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Autore: Cla90    27/01/2009    5 recensioni
Questa volta Chuck Bass era distrutto ed era abbastanza sicuro che non sarebbe riuscito ad aggiustare le cose. [Spoiler 2x13 - Oh Brother, where Bart thou?] [Chuck/Blair]
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Upset


...In the pain, there is healing

in your name, I find meaning...


Con uno scatto spalancò la portiera della limo, non appena questa si fermò davanti al Palace e con quello che pretendeva essere un passo deciso, Chuck si affrettò verso l'entrata, doveva soltanto mettere in fretta un piede davanti all'altro per raggiungere la sua suite e dimenticare, dimenticare...

A mala pena vide un usciere dalla divisa distinta che si toglieva il cappello e gli sorrideva timidamente, aprendogli la porta per farlo passare.

Chuck tirò dritto per la sua strada senza degnarlo di uno sguardo, aveva ben altri pensieri per la testa, finchè non sentì la sua voce:

-Buon pomeriggio, Mr. Bass.

Era quasi entrato quando aveva sentito il saluto dell'usciere.

Aveva capito bene?!?

Si voltò lentamente verso l'uomo di mezz'età che si sporgeva a tenergli aperta la porta. In un attimo il sorriso scomparve dalle labbra dell'uomo, constatando l'occhiata glaciale che Chuck gli aveva appena lanciato, carica d'odio e disperazione.

Chuck cercò di controllarsi.

Strinse i pugni a tal punto che le nocche gli diventarono bianche, finchè non sentì le unghie che gli ferivano la carne, per lasciare poi piccole mezze lune rosse sulla pelle.

In fondo sapeva che stava avendo una reazione esagerata, ma non poteva farne a meno. Non quando aveva sentito pronunciare quelle due parole.

Mr. Bass.

L'avevano chiamato così anche in precedenza, ma non vi aveva mai prestato molta attenzione.

In fondo cosa c'era di strano? Era il suo cognome.

Ma ora che suo padre era morto, sentiva in quel cognome tutto il peso, le responsabilità che comportava.

Onore. Rispetto. Lealtà. Sincerità...

Erano tutti valori che suo padre aveva tentato, apparentemente invano, di trasmettergli. Ed ora, sentirsi chiamare in quel modo, era un boccone amaro che non voleva andarsene giù.

Tutto quello che sarebbe potuto essere.

Tutto quello che non sarebbe mai stato.

Per questo non poteva sentirsi chiamare con quel cognome.

Semplicemente non gli apparteneva.

Degludì, prima di parlare:

-Mr. Bass era mio padre.- gli urlò contro, digrignando i denti- Non si azzardi mai più a chiamarmi in quel modo o sarò costretto a farla licenziare.

L'uomo di fronte a lui impallidì all'improvviso e piccole gocce di sudore gli imperlarono la fronte. Non potè far altro che annuire alla svelta.

-C-certo, come vuole, Mr.- fermò il suo balbettio, non sapendo come chiamare il ragazzo.

-Chuck.-sussurrò lui,ormai privo di forze, prima di entrare nell'hotel- Sono solo Chuck.


*


Con un rumore sordo, la porta della suite 1812 si chiuse sbattendo.

Chuck si guardò lentamente intorno, come se vedesse la camera per la prima volta.

C'era troppa luce. Gli dava decisamente fastidio agli occhi.

Tirò tutte le tende con forza, finchè l'intera stanza non fu immersa nella penombra.

Ancora un altro sguardo in giro e adocchiò una bottiglia di whisky mezza vuota, sul bancone, resto di quella mattinata passata a bere, mentre da Nate si lasciava aggiustare la giacca e Blair gli strappava dalle mani la fedele bottiglia.

Ripensare a quel nome, a quel dolore impresso a fuoco nella sua mente, gli fece pulsare la testa a ritmo del suo cuore.

No, non poteva sopportarlo.

Un tale dolore, una tale sofferenza che faticava anche a concepire, gli premevano sul cuore, che sembrava stesse per uscirgli dal petto in ogni momento.

Prese un lungo respiro ed espirò forte, allungando la mano verso quella bottiglia, unica fonte di sollievo che conosceva.

Si gettò di peso su quel divano, dove tante di quelle volte aveva dormito il suo migliore amico ed avvicinò la bottiglia alla bocca, inclinandola di quel tanto che bastava perchè il liquido ambrato gli scivolasse direttamente nella gola, bruciandolo lungo il suo passaggio.

