Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler
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Autore: Sofyflora98    31/07/2015    2 recensioni
Sofia è una ragazza apparentemente comune, ma un incidente avvenuto in un pomeriggio di settembre, dopo la scuola, le svelerà la sua vera natura: lei è un'Astral, una persona che riesce a rendere reale ciò che non esiste. E' stato in seguito a quell'incidente che venne coinvolta nell'Astral project, l'associazione che gestisce e tiene sotto controllo questo strano fenomeno. Tra maggiordomi diabolici, dei della morte fiammeggianti e creature mostruose, Sofia scoprirà un mondo interamente nuovo, iniziando a comprendere meglio la vera natura della fantasia umana e dei sentimenti che si può provare per qualcosa che non esiste. O almeno, che fino a poco prima non esisteva.
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Grell Sutcliff, Nuovo personaggio, Sebastian Michaelis, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Ancora niente? - domandai per l'ennesima volta.
Sara scosse la testa. Era passata quasi una settimana dal nostro ritorno nel mondo odierno, e dalla scomparsa di Sebastian. Mi aveva detto che per trovare il palazzo di Black Lady mi bastava guardare, e quindi ci eravamo messi d'impegno a controllare tutto il controllabile su ogni tipo di rilevatore nei nostri computer. Spesso, addirittura stavamo a guardare cosa accadesse fuori, ad occhio nudo. Ma nulla era accaduto.
Speravo, pregavo addirittura nonostante il mio convintissimo ateismo, che accadesse qualcosa. Non ce la facevo a restare lì impalata senza far nulla, come una scema. Mi sentivo impotente ed inutile. Loro, chiunque corrispondesse alla definizione “loro”, avevano il mio Grell. L'idea che qualcuno all'infuori di me potesse toccarlo mi era repellente. Non si trattava di una qualche forma di gelosia, o solo di timore per ciò che avrebbe potuto accadergli nel frattempo.  Era un fortissimo disgusto per le creature che avrebbero osato mettere le mani su di lui anche solo per farlo spostare. Non potevano che essere ripugnanti paragonati a lui, e anche paragonati a qualunque di noi. Lui era qualcosa che non avrebbero dovuto nemmeno vedere. Era come se venisse dato un diamante nelle mani di qualcuno che non ne comprendesse la bellezza, o non capisse il motivo del suo valore. Per me era come un diamante: non aveva necessariamente un'utilità pratica, ma era splendido e raro. E io mi sentivo in obbligo di proteggerlo. Cosa che non ero riuscita a fare. Avrei dovuto tenerlo vicino, quando ero andata a parlare con Simon. Avrei dovuto fidarmi a sufficienza da parlare di Alicia davanti a lui, e invece non l'avevo fatto, e mentre Grell era distante da me, Sebastian ne aveva approfittato.
Da giorni avevo i nervi a fil di pelle, e scatti di rabbia isterica con chi non era sufficientemente cauto nel parlarmi. Tranne che con Simon. In questo ora eravamo simili. Lui era cambiato. Dall'uomo pacifico e amichevole che era, ora gli si leggeva una sete di vendetta implacabile negli occhi, che avrebbe potuto spegnersi solo se io avessi sterminato il demone e chi con lui combatteva per Black Lady.
E non era tutto lì. Alcuni Astral erano andati fuori per una piccola ricognizione. Solo uno era tornato indietro, balbettando di una belva terrificante che aveva preso gli altri. Senza ucciderli, però. Li aveva solo presi. E con questo facevano altri cinque ostaggi.
Tra gli scomparsi c'era anche Giorgia, la ragazza Astral di un anno più vecchia di me, che spesso mi aveva accompagnata nelle caccie al demone. Fu un altro duro colpo. Mi ero affezionata a lei, eravamo diventate amiche. L'avevo confortata quando era morta Lulu, che lei conosceva da molto tempo prima di me. Mi aveva spesso sostenuta contro i mostri, creando giochi illusori per confonderli mentre io li attaccavo alle spalle. Anche lei scomparsa, e in chissà quali condizioni, per via di una psicopatica.
Provavo a distrarmi meditando su chi o cosa Alicia stesse tentando di evocare quando è stata uccisa in quel modo brutale, ma né io né altri avevano un qualche indizio in proposito. L'unica cosa che ero riuscita a vedere era una chiazza scarlatta sul pavimento, probabilmente sangue, un viso talmente pallido da sembrare morto e due grandi occhi spaventati. Ma l'immagine era confusa e sfuocata, per cui non mi era di grande aiuto. Non avevo capito nemmeno se si trattasse di un maschio o una femmina. Potevo escludere uomini alti e muscolosi, perché mi sembrava piuttosto esile e minuta, quella creatura, e i bambini, perché comunque mi parve troppo allungata per un infante. Quindi un ragazzo o una ragazza dagli arti sottili e la pelle bianchissima. Anche quest'ultima non mi aiutava, perché c'erano unna quantità esorbitante di personaggi immaginari dalla carnagione pallida. Evidentemente riscuoteva successo.
