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Autore: Madama Pigna    01/08/2015    1 recensioni
Appartenente alla serie "Tre figli di Laufey(e un mucchio di guai)"
Gli abitanti di Jotunheim attribuivano al loro Principe le più diverse caratteristiche.
Per alcuni era solo un modesto compromesso tra la scaltrezza e la forza bruta; per altri eccelleva in entrambe.
Certi lo consideravano solo un ragazzo viziato e ribelle che faceva il bello e il cattivo tempo, senza alcun rispetto per virtù sociali quali l'assoluta fedeltà al proprio padre e al proprio Re.
In molti controbattevano: l'unico Laufeyson rimasto era anche l'unica speranza per risorgere dalle ceneri della Grande Guerra, che era stata presto seguita da un regno di terrore che durava da molti anni.
Cosa ne pensava Byleistr?
Non amava mettersi in mostra, pur riconoscendo che a volte era necessario, data la sua posizione.
A suo parere, bastava essere una guida accorta e avere degli uomini pronti a tutto. Erano i soldati motivati quelli che facevano la differenza, e lui, da solo, non avrebbe mai concluso alcunché. L'ammirazione che era seguita dalle sue azioni individuali era solo qualcosa in più, nulla a cui il guerriero dava realmente importanza.
Il resto veniva da sé.
Genere: Angst, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Frigga, Laufey, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Mpreg, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tre figli di Laufey(e un mucchio di guai)'
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E rieccoci.
Potrei dire tante cose riguardo a tutto il tempo che ho messo per aggiornare.
Ma in sostanza posso sintetizzare così: con gli esami scolastici conclusi nel mese di luglio (e piuttosto bene dopo tutto, visto che ho preso quasi cento) stavo ritornando a scrivere quando c’è stato, alcune settimane fa, un problema abbastanza grave di natura strettamente personale, ragion per cui onestamente non ho avuto neanche il pensiero di scrivere. Ma intanto ora problema è (mezzo) risolto e la situazione va meglio, non ho più ragione di preoccuparmi tanto quindi non c’è più motivo per non continuare. Comunque sia: dedico questo capitolo a una persona che probabilmente non lo leggerà mai. E per fortuna perché, triste com’è, non sarebbe apprezzato da qualcuno cui piacciono generi meno tragici. E come ben sapete questa storia è partita fin dall’inizio come Aangst puro. Detto ciò siete liberi di detestarmi visti i contenuti del capitolo :) che è tutto flash back.
Buona lettura.

Madama Pigna
















Byleistr non aveva mai giocato con le bambole, prima della Grande Guerra.
Suo padre Farbauti era convinto che a una certa età i bambini dovessero giocare all’aria aperta, sfogando la loro vivacità con giochi più animati. Lui non se ne era mai lamentato: il movimento non gli dispiaceva per niente e non gli interessava molto giocare con fantocci di legno o tessuto.

Poi però Farbauti era morto.
Laufey proibì sia a Byleistr sia a Helblindi di perdere tempo a giocare con degli ‘straccioni’. In ogni caso, il più piccolo aveva cominciato a chiudersi in se stesso e la compagnia di bambini che, lo sapeva bene, detestavano la sua famiglia o ne avevano paura lo metteva davvero troppo a disagio per lasciarsi andare.
Ben presto si allontanò dalla loro compagnia, e anche suo fratello Helblindi cominciò ad avere qualche difficoltà nel comunicare con lui. Stava sempre per i fatti suoi, Byleistr: anche prima non era mai stato molto socievole, e se interagiva con gli altri era solo perché Farbauti lo incoraggiava ad affrontare la timidezza.

Così pensava. E in virtù delle sue riflessioni tendeva a capire le cose più velocemente dei suoi coetanei. Spesso finiva con il fare domande scomode agli adulti, perché rimaneva comunque un bambino e non poteva comprendere tutto quello che succedeva davanti ai suoi occhi. Era sempre stato un tipo curioso, detestava non arrivare a capire qualcosa ed era più forte di lui chiedere spiegazioni. E allora i più grandi (Laufey, nella fattispecie), s’innervosivano, a volte si arrabbiavano parecchio e lo scacciavano via bruscamente, spesso non prima di avergli dato un ceffone.
Così Byleistr tornava nella sua piccola stanzetta conscio di non potere uscire da lì se non dopo il pasto successivo, senza poter mangiare niente.

L’unica cosa che aveva imparato da quelle sberle era capire quando bisognava stare zitti. Nient’altro.


Erano quelli i momenti in cui il principino sentiva la sua solitudine come una condanna.
Gli altri bambini non sarebbero mai stati suoi amici, dopo quella guerra.
A Helblindi non poteva raccontare niente di tutto quello che passava, o rischiava di metterlo nei guai.

Spesso piangeva. Spesso si rannicchiava nel suo letto e cercava di fare più silenzio possibile. Una volta Laufey lo aveva sentito singhiozzare; e siccome era
fastidioso, era entrato in camera e lo aveva colpito più volte con un bastone, che faceva molto più male di un semplice schiaffo.

E perciò Byleistr era sempre molto triste.
Aveva paura di suo padre, così evitava di uscire troppo spesso dalla sua camera, per incontrarlo il meno possibile.

Ma non aveva nessuno con cui passare il tempo, con cui giocare. Niente e nessuno.