Calde lacrime ustionarono la sua pelle, mentre ad ogni sorso la realtà si faceva più sfocata e scolorita.

In un batter d'occhio finì la bottiglia e quando si alzò per prenderne un'altra, barcollò un attimo e si sorresse al bracciolo del divano, poi qualcosa attirò la sua attenzione.

Una foto di suo padre in bella vista accanto allo specchio e ad un mazzo di fiori.

Le lacrime continuarono a cadere imperterrite, incuranti di mostrare al mondo l'umanità di Chuck Bass.

Chuck chiuse gli occhi, stringendoli forte, come per fermare quella semplice espressione di debolezza.

Perchè lui non era debole. Non doveva esserlo.

Con tutta la forza di cui disponeva, scagliò la bottiglia vuota contro il muro, frantumandola in milioni di pezzi.

Ed urlò.

Urlò con tutto se stesso, con tutta la voce che aveva in gola, come se suo padre lo avesse potuto sentire, ovunque si fosse trovato in quel momento.

Perchè era arrabbiato. Con la morte che gli aveva portato via l'unica famiglia che possedeva. Ma soprattutto con se stesso, per essere solo stato capace di deludere tutte le persone che conosceva.

Afferrò la foto incorniciata d'argento e la gettò a terra, insieme a tutto quello che si trovava sul tavolo. Compreso il vaso di fiori, che finì sul tappeto, bagnandolo.

Strappò con ferocia i biglietti di condoglianze che gli erano arrivate, per la maggior parte da clienti o collaboratori di suo padre.

Si passò le mani tra i capelli, spettinandoli.

Poi cadde in ginocchio. Ma non sapeva più come rialzarsi.

Sospirò quando sentì un rapido ticchettio di tacchi lungo il corridoio che portava alla sua camera.

Sapeva fin troppo bene a chi appartenevano quei passi, così cercò inutilmente di prepararsi all'inevitabile.

-Chuck!!-sentì urlare il suo nome appena fuori dalla camera- Apri questa dannata porta!! So che sei lì dentro!!

Appoggiando una mano a terra si rialzò, e si asciugò la faccia con una manica della costosa giacca.

Sembrava che qualcuno stesse per buttare giù la porta, che veniva puntualmente colpita da pugni, intervallati da imprecazioni.

Chuck sospirò, appoggiandosi alla porta che vibrava sotto i colpi.

Poteva semplicemente far finta di niente e se ne sarebbe andata .

Magari avrebbe tentato ancora un po', poi però avrebbe gettato la spugna e si sarebbe allontanata. Come facevano tutti gli altri.

Ma chi stava tentando di prendere in giro?

Sarebbe stata anche capace di chiamare un fabbro per fare smantellare la serratura, pur di entrate in quella maledetta stanza.

Poggiò la mano sulla maniglia fredda, per poi farsi coraggio ed applicare la pressione necessaria ad aprire la porta.

L'aprì quello spiraglio che bastava per farsi vedere, non aveva assolutamente intenzione di intavolare una nuova conversazione strappalacrime con lei.

Era l'ultima cosa di cui aveva bisogno.

Non le era bastato quello che le aveva sbattuto in faccia, sul marciapiede, appena dieci minuti prima?

Desiderava che non lo avesse mai seguito fino a lì, non voleva farle ancora del male.

Tuttavia aveva bisogno che capisse che con lui non aveva futuro.

Bastava guardare come si era ridotto.

Non aveva più il controllo delle sue azioni.

D'altra parte però, per quanto lottasse, per quanto lo volesse con tutta l'anima, non riusciva a starle lontano. Come lei da lui, a quanto pareva.

Doveva pur significare qualcosa, no?

Rincorrersi, ferirsi, amarsi forse?

Ad un tratto smise di analizzare la situazione, smise di tentare di darsi delle risposte ed tornò al suo intento iniziale. Allontanarla.

-Cosa vuoi ancora, Blair?-le chiese stancamente, evitando di guardarla negli occhi, altrimenti tutto il suo piano sarebbe andato a farsi benedire.-Non abbiamo più niente da dirci, mi pare.

Blair aveva ancora il pugno alzato pronto a colpire di nuovo la porta e Chuck, per un momento pensò che invece avrebbe colpito lui. E non avrebbe avuto altro che ragione.