Non tornai a casa. Ci andai una volta, accompagnata da alcuni funzionari dell'associazione, e facemmo un piccolo trucco di illusione cerebrale, o qualcosa del genere, perché i miei genitori scordassero la mia momentanea sparizione e non facessero caso alla mia assenza futura. Avevano già fatto ceder loro ad una storia riguardo una gita scolastica precedentemente, e con la magia avevano fatto sì che ci credessero, ma non poteva durare in eterno, così avevamo pensato ad un piano più efficace. Finché quella piccola guerra non fosse finita, non avrei avuto tempo per la mia vita normale.
Pensa di più! mi dissi.
Mi sedetti sul bordo di una delle lastre di marmo che fungevano perlopiù da panchine. Negli ultimi giorni avevamo modellato magicamente l'interno della fabbrica, rendendolo simile alla sede dell'associazione. Avevamo creato più stanze e più piani, senza che dall'esterno si potesse notar nulla di strano. Era una specie di illusione ottica, di inganno visivo. Ora l'arredamento era tutto completamente bianco e grigio chiaro, abbagliante.
Un luogo in cui si riusciva facilmente ad estraniarsi e focalizzare la mente su qualcosa. Tranne che nel mio caso. Mi faceva mal di testa, tanto cercavo di tirare fuori qualcosa dalle poche informazioni e dai minimo indizi che avevo. Non volevo credere che non potessi far nulla,  e se solo avessi saputo cosa voleva evocare Alicia, mi avrebbe aiutata a capire intanto perché Sebastian ne fosse stato così geloso.
- Sofia, smettila di affliggerti, e va a dormire. Non dormi da due giorni, ormai. Magari gli altri non se ne sono accorti, perché sei forte e brava a mascherare la stanchezza, ma io non sono così cieca. L'empatia è la mia specialità di Astral – mi disse Sara, alzatasi dalla sua postazione davanti agli schermi dei computer, e inginocchiatasi davanti a me per riuscire a guardarmi in faccia. Io scossi la testa. Non avevo bisogno di riposarmi, stavo benissimo. E comunque, non sarei riuscita a dormire neanche se mi fossi riempita di sonniferi. Avevo quasi l'impressione di sentire il rumore del mio cervello che lavorava.
- Smettila di preoccuparti per me. Non sono io quella che è prigioniera di una folle malvagia. Non sono io quella che in questo preciso momento potrebbe essere sotto tortura. Dovrei anzi impegnarmi di più per trovare il palazzo di Black Lady, invece che stare qui a gingillarmi -
- Non dire sciocchezze! Se ti stremi non ci sarai di alcun aiuto! -
Non capiva. Lei non capiva, come poteva dirmi cosa dovevo fare? Aveva forse anche lei un ragazzo preso in ostaggio? No, non aveva nemmeno un ragazzo. Non avevo alcuna intenzione di ascoltare le parole di qualcuno che non riusciva a capire cosa si prova quando la persona a cui si tiene di più è in pericolo di vita. O quanto fosse tormentoso il pensiero che si sarebbe potuto evitarlo, e che non si ha la più pallida idea di come rimediare. Sapevo solo che avrei dovuto distruggere sia lei che il demone, ma come giungere in quella situazione restava un problema.
Non aveva senso però creare contrasti anche tra alleati, per cui trattenni l'irritazione che mi aveva provocato, e mi sforzai di sorriderle. - Sì, lo so. Credo che per oggi ti darò ascolto -
Lasciandola lì a credere che sarei andata a dormire, mi diressi invece all'esterno dell'edificio. Aveva da un po' iniziato a piovere. Abbastanza forte da bagnare l'asfalto davanti alla fabbrica in poco tempo e far inumidire il terreno circostante, ma non tanto da essere insopportabile. Andai lì fuori, in mezzo alla pioggia, e alzai il viso verso il cielo. Quelle precipitazioni, quel cielo grigio illuminato dal alcuni piccoli tuoni, ma senza che diventasse un vero e proprio temporale, rispecchiava alla lettera il mio stato d'animo. Cupo, ma non triste quanto una pioggerella leggera, né costantemente aggressivo come una burrasca. Era una tensione monocroma, increspata di tanto in tanto da qualche sfogo di nervi. Ero sempre stata orgogliosa della mia capacità di tenere sotto controllo le mie emozioni, di non perdere la testa e sopportare lo stress. Ora avrei voluto solo poter liberare tutto quanto, dare origine ad una bufera, un ciclone, e spazzare via ogni cosa. Fino a che non sarebbe rimasto nulla, soltanto io e la mia stella rossa.
