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Autore: PeaceS    31/07/2015    1 recensioni
Harry Jacksonville è un agente della Direzione delle "Operazioni Speciali", a cui oramai ha dedicato la sua intera esistenza; il suo irrimediabile sprezzo per le regole e l'odio profondo che gli cresce dentro quando sente anche solo nominare Mattew Morrison - uno spacciatore internazionale - lo portano a dover compiere una missione.
Diana Prince è la fidanzata secolare di Morrison. Dalla tenera età di undici anni non si è mai staccata da lui e vive oramai nella sua ombra: altezzosa, terribilmente so-tutto-io, orgogliosa e caparbia, è colei che lo porterà faccia a faccia con il suo nemico di sempre. Faccia a faccia con l'uomo che gli ha portato via tutto.
Diana Prince è il mezzo per arrivare al fine... ma come fare se, dovendo fingere d'amarla, l'amore arriva davvero?
Harry allora dovrà combattere contro l'odio del suo nemico, l'amore che prova per lei e l'ossessione che Mattew Morrison prova per l'unica donna che abbia mai amato in vita sua, scatenando così una guerra fredda quasi impossibile da combattere.
Genere: Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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To be the Bad Man


 

 

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Il Metropolitan Police Service era un grattacielo composto da numerose finestre a specchio – i cui piani ospitavano le varie direzioni e corpi del Met.
Situata a New Scotland Yard, Westminister, il via-vai incredibile delle autorità aveva oramai reso caratteristica la via che ospitava l'edificio, attirando sguardi meravigliati e bocche socchiuse... le stesse che si erano ritrovate sul viso di Harry Jacksonville anni prima, quando aveva varcato quella soglia determinato, con una sete di vendetta da corrodergli il sangue nelle vene – e che erano andate a sfumare una volta che quel posto era diventato casa.
Come potevano degli uffici asettici, impersonali, diventare casa?
Più volte, Harry, aveva chiesto ai suoi colleghi cosa provassero e quasi tutti avevano risposto che sì, avrebbero dato la vita l'uno per l'altro... ma una volta tornati a casa, una volta sorpassata quella soglia, niente di quell'edificio li ossessionava.
Quelle poltrone, le scartoffie, la lavagna e le foto degli indagati, le porte di legno, il pavimento di piastrelle gelide, niente di tutto quello li stalkerava una volta tornati a casa. E questo lo terrorizzava. E questo gli monopolizzava la vita.
Era così strana e bastarda la vita, quando voleva; era passato da essere un ragazzino di strada ad un agente della Direzione delle Operazioni Speciali – quelle che riguardavano casi particolarmente difficili, collegati a livello internazionale.
Operazioni Speciali, come quelle che riguardavano il suo passato. Operazioni Speciali, a cui oramai aveva dedicato la sua intera esistenza.
“Quindi, se riesci ad avvicinarti a lei, è fatta”
Harry alzò gli occhi verdi su Jhonatan Picker, il capo della Direzione, e si trattenne a stento dal storcere la bocca sottile in una smorfia.
“Lei è impazzito” soffiò divertito, scuotendo il capo e scostando infastidito una ciocca di capelli neri dagli occhi.
Aveva esposto orgoglioso il suo piano e dire che aveva architettato tutto nei minimi dettagli era un eufemismo: ogni sfaccettatura era stata calcolata con una minuziosità che metteva i brividi e Jhon era più che fiero. Poteva considerare quell'idea quasi alla stregua di uno dei suoi figli e non se ne vergognava nemmeno minimamente.
E lui aveva osato rispondergli in quel modo. Come se poi lui avesse scherzato.
“Vuoi essere licenziato?”
Jhonatan Picker aveva cinquant'anni e faceva quel lavoro da quando ne aveva venti: lui stesso era stato una recluta, per passare di grado ad ogni vittoria ottenuta e arrivare lì, con il culo ben saldo sulla sua poltrona di velluto rosso; ne erano passati di mocciosi sotto le sue grinfie, ma, chissà perché, quel particolare ragazzino gli stava simpatico.
