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Autore: FeelsofLarry4    29/07/2015    0 recensioni
Louis voleva solo dei pancakes
Genere: Angst, Fluff, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU, Nonsense | Avvertimenti: Contenuti forti
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Pancake

Louis Tomlinson, era un ragazzino sfigato che abitava alla fine della via. La sua casa era quella messa peggio di tutte. 
Una delle finestre che dava sulla strada era stata tappezzata con un sacco della spazzatura nero, e le scale che servivano per arrivare al portico erano rotte e se per caso il vento soffiava e una porta sbatteva l’intera casa scricchiolava e cigolava in ogni angolo.
Nessuno aveva idea di come fosse messo l’interno.
Louis Tomlinson non aveva amici perché la maggior parte del suo tempo lo passava a studiare o nascosto in quello schifo che era casa sua. Nessuno, però, si era mai preoccupato per lui, nessuno era mai andato a bussare alla sua porta chiedendogli di andare a fare un giro o se voleva partecipare ad una delle feste del quartiere.
Louis Tomlinson non era importante per nessuno. Questo era risaputo anche dal ragazzo stesso. E a lui non importava di nessuno.
L’unica persona, che poteva avere il privilegio di parlare o anche solo interagire con Louis era Harry Styles.
Harry Styles era il tipo di ragazzo popolare a scuola. Molte delle ragazze che frequentavano la sua scuola avevano avuto un solo appuntamento con lui, ma nessuna di loro era mai arrivata ad un secondo, era quasi come se si accontentassero.
Forse tutti si erano accorti che Harry Styles sorrideva veramente, mostrando anche le fossette, solo quando Louis Tomlinson massaggiava i suoi ricci o gli sussurrava che i suoi occhi verdi erano belli.
Harry ovviamente poi gli diceva che erano i suoi occhi azzurri ad essere belli e, puntualmente, Louis arrossiva.
Nessuno sapeva bene come Harry e Louis fossero diventati Harry&Louis, ma non è che importasse a qualcuno, semplicemente era chiaro l’amore che scorreva tra il ragazzo sfigato che abitava in fondo alla via e il ragazzo popolare desiderato da tutti.
 
 
 
