Fumetti/Cartoni europei > Gormiti
Segui la storia  |       
Autore: TheEldestCosmonaut    10/08/2015    2 recensioni
Una rielaborazione del mondo fantastico ideato da Leandro Consumi e Gianfranco Enrietto, e sviluppato da Giochi Preziosi ©.
In una un tempo sperduta e sconosciuta isola del Grande Golfo, situata alle porte dell’inesplorato Mare dei Serpenti, un anziano maestro nato e cresciuto qui, dal passato oscuro e dall’identità misteriosa, noto a tutti, fuorché la moglie, come semplicemente il Cronista, riunisce ogni mattina i giovani del suo Popolo di appartenenza, il Popolo della Foresta. Il Cronista insegna ai cuccioli della sua etnia la storia lunga della razza che domina l’Isola di Gorm: in particolare, è arrivato il momento per il Cronista di narrare le vicende degli ultimi cinquant’anni circa dei gormiti, i più intensi e sanguinari, quelli che maggiormente hanno sconvolto le usanze, la filosofia, la scienza, e in generale la realtà intera dell’isola, e che hanno aperto i suoi abitanti alle altre razze del Grande Golfo.
Mappe:
https://www.dropbox.com/s/ffyy6p5cbcbfuvg/Gorm.png?dl=0
https://www.dropbox.com/s/3nhvuy2v6u5bob8/Grande%20Golfo.png?dl=0
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
“Sapevo che mi avresti cercato - espresse a sangue freddo il Signore della Terra – Abbiamo un conto in sospeso.”
“Non c'è bisogno di ricordarmelo.” replicò freddamente come il metallo in cui si era rinchiuso Armageddon.
Thorg, in una splendente armatura cromata, osservava con fare intimidatorio e di sfida il suo arcinemico, abbassando il capo e mostrando fiero e pronto alla rissa le argentee corna, scalciando beffardamente il terreno con un piede come un toro imbufalito.
Il Signore del Vulcano era assai meno altero e divertito di lui, ma non si potevano definire con certezza i suoi moti dell’animo, ora meno che mai.
Una gabbia di acciaio gelida come il ghiaccio e ardente di mille incendi nascondeva la sua carne, i suoi tremori e il suo terrificante volto famelico. Spalliere squadrate del peso di cento uomini, bordate del brillante colore della morte, trafitte da dozzine di tessere acuminate color del corallo gli gravavano e gli sostenevano le forti braccia. Della stessa fattura era composto il pettorale e la protezione dell’addome. Alle braccia e alle gambe, una autentica corazza di centinaia e centinaia di catene avvolte e sovrapposte, gravose e sopprimenti come un’intera montagna, strappate alle prigioni e ai prigionieri che relegavano un tempo per riproporre la sofferenza di quegli schiavi sui guerrieri liberi.
Un guanto bronzeo, massiccio, dagli uncini dorati sulla punta delle dita, stringente e pressante, a una mano.
Nell’altra mano, sempre che ancora ci fosse una mano, le catene dell’avambraccio perdevano il loro carattere decorativo e minatorio per concorrere all’impiego di una grossa palla puntuta di giallo, dal funzionamento simile alla vecchia e abbandonata attrezzatura di re Obskurios.
Unicamente i possenti bicipiti, rossi come la ruggine più ostile e insistente, rimanevano scoperti. Nessun tangibile e certo segno dell’evoluzione della Grande Caduta. Forse però, la grande e minacciosa maschera di ferro grigio, come tante tenaglie aguzze impilate, dichiarava un cambiamento nel suo viso. I denti ferrei della maschera procedevano secondo due linee rette parallele mentre, se i ricordi di Thorg non lo ingannavano, la sua bocca era circolare e i denti naturali seguivano il suo corso.
“Non abbiamo più avuto occasione di finire il nostro duello, dopo la caduta del mio dragone.” esordì Armageddon.
A un movimento fulmineo nonostante il peso della sua mano, una boccia di lava acida, ardente e corrosiva fu sparata in direzione di Thorg. Sì, era mutato.
Quest’ultimo sbiancò, come sempre aveva fatto ogni volta che, dal recente scoppio della battaglia nella pianura, uno dei vulcanici nuovi lo assaliva con il letale magma fuso.
Lava e magma. Un materiale incandescente, pericolosissimo e ingovernabile con i mezzi della tecnologia, che tutto poteva smantellare e sciogliere, aprire la strada verso qualsiasi obiettivo concreto.
Era spaventoso, e ingiusto, che un simile potere potesse essere piegato ai capricci dei già aggressivi gormiti del Vulcano, a cui era stato porto un ulteriore mezzo di annichilimento dopo il temibile fuoco.
Anche a Thorg e ad altri gormiti della Terra, tuttavia, fu donato un immane potenziale, forse più utile della lava. Se non altro, e per fortuna, erano in pochi nel Vulcano a godere di quel portento, e, come valeva anche per il diamante della Terra, era assai impegnativo produrre dal nulla il fuoco liquido.
Il Signore della Terra fu terrorizzato a quella vista, ma non si paralizzò né si dimostrò impaurito: sollevò una sagoma di terra per difendersi, e per sicurezza balzò anche di lato.
“Hai proprio ragione, – proferì poi – ci siamo persi di vista. Ma ora possiamo continuare.”
“Che ne dici di procedere da dove ci eravamo fermati? – propose sogghignando il Signore del fuoco – Tu a terra, e io che ti sto per colpire.”
“Non ci tengo. E poi, ti ricordo che avevi una spada con te, e adesso non ne hai nessuna.”
“Giusta osservazione. – concordò – Sarò benevolo, e ti farò riprendere come desideri. Cominciamo?”
Tra Armageddon e Thorg si era sviluppata, in quel solo incontro, una grande intesa, un profondo e intenso rapporto di giusta inimicizia. Si rispettavano tra di loro, combattevano con giustizia e valore.
Tutto merito del genuino senso dell’onore di Armageddon, che, nonostante tutte le parole al riguardo di molti capi militari nonché dei singoli sudditi, anche quei pochi che non combattono, era interpretato diversamente e malamente e solo il suo era degno di stima per il Signore della Terra.
Armageddon scagliò con uno scatto la mazza ferrata al suolo, nel tentativo di colpire Thorg.
“Mi dispiace ma la potenza non basta – lo informò provocatorio Thorg - ti serve la velocità!"
“Non mi dire - continuò pacato Armageddon dirigendosi lentamente verso di lui, raccogliendo la mazza - E ce l'avresti tu?”
Spiccò un balzo poderoso, e atterrò in tutta la sua mole su Thorg, che, sconvolto da tale salto non,ebbe il tempo di muoversi.
“Questa come la chiami, hm?” disse orgoglioso il Signore di Monte di Fuoco.