All'inizio lo aveva messo alla prova con le missioni più difficili ed era stato felice di constatare che ci aveva visto giusto: Harry Jacksonville aveva la stoffa del poliziotto e svolgeva il suo lavoro egregiamente. Dopo cinque anni era ancora una recluta, ma in compenso Jhon gli voleva bene come un nipote particolarmente ribelle.
“No, signore” rispose Harry, abbassando il capo in modo ossequioso ma continuando a tenere alte le sopracciglia.
Sembrava davvero prenderlo per il culo e Jhon chiuse il ponte del naso tra pollice e indice, irritato.
“E allora non discutere i miei ordini, Jacksonville!” ringhiò infastidito, fissandolo con gli occhi neri chiusi in due fessure.
Maledetto ragazzino insolente! Prima o poi lo avrebbe fatto arrabbiare così tanto da causargli un infarto. E insolente com'era avrebbe sicuramente attutito la cosa adducendo la colpa ai suoi nervi troppo tesi e al lavoro troppo stressante.
“I suoi ordini sono assurdi, Signore” sibilò Harry, passandosi una mano tra i capelli neri e disordinati e incrociando le braccia al petto.
Jhon assottigliò ancora di più lo sguardo.
“Cosa avrebbero di assurdo, me lo spieghi?”
Nonostante il trentenne ostentasse un espressione assolutamente calma e i suoi toni fossero bassi, Jhon sbraitò come se stessero discutendo della morte di sua moglie. Le sue guance divennero paonazze e mancava poco perché cominciasse a lanciare bestemmie e a mandare giù il paradiso.
“Devo sedurre la fidanzata di uno dei più pericolosi spacciatori di droga internazionali e lei ha anche il coraggio di chiedermi cos'ha di assurdo la sua idea?” la voce di Harry salì di qualche ottava e l'uomo si trattenne dal acciaccarlo con la sua preziosa statuetta in oro, che lo decretava miglior papà del mondo.
Per calmarsi si arricciò il ciuffo sale e pepe che la mattina sfuggiva ai suoi chili di gelatina e si chiese perché quel piccoletto stesse facendo tante storie: insomma, la ragazza non era nemmeno tanto brutta!
Lui, in passato, aveva fatto di peggio. E per peggio intendeva infilare le mani nel reggiseno di un ottantenne per recuperare delle informazioni vitali per la cattura di un pericoloso criminale.
Pericoloso criminale che era suo figlio e che non ci aveva messo molto a mandare in galera per le avance di quel bel giovanotto.
“E non inizi con la storia della vecchiaccia! Solo perché ha funzionato una volta, questo non vuol dire che vada a segno di nuovo” sbuffò il ragazzo, alzando gli occhi verde smeraldo al cielo e chiedendosi cosa avesse fatto di male per meritare un capo così... così... strano. E psicotico. E malato di mente.
Conquistare la donna di un malavitoso e farsi dire tutto ciò che lo riguardava! Ma quanti film aveva visto, quello lì?
“Diana Prince è una ragazza abbastanza insicura e sembra proprio che, per colpa del proprio lavoro, il suo uomo non le dedichi tante attenzioni” soffiò Jhon, sedendosi e mitizzando la sua immensa stazza.
Alto un metro e novanta per cento e passa chili, era sempre stato un poliziotto abbastanza temuto e lui era molto fiero di questo: le reclute pendevano dalle sue labbra, i superiori lo paventavano proprio come i suoi nemici e tutto andava come doveva andare. Tranne con lui.
La sua piccola e fastidiosa spina nel fianco.
Harry Jacksonville aveva trent'anni, era alto un metro e ottantadue, ne pesava settanta e lo odiava quasi come le sue pillole per il cuore: abbastanza aitante, con quel sorriso malandrino e quella strana cicatrice sulla fronte, conquistava la maggior parte delle persone, ma non si faceva passare la mosca per il naso.
Aveva da ridire su tutto e più di una volta era stato sul punto di rimandarlo a casa con un calcio nel culo. Era capriccioso, impulsivo, ma fin troppo bravo in quello che faceva... quindi, per lui, indispensabile.
“Non mi sembra così insicura” sbottò Harry, acido, guardando la foto della ragazza attaccata alla parete di fronte con occhio critico.
Sembrava felice, sicura e... quasi altezzosa. Il naso all'insù, i capelli riccissimi e sciolti sulle spalle fragili le donavano l'aria di un leone pronto a sbranare. La pelle olivastra, la bocca rosa e carnosa, gli occhi così grandi e bruni che sembravano inghiottire al primo sguardo. Harry la fissò, sospirando pesantemente.
