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Autore: Synapsis    04/08/2015    1 recensioni
Esistono diversi tipi di chiamate: ci sono quelle indesiderate, quelle inconcludenti, oppure quelle che aspettavi da mesi. Esistono anche quelle inaspettate, ma ad ogni modo, una cosa è certa: chi sta dall’altra parte della cornetta di tempo da perdere ne ha parecchio.
Ma bada a una cosa: questo non vale per me.
Perché quando sono io a chiamare, il tempo ad esaurirsi è il tuo.
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Beyond Birthday, L, Naomi Misora
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Tsugumi Obha e NisioIsin; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. La storia e il disegno mi appartengono.





Il telefono squilla.



    1. Temporale



Mobili di scarsa fattura, ma lustri come se fossero stati da poco trattati con la cera. Soprammobili essenziali, ma privi di polvere. Pavimento in cotto scheggiato qua e là, ma comunque lucido. Pareti tinteggiate di un bel rosso acceso senza alcun graffio o macchia di umidità. E per finire, un gradevole odore di pulito aleggiava in tutta l’abitazione. Naomi guardava allibita la hall del suo ospite, non riuscendo a credere a ciò che le si parava di fronte. Mentre l’uomo confabulava di porre la sua borsa sul piccolo appendiabiti vicino alla porta e di asciugare per bene le scarpe sullo zerbino – altrimenti si sporca tutto – la donna continuava a girare la testa a destra e a sinistra, guardando ogni singolo angolo della stanza con sempre maggior sorpresa. I libri stavano ordinatamente su degli scaffali fissati al muro, che oltre a risparmiare spazio in quella piccola casa, servivano anche ad ornarla grazie alle piccole piantine usate a mo’ di sostegno per i volumi. I vetri delle finestre imperlati dalle goccioline di pioggia erano coperti da delle tendine panna che risaltavano con il colore dei muri e anch’esse erano ben pulite e stirate. Un grande tappeto in fibre sintetiche dello stesso colore delle tende stava al centro della stanza e su di esso non c’era traccia di quei fastidiosi pilucchi che solitamente i tappeti attiravano come una calamita: ci avrebbe mangiato su quel coso di quanto era pulito.

«Misora, che fa? Sembra che ha visto un fantasma».

Oh, no, era molto peggio. Tutto si sarebbe aspettata da lui, tranne una casa così ordinata: insomma, il suo aspetto trasandato lasciava trasparire al contrario una personalità piuttosto disordinata, o almeno questa era l’idea che si era fatta di quel barbone in blue jeans. Vedere che le sue supposizioni erano errate la lasciò un po’ interdetta, eppure era quello che stava constatando con i suoi stessi occhi, non c’era nessun trucco. In poche parole, era una di quelle cose che se non le vedi di persona non ci crederesti mai.

«…no, Ryuzaki, nessun fantasma. D’altronde non mi sembra il tipo di casa che uno spirito userebbe come dimora».

«Beh, non è abbastanza grande in effetti».

La casa era veramente piccola, anzi a dirla tutta appariva più un monolocale con giusto altre tre stanzette per il bagno, la cucina e per il letto. Nonostante ciò, era davvero ben tenuta e questo la rendeva un posto confortevole dove vivere.

«Non è questo il punto, Ryuzaki», disse Naomi avanzando verso di lui, «Non vedo nessuna ragnatela o segno di decadimento, al contrario è… a posto. Per questo non mi sembra un esempio di casa infestata» concluse ridendo.

«Lo prendo come un complimento, Misora. Anche se…» si voltò dandole le spalle e posò il mazzo di chiavi su un piattino posto sopra un mobile in compensato, poi continuò: «…qualcosa mi dice che non era quello che ti aspettavi. Sei delusa?»

«Sì, lo ammetto: da te non me lo aspettavo. Ma, per carità, non sono affatto delusa, anzi direi che sono… sollevata».

«Apprezzo la sua sincerità».

Senza aggiungere altro, Ryuzaki si addentrò verso la camera che fungeva sia da salotto che da sala da pranzo, praticamente la stanza principale. Naomi lo seguì a ruota cercando invano di non sporcare a terra: era così zuppa d’acqua che tra un po’ avrebbe sentito dei pesci nuotarle dentro i calzini.

Se vi state chiedendo per quale motivo l’agente dell’FBI Naomi Misora, attualmente in momentaneo congedo, si trovi nella casa del suo nuovo peggior incubo della sua carriera, altrimenti chiamato Rue Ryuzaki 1, il detective privato sbucato dal nulla – anzi, da sotto un letto - bisogna andare indietro di qualche ora.



