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Autore: Cyber Witch    23/07/2015    1 recensioni
Il filo di Arianna è quella cosa che ha unito Teseo alla ragazza, indissolubilmente. L'ha salvato, l'ha protetto.
E se sostituiamo il filo rosso con un cerotto con le rane?
«Che succede, tesoro?» le chiedo, curiosa.
«È come un filo di Arianna, ma fatto coi cerotti»
Genere: Introspettivo, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il cerotto di Arianna








Mi capita spesso di comprare cerotti. Non perché sia particolarmente sbadata e mi tagli spesso, anzi, non capita quasi mai che mi ferisca.
Semplicemente sono attratta dai cerotti, dai colori che hanno. Sovente compro quelli per bambini, quelli con sopra pirati o principesse, i personaggi dei cartoni animati, gli animali.
Insomma, i cerotti colorati, quelli che fanno sentire meglio i piccoli che si feriscono. Mi ricordo che per me erano quasi una ricompensa per non aver pianto dopo essermi sbucciata un ginocchio, o tagliata un dito.
Crescendo i cerotti cambiano. Non scegli più quelli colorati e decorati, ma passi a quelli più monotoni: color carne, di stoffa, trasparenti.
Niente disegni, niente felicità. Una volta che sei grande i cerotti non sono più una ricompensa. Una volta che ti metti un cerotto sei improvvisamente marchiato per tre o quattro giorni, loro gridano:”Guarda, è talmente sciocca che si è tagliata un dito”.
Eppure, io, continuo a comprare i cerotti con i disegni.
Oh, come sono buffi due cerotti gialli con le rane, sopra la giugulare di una persona che di sicuro morirà dissanguata.
Non posso fare nient’altro che ridere davanti alla comicità di quella scena, scarto un altro cerotto. Questa volta sopra ci sono pinocchio e la fata turchina. Lo metto sopra la bocca di quella persona.
Non so come si chiami. Ha importanza?
Gli occhi sono annebbiati, come se pian piano alcune nuvole avessero iniziato ad offuscare le pupille di un azzurro slavato.
Le ginocchia iniziano a farmi male, forse dovrei mettere dei cerotti anche lì. Fosse per me tappezzerei la casa di cerotti.
È anche divertente pensare che qualcosa che serve per curare le persone, in questo momento, potrebbe essere la causa della morte di quella che ho davanti a me.
Un altro cerotto, sopra c’è Nemo. Con questo ricopro la narice sinistra, sento un mugugno che zittisco prontamente con un buffetto alla testa.
Gli occhi si spalancano, spaventati dalle mie dita. È buffo anche questo, in fondo ha fatto quasi tutto da solo.
Non mi lascia finire di scartare un ultimo cerotto che esala il respiro decisivo.
Bye bye farmacista.









 
Non che capiti spesso, sia chiaro, ma mi diverto a fissare i vecchietti che leggono il giornale  sulle panchine, le donne che frustrate comprano il gelato ai bambini e le giovani coppie che civettano assieme. In fondo, lavorare come infermiera non è sempre eccitante, passo il giorno a cambiare pappagalli per l’urina e flebo, e quando sono nel parco è tutto migliore.
Mi siedo tranquilla, allungo le gambe come un gatto pigro, ed osservo.
In silenzio, con calma, discreta come un raggio di sole che entra dalla finestra per svegliarti la mattina. È incredibile la quantità di segreti che le persone nascondono.
So, per esempio, che la vecchietta che si ferma vicino al chioschetto dei gelati, ogni volta, ruba come minimo cinquanta centesimi dalla cassettina delle mance.
So anche che la donna con la ricrescita che viene al parco per fumare una sigaretta, in realtà, canta di notte nei locali dove nessuno è interessato alla sua voce.
Si imparano tante cose, come i gusti di gelato preferiti delle persone, le loro abitudini e i loro tic nervosi.
Non è difficile capire quando qualcuno ha fatto qualcosa di sbagliato, anche se sa fingere bene si guarda comunque attorno in maniera circospetta e le sue guance sono sempre rosse.
Più difficile è capire se quella persona ha fatto qualcosa di sbagliato credendo di essere nel giusto. Alla fine, però, lo si comprende sempre.
Per esempio, questa ragazza, che passa tranquilla con le mani in tasca e un cerotto sul mento.
Lei sembra tranquilla, ma scommetto qualsiasi cosa che quelle mani non sono proprio pulite.
Ecco, ora mi guarda.