-Io invece non ho ancora finito.-gli disse risoluta e facilmente riuscì a farsi spazio tra lui e la porta e ad entrare nella camera.

Finse di non essere scioccata dalle condizioni in cui versava la suite e si voltò verso di lui, le mani sui fianchi.

-Perchè ti ostini a tormentarmi? Lasciami in pace.- le chiese con fare indifferente- Non ho bisogno di nessuno. Tanto meno di te.

Farsi odiare a tal punto da scappare nella direzione opposta alla sua, da cancellarlo dalla sua vita e dai suoi ricordi. Questo era il suo obiettivo.

In fondo lo faceva solo per il suo bene.

Ed era proprio perchè l'amava, perchè la sua felicità stava al di sopra di tutto. Non poteva sopportare il fatto di farla annegare insieme a lui.

Lui sarebbe sparito e lei nel giro di pochi mesi lo avrebbe già dimenticato. Questo era il piano.

-Non è vero. Hai bisogno di aiuto.-tentò di avvicinarglisi, ma lui fece un passo indietro.- Anche se non mi dirai mai che mi ami...

Chuck aprì la bocca per parlare, ma non vi uscì nessun suono, tanta era la disperazione.

-...anche se continuerai a respingermi- continuò con voce rotta, afferrando il suo braccio, stringendolo come per evitare che lui sparisse sotto i suoi occhi.- io sarò sempre qui per te.

Con uno scatto, sfuggì alla sua presa e le ringhiò contro.

-Possibile che tu non abbia ancora capito? Mi sono divertito fino ad ora, ma adesso il gioco si sta facendo noioso e mi chiamo fuori. Blair, non sei mai stata niente per me, niente di più di un passatempo...

Seppe di aver raggiunto il suo scopo, quando Blair tra le lacrime lo schiaffeggiò forte.

Ma non era soddisfatto, dal momento che le aveva spezzato il cuore ancora una volta.

-Sei soltanto un bastardo, Chuck.-gli gridò contro, mentre si avviava verso la porta.- Che cos'è questo? Un altro dei tuoi giochi perversi? “Tormentiamo Blair Waldorf fino allo sfinimento per vedere quanto resiste”? Non riesci a chiedere aiuto, quando è evidente che ne hai bisogno, visto in che condizioni di trovi. Non riesci a mettere da parte il tuo orgoglio neanche per un attimo, quando invece io l'ho fatto, soltanto per te. E tu invece cosa hai fatto?

Iniziò a piangere a dirotto, a testa bassa.

Chuck si sentì sprofondare, desiderava solo non essere mai nato.

A cosa era servita tutta la sua esistenza?

Solo a fare del male agli altri...sua madre, suo padre, Blair, Nate erano solo i primi della lista.

-Mi hai umiliata, mi hai rifiutata e quando ti ho detto...-prese un respiro, per farsi coraggio, alzando cautamente la testa per fronteggiarlo, tra le lacrime-...quando ti ho detto che ti amo, sei semplicemente...andato via. Per questo...ho chiuso.

Così se ne andò, lasciandolo lì da solo, in bilico tra la solitudine ed il rimorso.

Quando sentì la porta chiudersi, serrò le labbra, trattendosi dall'urlare la sua frustrazione e la sua sofferenza.

Che diavolo aveva fatto, stavolta?

Era solo l'ultimo di una lunga serie di errori madornali che aveva commesso con Blair.

All'improvviso un'idea malsana gli passò per la mente.

Attraversò la camera velocemente, aprì la cassaforte e tirò fuori una scatola nera.

Cautamente sollevò il coperchio e scostò un panno di velluto che nascondeva una Revolver Smith&Wesson. Era stato uno dei suoi capricci e nessuno aveva mai saputo dell'esistenza di quella pistola. Solo per il gusto di possederla, una delle tante cose che i soldi potevano comprare.

Era piccola e gli entrava in una mano.

Si sedette sul letto, la pistola in grembo.

In fondo dopo tutti i casini che aveva combinato, aveva ragione a voler sparire, sarebbe stato meglio per tutti.

Prese un respiro e continuò ad accarezzare con l'indice il metallo freddo dell'arma.


TBC...


Grazie a tutti quelli che hanno commentato!!!

Al prossimo capitolo!

Xoxo Melian90

  
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