La pioggia mi aveva inzuppato gli abiti, ma quasi non la sentivo. Al freddo delle gocce d'acqua ero totalmente insensibile. A malapena percepivo la lieve pressione che esercitavano quando mi cadevano addosso.
Sollevai una mano, puntai l'indice in alto. Lo feci girare in circolo, seguendo gli spostamenti degli sporadici lampi. Entro poco avrebbe tempestato. Non mi chiesi come facevo a saperlo. Non era qualcosa che avevo intuito. Era qualcosa di cui ero certa e basta.
Un fulmine squarciò il cielo, con un fragore assordante che somigliava terribilmente ad un ruggito. Ecco, ora tempestava. In poco tempo pezzi di grandine iniziarono a schiantarsi sulla terra, senza mai però avvicinarmisi. Avevo lampi e fulmini anche sulle dita. Piccole scariche elettriche che non ferivano, ma che crepitavano e brillavano attorno ai miei arti. E che provenivano non dall'ambiente esterno, ma da dentro. Ero io stessa a produrle.
 
-Smettila, Sebastian! Allontanati! - gli gridava la fanciulla dai capelli dorati. Brillava come una stella. Un cerchio di luce era disegnato nell'aria, davanti al suo viso. Da esso uscivano filamenti fiammeggianti, che scivolavano sul pavimento e si fondevano creando una massa unica, che lentamente prendeva forma antropomorfa.
Sebastian però non le prestò attenzione. Era concentrato sulla figura che si stava delineando. Arti snelli, corpo magro. Il suo sguardo era di disgusto e scetticismo. Disapprovava, ma non solo il fatto che lei volesse al suo fianco una seconda persona, oltre a lui. Ad infastidirlo di più era l'individuo su cui la scelta era ricaduta. Alicia lo sapeva, ma non aveva potuto trattenersi. Provava un'attrazione magnetica verso quella particolare creatura. Certo amava la natura demoniaca di Sebastian, ma c'era un fascino particolare in quest'altro. Un demone non era, alla fine, né più né meno di quello che si diceva comunemente. Bestie affamate, che si nutrono di anime e devono convivere con la loro fame. Occasionalmente alcuni potevano provare sentimenti nei confronti di altri, ma era estremamente raro. Comunque non c'erano misteri su di loro.
Quello che stava prendendo vita di fronte a lei, invece era tutt'altra cosa. La sua natura stessa era un mistero, andava oltre l'immaginabile. Poteva dirle cose che non avrebbe mai scoperto altrimenti. Quello era un trasferimento molto difficile: un essere particolarmente complesso richiedeva maggiore concentrazione e dispendio di energie. Ma ne valeva la pena. Avrebbe potuto risparmiarsi molti sforzi facendo apparire altri suoi simili, ma non sarebbe stata la stessa cosa. Gli altri non erano come lui. Erano troppo... normali. Lei avrebbe tanto voluto sapere il più possibile sulla vita, sulla morte, su ogni cosa. Il demone non le era d'aiuto: sapeva  solo ciò che lo riguardava e ciò che aveva appreso tramite l'osservazione degli altri. Ma non poteva sapere ciò che voleva lei.
- Sebastian. Ti ho detto di stare lontano. Non comprendo la tua gelosia: non ti ho abbandonato. Voglio solo potergli parlare, e averlo attorno -
Sebastian fece una smorfia – I vostri gusti sulle compagnie si rivelano assai peggiori di quanto credessi -
- Non sono affari tuoi. Mi piace chi mi piace. E ricorda che anche tu rientri nella categoria delle mie compagnie -
Eccolo, la luce si stava dissipando. Vedeva già il suo profilo, il naso delicato, le labbra ben disegnate. Tremava come una foglia. Alicia si lasciò andare in un sospiro deliziato. La sua adorazione verso l'essere di fronte a lei era più che palese. Sebastian storse il naso nel sentire l'odore di sangue e morte di cui l'essere era impregnato. Non era un odore che aveva sulla pelle, ma qualcosa che veniva da dentro, come una peculiarità della sua specie. Solo da quello poteva riconoscerlo a distanza senza esitazione. Ma in pochi lo potevano sentire. A pochi loro erano effettivamente pericolosi. Purtroppo i demoni rientravano nella categoria.