A cantare, in realtà, tutti sono bravi. Alcuni hanno talento, altri lo imparano. L’uomo è nato per cantare e con un po’ di esercizio anche la persona più stonata può, se non diventare un cantante d’opera, almeno fare una decente figura al karaoke.
Io, fortunatamente, ero una di quelle persone che appartenevano alla prima categoria. Io sapevo cantare, ci ero nata con questo talento.
E siccome i miei sogni da piccola bambina erano quelli di cantare in un locale, dove potevo incantare tutti con la mia voce, decisi di intraprendere quella carriera.
Certamente, se desideri davvero tanto una cosa, e sei disposto a tutto pur di realizzarla, una buona probabilità che questa accada sono molto buone.
Le probabilità che quella accada anche solo in parte, invece, sono molto più alte. Ed è esattamente questo che mi è capitato.
Ora canto in un locale, ma nessuno viene incantato dalla mia voce.
Non è un locale degno dei più bei cabaret anni venti. E, di certo, non è nemmeno da considerarsi un locale vero e proprio.
Però, fino a quando posso cantare e fino a quando per farlo vengo pagata almeno il minimo sindacale, non mi lamento.
Fumo. E non si dovrebbe fare, anche se alcuni apprezzano particolarmente la voce resa graffiante dalla nicotina. Non posso dire di essere un’estimatrice del genere, ma fumare ora mi piace, quasi quanto cantare.
Vado in un parco, a fumare, sperando sempre che qualcuno mi riconosca e che mi proponga di andare a cantare da un’altra parte.
Non accade mai, ovvio, ma alcune persone mi guardano con occhio sospetto e questo mi fa quasi piacere. Come quella donna con il completo da infermiera e il giubbotto verdognolo. Mi osserva sempre con un misto fra dolcezza e pietà, della serie “So cosa stai facendo, mi dispiace, ma allo stesso tempo ti stimo proprio per quello”.
L’ultima volta che l’ho vista stava parlottando con una ragazzina con un cerotto sul mento. Ora quell’infermiera non c’è, ma capita spesso che con sguardo sospetto torni a fare un giro al parco, ma mai si ferma per più di cinque minuti.
Mi avvicino curiosa alla panchina sulla quale si sedeva. C’è un cerotto con sopra Peter Pan attaccato ad una giuntura di ferro.
Lo stacco e lo butto nel cestino dei rifiuti, nel farlo mi scontro con un vecchietto che puzza di alcool.
C’è sempre qualcuno messo peggio di te.