Poi un giorno, camminando per strada in uno di quei periodi in cui Laufey era via da Utgarda per sistemare qualche faccenda fuori dalla Capitale, aveva trovato uno strano oggetto. Si era chinato per terra, e incurante della pozzanghera in cui giaceva lo aveva raccolto. Era una specie di pupazzo, fatto con umilissime pezze.

Byleistr si era guardato intorno, cercando di capire a chi appartenesse. Non voleva rubare un giocattolo a un altro bambino. Magari ne avrebbe sentito la mancanza.
Ma non c’erano suoi coetanei in giro.
Che si fossero nascosti per non incontrarlo?

Cercando di non pensarci, il piccolo era tornato alla reggia, nascondendo la bambola sotto la maglia. Poi l’aveva ripulita alla bella e meglio, e gli aveva dato un nome:
Pokk.
"Ringraziamento".


Aveva subito cominciato a parlarci: gli riportava com’era andata la giornata, gli rivelava piccoli segreti, certe volte gli raccontava anche alcuni momenti passati con il suo papà, prima che lui morisse.
Era un modo come un altro per sentirsi meno solo. Tanto che Pokk dormiva accanto a lui, la notte. Chissà perché aveva meno incubi quando lo appoggiava nel suo cuscino, in modo che fosse sempre accanto a lui.

Ben presto ai due si unirono anche altri bambolotti. Byleistr in persona li costruiva con le vecchie pezze che i servi non usavano più, secondo loro ormai inutilizzabili. Le appallottolava, lasciando cinque lembi strappati per gambe e braccia, cercava di dargli una forma tenendo assieme i pezzi con dei fili, e per fare la testa imbottiva un piccolo avanzo di tessuto con il quinto lembo, bloccando sempre il tutto con i fili (quasi sempre straccetti ridotti a strisce).


Non era un lavoro elegante, anzi quei manichini di stoffa non valevano proprio niente, ma Byleistr era contento di saper fare almeno quello. Le sue bambole erano il suo piccolo orgoglio, la sua piccola fonte di serenità. Con loro giocava, parlava, inventava tante piccole avventure. Si sentiva bene in quei momenti.

Purtroppo doveva tenerle sempre nascoste. Laufey non avrebbe mai approvato.
Non aveva argomenti con cui poterlo dire con certezza, ma in ogni caso suo padre andava sempre contro qualunque cosa lui facesse. A volte era anche contradditorio: quando gli ordinava di fare una cosa e lui la faceva, finiva comunque con l’irritarlo, spesso lasciando Byleistr incerto su come dovesse comportarsi.
Probabilmente l’esistenza stessa dei suoi figli lo faceva arrabbiare.
Era quindi colpa loro? Ma lui e suo fratello non avevano chiesto di nascere...



Helblindi un giorno lo scoprì mentre faceva conversazione con Pokk, e volle giocare con lui. Dopo un po’ di titubanza, il suo fratellino acconsentì. Come poteva arrecargli danno con i suoi piccoli amici?

Dopo poco tempo, però, a Helblindi piacquero fin troppo. Seduti per terra nella stanza di Byleistr, stavano cominciando a ridere, ridere forte. Erano le prime risate infantili che qualcuno sentiva da dopo la Grande Guerra, nella città di Utgarda. Risate semplici, per qualcosa di semplice, addirittura banale apparentemente.
Ma Laufey non gradiva quella ritrovata felicità.
Quando li udì, entrò come un lampo nella minuscola camera, e strappò dalle mani di entrambi tutti i pupazzi.
Li distrusse davanti ai loro occhi, riducendoli in piccoli brandelli che finirono sul pavimento.
- Pulisci tutto -, aveva ordinato a Byleistr. – E guai a te se ti ripesco a giocare con questa roba da pappamolle! -, aveva continuato, per poi andarsene sbattendo forte la porta.




Dopo alcuni secondi di silenzio, Helblindi era stato cacciato via in malo modo.
Byleistr aveva chiuso la porta e, chino su quello che era rimasto dei suoi amici di stracci, era scoppiato a piangere, finendo sul pavimento a stringere i resti di quello che un tempo era stato Pokk.
Ma non era il suo nome quello che chiamava.


- Papà… -, chiamava. – Papà… -.
Quel giorno non riuscì a piangere in silenzio.
Invocò suo padre molte volte, pregando che ritornasse, pregando che lo stringesse tra le braccia dicendogli che sarebbe andato tutto bene, che il dolore sarebbe passato, che almeno lui gli voleva bene.

Le sue preghiere non potevano essere esaudite.
Ma forse, pensava Byleistr accovacciato sul pavimento freddo, se Farbauti non poteva tornare da lui, forse era Byleistr che poteva raggiungerlo.

Poi, però, al desiderio di morire si sovrappose il senso della vergogna.
Si sentiva un codardo. Una nullità.
In quel modo avrebbe lasciato suo fratello indifeso. Doveva mantenere la sua promessa.
Probabilmente, dal Vhalalla Farbauti si sentiva deluso dal suo comportamento.
A quel pensiero, poté solo piangere più forte.

Per non lasciare suo fratello inerme, avrebbe dovuto sforzarsi, resistere di più.


Ma si sentiva
solo. Si sentiva tanto, tanto solo.








 
  
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