✝ ✝ ✝



C’era una giornata asfissiante lì a Los Angeles, che in estate si trasformava da “città degli angeli” a “città dei diavoli” per il caldo infernale. Naomi si era svegliata stranamente di buonumore, con il proposito di fare del suo meglio alle indagini. Perfino l’idea di dover incontrare nuovamente quel tipo che sembrava uscito da una clinica di riabilitazione non la toccava più di tanto, avvolta da quell’aura di positività che, pensò, sarebbe stato meglio se le avesse fatto visita più spesso. Dopo un toast e un bicchiere di caffè-latte, scese nel garage di casa sua per prendere la sua fedele moto e avviarsi verso la casa di Backyard Bottomslash2, la terza vittima del caso delle Wara Ningyo3. Nei giorni precedenti, la polizia si era già occupata di esaminare tutta l’abitazione dove si era consumato il delitto, e le risultanti erano sempre le stesse: nessuna impronta digitale, la scena era stata epurata di ogni minima traccia compromettente per il killer e non solo, anche gli angoli più remoti e impensabili della casa erano stati puliti – cosa del tutto superflua, per come la pensava lei. L’unica eccezione, anche stavolta, era stato il sangue, lasciato volutamente proprio dove doveva stare: attorno al cadavere della donna, alla quale erano stati asportati la gamba destra e il braccio sinistro. Mentre aspettava che la saracinesca si sollevasse del tutto, Naomi osservò con orrore le fotografie che le aveva procurato L. Il corpo straziato della donna era stato scattato da diverse angolazioni, pozze di sangue scuro lo attorniavano mettendo in risalto la pelle bluastra. Stando a quanto stava scritto nell’analisi medica, la vittima era stata drogata e poi uccisa – metodo che era stato riscontrato anche nei due omicidi precedenti - e stavolta la donna era morta per emorragia interna, in quanto erano stati trovati dei brutti lividi un po’ su tutto il corpo. Secondo il medico legale, le contusioni erano state praticate prima dell’amputazione delle prossimità, ma l’arma con cui erano state applicate le percosse non era stata rinvenuta. Infine, per quanto riguardava gli arti mancanti, la gamba destra era stata ritrovata all’interno della vasca – anche questa pulita alla perfezione, eccetto per il sangue – invece del braccio sinistro non si sapeva niente: era scomparso, insieme all’assassino.

Perché accanirsi in questo modo con un cadavere? Cosa vorrà dirci stavolta il killer?”.

Pose la busta con le foto e i dati del caso all’interno della sua borsa e accese la luce, cercando di eliminare momentaneamente quelle immagini cruente dalla sua mente. La moto nera stava in fondo al garage coperta da un telo per proteggerla dalla polvere, e con voluttuoso desiderio aspettava che la donna la facesse ruggire sull’asfalto fumante della città. Naomi non la fece aspettare oltre e una volta posizionatosi sulla sella, indossò il casco integrale e infilò la chiave nel quadro della serratura.

«Ma… cosa?»

Continuava a girare la chiave e a premere l’acceleratore, ma il motore non partiva.

«No! Dio, non dirmi che si è rotta!»

Dopo vari tentativi, decise di rinunciarci. Con stizza si tolse il casco e afferrò il cellulare dalla tasta interna dei pantaloni e con crescente impazienza digitò i piccoli tasti.

Avanti… rispondi!”

«Naomi?»

Grazie al cielo!”

Si tolse una ciocca di capelli dagli occhi e con un sospiro rispose all’uomo.

«Raye, sono nei casini. La moto è guasta e tra…» guardò l’orologio appeso al muro «…quindici minuti devo essere a lavoro. Potresti accompagnarmi, se non sei occupato?»

«Caspita, Naomi, mi dispiace ma sono nel bel mezzo di una ricerca per un caso. Direi che non mi è proprio possibile spostarmi da qui».

Maledizione…”

«A proposito, il capo mi ha detto che probabilmente dovrò partire dopodomani per quell’affare di cui ti ho parlato la settimana scorsa. Ti avrei chiamata più tardi per avvertirti, ma visto che lo hai fatto prima tu ne approfitto per dirtelo».

«Allora parti davvero? Capisco».

E dire che questa giornata sembrava essere partita bene…”

Diede un’altra occhiata fugace all’orologio e alla sua moto traditrice.