Il bagliore scomparve completamente, lasciando la visuale libera. La ragazza Astral sorrise come non aveva mai fatto con lui. Due grandi occhi spaventati la stavano squadrando, balzando in ogni direzione rapidamente.
- Oh, ti prego! - sibilò a denti stretti il demone. Con uno scatto fulmineo precedette l'umana, e diede un forte colpo alla testa alla creatura pallida, che emise un gridolino strozzato, e cozzò contro l'asfalto sottostante. Sotto alla sua testa iniziò a formarsi una piccola chiazza cremisi. Non l'aveva ucciso, ovviamente. Quelli lì erano quasi impossibili da uccidere.
Alicià lanciò un grido. Si mise tra lui e la sagoma accasciata.
-Non toccarlo, mostro! - gli gridò, furiosa. Nel suo sguardo, solo odio. - Se gli torci un capello, ti massacro! -
Rabbrividì, però, quando lo vide assumere le sue vere sembianze. - Eppure mi piacevate, lady Alicia -
Si protese verso di lei. Era provata per l'evocazione appena compiuta. Non sarebbe riuscita a combatterlo. Inoltre lui era superiore alle belve che lei aveva cacciato fino a quel momento. Ci volle veramente poco a spezzarla. Le ruppe il collo e la schiena, e lei cadde riversa a terra. I suoi capelli biondi si sparsero attorno a lei a raggiera, prendendo una forma simile ad un'aureola attorno al suo capo. Una volta uccisa, si accanì sul corpo, mutilandole il viso.
- Stupida, stupida ragazzina umana! - ringhiava furiosamente. Una volta che si fu sfogato, rivolse la sua attenzione alla disgustosa creatura che lei aveva voluto portare nel suo mondo così tanto. Diavolo, di tutte le persone!
Aveva un'aria confusa, spaesata. Sicuramente non aveva ancora preso del tutto coscienza di ciò che aveva attorno. Gli venne da ridere, nel vedere quella cosa arrancare a gattoni, in quella maniera penosa e ridicola. Oh, quei rantoli tra il terrorizzato e il sofferente erano il massimo. Vedere una delle persone più pericolose che avesse mai conosciuto ridotta in quello stato gli provocò un moto di soddisfazione indescrivibile.
Che ci avesse trovato quella ragazza in quella... cosa... non l'avrebbe mai capito.
Lasciò quello scenario sanguinolento e disgustoso sentendosi decisamente più appagato di quanto fosse mai stato da parecchio tempo.
 
Mi ripresi dalla visione trattenendo il fiato di colpo, come se mi stessi soffocando. Mi ci vollero cinque minuti per riprendermi dallo shock. Era arrivata all'improvviso, cogliendomi del tutto impreparata.
Questa volta avevo percepito anche parte delle emozioni del demone. Non aveva senso. Era Alicia ad avere avuto quasi un legame con lui, io che c'entravo? Non avrebbe dovuto essere possibile per me sentire i suoi pensieri.
Di nuovo non ero riuscita a vedere chiaramente la creatura evocata da Alicia. Avevo capito che reazioni scatenava negli altri due, però. Doveva essere qualcuno che Sebastian detestava. Purtroppo la lista era molto lunga, non era certo il più amichevole e tollerante degli individui.
- Mi sembra di impazzire... - mormorai a me stessa, sfregandomi gli occhi.
Forse Sara aveva ragione, non mi avrebbe fatto male chiuderli per un po', quindi tornai dentro. Sempre ammesso che ci fossi riuscita, a riposare.
Non dormii più di dieci minuti di fila, continuando a svegliarmi dopo brevi intervalli. Non ero proprio in grado di spegnere il cervello. Quello era ancora più estenuante che non dormire proprio, tanto che mandai a quel paese tutti i tentativi, e me ne restai seduta sul letto con le ginocchia strette al petto.
Se quella piccola guerra non fosse finita in breve tempo, avrei davvero perso la testa. Era davvero questo, che desideravamo, prima che iniziasse? Quando ero una persona comune, pensavo che qualsiasi cosa sarebbe stata meglio della situazione monotona in cui si viveva. Non provavo quasi nulla verso nessuno al di fuori della famiglia stretta, e cercavo disperatamente un surrogato, qualcosa che sostituisse quei sentimenti. Lo avevo trovato, ed era addirittura migliore di essi. Era un'emozione che non comportava rischi di alcun genere, che non necessitava di essere ricambiata. Ciò che non esisteva era per me molto più invitante e desiderabile di qualsiasi cosa, che fossero amicizia o ricchezze, di reale.