A frugare nei cestini della spazzatura sono buoni tutti. A farlo senza essere scoperti, invece, solo pochi ne sono capaci.
Dopo anni di accattonaggio, probabilmente, sono uno dei migliori in circolazione. Le persone non hanno idea di quello che buttano: cose ancora commestibili, riviste in perfette condizioni, delle volte persino monete che se raccolte tutte possono portare ad un bel gruzzolo.
Io, oh, io sì che lo so. Con i pochi soldi della pensione e gli spiccioli che raccolgo per le vie riesco sempre a prendermi del whiskey, di quello più buono e più costoso.
E ottimizzando con la mensa dei poveri, almeno una volta alla settimana, riesco a fare un pasto degno di un re.
La morte non mi è mai interessata più di tanto, siamo tutti collegati da essa, tutti con la stessa fine. Siamo tutti stessi libri, con lo stesso inizio e la stessa fine.
È quello che ci sta nel mezzo a farci cambiare trama, intreccio e narrazione. Possiamo essere libri noiosi, senza un pizzico di vita, libri che hanno una morale, libri che invece non parlano assolutamente di niente.
Io sono un bel libro, con un finale un po’ decadente, ma ho tante di quelle storie da raccontare, che se avessi un nipote, quel ragazzino passerebbe le intere giornate sulle mie ginocchia a sentirsi parlare di guerre, di belle donne e di spiagge cubane.
Ah, io sì che ho vissuto, e lo faccio ancora. Nessuna preoccupazione, il mio tempo sulla terra l’ho trascorso.
Ora girovago per il parco che mi ha dato alloggio per un bel po’ della mia vita, frugo nei cestini, e dal mio piccolo faccio la bella vita.
Le belle ragazze che corrono la mattina, poi, rendono il tutto ancora più gradevole, nonostante non possa certamente fare loro la corte. Un tempo, forse, lo avrei fatto.
Come avrei fatto la corte alla giovane donna con le occhiaie e i capelli stinti che mi è finita contro. Mi ha sorriso, il sorriso che fanno tutti quando devono declinare gentilmente le offerte di un venditore ambulante di turno.
Le sorrido anche io, osservando il cerotto in buone condizioni che ha buttato.
È un po’ sporco di sangue, ma non mi preoccupo, può sempre servire. Lo prendo e lo avvolgo attorno al dito indice, dove fa bella vista – accanto ad un callo – un taglio abbastanza profondo.
Il sole sta calando e io torno al mio piccolo giaciglio fatto di cartoni. Può non sembrare, ma è molto comodo.
Mi stendo e chiudo gli occhi.
Il mio tempo sulla terra l’ho passato.











Capita spesso che i barboni muoiano: ipotermia, overdose, malattie varie, più raramente per vecchiaia.
È comune e nessuno si stupisce più a raccogliere cadaveri fermi in posizione fetale per il rigor mortis. Succede. Come la morte. O come chi si taglia le dita.
Questa persona aveva un taglio sul dito, probabilmente ha usato un cerotto sporco di sangue infetto e assieme al freddo, l’alcool e la vecchiaia, quello ha contribuito a dargli il colpo di grazia.
Il cerotto che portava era molto simile a quelli che mia figlia continua a comprare, nonostante le dica sempre che quelli resistenti all’acqua vadano molto meglio.
Non mi vuole ascoltare, sorride e fa finta di capire, ma in realtà è come ogni figlia che esista. Testarda nelle sue convinzioni.
La chiamo, so che fare il medico legale sarebbe il suo sogno, e quindi le chiedo se vuole partecipare all’autopsia.
Ovviamente mi risponde di sì.
Passa poco tempo prima che un bus di una linea usata solo dai pendolari arrivi davanti all’ospedale, la prendo e la porto fino all’obitorio, dove si tengono le autopsie.
I suoi occhi sfavillano, ho sempre pensato che avevo la stessa passione per l’architettura da giovane, mentre i miei genitori mi hanno portata su una strada totalmente diversa.
Non voglio che accada lo stesso con lei, se vuole essere un medico legale non mi opporrò alla sua scelta.
Si avvicina agli oggetti personali dell’uomo morto, probabilmente assiderato.
Aggrotta la fronte davanti al cerotto in una bustina di plastica e poi sorride, uno di quei sorrisi che vedi fare ai bambini prima di scartare un regalo di natale.
«Che succede, tesoro?» le chiedo, curiosa.
«È come un filo di Arianna, ma fatto coi cerotti»
 

 





 

.:.Cyber-spazio.:.

Questa storia è nata dalla mia collezione di cerotti.
Non che faccia le stesse cose di questa ragazzina, ma mi piacciono i cerotti. E quindi una cosa tira l'altra, l'ho scritta. È vecchiotta, ma l'ho voluta pubblicare ora, non so perché.

Spero che possa essere di vostro gradimento!
Un inchino,
Cy.

 
  
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