 
Louis Tomlinson uscì di casa chiudendo piano la porta, non voleva svegliare la madre che ancora dormiva.
A passo lento si diresse poi verso casa di quello che finalmente poteva chiamare fidanzato. Non sapeva nemmeno lui come era stato possibile, ma un giorno guardava Harry da lontano e il giorno dopo Harry gli si era avvicinato aiutandolo con i libri e chiedendogli di uscire.
Louis era arrossito e aveva gentilmente rifiutato, ma Harry aveva insistito tanto e alla fine aveva ceduto. Mai fatto una scelta migliore.
Suonò il campanello e proprio Harry senza maglia gli andò ad aprire. “Lou!” lo salutò il ragazzo “Hai fatto colazione?”.
Il liscio scosse la testa, sorridendogli allegro. Era sempre bello stare con Harry Styles. Era quasi un essere superiore, sempre gentile con tutti e con un sorriso da scaldare il cuore.
“No, mi piace farla con te”, gli disse, sedendosi al bancone e salutando Anne, la madre di Harry che stava uscendo per il lavoro.
“Buongiorno Louis,” salutò lei cordialmente “Harry, tesoro, torno sta sera, verso le undici, okay?”.
Harry si illuminò e poi sorrise a sua madre, baciandole la guancia. “Magari Lou, può restare a dormire?”.
Il liscio sentendosi chiamare in causa distolse lo sguardo dalla farfalla sullo stomaco di Harry e guardò negli occhi i due.
“Come?”.
Il riccio gli si avvicinò e gli baciò le labbra, facendo sorridere Louis.
“Puoi restare qua a dormire oggi”, disse Harry, accarezzandogli una guancia con un sorriso dolce “se-- se vuoi ecco”. Il riccio arrossì, ma non si allontanò dal viso dell’altro ragazzo.
“Certo, dopo vado a chiedere a mia mamma, quando torniamo da scuola, okay?”.
Harry annuì.
Erano talmente presi dal loro momento che nemmeno si erano accorti che Anne era uscita di casa.
A Louis dispiacque di non averla salutata, ma le labbra di Harry erano di nuovo sulle sue e quindi non era realmente importante.
Il riccio si staccò, un sorriso dolce sulle labbra, mentre Louis teneva gli occhi chiusi e si leccava le labbra, sentendo ancora il sapore di Harry.
“Cosa vuoi, amore?”, gli chiese il riccio, “Ho i panini per fare dei toast o sennò latte con i cereali, mh?”.
Louis annuì e disse: “Mi fai pancake?”.
Harry annuì e poi si mise ai fornelli.
Il liscio poggiò la testa tra le braccia e guardò Harry preparare la colazione.
Dopo qualche minuto Harry scosse la spalla di Louis e si sedette affianco a lui e immerse il cucchiaio in una delle due tazze con il latte e i cereali che aveva portato, sorridendo. Louis si accigliò. “Haz, ma che fai?”.
Gli aveva chiesto i pancake.
Il riccio sorrise di più e poi allungò il cucchiaio verso le labbra di Louis che le spalancò e si lasciò imboccare. Mandò giù e poi rise, Harry invece lo guardava con tutto l’amore possibile negli occhi. Non fece domande sul perché Harry gli avesse fatto il latte.
Mangiarono così e poi Harry andò finalmente a mettersi una maglia e andarono a scuola.
Quando varcarono la soglia Louis perse la sicurezza che di solito aveva, ma Harry era lì accanto a lui per proteggerlo, per questo camminò con la testa alta e le dita incastrate con quelle del riccio.
Harry era  il suo super umano, visto che un supereroe non poteva esserlo.
Quest’ultimo infatti lo accompagnò fino alla sua classe, dove gli lasciava un dolce bacio sulle labbra e gli augurava la buona giornata. Era sempre così, la loro routine.
Le lezione praticamente volarono e le due lo portarono di nuovo sulla moto di Harry. Già, aveva pure una moto con la quale portava in giro Louis praticamente ovunque.
Strinse le braccia contro lo stomaco del riccio e appoggiò la testa coperta dal casco sulla schiena di Harry, che sorrise.
La strada non era molto lunga e il casco era uno solo, per questo Harry lo lasciava a Louis. Perché nonostante lui fosse sempre prudente quando guidava, non si sapeva mai che cosa avrebbero potuto fare gli altri in strada.
Harry però non poteva sapere che girando l’angolo una macchina sarebbe passata a tutta velocità prendendoli in pieno. Non poteva sapere che sarebbero volati dall’altra parte della strada. Non poteva sapere che quello senza casco avrebbe rischiato grosso. Non poteva saperlo tutto questo, ma accadde.
Girò l’angolo per entrare nella loro via e una macchina a tutta velocità li prese in pieno, in uno scontro frontale. Loro due per la forza d’urto volarono oltre la macchina picchiando a terra, la moto rimase incastrata nella macchina, ancora in piedi, ma prima che il guidatore potesse uscire l’auto esplose in fiamme, bruciandolo vivo.
Harry non poteva sapere nulla, la testa che bruciava come se andasse a fuoco.
L’unica cosa di cui era certo era che Louis non si era fatto nulla. Prima del buio infatti vive due occhi azzurri pieni di lacrime che lo guardavano preoccupati, una voce nell’aria a ripetere una frase.
“Ti amo Harry, i super Umani non muoiono, ricordi?”.
 