“Fallo e basta, Jacksonville!” ringhiò il capo, scuotendogli la mano davanti al naso come se stesse scacciando una mosca molesta.
Stronzo, pensò con un sorriso arcigno.
“Bene. Perfetto.
Ottimo. Va bene. Come vuole lei!” gli urlò in faccia Harry, alzandosi di scatto e ignorando il tonfo che produsse la sedia quando cadde alle sue spalle.
L'ufficio era sobrio: scrivania di mogano scuro al centro della stanza soleggiata, due grandi finestre sulla sinistra e l'archivio in ferro battuto che conteneva i fascicoli dei criminali al centro degli infissi; una piccola biblioteca alle spalle del Capo, piastrelle bianche sul pavimento e infine una lavagna. Una lavagna che prendeva tutta la sua destra e conteneva le fotografie di lui.
Lui, che era arrivato a sfiorare così tante volte, ma era riuscito a scappare sempre all'ultimo secondo.
Lui, ricercato da tutta l'Inghilterra, ma invisibile. Scompariva con la stessa velocità con cui appariva ed Harry lo odiava.
Ah, se lo odiava.
Mattew Morrison era una maledetta spina nel fianco da più di quattro anni. E lui non riusciva a trovare un metodo per eliminarlo o incarcerarlo. Non riusciva a trovare un metodo per acchiapparlo e strozzarlo con le sue stesse mani.
Lo odiava. Ah, se lo odiava.
Harry si bloccò al centro della Sala, rovesciando il capo alla sua destra e guardando con aria assente più di mille foto accatastate l'una sull'altra: quei capelli biondi, sporchi di sangue, che illuminati dal sole erano oro diluito. Gli occhi grigi – plumbei – intrisi di cattiveria, di odio, erano due lastre di ghiaccio pronte a ferire. Pronte a gelare l'animo di chi osasse fissarli troppo a lungo.
L'incarnato pallido – albino – chiazzato di rosso, la bocca sottile e rosea. Il mento appuntito, rotto da pugni d'odio puro, e il naso dritto. Alto, snello – dalla postura retta come quella di un principe.
Lo odiava. Lo aveva odiato.
“Lo prenderemo, Harry” bisbigliò Jhon, alle sue spalle, posandogli una mano sul braccio in segno d'affetto.
Non lo sentì. I suoi occhi sembravano bere l'immagine di quell'uomo, di quella bestia e il suo cuore si stava lasciando cullare dalla furia – dalla rabbia, dall'ira che solo l'immagine di lui gli provocava.
Gli aveva portato via tutto. Mattew Morrison gli aveva portato via il bene ed Harry aveva dimenticato cosa fosse il perdono – con lui.
Aveva dimenticato come fosse fatto l'amore – con lui. Per paura di lui e infondo non era male l'idea di Jhon.
Diana Prince era chiamata, nella sezione Narcotici e nella Direzione delle Operazioni Speciali, letteralmente “l'intoccabile.” Chiunque seguisse il caso di Morrison sapeva che lei era il suo diamante, un perno quasi indicibile nella sua vita.
Si conoscevano dalla tenera età di undici anni e da allora, aveva detto un loro informatore, erano stati inseparabili.
Dove c'era uno non mancava l'altro – ma nonostante l'avessero tallonata, pedinata e quant'altro, non erano mai riusciti ad acciuffare quel maledetto.
Lui la amava in un modo quasi ossessivo, gli avevano detto una volta.
Era come se, amandola troppo, avesse cominciato ad odiarla.
“Domani definiremo tutti i dettagli del piano... e alle nove entreremo in azione” gli comunicò il Capo, allontanandosi e ignorando il sorriso che aveva curvato le labbra sottili di Harry.
No. Infondo non era male il piano di Jhon.
Toccare l'intoccabile, scalfire il diamante più prezioso di Mattew era troppo allettante per rifiutare – ora che ci pensava – e sarebbe stato solo una parte dell'occhio per occhio che gli spettava.
Fece scivolare gli occhi smeraldini via dall'immagine di lui e li posò sul viso di lei – pulito e imperfetto, come tutte le cose perfette del mondo dopotutto.
“Perfetto” rispose, andando a toccare la collana d'oro bianco che gli pendeva dal collo e sancendo, così, quasi una promessa.
Quella di strappare il bene a Mattew Morrison... e, dopo averlo reso suo, spezzarlo come quel maledetto aveva spezzato il suo.

   
 
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