, che vi si era avvicinato poggiandovi contro il naso, come farebbe un bambino dinnanzi la vetrina di un negozio di caramelle. Non resistette all'impulso di puntarvici contro il cacciavite sonico. La luce verde schermò il bicchiere mentre il ronzio richiamò l'attenzione del barista.
"E quello che diavolo sarebbe?" Esclamò poco prima di posare sulla mensola alle sue spalle il bicchiere che aveva appena terminato di asciugare.
Il Dottore lo spense facendolo poi roteare in aria, per riprenderlo infine con sicurezza dalla parte dell'impugnatura.
"Mmm... Nulla", bofonchiò riponendolo al sicuro nella tasca della giacca, mandando poi giù, tutto d'un fiato, ciò che gli era stato servito. Cominciò a tossire, sentendo il petto bruciargli tanto forte che per un istante credette che uno dei suoi due cuori si sarebbe fermato. Ancora non riusciva a capire come gli umani riuscissero a sopravvivere con uno solo. Era una cosa per lui inconcepibile. "Cos'era... quella... roba?", chiese tra un colpo di tosse e un altro.
Il barista si mise la mani sulla pancia rotonda ridendo di gusto. "Di certo non tè, ragazzo mio. Ti ci abituerai, vedrai."
Si allentò un po' il cravattino cercando di riuscire a tornare a respirare regolarmente.
Lui non voleva affatto abituarcisi e la verità era che si stava parecchio annoiando. Sarebbe stato meglio trovare Steve, tornarsene al Tardis e andarsene.
Il punto era: dov'era finito Steve?
Cominciò a cercarlo con lo sguardo, agitandosi sullo sgabello su cui era seduto. Tutto ciò che riusciva a vedere era una miriade di uomini in divisa da cui le donne venivano incredibilmente attratte. Si voltò, convinto di aver sentito Rory lagnarsi con Amy tentando di attirare la sua attenzione e spostare così il suo sguardo da quegli uomini affascinati a lui e la sua mano robotica, cosa che funzionava sempre per ricordare ad Amy quanto lui l'avesse aspettata e protetta fuori dalla Pandorica, quanto fosse grande il suo amore per lei. Ma, quando ruotò il capo al suo fianco, i posti accanto al suo erano vuoti. Nessuna Amy esaltata che cercava di guardare al di là della mano che il caro signor Pond le aveva messo davanti, nessun Rory che sbuffava e brontolava.
Cacciò indietro quel pensiero e chiuse la bocca già pronta a commentare le stranezze dei coniugi Pond. Camminò per la sala, strisciando tra soldati e ragazze che approfittavano della sua sbadataggine e precario equilibrio per strusciarsi contro di lui e la sua bellissima giacca in tweed. Qualcuno lo prese per una delle bretelle rosse, tirandola con forza nel tentativo di avvicinarlo a sé probabilmente per un ballo, ma lui si allontanò incurante, accorgendosi di quanto accaduto solo quando sentì la bretella rimbalzare con forza contro il suo petto. Massaggiandosi la parte dolorante con una mano, e tenendo il fez in equilibrio sulla testa con l'altra, si fece largo tra la folla che riempiva la pista da ballo, avendo finalmente individuato Rogers.
"Steve!" Urlò sventolando in aria la mano, per poi riportarla subito sul suo affezionato copricapo. "Steve!", alla terza volta riuscì a raggiungerlo ed afferrargli il braccio, interrompendo così definitivamente il momento tra lui e Peggy. "Finalmente ti ho trovato, dobbiamo andare, ho un brutto presentimento e... Tu stavi ballando? Con una persona?? Io cosa ti avevo detto in merito?" Strillò quasi, gesticolando vistosamente.
"Steve, lui chi è?", il povero Capitano boccheggiava senza sapere con esattezza cosa rispondere ne all'uno ne all'altra.
"Steve?" Ripeté incredulo il Dottore imitando il tono della donna che ora lo guardava con cipiglio. "La conosci?", in risposta Rogers abbassò lo sguardo colpevole. "Ma non mi hai proprio ascoltato?", il Dottore estrasse il cacciavite sonico cominciando a girare intorno alla povera Agente Carter, che cercava di seguirlo con lo sguardo ruotando in continuazione il capo, ora destra, ora a sinistra. "Ti avevo avvertito, ora chissà cosa avrai combinato! E poi come fai a conoscerla, voi umani avete una vita curiosamente breve e vi riempite di, di… oh, come si chiamano? Rughe! Ecco, rughe. Tu non eri neanche nato nel 1944!".
"Veramente, ecco… nel 1944 io ero già morto, da quasi un anno." Con la coda dell'occhio il Capitano si accorse di quel velato rimpianto negli occhi di Peggy, ma rimase composto, più spaventato probabilmente dalla reazione del Dottore, il quale si fermò all'istante guardandolo con sorpresa sul volto.
Non in molti riuscivano a fargli assumere quella particolare espressione. Sorvolando sulle circostanze, quello era un traguardo piuttosto elevato.
Spense il cacciavite e poi premette con rapidità l'indice sulla fronte di Peggy, che svenne tra le braccia del suo soldato.
“Forza, non abbiamo un minuto da perdere! Mi racconterai tutto una volta che saremo nel Tardis e cerca di non attirare troppa attenzione”, esclamò noncurante degli sguardi che già aveva puntati addosso dopo la sua “esibizione” con il cacciavite sonico nel bel mezzo della pista.




Diletta's coroner:

Buonasera a tutti!
Sono nuova nel fandom e spero di non aver fatto troppi danni cominciando subito con un crossover tra due "cose" così diverse.
Da principio voleva essere una shot, ma è diventata più lunga di quanto mi aspettassi, quindi sarà una mini long di due capitoletti...
Ringrazio chiunque abbia deciso di leggerla e sia riuscito ad arrivare fino in fondo a questo primo capitolo!
Spero di aver inquadrato e rispettato il personaggio di Eleven (che adoro profondamente ed è decisamente il mio Dottore!)

Baci
Diletta
  
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