“M-magia.” rispose respirando a fatica Thorg. La sua massa era davvero immane, insostenibile. Si sentì soffocare, quasi non sentiva più lo stomaco e i muscoli addominali tesi fino allo sfinimento per sopportare quello straordinario peso.
Percepiva la cotta di maglia graffiargli e conficcarglisi nella pancia, e sentiva i contorni della corazza che perforavano la protezione più interna. Se non avesse agito, il suo peso da solo sarebbe bastato per ucciderlo.
Armageddon gli sferrò un pugno. E poi un altro, e un altro.
Alzò poi entrambe le braccia per colpire più fortemente Thorg, ma questi, sfondato ma indistruttibile, gliele afferrò e, avvicinandolo a se, gli inferì una massiccia testata, che fu sufficiente a smuovere Armageddon dal corpo del Signore della Terra.
Tastandosi un poco il capo, quasi per nulla danneggiato, Armageddon non si diede per vinto, e caricò contro il suo nemico.
Thorg, seppur dolorante, era pronto al contrattacco e alla carica di Armageddon; ma quando questi gli fu vicino, fece qualcosa di inaspettato: aprì e allargò la sua bocca, talmente tanto da riuscire a contenere l'intero capo di Thorg. E continuava ad allargarsi, e se non si faceva venire qualcosa in mente, Thorg diverrebbe il pasto più succulento di Armageddon.
Thorg si sentì genuinamente in pericolo di vita. Le pinze della maschera di ferro e i denti d’avorio premevano con forza bestiale sull’elmo e sulla nuca del Signore di Roscamar, piegandogli all’inverosimile le corna e colandogli addosso calda e raccapricciante saliva.
Thorg urlò disperato.
Non era mai successa una cosa simile; persino durante il Grande Sacrificio i vulcanici si erano ritratti dal cibarsi dei milioni di gormiti a cui avevano tolto la vita in un solo giorno con il furore accumulato in anni di sevizie.
Ora, in quel duello, gli incubi più tenebrosi che colpivano i cuccioli di gormita, a cui venivano spesso raccontate falsità sul conto del Popolo del Vulcano, diventavano realtà.
Disperato, furioso, sconvolto per quella morte tanto tragica e inumana, fece di tutto per impedire ad Armageddon di serrare la presa e congiungere i sanguinari denti.
Plasmò del diamante sulle proprie mani, e con esso, accompagnando la sua lotta per la sopravvivenza con grida di agonia che nulla avevano da invidiare alle grida di battaglia dei gargoyle, tempestò di pugni l’elmo di Armageddon, ammaccandolo ma facendosi anche male per la durezza del carbonio puro.
Non intravedendo speranza in quella tattica, e risoluto ad aver salva la pelle, Thorg allora posizionò le mani ai lati dell'immensa bocca di Armageddon, e si liberò con enorme sforzo dalla morsa. Sarebbe stato in grado di spaccargliela, se solo questi non gli avesse inferto un calcio nello stomaco, che lo obbligò ad abbandonare la presa e a ritrarsi indietro; tuttavia si riprese subito, pronto a ritornare la sofferenza e la paura subita con un assalto demolitore.
Rabbrividì. Si era salvato, nonostante l’orrore e la disperazione; a sangue freddo, sull’orlo del baratro tra la vita e la morte, aveva optato per la mossa migliore ed era ancora vivo, e pieno di desiderio di vendetta.
Scorse Armageddon, nient’affatto riluttante ad ulteriori dimostrazioni della sua empietà, e caricò contro di lui senz’un ma. Ma il suo avversario non fu colto alla sprovvista e anzi, gli afferrò le corna e dopo averlo roteato per bene, lo lasciò per andare a catafascio su una delle vicine catapulte, ormai abbandonate.
Approfittando del tempo con cui Thorg si liberava dalla legna, Armageddon avanzò pronto a sferrare un ultimo colpo.
Se non che sotto ai suoi piedi improvvisamente il suolo divenne mollo, e Armageddon sprofondò rapidamente.
Thorg fu enormemente soddisfatto da quella piega degli eventi: qualcuno giungeva in suo aiuto nel momento del bisogno, e sapeva benissimo di chi si trattava. Sabis, potente stregone cresciuto durante gli anni in cui Kolossus promuoveva la magia, succoso frutto di quel periodo insieme a Evera Opale Nero. Sabis era specializzato nella trasmutazione, l’arte magica di mutare il proprio corpo e le proprie sembianze e farle divenire un unico materiale della natura: acqua, fuoco, ghiaccio, sabbia.
Con grande gioia, anche se non era affatto onorevole terminare un duello a quel modo, osservò il corpo di Armageddon discendere muto nelle sabbie mobili.
E poi scomparve del tutto, immerso e sovrastato nell’impalpabile e soffocante suolo sabbioso.
No, Armageddon non poteva essere sconfitto così. Una mazza ferrata a fatica estratta dal vortice irresistibile di polvere giallastra, e Armageddon la lanciò contro Thorg, legandogliela attorno al piede, mentre con la mano si aggrappava al terreno solido.
“Se cadrò, Thorg, tu cadrai con me!” bofonchiava Armageddon esasperato, inghiottendo sabbia e faticosamente trattenendo capo e braccio fuori dal gorgo granuloso.
Thorg, saldo coi piedi a terra, con le mani che trafiggevano la brulla terra, cercava di allontanare ancora una volta il fatto avverso. Perché Sabis, se di lui si trattava, non stava facendo niente per tirarlo fuori da quella situazione? Se doveva ucciderli entrambi tanto valeva che non venisse in suo soccorso.
Con una mano armata di diamante, che lo aveva ulteriormente impoverito di energia, tentava frenetico di spezzare la catena della mazza che lo teneva legato ad Armageddon; non poteva permettersi di cadere anche lui nelle sabbie mobili, se Sabis non aveva intenzione di fermarsi.
Ad un certo punto sentì la mazza scivolargli via dal polpaccio celermente.
Armageddon era caduto? Era davvero andato? O si era salvato?
Sicuro della sua momentanea salvezza, Thorg si voltò, per vedere il nulla. Nemmeno le sabbie mobili, nemmeno Sabis che ritornava nella sua forma per accertarlo delle sue condizione, di quelle di Armageddon e offrirgli le necessarie spiegazioni per averlo quasi ammazzato.
Le sue domande rimanevano senza risposta.
Probabilmente ad Armageddon non piacque che Sabis si sia intromesso nella loro sfida, e l’abbandonò con qualche arcana magia. Tuttavia, la scomparsa di Sabis, sempre che fosse stato davvero il suo suddito a venirgli contro - incontro, rimase un mistero.
Che ci fosse forse qualche altra forza in lotta insieme ai gormiti? I semidei erano tornati su Gorm dopo aver viaggiato in altri mondi, e combattevano tra di loro per la salvezza dei Popoli prediletti, scatenando fenomeni naturali che nemmeno i gormiti potevano tenere sotto il loro controllo.