Poi era divenuto la realtà, quel mondo che amavo. Solo che vederlo in prima persona non era come leggerne le vicende. Noi amavamo le storie tristi. Ebbene, ora ci vivevamo dentro, ad una storia drammatica di guerra.
Ma tu sei felice lo stesso, in fondo.
Non riuscii a scacciare il pensiero prima che si formasse. E ne rimasi sconvolta.
Perché la gente normale tutte queste emozioni che tu consideri tristi, le provano comunemente. Tu invece no, e hai bisogno di questo per provare sentimenti.
Non sei fatta per il mondo normale. Hai bisogno dell'adrenalina della battaglia. Hai bisogno di più, di quello che non avevi prima, e continuerai in questo modo. Più ti addentrerai nel sovrannaturale e nell'ignoto, e più vorrai sprofondarci, perché è per questo che sei fatta. Chiacchieri con i demoni, uccidi mostri con una falce e sei innamorata di un dio della morte.
Ma non sei sbagliata. Non sei apatica. Sei differente, e per crescere e sbocciare completamente, hai bisogno di esperienze differenti. Tutto qui.
Le ultime parole quasi le sentii nell'aria. Mi riverberarono nella mente, come se cozzassero con le pareti del mio cranio. Vibranti, ma non dolorose. Era tutto lì.
Come lo pensai, una fitta lancinante di attraversò lo stomaco. Mi si mozzò il fiato. Strinse convulsamente le mani sulla pancia, cercando una qualche ferita, o qualunque cosa che potesse spiegarlo. Non sentivo un dolore da blocco intestinale o roba del genere. Mi sembrò di venire trapassata con una spada.
Le lacrime iniziarono a fluirmi dagli occhi ininterrottamente, mentre cercavo di respirare, e di alzarmi. Arrancai come meglio potei verso il bagno, traballando e incespicando ad ogni nuova stilettata. Nessuno, tra i pochi ancora svegli, era in quell'area della nuova base, e nessuno si accorse di me. Raggiunsi il bagno, non sapendo neanch'io cosa fare visto che non sapevo cosa mi stesse provocando quel tormento.
Poi venne la nausea. Soppressi un conato, il tempo sufficiente per piegarmi sul gabinetto, inginocchiata a terra. All'inizio rigurgitai fuori quello che avevo mangiato, fino all'ultimo grammo. Ipotizzai confusamente ad un'indigestione, che comunque non spiegava le fitte.
Dopo, però, iniziai a sputare sangue, e infine a vomitarlo letteralmente, a fiotti. Provai a gridare, ma la voce non mi usciva, come se mi avessero tolto le corde vocali, anche se io stavo sforzando la gola.
Caddi in preda al panico. Non sapevo che fare, non sapevo che stesse accadendo, e perché così improvvisamente. Volevo chiedere aiuto, ma non ci riuscivo. Cercai di afferrare il bordo della tazza, ma scoprii che i miei arti tremavano come in presa alle convulsioni. Il flusso sanguinolento che mi usciva dalla bocca s'interruppe, dandomi un istante di sollievo.
Pochi secondi, e di nuovo una lama mi penetrò l'addome. Di nuovo non riuscii a gridare.
E poi il dolore si estese, finché ogni singola fibra del mio corpo s'infiammò, venne frustata e tagliata. Mi sentivo sciogliere come cera esposta al fuoco, e bruciare nelle braci ardenti. Infine iniziai a disgregarmi, ma non era solo una sensazione fisica. Lo vidi succedere. Le mie dita per prime brillarono come stelle e si sbriciolarono, si dissolsero al vento. Credetti di vedere lo stesso accadere alle braccia, ai piedi, e alle gambe.
Il buio mi avvolse.
 
Quando mi risvegliai, era mattina. Abbastanza presto, non più tardi delle sette. Ma probabilmente la maggior parte dei funzionari erano già al lavoro. Dapprincipio non ricordai cosa fosse successo la notte prima. Infatti mi chiesi cosa ci facessi sdraiata sul pavimento del bagno. Quando mi tornò alla mente, il battito cardiaco mi aumentò decisamente. Presa dalla frenesia, scattai in piedi, toccandomi convulsamente lo stomaco e la bocca, come a cercare qualche rimasuglio di quel male. Ma sembrava non ci fosse nulla che non andava.
Eppure ero sicura di aver visto il mio corpo bruciare e volatilizzarsi! 
Posai lo sguardo sul pavimento.
