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Autore: Manto    30/07/2015    28 recensioni
Una regina che non si da pace, e piange in ogni istante il suo sposo lontano.
Un re, che gli Dei hanno maledetto.
E infine l'Amore, che salva, o distrugge.
Tra Dovere e Sentimento, oltre i confini della Morte.
Storia di Laodamia.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Immortali'
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Regina di Lacrime




Mentre vago per i corridoi di questa casa straniera, i servi mi fissano con timore e dopo qualche istante abbassano il capo.
Dicono che sia bella: bella non come la rosea alba ma come un fiore autunnale, che profuma sempre di più, mano a mano che si avvicina l'inverno; bella come l'estremo canto del cigno, il più dolce e triste, che strugge il cuore dei guerrieri. Di questo io sono fatta: di Bellezza, e di Morte.
Loro mi chiamano Regina, si inginocchiano ai miei piedi, mi sfiorano il velo e le mani. Io li guardo a malapena e desidero essere altrove, essere nessuno.
Proseguo nel mio cammino, entro nella sala del trono; vi è qui un soffitto incompiuto, e sotto di esso splende, come e più del Sole, il trono del mio signore. Rifulge come una gemma, vuoto come essa.
Accanto, un altro trono senza significato.
Ma ecco: una porta si apre e il Re entra nella sala, avvolto in vesti dorate. Ma non sei tu, amore mio; non puoi essere tu, non sei mai tu.
Io rimango a fissare quell'immagine ingannatrice, frutto della mia follia, per qualche istante; infine me ne vado, silenziosa e cupa come l'ombra che sono diventata.

Queste sale non saranno mai la mia casa: chiamerò per sempre dimora i corridoi bui che percorro senza fermarmi, gemendo, e il talamo che tu non condividerai più con me.
In esso mi rifugio; in esso mi spoglio e indugio nei ricordi di quella lontana notte nella quale ho potuto stringerti a me, mio amato, e il tempo scorse così velocemente che mi sembrò di stringere al petto un fiore, e non un uomo.
Lì ripenso a lungo alla prima volta che ti vidi, quando il tuo nome era ancora Iolao [1] e tu non eri ancora il primo, e il Destino era una tenebra lontana.
Ricordo la tua nera nave che approdava al porto e io che correvo fuori dal palazzo, scambiandola per quella di mio padre.
Ricordo il primo sguardo che ci scambiammo, io che ti fissavo pensando che il Lossia [2] fosse sceso tra gli uomini, tanto eri bello, e tu che non osavi parlare.
Passasti quella notte nel mio palazzo in attesa del sovrano, e quando la Luna era a metà del suo viaggio io entrai nella tua camera.
Tu ti rizzasti a sedere nel letto, in attesa, e io, piena di pudore ma anche di passione, cantai un epitalamio. Tu sorridesti, i tuoi occhi rifulsero come astri. “Ho poco da offrirti, bellissima Laodamia: la mia Filace è povera, non posso neanche compararla alla tua Iolco. So di essere giunto qui senza alcuna speranza di portarti alla mia dimora come amata sposa, ma ora che ti ho vista te lo prometto: un giorno tu sarai mia e io sarò tuo.
Gli Dèi siano testimoni di questo amore: io ardo per te, figlia di Acasto.”
E fu allora, in quelle parole sussurrate e custodite nel cuore, che divenimmo sposi.