Non c’era tempo ulteriore da perdere in cupe osservazione: la battaglia proseguiva.
L’assenza di Obskurios, così come quella di Armageddon, non fu notata immediatamente. Del resto, in una battaglia campale dove si scontravano quasi duecentomila soldati è facile perdere di vista compagni e nemici, darli per morti, per poi ritrovarseli improvvisamente di nuovo alle proprie spalle, a difenderle o a colpirle.
Anche nel caso in cui il Signore del Vulcano o Obskurios fossero davvero passati a miglior vita, la campagna avrebbe continuato. Non era lui il massimo capo della guerra: c’erano ancora Devilfenix, il secondo Pantiavros e numerosi altri capi militari a guidare gli uomini del Monte di Fuoco, di Picco Aquila e dell’Oscuro orizzonte, l’antico appellativo con cui il Vecchio Saggio aveva denominato la casa dei gargoyle, alla conquista di Roscamar e dei quattro Occhi.
In più, lo Stregone di Fuoco era ancora vivo e presente, attivissimo e pericolosissimo dal silenzio e dall’ombra del suo trono di pietra in cima al Vulcano. Finchè lui c’era, proprio come l’Occhio della Vita, il Vulcano non avrebbe mai cessato di guerreggiare, e di tramare loschi piani insieme alle migliori menti di Tato Yami ai danni dei Popoli alleati.
I piani per quella battaglia in direzione della capitale della Terra non erano limitati alla sola marcia e al combattimento frontale. Un’arma speciale era stata studiata, progettata e costruita secondo schemi complessi e preziosi nelle miniere e nelle segrete della Valle del Vulcano. Un’arma oramai terminata e che instancabile e pronta ad obbedire a comandi di morte aveva attraversato tutta la Valle e il Deserto.
Ora, i plotoni al seguito dello Stregone di Fuoco e di Obskurios compresero l’arrivo tanto atteso del loro asso nella manica, la loro soluzione per una vittoria rapida e conclusiva e la chiave per le porte di Roscamar e per gli scrigni di roccia che custodivano i divini Occhi. L’esercito del vento e del fuoco, più o meno ordinatamente, si divise in due, lasciando libero spazio all’ultimo prodigio della magia di Magor e della scienza di Tato Yami.
Dei soldati scuri, senza armi e senza corazza, dagli sguardi vuoti e dalla totale insensibilità, muti e tutti uguali come le stelle della notte, marciavano all’unisono nella Pianura della Nebbie.
Uno si appropinquava flemme e irrefrenabile verso Thorg.
 
L’inquinato mare di uomini neri apparso dal nulla si fece strada, dividendosi in decine di fiumi, tra la folla di guerreggianti, recando sorrisi spaventosi e rinnovata speranza di vittoria tra le fila di gargoyle e seguaci dello Stregone di Fuoco, e inquietudine e sospettosi cipigli nelle schiere del Vecchio Saggio, presto sincere espressioni di terrore.
Nulla di tutto ciò era visibile nell’allarmante orda corvina che già combatteva fianco a fianco di vulcanici e yamensi e dava dimostrazione a loro stessi e ai nemici delle loro inumane abilità: sembrava non esserci alcun moto nei loro sguardi, né piacere né dolore, nessun sintomo di emozione.
Vuote erano le loro espressioni mentre, separandosi dal nucleo dell’armata – a prima vista, pensò Thorg, dalla sua posizione sembravano essere qualche centinaio – ogni fiume di soldati scuri si scindeva ulteriormente per scegliere un avversario nelle legioni avverse.
Uno di essi pose il suo sguardo vitreo e vacuo su Thorg, e la sua marcia lenta verté su di lui, priva di ostacoli rappresentati da altri combattenti.
Il Signore della Terra, colmo di dubbi e di timori, si mise in posa da combattimento, di certo non dubbioso sul voler salvarsi la pelle, o venderla al più alto prezzo possibile.
Una gamba piegata all’indietro, il tallone sollevato, un braccio in avanti e l’altro poco più indietro, entrambi tesi come molle per gettare poderosi pugni, l’intero corpo solido e rigido come un blocco di diamante.
Il soldato scuro si avvicinava pericolosamente, ma lentamente, e lentamente il battito del cuore del Signore della Terra aumentava per l’imminente collisione con un nemico nuovo e sconosciuto, senza fermarsi.
Gli occhi di topazio del soldato lo osservavano fisso, le spesse braccia di bornite e ossidiana ondeggiavano come corde ai suoi passi. Non aveva sotto controllo alcun tipo di potere degli elementi o della forza magica, Thorg lo sentiva. E sentiva anche come ciò fosse davvero fuori luogo e sospetto, su Gorm, dove tutti sono in grado di colpire a distanza con elementi o magie.
Corna di topazio come le sfere del viso, seppur più pallide, gli coronavano la fronte e le tempie, arcuandosi all’indietro fino a coprire del tutto le orecchie piatte e tetraedriche.
Niente labbra a coprire gli ingialliti denti.
Di bornite, come la volta celeste nelle giornate di pioggia, era la sua pelle, opaca e ruvida all’apparenza, ricolma di rughe che Thorg percepiva non essere affatto frutto della vecchiaia.
Era nudo, spoglio di qualsiasi armamento o corazza. Una sorta di protezione naturale di consistenza visibilmente più densa, dall’aspetto e il colore che ricordava l’ossidiana, nera e rigata, ricopriva gli avambracci, il dorso delle mani dalle tre turgide dita, il petto – probabilmente anche la schiena – e gli stinchi.
La sua fattura era misteriosa e completamente non familiare per il Signore della Terra. Più basso di un gormita ma più alto di un gargoyle, leggermente gobbo, petto gonfio, spalle larghe, addome piatto e gambe ben piazzate ma strette, che nel complesso gli davano la forma di un triangolo rovesciato. Non c’era l’ombelico, il che rimuoveva dalla rosa delle possibilità quella che fosse qualche variante anomala di gargoyle senza ali. Inoltre, il suo inguine…era vuoto. Non c’era assolutamente niente, nessuna fessura o muscoli che pendono, come ci si poteva aspettare da un gargoyle, ma anche da un ka’nhili o uno stesso gormita.
Di che natura era? Scoprirlo avrebbe sicuramente giovato alla sua situazione: conoscere il suo nemico lo avrebbe in qualche modo rilassato, e poteva anche fornirgli la natura e la posizione di possibile debolezze – i ka’nhili, ad esempio, non possono immergersi e l’acqua può far loro del male ma, tralasciando il fatto che era improbabile o addirittura impossibile che il nemico fosse un ka’nhili, Thorg non aveva comunque accesso all’acqua.