Sì, il sangue c'era. Non avevo fatto in tempo a tirare lo sciacquone, figuriamoci a pulire, quindi macchie cremisi erano ovunque, nell'ambiente bianco. Solo che non sentivo assolutamente nulla. Tirai l'acqua, per prima cosa, liberandomi del vomito e del sangue che avevo rigurgitato. Cercai qualcosa per lavare le piastrelle del pavimento. Fortunatamente avevamo sempre tutto l'indispensabile a portata di mano. Tolsi ogni traccia dell'accaduto con acqua e candeggina. Infine, rimossi le chiazze rosse anche da me stessa.
Mi lavai e rassettai come meglio potei, tornai in camera per indossare un'uniforme dell'Astral Project pulita (ovviamente bianca), mi misi il bracciale al polso, e appuntai la spilla con il nostro simbolo. Ogni persona dell'associazione indossava l'uniforme e la spilla. Era un cerchio con una falce bianca di luna sul lato destro, tagliato a metà orizzontalmente nell'area restante. La parte superiore era nera. La parte inferiore aveva un colore diverso per ognuno di noi, a seconda della nostra armatura.
Sul momento non me ne resi conto, ci pensai invece tempo dopo: nonostante il ricordo della sera precedente fosse più che chiaro, non ero per nulla agitata. Mi sentivo incredibilmente calma, pacata. Come se niente potesse sfiorarmi. Me ne andai, infatti, in tutta tranquillità, senza batter ciglio. Nessuno si sarebbe accorto di nulla.
Andai quindi nella sala principale, ovvero l’area già esistente prima che noi modificassimo la costruzione. Lì si svolgevano le quotidiane mansioni di controllo. C’erano poche persone a lavorare lì, perlopiù adulti. La donna più vicina a me aveva delle occhiaie molto marcate, e pareva sul punto di addormentarsi sulla tastiera del computer. Mi rivolse un cenno di saluto ed un sorriso stanco.
- Novità? – le chiesi.
- No, nulla. O almeno, nulla relativo al nostro tipo di ricerca e rilevazione. Forse l’altro gruppo, nelle camere private… -
- Stanno lavorando nelle camere private? – domandai, sorpresa.
Lei annuì – Sì, un gruppetto di ragazzi. Non so che stiano cercando, ma sono lì dalle cinque del mattino –
Girai su me stessa, tornando nella direzione da cui ero venuta. Probabilmente avrei bussato a tutte le porte fino a trovare quella corretta. Stavo quasi per battere il pugno sulla prima, quando quella si spalancò. Dall’internò spuntò fuori il viso di Sara. E anche le sue braccia, che mi presero e trascinarono dentro di forza.
Scombussolata, mi liberai, e le rivolsi uno sguardo interrogativo. Lei chiuse la porta, guardandosi attorno per assicurarsi che non ci fosse nessun altro. Poi girò due mandate di chiave, e mi fisso con aria assorta e preoccupata.
- Ehi, che c’è? Stavolta ho dormito! – le dissi. Era una bugia solo in parte, in effetti.
- Sofia, non so che tu stia facendo, ma qualcosa di molto strano è stato rilevato dal mio computer – il suo tono era serio. Sollevai un sopracciglio. Lei era una degli Astral attualmente responsabili del controllo delle anime, ovvero rilevava le aure di ogni persona nell’associazione e in ogni altro posto desiderato, per vedere se ci fossero creature non umane in circolazione.
Mi indicò uno dei segnali nella mappa della nuova sede. Era di un colore diverso dagli altri, e invece che avere una dimensione stabile, si dilatava e restringeva ritmicamente. – Che cos’è? Io non sono mai stata responsabile a queste cose. Cacciavo e basta –
Sara alzò gli occhi al cielo. – Ma vedi dov’è questo segnale? È in questa stanza. Questo è il tuo segnale! E non è come era fino a ieri sera. Prima ti segnava come Astral, dello stesso colore degli altri, anche se più grande. Ma questo segnale, non so cosa sia. Non è nella legenda delle percezioni, non è descritto in nessuna delle guide –
- Cosa? Sei sicura? Questo non è possibile –
- Conosco le mie strumentazioni, Sofia. Tu hai fatto qualcosa ieri, e questo ti ha fatta mutare. Non sono stupida, e come ti ho già detto l’empatia e il riconoscimento delle emozioni e dei cambiamenti nella gente sono la mia specialità. Dimmi che hai fatto –
Io alzai le spalle, dato che nemmeno io lo sapevo esattamente. Mi tornò in mente il brillio che aveva emanato il mio corpo prima che lo vedessi, o avessi creduto di vederlo, sbriciolarsi.