Non piansi quando mio padre, raggiunto il palazzo, rifiutò di concedermi a te, umiliandoti e rivolgendo malevole parole della sconosciuta città; non piansi quando la tua nave si allontanò dalla nostra spiaggia e le serve mi circondarono, mi trattennero nelle mie camere perché non corressi da te. Sapevo che tu saresti ritornato.
Ma la tua nave non ricompariva, i giorni morivano e rinascevano senza portarmi alcuna traccia di te, e già allora io avrei dovuto sapere. Già allora il Destino chiamava, e noi non lo sentivamo.
Infine, un giorno, mio padre partì di nuovo, e al suo ritorno ordinò ai servi di mandarmi a chiamare.
Obbedii, e quando lo raggiunsi lui mi porse un velo.
Le mie mani tremarono: era il mio velo nuziale. Stavo per diventare una sposa.
Salii sulla nave, pallida e tremante, non osando pensare a chi potessi andare in moglie, non osando sperare che fosse tua la casa in cui sarei entrata, tuo il talamo in cui avrei perso la mia purezza.
Ma gli Dèi avevano cara la tua promessa: e ad aspettarmi, alla fine di quel tormentato viaggio, c'eri tu. E allora osai essere felice, osai piangere mentre mi aiutavi a scendere e mi stringevi a te.
“Forza, non abbiamo tempo!”, urlò mio padre, trascinandoci verso il tuo palazzo, dove i servi si affannavano per preparare la nostra stanza.
Mio dolce amore, la colpa fu mia, tutta mia. Io osai paragonare la mia felicità a quella dei Beati; io li irritai, non tu, quando dimenticasti, per la gioia e la fretta, di sacrificare a loro.
E finalmente le porte vennero chiuse, e nel buio di quella camera rimanemmo solo io e te. Io tesi una mano avanti a me, respirando piano, e tu la prendesti. Con i baci sciogliesti ogni mio virginale pudore, come la colomba spinge il suo compagno all'amore beccandolo dolcemente sul collo.
Ci addormentammo con la melodia delle cicale nelle orecchie, le mani intrecciate; ma al mattino, invece del canto degli usignoli, un richiamo ben più lugubre ci svegliò: “Vieni, re di Filace, sposo di Laodamia! La flotta ti attende!”
Io mi misi a sedere, ti presi il volto chiedendoti cosa stesse succedendo. Era ancora buio, eppure io vidi le lacrime scorrere sul tuo viso. “Perdonami, mia amata.”
Mi accarezzasti il ventre, dicendo: “Non mi dimenticare.”
E io per un istante strinsi il tuo petto al mio, l'istante dopo solo aria.
“Iolao, no, aspetta!”, dissi, e ti rincorsi per i corridoi della nostra dimora non ancora finita. Uscii del palazzo accanto a te e vidi quaranta navi pronte sul lido, la tua in testa.
Tu mi guardasti, mi baciasti i capelli. “Ritornerò”, dicesti asciugandomi le lacrime. Io ti accompagnai fin all'ombra della prua, restai a guardarti partire; svenni, quando le navi scomparvero, e morii, morii allora.
Mio Iolao... se avessi saputo, che in cambio della mia mano tu saresti dovuto partire per Troia, al posto di mio padre.
Se solo avessi saputo, ti avrei ucciso io... per poi volgere la lama contro di me.

Attesi a lungo, per notti e giorni, che tu ritornassi da me. E alla fine tu ritornasti davvero... ma non eri più tu.
Una voce, rotta dal pianto, mi chiamò. La tua.
“Amata Laodamia, Laodamia bella... non mi dimenticare!”
Compresi. Il mio urlo di dolore, le mie lacrime impietosirono anche queste mura.
Lo sai, lo sai che piansero anche loro, con me?