Non potendo però risolvere i suoi quesiti in alcun modo, il Signore della Terra, con l’ansia che cresceva e il soldato che non accennava ad accelerare il passo, decise di farla finita.
Sbuffando e scalciando il terreno con il piede arretrato, chinò la testa e caricò contro di lui.
Il contrasto andò a buon segno, il soldato cupo non si tolse di mezzo in tempo e fu gettato all’indietro, senza però cadere. Nemmeno mugugnò il dolore per aver cozzato il capo contro le corna di Thorg.
Non soddisfatto, il Signore della Terra gli si avvicinò e gli sferrò potenti pugni dritti in faccia, di lato, sotto il mento.
Quello incassò ognuno di quei colpi senza mormorare un solo lamento né reagire. Le guance si gonfiavano per i lividi e per l’urto, il sangue colava tra i denti e dal naso già schiacciato e deforme di suo, ora pure rotto. Eppure, era come se gli attacchi non gli arrecassero alcun fastidio, ancor meno la sofferenza.
Thorg non riusciva a raccapezzarsi di come ciò era possibile. Cos’era? Perché non sentiva il dolore?
Il terrore cominciò a scorrergli nelle vene. L’ultima frontiera: un nemico insensibile e senza sentimenti, legato solo agli ordini datigli e dagli impulsi naturali di nutrirsi e purgarsi dei pasti. E forse nemmeno quelli. Solo lo Stregone di Fuoco poteva aver creato qualcosa di simile, solo lui era tanto efferato da immaginarsi una cosa simile e permetterle di divenire realtà e camminare tra le altre genti.
Il soldato scuro attaccò per la prima volta: una serie di pugni ben assestati, da entrambe le braccia, sul petto, l’addome e il volto. Nonostante la sua protezione, Thorg riuscì a sentire ugualmente l’immensa forza dei suoi colpi.
Il conflitto con la corazza argentea di Thorg gli lasciò delle belle ferite sulle nocche e sulle dita, a dispetto della copertura nera, ma nemmeno quelle gli fecero male. I suoi occhi rimanevano fissi sulla preda e i denti serrati.
Thorg indietreggiò spaventato, ma non ancora fuori combattimento o del tutto deprivato della speranza e costretto alla fuga. Doveva esserci un modo per finirlo. Non era una creatura forgiata dalle mani della natura, di questo era sicuro: ma era vivo ed esisteva, e come era giunto sulla terra c’era anche un modo per farlo sparire da essa.
Battè forte il piede sinistro al suolo, sollevando con i suoi poteri un masso di roccia.
“Dimmi se questo ti fa male, razza di demone.” gridò, e spinse il macigno sospeso dinanzi a lui verso l’immonda creatura nera.
L’impatto fu sonoro e Thorg udì perfettamente il suono in quell’occasione così gradevole delle ossa che si spezzano e il sangue che schizza su una superficie solida.
Sospirò di sollievo: quel demone era mortale come tutti loro, e poteva ignorare quanto voleva il dolore, ma il suo corpo non poteva resistere a un simile scontro.
Thorg fu immediatamente costretto a ricredere delle sue convinzioni.
Sotto i suoi occhi sconvolti, il masso fermatosi sul soldato prese a scricchiolare, e a salire verso l’alto.
Il mostruoso guerriero, orribilmente tumefatto in volto e sulle ginocchia, era ancora vivo!
E ancora in forze, infatti sollevò alla massima altezza delle sue braccio la grossa pietra, e la ritornò al mandante. Senza grandi successi però, abbattendosi a diversi piedi da Thorg.
Il Signore della Terra era ora infuriato, oltre che spaventato. Quella cosa orribile doveva morire, non poteva continuare a vivere. Fino a dove la sua insensibilità al dolore l’avrebbe condotta, per quanto ancora avrebbe stordito della sua diabolicità la mente turbata di Thorg?
Una grossa punta di diamante alla testa o al cuore doveva per forza metterlo fuori combattimento, e Thorg provò subito. Se non ché il micidiale combattente, con un singolare scatto, si era avvicinato a lui ed era pronto a tormentarlo di pugni fino a spezzare la corazza di Thorg e a fare delle proprie mani dei moncherini sanguinanti.
Il Signore della Terra, cuore e fiato a mille, estrasse rapidamente la sua lama, conservata per situazioni pericolose fino ad ora. Quella era la definizione di tale situazione.
Con il soldato scuro già su di lui a ammaccargli le placche metalliche e ostacolargli la vista ei movimenti, oscillò la spada corta alla cieca in un primo momento.
Poi, la conficcò dritta dritta nel collo del demone di burnite e ossidiana. Lo trapassò del tutto.
Una frana di sangue, e i suoi definitivi ultimi respiri, si riversarono sul pettorale di Thorg dalla sua bocca immonda, mentre sfilava la lama dalla carne sporca.
***
Alcuni giorni prima, nelle oscure e afose segrete caverne sotto Monte Vulcano.
Fruscii e scrosci inquietanti e guaiti selvaggi rimbombavano da dentro la sacca di pelle giallastra traslucida, una larga ragnatela gelatinosa e appiccicosa del colore del miele, inchiodata all’interno di un’ampia cavità scavata all’interno di un tronco nero.
Ruvido, spoglio, incrostato di macchie rosse e brune, senza rami né foglie era il rozzo pilastro ligneo dalla forma conica.
Fumo dalla raccapricciante varietà di sfumature e dal lezzo invidiabile fuoriusciva dalla cima del fusto, ritagliato e coronato da intrecci di pali appuntiti dalla curiosa utilità.
Un gormita del Vulcano a un lato del tronco soffiava ininterrottamente fuoco dal suo palmo, dirigendolo attraverso una fessura nel fusto dritto sulla membrana mielosa, che s’agitava e ribolliva, come una pentola per un gustoso piatto che, da crudo e freddo, era disgustoso alla vista e al palato, ma una volta cotto a dovere ed assimilati i suoi numerosi ingredienti era una portata degna del tavolo di un re. Il mucoso involucro non si bruciava, né il l’abbondante ceppo a contatto con le fiamme.
Dalla parte opposta, usufruendo di un’opposta fenditura nel legno, un forzuto gargoyle, grondante di sudore e completamente nudo, fuorché per un succinto perizoma, a causa della fatica e del calore, scaldava, massaggiava e stimolava con la forza dell’oscurità la sacca membranosa, apportando succulenti miglioramenti alla regale pietanza, che il fuoco da solo non era in grado di generare.
Altre undici alte strutture di legno e fiamme riempivano la stanza dalle rosse pareti come malevole spine di una rosa. Una rosa velenosa.
Non tutte presentavano gormiti e gargoyle al lavoro, lo stesso fumo, la stessa sacca appiccicosa, gli stessi movimenti e rumori provenienti da essa. In alcuni tronchi la sacca, vuota e bagnata di colorati succhi, veniva recisa e strappata, per poi essere sostituita da una nuova membrana; in altri la pellicola, riempita, indugiava immobile e silenziosa all’interno del suo buco.