- Non lo so. È successo qualcosa, ma non so cosa. Per favore, non chiedermi dettagli –
Girai la chiave ed aprii la porta. Uscii prima che potesse fermarmi, correndo. Ora ero sicura che qualcosa fosse davvero accaduto. Qualcosa di importante. Forse aveva a che fare con l’ultima allucinazione. Non potevo saperlo, ma sapevo a chi chiedere informazioni. Se qualcuno sapeva qualcosa, all’interno dell’associazione, non poteva essere che il padre di Alicia, Simon. Cambiai idea a metà strada. Non me la sentivo di raccontare l’accaduto a nessuno.
Ripensandoci, c’era qualcosa che poteva aver scatenato quella singolare reazione. Quando avevo sentito la prima fitta al ventre, avevo appena realizzato una cosa. Mi ero resa conto che in un certo senso non facevo parte del mondo della gente normale, anche se ero nata lì. Normalmente l’avrei chiamata una coincidenza, ma già da un po’ quella parola aveva perso significato. Quasi nulla avveniva per caso, ai membri dell’Astral Project.
Una ragazza dai capelli neri era piegata in due, inginocchiata su un pavimento di marmo nero. Quei fili del colore dell’inchiostro le coprivano il viso, rivolto verso il basso. Stava tossendo prepotentemente. Sollevò appena la testa, ed un rivolo di sangue denso le colò dalla bocca, e lei lo fermò con le mani. Provò a rialzarsi, sostenuta da un uomo vestito di nero. Anche i capelli di lui erano neri, come pure l’abito della ragazza e quasi tutto ciò che li circondava. Le lampade che illuminavano di luce soffusa la stanza emanavano luce azzurrina. La fanciulla era incredibilmente pallida, quasi cadaverica. I suoi occhi erano viola.
- Siete sicura che questa reazione fosse una cosa positiva? –
- Sì, Sebastian. Non spaventarti solo perché il mio corpo si è disgregato e ricomposto. Dovresti essere abituato a certe cose no? –
- Sì, Black Lady. Posso chiedere cosa significa? –
- Cosa significa? Finalmente sono ciò che ero destinata ad essere, e posso dire addio a quel fragile e insignificante fisico da essere umana con cui ero nata. Tutto merito di Alicia –
Con grande facilità fece dispiegare due ali da pipistrello, apparse chissà quando sulla sua schiena. Le osservò soddisfatta, e in men che non si dica erano già cambiate in ali di corvo.  Ora era tutto facile.
Mi ripresi con un sobbalzo.
Le allucinazione cominciavano a venirmi sempre più spesso, e la cosa mi impensieriva abbastanza. Una cosa erano delle sporadiche visioni, e già le accettavo solo perché ero in una situazione fuori dalla norma, ma cominciare ad averle di continuo era tutta un’altra cosa. Mi sembrava di essere in trasformazione. Mi sembrava di star perdendo la mia umanità. In effetti, come potevo ancora considerarmi umana? Io facevo cose che gli umani non avrebbero dovuto saper fare, quindi naturalmente non potevo più esserlo. Non del tutto. Lo ero una volta, ma le cose erano cambiate, dal giorno in cui ero stata condotta all’associazione.
Mi guardai le mani. Diedi un pugno al muro. Lo vidi sgretolarsi, senza che io sentissi alcun dolore alle nocche. Eccolo, il risultato della scelta fatta quel giorno, diversi mesi prima. Ecco, cos’era accaduto la sera precedente. Quando ero diventata Astral avevo deciso di abbandonare la normalità, ed avevo sviluppato poteri magici. Ora avevo reso definitiva quella decisione, realizzando che l’anormalità, l’eccezione che facevamo come individui nel mondo in cui vivevamo mi piaceva, ed anzi mi sentivo appartenente ad essa. Non ero più umana, del tutto. E mi stava bene così. Anzi, mi parve naturale. Dopotutto stavo con dio della morte, combattevo mostri ed entravo in conflitto con demoni. Smettere di essere umana era ovvio, a quel punto.
Sfiorai appena la superficie intaccata del muro, il pensiero di farlo tornare come prima mi sfiorò soltanto, e già era tornato intatto. Forse era questo a rendere la mia potenzialità, e quella di Black lady ed Alicia, più alta degli altri: eravamo disposte ad abbandonare la nostra natura umana per diventare qualcos’altro, senza tanti scrupoli. Non solo ci andava bene la cosa, ma anzi si addiceva a noi. Ora ero me stessa. Forte, con capacità sovrumane. Non dovute a pura fortuna di nascita, ma alla mia determinazione e capacità di desiderare ed immaginare una realtà diversa da quella che vedevo. Questo era il tipo di forza che volevo.