«Senti, adesso devo proprio staccare. Sono in ritardo e devo trovare una soluzione prima che sia davvero troppo tardi. Ne parliamo dopo, ok?»

«D’accordo, tesoro… e scusami».

«Ma no, tranquillo. A dopo».

«Ah, Naomi! Potresti prendere la metropolitana, arriveresti subito».

Giusto, la metropolitana. Non la prendeva da secoli e al sol pensiero le venne il mal di testa: era il luogo principe della confusione, del caldo e della puzza di sudore, ma purtroppo sembrava essere l’unica soluzione: i tram erano molto più lenti e la confusione non l’avrebbe evitata di certo. Congedò il suo fidanzato e senza perdere tempo corse verso la stazione più vicina.



✝ ✝ ✝



Beyond si era svegliato di malumore quel mattino. Sentiva tutto il corpo indolenzito per lo sforzo che aveva dovuto compiere tre giorni addietro per ammazzare quella donna e, come se non bastasse, la stanchezza di una notte insonne appesantiva ancora di più le sue membra. Di notte, non aveva fatto altro che rigirarsi nel letto cercando una posizione confortevole, ma c’era talmente tanto caldo che le lenzuola, a contatto con la pelle sudata, avevano assunto la consistenza della colla: appiccicosa e intollerabile.

«Beh, per lo meno non avrò bisogno di mettere troppo trucco per simulare le occhiaie».

Si stiracchiò un po’ e aprì la finestra per far circolare l’aria torrida e poi si mosse per la casa, dettato dalle leggi di una routine oramai divenuta sacra. Prima tappa: bagno.

«C’è così caldo che rischia di evaporare prima di arrivare al cesso».

Tirò lo sciacquone e si diede una rinfrescata e poi andò fischiettando verso la sua seconda tappa: la cucina. Dopo aver ingurgitato un bicchiere di latte con una fetta biscottata con marmellata, andò verso la sua prossima tappa: il calendario. Si avvicinò al rettangolo di alluminio appeso al muro sopra il fornello e, preso il pennarello attaccato ad esso con una calamita, cerchiò il giorno.

16 agosto. Tra sei giorni, sarò morto”.

Continuando a fischiettare – dove aveva sentito quella melodia, era forse la colonna sonora di quel film della scorsa sera? – entrò nuovamente in bagno. Su una sedia stavano posti i suoi vestiti, o meglio i vestiti atti a portare avanti la sua recita. Si infilò i larghi e sgualciti jeans, seguiti dall’ampia shirt bianca.

Quel pazzo indossa una maglia a maniche lunghe pure con questo caldo. Ci credo che la sua collaboratrice mi guarda sempre storto”.

Finito di vestirsi, procedette con il trucco. Passò un’abbondante strato di fondotinta sul volto leggermente abbronzato e poi sfumò varie polverine – com’è se si chiamano? Ombretti? – per simulare le occhiaie. Per finire, prese una spazzola dal cassetto del mobiletto posto sotto il lavandino e cercò di rendere i suoi capelli il più spettinati possibile. Diede degli ultimi ritocchi e si guardò ancora allo specchio.

Perfetto, pessimo come sempre, signor detective”.

Indossò le solite scarpe vecchie e logore e, chiusa la porta di casa alle sue spalle, si avviò verso la sua fermata per prendere il tram.

«Cara Misora, sei pronta anche oggi?»



✝ ✝ ✝



«Ryuzaki, direi che possiamo andare».

«Già, oggi abbiamo fatto grandi passi avanti, Misora».

Era vero: la scena del crimine si era rivelata interamente un indizio per il luogo del prossimo omicidio, il quale, giurò Naomi, non si sarebbe mai consumato. I due si salutarono e si incamminarono verso l’uscita senza dirsi più nulla. Una volta usciti, però, una spiacevole sorpresa si parò di fronte a loro. La pioggia imbattente di un dispettoso temporale estivo, all’improvviso si era abbattuto sulla città, costringendo i suoi abitanti a correre come piccole biglie impazzite alla ricerca di un riparo.

«Maledizione, non vedo l’ora che questa giornata finisca!», disse lei strofinandosi le braccia scoperte.

«Oh su, Misora. Per un po’ di pioggia non mi sembra il caso di fare così».

Naomi gli lanciò un’occhiataccia, ma lui era troppo impegnato a guardare il cielo nero per accorgersene.

«Io non ho l’ombrello. Il tempo di arrivare alla metropolitana e sarò bagnata dalla testa ai piedi!»

«Neanche io ho portato l’ombrello, Misora».