Tre figure di alta autorità osservavano con trepidazione il lavoro in corso, tollerando grazie ad essa con facilità il miasma, i vapori e l’arsura di quel laboratorio sotterraneo. Solo alcune aperture nel soffitto davano possibilità di fuga ai fumi maleodoranti e possibilità d’accesso all’aria pulita e profumata. La porta dietro i tre era chiusa e nessuno vi sarebbe passato per diverso tempo; il grande cancello sulla sinistra si apriva solo in determinate situazioni.
Una di loro, a dire il vero, era minimamente toccata dal calore che sopportava a livelli esponenziali ogni giorno e ogni notte della sua vita da parecchi anni oramai, dal fetore e dalle esalazioni che i suoi polmoni avvelenati dalla magia non riconoscevano più come un tempo.
Non era invero così trepidante e ansioso come le altre due figure assieme a lui, maestri dietro quello straordinario progetto. Da diversi giorni ormai, nonostante l’Occhio della Vita fosse praticamente nelle sue mani, nonostante egli stesso avesse tradito il più grande stregone del suo tempo ed El’issam di Karmil, era rattristito da un’unica tragica convinzione: la sua vita sarebbe stato un inferno senza fine, e lo stesso momento della morte avrebbe significato un dolore ineguagliabile da qualsiasi ferita fisica o mentale.
Cotanta trepidazione era inoltre esagerata e innecessaria, pensava lui: tutti quanti in quella sala, tutti quelli che si erano dati il cambio negli sfiancanti turni di lavoro sapevano cosa sarebbe uscito da quei forni.
D’altra parte, però, il frutto di quello spericolato esperimento di cucina aveva dello straordinario ed ogni piatto che veniva estratto, che si fosse formato alla perfezione o con qualche difetto, era un trofeo di magia e alchimia, il simbolo lampante e tangibile della grandiosa, quasi completa, conoscenza della vita e della natura degli esseri plasmati da essa stessa e donati di intelligenza superiore.
“Osservate, Stregone di Fuoco, – strillò il mago gargoyle, entusiasta e instabile sui propri piedi tanto era agitato, puntando l’affusolato dito verso il tronco fumante più vicino – sta nascendo!”
Qualcosa stava prendendo forma all’interno della sacca viscosa: arti e membra apparentemente snodati e senz’ordine, che si agitavano caoticamente all’interno della bolla giallastra, accompagnando i loro movimenti sregolati con grida di dolore mentre ossa, muscoli e tendini si configuravano e si legavano tra di loro. Mentre la creatura prendeva vita.
Le urla del sintetico nascituro erano diminuite in frequenza e intensità, e le braccia ora ben conformate e integre, complete di vene, cartilagine, muscolatura, premevano contro l’inspessita tasca giallognola chiedendo luce e aria vere. I suoi mugugni illetterati e privi di senso erano essi stessi suppliche per poter uscire e adempiere al destino scritto per lui dai suoi fabbri.
“Presto, Aracniu!” comandò lo stesso gargoyle. Il vulcanico al fianco di Magor, un gormita piuttosto smilzo, rossiccio, e dall’aspetto viscido, con quattro sottili braccia e un capo grigio e rigonfio nella parte superiore, dorato nella sezione della bocca.
Estrasse un coltello, già macchiato di precedenti recisioni, e tagliò la sacca del suddetto tronco, stando bene attento a non urtare il soldato scuro all’interno, mentre i due lavoratori ai suoi lati cessavano i loro respiri di fuoco e di notte.
Una pozzanghera gialliccia e viscosa si formò ai piedi di Aracniu, e un omone cornuto, azzurro e nero, cadde bocconi di fronte a lui. Boccheggiò al suolo per qualche secondo; poi, senza alcuno sprono da parte di Aracniu, come se in quei pochi secondi avesse appreso a camminare, a respirare, a vivere come un adulto dopo poche ore all’interno di una vasca che era una mera imitazione di un ventre materno, si alzò, ben saldo sui propri piedi con il giusto appoggio delle mani, e rimase, di una spanna più alto di Aracniu, immobile innanzi a lui. Non accennò la minima reazione mentre il vulcanico, con una delle quattro sudice mani, gli strinse bene il mento slabbrato e gli mosse con tale presa il capo, analizzando ogni parte del suo corpo dal capo in giù.
“Sir Seilniakos e Stregone di Fuoco, all’aspetto è a posto.” proclamò dopo scarsi minuti di studio del guerriero artificiale, rigirandosi per guardare negli occhi i suoi due interlocutori.
“Eccellente! – esclamò fiero sfregandosi le mani blu lo yamense – conducilo nella sala dei test, e fa verificare che sia accettabile.”
Aracniu obbedì senza proferir parola, e si diresse al cancello citato poco prima ordinando a voce al soldato scuro di fare altrettanto. Quello obbedì con un grugnito e con nessuna discussione o esitazione.
“Stregone di Fuoco, questa nuova variante di soldati scuri è davvero un successo” annunciò con fare trionfante il gargoyle che per un esperimento su se stesso si era incollato le ali alle braccia, dandogli ancora di più l’aspetto di un pipistrello.
“Me l’avete già detto, Seilniakos.”
“Lo ripeterò fino allo sfinimento. – disse quello – Voglio che vi entri bene in testa, che entri bene in testa a chiunque. Ed entrerà bene in testa anche ai ka’nhili e ai vostri nemici, Stregone. Ne sono convinto.”
“Sono stato il progettista di numerosi SS, Stregone di Fuoco. – seguitò a parlare, avviandosi a camminare in tondo davanti a Magor, rievocando esperienze passate e ricordi – Gli SSX-41 e
X-44, tutta la serie completamente fallimentare degli SSV, e da tutti i nostri archivi so per certo che è mai stato creato un soldato scuro così potente come questo, l’X-47…così perfetto. Sarà un’arma fondamentale per i nostri piani di conquista.”
“Non porre lo sguardo troppo oltre il tuo orizzonte, Seilniakos. – lo ammonì Magor – Non è stato ancora testato su un vero campo di battaglia.”
“Ho osservato e compiuto numerosi esperimenti, Stregone di Fuoco, – si ostinò lui – so quando qualcosa può funzionare. E gli SSX-47 funzioneranno. Totale obbedienza al vostro Popolo e al mio…certo, se qualcuno dovesse dare a uno stesso degli ordini diversi potrebbe crearsi qualche incidente, ma i nostri studi sugli odori dovrebbero porre rimedio a questo inconveniente. L’ignoranza del dolore è il più grande traguardo raggiunto nella storia dei Soldati Scuri: possono continuare a combattere anche con tutti gli arti strappati; la stessa vista indebolirà l’esercito nemico ancor prima dell’attacco.”