 
 
“È colpa mia”. “No, non lo è”. “Voi non lo sapete, è colpa mia”. “No, Louis, è solo che sei traumatizzato, non è colpa tua”. “Lo è, voi non lo sapete”.
Le conversazioni con Louis Tomlinson erano diventate quelle da due mesi a quella parte. Lo psicoterapeuta aveva provato tutte le cure per il Disturbo da Stress Post-Traumatico, ma Louis era anche Ossessivo Compulsivo e non c’era molta da fare per quello. Così alla fine aveva ceduto e gli aveva date degli anti-depressivi e gli aveva detto di prenderne una al mattino e una alla sera.
E così Louis faceva.
Al mattino si svegliava nel letto di Harry, a casa Styles, toglieva i calzini neri che usava per dormire e metteva quelli bianchi, controllando che fossero puliti almeno quattro volte. Dopo si sedeva in cucina esattamente tre minuti, fino  a quando non arrivava Anne e gli diceva che andavano da Harry.
Scendeva sempre dalla parte destra della sedia e prima di uscire si lavava le mani, senza sapone perché poi non riusciva a smettere e andavano all’ospedale.
Louis entrava nell’edificio con il piede sinistro e nella camera di Harry con quello destro, impiegando 142 passi.
Andava poi a sedersi alla sua sedia, contando i battiti del cuore di Harry.
1, 2, 3 ,4, 5…
“Buongiorno Louis,” disse l’infermiera che controllava sempre il riccio “sei arrivato prima oggi”.
8, 9, 10, 11…
“No, come sempre, sono le 8 e 33 minuti, come tutte le mattine”.
14, 15, 16, 17, 18…
“Okay”, rispose lei allegra, andandosene.
Louis poggiò la testa sul petto di Harry continuando ad ascoltare i battiti, contandoli.
È colpa mia. Dovevi farmi i pancake. È colpa mia.
Gli occhi gli si riempirono di lacrime. Il rumore dello schianto si ripeteva nella sua testa come se lo stesse rivivendo ancora una volta.
Si allontanò da Harry come se anche solo toccandolo, potesse peggiorare la situazione. Ed è così, gli disse la sua testa, è così.
il vento sulla faccia. il cuore in gola per l’adrenalina della moto. l’urto. la spinta verso il nulla. la botta a terra. il sangue la paura le urla il dolore.
Sentì che gli veniva spinto qualcosa di piccolo in bocca e poi del liquido fresco gli scorreva per la gola, insieme al piccolo oggetto. Spalancò gli occhi e non era su una strada, con del sangue e il corpo inerme di Harry, no. Harry era lì e sarebbe stato bene.
Sentì quasi un serpente scivolargli nello stomaco e agitarsi, quindi si alzò e cominciò camminare in cerchio. Contando i battiti del cuore di Harry al ritmo con i suoi passi.
Non ringraziò Anne per la pillola , ma non gli importava.
Continuò a camminare e contare fino a quando arrivò a 8mila. Non seppe fino a quanto contò, ma  Anne stava dormendo con la testa poggiata sulla spalla del figlio.
Si sedette per terra con un foglio e una penna e… non seppe quello che stava per disegnare perché Harry aprì gli occhi e lo chiamò.
“Louis”, una voce, quella di Harry, ma non veniva da Harry. Era come se fosse fuori.
Fuori da dove?
“Svegliati, Louis”.
Fuori? Svegliati?
“Ti ho fatto i pancake, amore”.
Louis aprì gli occhi, guardando davanti a sé.
Harry gli stava accarezzando la fronte, baciando dove la sua mano era appena passata.
“Ciao, amore”, sussurrò, mettendo le braccia attorno al collo del ragazzo riccio e baciandogli con dolcezza le labbra.
Harry sorrise nel bacio e poi si staccò, poi finalmente mangiarono quegli tanto agognati  pancake.
“Harry?”.
“Hm?”
“Oggi non andiamo a scuola in moto”.
“Perché?”.
“Tu non hai un casco”.
“Okay, prendiamo il tram”.
Louis sorrise e poi diede un morso al suo pancake. 
  
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