«Condoglianze».

«Come?»

«Niente niente», disse sventolando la mano.

«Ahi ahi ahi, Misora, mi sembra davvero arrabbiata. Per quanto ne so, un po’ di pioggia non ha mai ucciso nessuno; però potrebbe servire a sbollentare i nervi. La saluto».

Cos’era, un rimprovero? Lui che la rimprovera: questo era il colmo. Cosa avrebbe dovuto dire lei allora della sua condotta alquanto infantile e imbarazzante durante un momento serio come quello delle indagini? Cosa avrebbe dovuto dire lei di tutte le volte che si era messo a strisciare a terra, o di quando aveva preso dal frigorifero della vittima un barattolo di marmellata portato da casa – Dio, un po’ di decenza! - e lo aveva svuotato davanti ai suoi occhi increduli e disgustati? E come dimenticare tutti i commenti di dubbio gusto fatti in merito al caso e alle vittime, o di quella volta che lo aveva beccato a rovistare tra la biancheria intima della ragazzina, Quarter Queen?

Certo che la sfacciataggine non gli mancava.

Se sono incazzata saranno affari miei, non starò di certo a raccontarli a te! Ti darei un bel calcio dove dico io solo per vederti contorcere a terra per un valido motivo”.

«Oh, giusto, Misora», l’uomo si fermò voltandosi verso di lei: «La metropolitana è chiusa per controlli sulla manutenzione fino a domani sera. Non ha letto l’avviso all’entrata stamattina?»

«Cosa? Ne sei sicuro?»

«Sicurissimo, ho letto l’annuncio ieri pomeriggio».

Che dire, non c’era mai davvero fine al peggio. Sotto la pioggia scrosciante, l’agente guardò l’individuo che le stava di fronte a pochi metri con un’espressione indecifrabile. Lui ricambiava con un sorrisino irritante, come se la situazione della donna lo divertisse: questo fece montare una rabbia ancor più nera nell’animo già offuscato di Naomi.

Naomi, metti da parte il tuo orgoglio. Anche se la cosa ti brucia da morire, devi chiederglielo”.

«Senti, Ryuzaki».

Il detective da strapazzo aveva compiuto solo pochi passi quando la voce di lei lo raggiunse. Senza dire niente ritornò sotto la pensilina e la guardò attendendo che continuasse a parlare.

«Non è… che potresti darmi un passaggio?»

Si sentì ridicola. Quella era la seconda persona nella stessa giornata a cui chiedeva un passaggio; c’era solo una leggera differenza tra la prima persona e la seconda, fatto sta che il sentirsi dipendente da qualcuno non le piaceva affatto.

L’uomo davanti a sè cambiò espressione: dalla totale indifferenza che lo contraddistingueva passò a una sorpresa che gli sbarrò gli occhi – più o meno, gli occhi li aveva perennemente spalancati dopotutto.

«Misora, io sono col tram. Non si può».

E ti pareva. Questi uomini sono tutti uguali: quella buona volta in cui servirebbero a qualcosa non sono mai disponibili”.

«Prenda il tram anche lei. La fermata è qui vicino».

«Dove abito io, la fermata più vicina a casa mia è a due kilometri di distanza» diede un’occhiata all’orizzonte «e per come stanno le cose, sembra che il temporale possa solo peggiorare».

Ryuzaki si guardò le scarpe per metà infangate e si grattò la guancia.

«Beh… potrei ospitarla da me fin quando il temporale non cessa. Dopodiché potrebbe prendere il tram dalla fermata che ho sotto casa. Passano ogni quarto d’ora».

Naomi prese seriamente in considerazione la sua proposta. Che poteva fare dopotutto? Raye non sarebbe tornato a casa prima di sera e a piedi non sarebbe di certo potuta andare. La cosa non l’allettava per niente, ma…

«D’accordo Ryuzaki. Vengo da te».

«Davvero?»







[Note]:

1) Naomi, durante le indagini del caso del serial killer di Los Angeles, è fuori servizio per via di un incidente avvenuto durante una missione che le è valso l'espulsione momentanea dall'FBI.

2) È una donna di ventotto anni, terza vittima di B uccisa il 13 Agosto, nove giorni dopo l'assassinio di Quarter Queen.

3) Un' altra denominazione data al caso dai media per via della presenza delle Wara Nigyo a ogni scena del crimine. Esse sono delle bamboline di paglia appartenenti alla tradizione giapponese e avranno un ruolo fondamentale per l'attuazione del piano di B.



  
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