Aracniu ricomparve dal cancello, con il soldato scuro assente, lasciato alle cure e agli studi dei vulcanici e degli aerei nella sala dei test e dove erano stati raccolti tutti gli SSX adatti.
Chiamò a sé due altri operai e, raccolti alcuni strumenti da una larga dispensa sul fondo della sala, tra cui un ampio telo tenuto per dei lacci e ricolmo di acqua colorata e una tinozza dal misterioso contenuto, si diresse al tronco appena svuotato. Fece fissare per bene la sacca agli appigli dentro e attorno alla cavità nel legno. In seguito, salì fino alla cima aperta del tronco, che aveva smesso di fumare, grazie ad una scala a gradini scavata sul retro e da lì, vasetto alla mano, cominciò a far discendere, goccia per goccia, gli strani ingredienti della ricetta del soldato scuro, per poi rovesciare l’intero impasto tutto insieme. Ridiscese, e si avvicinò muto a Magor e a Seilniakos. Incrociò le braccia dietro la schiena, e attese il completamento di un altro SSX.
“Quanti soldati scuri sono pronti?” domandò Magor al gargoyle.
“Dei trecento secondo programma ne abbiamo duecentosettantasette, più ventuno imperfetti, e solo tre dei totali fallimenti. – rispose esaustivamente – Nessun progetto è mai stato un tale successo. Continuando così, entro oggi dovremmo aver finito, Stregone di Fuoco. Gli SSX-47 saranno pronti allo schieramento.”
“I vostri uomini lavorano egregiamente. – disse poi, imitando la posa di Aracniu e osservando gargoyle e vulcanici cooperare e faticare insieme per quel programma bellico senza precedenti – Il vostro motore…come si chiama? Maschera della Morte, ecco. E’ stata una risorsa preziosa.”
“Spero di non doverlo adoperare mai più – eccepì con tono nervoso Magor, crucciando lo sguardo nel porlo su un globo nero, pulsante e fiammeggiante, al centro della sala, collegato tramite dei solchi a tutti i dodici tronchi – E’ una sciocca, pericolosa operazione blasfema. Non abbastanza da essere distrutta, però. Quando avremo finito, lo nasconderò, e spero per sempre.”
“Non vi capisco, Stregone di Fuoco, ma accetto la vostra decisione. Potete fare quel che volete dei mezzi e dei piani che hanno forgiato quest’esercito. Quest’armata del futuro è merito vostro.”
“E anche tuo, mio Aracniu, – seguitò, sorridendo e dando una pacca sulla spalla al silenzioso vulcanico – il tuo servizio è stato impeccabile e prezioso.”
Aracniu lo ringraziò con un cenno, volgendo lo sguardo al fondo della sala, verso la fine della stanza e oltre, al di fuori di essa, lungo il sentiero di conquiste e dominio a cui lui aveva aggiunto un importante mattone.
***
Soldati Scuri tipo X variante 47. SSX-47. Quei mostri atroci avevano quindi un nome, avevano un’origine, un inizio. Nulla però che i gormiti alleati avessero opportunità di conoscere, né sarebbe stato loro di conforto alcuno.
La loro unica speranza era continuare a picchiare duro e sperare che il trauma fisico, le brutali ferite inferte agli SS e il dissanguamento li avessero finiti prima che i loro sguardi d’oro pallido e freddo fossero su di essi e le loro gelide mani capaci solo di stringere e spezzare li avessero tra sé.
Raramente ciò accadeva: la sopportabilità dei soldati scuri erano oltre ogni limite umanamente possibile, e non si sarebbero fermati nella terminazione del loro bersaglio prescritto nemmeno dopo aver perso l’uso di tutti e quattro gli arti e costretti ad aprirsi la strada a morsi, nemmeno con lo stomaco aperto e le budella tranciate e penzolanti.
Il macello totale del loro corpo o un accurata decapitazione, oppure la testa irreparabilmente sfasciata erano le uniche vie sicure per porre fine a quegli agghiaccianti mietitori, svuotati e mai riempiti di pietà, rimorso ed esitazione che animano ogni creatura vivente, anche le più ligie e severe api e formiche, nel loro piccolo.
Non importava che non potessero piegare al loro comando alcun tipo di fenomeno naturale, che la strada della magia fosse per loro eternamente oscura e inaccessibile, facendo di essi dei nemici di poco conto per gli eccezionali gormiti. La semplice vista dei soldati scuri marciare nel campo di battaglia, lo spettacolare scempio di cui riempivano la pianura e se stessi senza soffrirne erano sufficienti per instillare il panico più puro nei petti dei gormiti, che mai prima avevano dovuto assistere a una rovina simile.
Nemmeno il Popolo del Vulcano, fautore del più grandioso e imperdonabile eccidio nella storia di Mitera nota ai gormiti, reggeva il confronto con quelle glaciali e sanguinarie macchine naturalmente votate all’attacco dei Popoli nemici e alla difesa di quelli alleati.
Se solo i gormiti sapessero, se solo avessero allora potuto sapere cosa si celava dietro quell’esercito di insensibili mietitori, dietro la nascita di loro stessi tanto simile a quella dei soldati scuri che con la scomparsa del Vecchio Saggio era forse destinata a rimanere un eterno mistero…chi può dire come avrebbero reagito, come la battaglia avrebbe proseguito?
Il dubbio e lo sconforto li avrebbero forse scoraggiati e dannati alla sconfitta, oppure sarebbero stati subissati dal’iracondia e dal desiderio di redimersi da quello stato dell’esistenza e avrebbero portato al trionfo più epocale nella storia di Gorm?
Il segreto era ancora un segreto, e i gormiti e i ka’nhili spingevano con quanta speranza era rimasta a pulsare in loro per debellare quell’abominio.
Tarpati di uno o più arti continuavano incessanti a camminare e a strisciare; dati alle fiamme e corrosi seguitavano ugualmente ad avanzare e combattere con bracciate infuocate; legamenti lussati ed ossa rotte non li arrestavano ed agitavano i loro arti slogati come nulla fosse; anche se colpiti dalle più tremende fatture che ostacolavano la coordinazione e il movimento adoperavano le loro membra nel miglior modo possibile. Solo la fame, bisogno naturale a cui nemmeno loro erano immuni, era capace di fermare la loro marcia mortifera: ma anche cibandosi, dilaniando un gormita cavaliere e il suo cervo muschiato abbattuto, offrivano una raccapricciante esibizione di aggressività.
Non sembrava esserci fine a quella mostra degli orrori, né ai soldati scuri nel loro insieme, che pure erano, o sembravano, in numero finito.