Mi sentivo ribollire di energia. Avrei potuto fare qualsiasi cosa. La stanchezza delle notti insonni era svanita, così come l’inquietudine.
Chiusi gli occhi, e mi concentrai sulla scena della morte di Alicia, e di ciò che era avvenuto poco prima. Focalizzare i miei pensieri era diventato facile, una sciocchezza. Riuscii a mettere più a fuoco l’immagine. Invece che pensare a lei e a Sebastian che litigavano, rivolsi lo sguardo verso la creatura tremante appena evocata. Sì, era terrorizzata, spaventata a morte. Spesso le persone appena evocate erano confuse, e non si rendevano conto molto bene di ciò che li circondava. Aveva due grandi, sfolgoranti, occhi verdi quanto degli smeraldi. Trapassavano l’oscurità dell’ambiente, come due fari. Erano quasi fluorescenti. La sua pelle, come avevo già notato, era di un pallore perlaceo. Però  era differente da quello di Sebastian: il demone era esangue, quest’individuo invece era candido e delicato come una bambola di porcellana, ed altrettanto bello, se non di più. Ma non era questo ciò che mi fece mancare il respiro. La chiazza cremisi che all’inizio avevo scambiato per sangue, nella confusione della scena, si rivelò essere tutt’altro. Si trattava di capelli. Lunghissimi, sottili capelli rossi.
Aprii le palpebre, e tornai con la mente nel corridoio.
Ora sapevo perché Sebastian era così geloso e stizzito, quando Alicia aveva deciso di evocare un altro essere: non poteva sopportare di essere messo a paragone con lo shinigami scarlatto che tanto detestava. Ecco anche perché nessuno l’aveva trovato, quando era venuto in questo mondo: non sapevano nemmeno quando e dove fosse stato evocato, ma se lo erano ritrovato sugli schermi senza preavviso, di punto in bianco. E nessuno era lì con lui alla sua apparizione, se non una ragazza morta ed un demone infuriato. Nella confusione era strisciato via, ed era sopravvissuto nell’angoscia fino a che io non l’avevo stanato nella stessa fabbrica abbandonata dov’ero in quel momento.
Pezzettino per pezzettino, il puzzle della storia degli Astral si stava ricomponendo, lentamente ma inesorabilmente. Alla fine iniziava e finiva tutto lì: l’amore. Per qualcosa che non c’è e si desidera, per qualcosa che ti strappa dalle tenebre, che ti permette di realizzarti, che ti salva dalla solitudine o dalla paura. Quest’unica emozione era stata in grado di provocare un’infinità di comportamenti e reazione diverse in tante, tante persone. Alicia aveva iniziato quest’opera, aveva cercato le due creature che amava anche se così diverse tra loro, una delle due l’aveva uccisa per gelosia, e l’altra si era rifugiata nella propria natura violenta per proteggersi in un mondo ignoto. Sempre quell’emozione mi aveva guidata all’Astral Project e mi aveva spinta a trarre in salvo quella bellissima, fragile e letale creatura.
Forse quell’emozione sarebbe stata anche quella che mi avrebbe permesso di porre fine ad ogni cosa. Con un po’ di fortuna, presto quella piccola guerra sarebbe stata solo un ricordo. Ma non un brutto ricordo: una memoria dolce e amara, perché aveva portato sia sofferenze che felicità.
Uno scalpiccio affrettato veniva verso di me.
- Eccoti, finalmente! –
Girai la testa – Ti vedo agitato, Simon. È successo qualcosa? – risposi con assoluta calma.
- A dir la verità, sì. Una grande quantità di esseri infernali si sta radunando in una piccola area poco fuori dalla città. Pensavo potesse essere un’indicazione –
Ecco, il segnale era arrivato.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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Cella di manicomio (torniamo a quest’espressione, che è meglio):
Allora… buondì! Avverto in anticipo che questa pubblicazione così vicina alla precedente ha un motivo. Domenica parto per la Francia, e anche se avrò con me un computer, avrò poche occasione per utilizzarlo. Di conseguenza mi sono messa d’impegno per scrivere velocemente questo capitolo, così da non lasciarvi troppo tempo ad aspettare me e i miei tempi assurdi.
Spero che vi sia piaciuto come gli altri. Ditemi qualunque cosa che vada o che non vada, come sempre. continuo a ripetere che le critiche sono indispensabili per migliorarsi, quindi nessuno le tenga per sé, per favore.
Al prossimo capitolo, meravigliose lettrici!
Un bacio!
Sofyflora98
   
 
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