Guardatela, la vostra Regina. Non sa proteggervi, non sa amarvi; lei ama solo il suo Iolao, che ora chiamano Protesilao. Neanche il tempo di sbarcare e già eri morto, ucciso dalla lancia del crudele Ettore.
Guardatela, lei che ama solo soffrire. Ogni giorno si prostra ai piedi della statua di Persefone, la Dea che reca la Primavera, la Regina Oscura nel cui regno vaga anche il suo amato.
La prega sempre, sempre, affinché Lei e il suo invisibile sposo [4] le concedano di rivedere il suo giovane marito anche solo per un istante; oppure, di prendere anche lei.
Numi, voi che non conoscete pena... ridatemi il mio Iolao.
Odo un rumore. Mi blocco, mi volto con lentezza.
Il mio amato è dietro di me e mi fissa, bello come quando l'ho visto per l'ultima volta. Io non mi reggo in piedi, cado a terra, e lui mi accoglie tra le sue braccia. Tremante, levo una mano verso il suo viso. No, non è un'immagine della mia mente; lui è vero, tu sei davvero qui con me, amato viso, amato Spirito, amato mio sposo!
“Tre ore mi concedono i sovrani degli Inferi; tre ore, per rimanere al tuo fianco”, sussurra il mio signore, e copiose lacrime lasciano i miei occhi mentre mi prende tra le braccia e mi porta nella nostra camera.
Nuovamente, le porte si chiudono; nuovamente, esistiamo solo noi due.
Io sospiro. “Dimmi che non sei un Dio venuto a strapparmi un atto d'amore sotto le spoglie di chi amo.
Abbi pietà del mio dolore, se non sei il mio sposo.”
Lui sorride, e la stanza si riempe di dolcezza mentre canta l'imeneo [3] segreto che io stessa gli cantai.
Ancora, il tempo crudele non si ferma, ma corre, corre veloce. Iolao si stacca da me riluttante e si riveste; riveste anche me, che non ho il coraggio neanche di guardarlo. Non posso resistere senza di lui. Come farò?
Mi sistema i capelli, e dopo averlo fatto le sue mani scendono lungo le mie braccia. “Vieni con me. Le mie lacrime tormentano la casa di Ade e sono tutte per te. Seguimi, e dammi la pace.”
Io tremo, lui mi prende tra le sue braccia. “Ti prego, mia regina. Non voglio perderti ancora.”
Una sottile nebbia inizia a circondarlo e io comprendo che è il momento che lui ritorni all'Averno. Non prendo tempo: Amore guida la mia mano, e afferrato il suo pugnale mi lacero le carni. Il sangue esce copioso, il dolore è spaventoso.
“Tra pochi istanti smetterai di soffrire”, dice Iolao baciandomi il volto e il collo, stringendomi mentre agonizzo. La nebbia avvolge anche me e sorridiamo entrambi, abbracciandoci.
Ciò che le nere ali di Thanatos [5] hanno un tempo separato, ora hanno unito per sempre.



NOTE
[1] Il nome Protesilao venne dato all'eroe dopo la morte e significa “primo fra tutti”, in quanto fu il primo a cadere a Troia.

[2] Epiteto di Apollo: significa “obliquo” e fa riferimento all'enigmaticità dei suoi oracoli.

[3] L'epitalamio e l'imeneo erano due canti che venivano intonati dal corteo matrimoniale, quando la sposa veniva condotta alla sua nuova casa.

[4] Epiteto di Ade e significato del suo nome, in quanto vive nascosto da tutti nel grembo della terra e possiede il magico elmo che rende invisibili, qualora indossato.

[5] Dio greco della Morte.


ANGOLO DELL'AUTRICE
Salve a tutti!
Era da un po' che volevo fare una storia sulla mia eroina preferita, la dolce Laodamia, e sul suo sfortunato marito, ma una sorta di incomprensibile ritrosia mi aveva sempre frenato; beh, alla fine non le ho dato retta ed ecco la storia. Il finale non è stato inventato (molti conoscono la versione del manichino di cera), ma ho scelto la versione meno nota perché più romantica (perdonatemi, ma io sono un tipo dolcissimo).
Dopo essersi tolta la vita, Laodamia diventa una delle tre "regine di fedeltà", insieme ad Alcesti e ad Evadne, la moglie di Capaneo che si gettò tra le fiamme della pira funebre dell'eroe.
Filostrato, nel suo "Eroico", dice che i due amanti nell'Ade trovarono la felicità che non avevano avuto in vita.
Se volete saperne di più su questo mito vi consiglio inoltre le “Heroides” di Ovidio e il Carme 68b di Catullo, che ho ripreso molto.
Spero che la storia possa piacervi :)

Manto

   
 
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