Fossil del Popolo della Terra dava del suo meglio per difendersi dall’assalto combinato di vulcanici e soldati scuri, sfornando prodigi magici per finirli in fretta, mentre nel profondo della sua mente si impegnava e si spremeva alla ricerca di una chiave per annientare in modo definitivo quella minaccia che sarebbe costata loro la città di Roscamar, e a nulla sarebbe servito l’attacco sorpresa a Monte Vulcano, il primo in molti secoli.
Lui sapeva, era certo di nascondere nell’intimo della sua essenza un’arma, una conoscenza, un potere speciale con cui avrebbe potuto porre fine alla minaccia dei Soldati Scuri.
Una fiammata proveniente da uno spazientito vulcanico di fronte a lui gli fu sparata innanzi, e una grave ustione che avrebbe potuto esigergli la vita era il minimo che gli aspettava, ora.
Invece, come era già accaduto diverse volte nel corso di quella campagna, dalla Valle della Disperazione alla Pianura delle Nebbie, l’ardente lapillo non lambì mai la sua pelle o la sua leggera corazza. Scomparve del tutto, sotto gli occhi sconvolti del vulcanico, e quelli meno sconvolti ma non del tutto apatici di Fossil.
Il terricolo cedette all’istinto di gettare in avanti il braccio destro, e la scia infuocata generata dal gormita ostile ricomparve prodotta dal suo palmo, diretta al volto del nemico, sfregiandolo per sempre e portando la vittoria a Fossil.
“Quello mi era nuovo…non finisci mai di stupirmi.” Osservò Fossil, respirando pesantemente e tastandosi la mano, temendo che quel fuoco l’avesse bruciato.
Fossil non era affatto il tipico forzuto gormita della Terra. Molto magro, quasi scarno, gli si potevano vedere le ossa se si fosse tolto l’armatura. Il suo viso frumento era emaciato come se non avesse mangiato da mesi.
Una corazza a mezzaluna grigio cenere, tutta seghettata e con aculei sporgenti d’argento ai lati dei trapezi, ricopriva spalle e torace. I gambali erano conici e argentati con fessure alla base da cui spuntavano, per comodità e maggiore agilità, i lunghi piedi rivestiti di brillante cotta di maglia. Bracciali dello stesso stile dell’armatura del petto proteggevano le mani, delle quali solo le sabbiose dita erano visibili. La muscolatura, come si poteva ben notare dalla stazza e dalle dimensioni, non era definita e rigorosa come negli altri terricoli e anzi nel complesso pareva piuttosto delicato e innocuo.
La sua grandezza – tutta discutibile – in battaglia derivava non da particolari tecniche di combattimento, né, come pare ovvio, dalla sua forza bruta e nemmeno da una singolare esperienza nell’arte magica come Evera o Sabis, lo stregone citato da Thorg.
Il suo essere speciale, la vera potenza di Fossil, questo sconosciuto così bruscamente immesso nel racconto, era generata da un’entità altra, insita dentro di lui sin dal momento in cui ruppe il guscio dell’uovo e fu toccato dalla luce del sole per la prima volta, e la quale fu immediatamente gestita secondo arcani progetti di magia che l’avevano condannata a vivere e morire con Fossil, senza più possibilità di dominarlo e uscirne a suo capriccio come aveva agito per anni e anni.
“Seriamente, potresti avvisarmi quando…quando succede, insomma.”
Il tono seccato della richiesta non era per niente severo e nonostante la scelta delle parole non era affatto un ordine. Era quasi una gentile supplica, a cui Fossil sapeva non avrebbe ottenuto l’attesa risposta.
Ma da parte di chi? Certamente non stava parlando da solo, e nemmeno con qualche amico nascosto, occultato dalla magia, da un’armatura Neor’gani o dai veleni mythos.
Non essere idiota, Fossil. - rimbombò feroce una voce nella sua testa - Ti distrarrei se ti informassi di tutto ciò che succede fuori e dentro di te, e rischierei di ucciderti.
“Giusto…hai ragione.” concordò, avendo errato, Fossil.
Attento, stanno arrivando due di quei guerrieri dietro di te.
“Dove?!” gridò Fossil preso dal panico. Si volse improvvisamente, le mani in avanti. Ecco i due sanguinari soldati scuri marciare a passo incredibilmente spedito verso di lui.
Uno di quelli, rallentando il suo passo e mettendo piede in una determinata area attorno a Fossil, fu improvvisamente scosso da una scarica elettrice che lo immobilizzò completamente, per poi afflosciarsi al suolo, sussultante e inabile a coordinare i propri movimenti.
Fuori gioco. L’altro, al contrario, non fu preda di alcun attacco misterioso e continuò imperterrito la sua lenta carica contro Fossil. Il terricolo dovette arrangiarsi: facendo leva sulla terra su cui stava lui e il nemico, la fece sua e la foggiò a forma di un pilastro appuntito che conficcò nel petto del soldato, impalandolo e destinandolo a una morte lunga, ma certa. Sospeso su quel troncone di pietra, scrollava casualmente le braccia e non sembrava in suo potere usarle per liberarsi e continuare a combattere anche con un foro sanguinolento nel busto. Cosa che era perfettamente in grado di fare, in altre circostanze. Fossil si era ancora salvato per il rotto della cuffia, e solo in parte con l’aiuto del suo Spirito. Tuttavia, non si sentiva affatto soddisfatto.
Finiscili, tutti e due. L’altro è vivo. Gli intimò prudente il severo Spirito, indesiderato compagno di vita.
Con un grugnito seccato obbedì, e schiacciò le teste di entrambi i soldati scuri facendo cadere su di esse pesanti massi rocciosi.
L’area sembra sicura. Dovresti riunirti agli altri.
Fossil ignorò quel consiglio, pur involontariamente incamminandosi verso la folla guerreggiante e infuocata.
Non era un valido guerriero: era questa la sua convinzione da molto tempo, ormai. Non era un valido terricolo, non un valido gormita, addirittura.
Tutte le grandi cose che aveva fatto, ogni grandezza di cui sarebbe capace, le doveva unicamente allo Spirito che lo accompagnava dal giorno della nascita. Era solo immensamente fortunato, per poter usufruire dei grandiosi poteri di cui era dotato lo Spirito ospite, che gli avevano salvato la vita in più di un’occasione, e in più della metà di quelle occasioni senza neppure accorgersi del pericolo incombente.
Era anche incredibilmente sfortunato, per la stessa ragione a cui doveva la fortuna. Il suo Spirito lo aveva colpito quando era appena un cucciolo, quando doveva ancora svilupparsi, non aveva ancora i denti, non sapeva parlare né controllare gli elementi, e sempre le parole e i pensieri dell’insonne Spirito lo tormentavano, giorno e notte. Era colpa sua, del suo arrivo e della costrizione che lo relegava per sempre a lui, che gli aveva storpiato la crescita impedendogli di evolvere la forza e i muscoli che fanno di un terricolo un vero terricolo. Il peggio era rappresentato dall’identità di quello Spirito.
Non dare la colpa a me. Dalla al Vecchio Saggio, che ti ha obbligato a cullarmi fino alla fine dei tuoi giorni.
Forse questo era peggio: l’impossibilità di nascondergli i propri pensieri, l’obbligo irreprensibile di condividere con lui ogni esperienza, ogni segreto e passione, ed ascoltarlo quando riteneva di avere ragione!, e per molti più decenni del normale: lo Spirito e le magie che lo avevano incatenato a lui erano così forti da allungargli la vita.
Si tastò mesto l’addome, dove indugiava l’orribile a vedersi marchio dello Spirito ospite. Anche sotto lo strato di maglia ferrata, era ben evidente.
Perché era toccato a lui? I compagni d’infanzia e di maturità lo evitavano e lo denigravano per il temibile fardello che era costretto a portare, e poteva contare ben pochi amici in tutto il Popolo della Terra. Sapere che il Divoratore sarebbe definitivamente scomparso una volta che la sua vita avrebbe terminato il suo corso, risparmiando i suoi tormenti ai posteri, era di ben poco conforto. Così come lo era l’enorme dispensa di poteri speciali di cui godeva il Divoratore, e Fossil attraverso di lui, frutto di decine di Spiriti che il ribelle Divoratore aveva assorbito – questo il suo vero unico potere – facendo sue le loro singolarità e le loro esperienze, annichilendo totalmente le loro identità sotto il peso di una forza mentale superiore.
Sei patetico, Fossil. - lo criticò sprezzante il Divoratore - Ti perdi in lamentele inutili, quando potresti sfruttarmi per portare alla vittoria la tua gente, diventare il Signore della Terra, guidare l’assedio a Monte Vulcano…e tante altre cose straordinarie che la tua mente ristretta non immagine e non vuole immaginare.
“Non ha senso, Larcon. – replicò sbuffando Fossil, dando un nome che la cerchia degli Spiriti e i gormiti tutti avevano da sempre evitato di pronunciare alla minaccia ormai svanita del Divoratore – Non posso controllare questi poteri, si attivano da soli…e poi, che gloria avrò se tutto questo è possibile grazie a te? Tu verresti ricordato, non io.”
Che sciocchezze. - Borbottò Larcon - Io sono inviso a tutta l’Isola. Verrò ricordato solo per le mie tragedie e gli orrori che ho commesso, tutti mi vedranno come un mostro senza corpo e senz’anima, e nessuno saprà mai che cosa mi ha mosso sin dal principio. Tu, invece, verrai ricordato come il padrone del Divoratore, e le tue gesta saranno raccontate ai figli dei tuoi figli per incitarli a grandi cose.
“Balle. Larcon, tu mi hai preso a caso tra tanti altri gormiti per salvarti: io non ho nulla di speciale. Sono solo uno strumento.”
Dovevi essere il mio strumento, ma ora le cose sono cambiate. Sono io il tuo strumento, la tua arma. Usami.
“Perché hai così voglia di gloria per me?”
Le tue proteste…sono nauseanti. - Gli rinfacciò disdegnoso - Sempre così malinconico e preoccupato per il futuro, triste per il brutto passato che hai trascorso a causa mia, alla costante e sempre fallimentare ricerca di un’occasione per farti grande. Io mi devo sorbire tutte le tue lagne, e non è affatto piacevole. Voglio che finisca.
“Che cos’hai da proporre, allora?” gli domandò incrociando le braccia, offeso per quelle confessioni. Era un’ingiustizia. Non c’era nulla di giusto in ciò che gli era capitato.
Posso portarti nel grosso dell’esercito degli SSX-47.
“Dei cosa?” chiese perplesso Fossil. Il nome gli suonava assai male, così come la proposta nel suo insieme, di cui non coglieva appieno il senso.
I soldati scuri… loro insomma. E inviò nella mente di Fossil un’immagine degli SSX.
Il terricolo rabbrividì alla vista così ravvicinata e approfondita di quel mostro.
Ho sondato la mente di un gormita del Vulcano, e ho trovato questo nome.
“E tu vorresti portarmi nel bel mezzo di questi S…qualcosa. – sbottò contrariato e ulteriormente perplesso – Per fare cosa? Mi vuoi morto, per caso?”
Ah, Fossil. sospirò lo Spirito Da trenta anni ti accompagno e ancora non capisci. E’ stupido pensare che io voglia la tua morte. Se muori tu, muoio io. Non posso scappare dal tuo corpo. E voglio godermi tutti gli anni della tua vita naturale.
“Sì, è vero – si raccapezzò Fossil, grattandosi la nuca, ancora turbato – però continuo a non capire. Cosa devo fare in mezzo agli SS? E come fai a portarmi?”
I miei poteri hanno ben pochi limiti, e trasportarti là è tra essi. In più, sai bene che non sono del tutto fuori dal tuo controllo. Devi solo volerlo.
“Quando sarò lì, che cosa dovrei fare…non ho capito…”
Posso sconfiggerli tutti, Fossil. O quasi. Tutti i soldati scuri. Posso distruggerli con un solo colpo.
“Dici davvero?! Ma…ma…è incredibile! – esclamò con le mani alla testa Fossil – Perché me lo dici solo ora?”
Non è facile trovare una strada attraverso tutti gli Spiriti che ho fatto miei. Le loro menti sono state soppresse, ma esistono ancora, e non tutte mi sono conosciute.
Fossil non comprendeva appieno quando Larcon gli rivelava. Forse aveva appositamente celato alla sua mente l’informazione riguardante quel sorprendente potere di cui parlava di fermare in una sola volta i terribili soldati scuri per tormentarlo, come aggradava a lui. Forse ancora era una menzogna, preparata per ingannare e uccidere Fossil. Questo presupponeva che Larcon fosse esausto di convivere con Fossil e Fossil solamente, e che preferisse la morte ad ulteriore tempo con il debole terricolo.
L’idea di distruggerli, e la gloria e l’immortalità che ne sarebbero derivate, anche se avesse perso la vita, lo avevano tuttavia attanagliato: era un’opportunità troppo allettante. Dopotutto, Larcon era potente, poteva difenderlo. I rischi erano minimi.
Vedo che la proposta ti attrae. Osservò con malizia Larcon.
“Vedi bene. Dimmi cosa devo fare.”
 
Era bastato un sacrificio di forza di volontà e il desiderio fortissimo di ritrovarsi tra gli SSX-47 perché gli immensi poteri di Larcon il Divoratore lo conducessero dove la sua brama li guidava.
Tuttavia, ora che dieci, venti, trenta soldati scuri lo squadravano a destra e a sinistra, ad ogni lato, lo trafiggevano con i loro aguzzi occhi di topazio e flettevano i loro muscoli azzurri per la morte di Fossil, gli mancavano le energie.
Era l’unico delfino in un mare di squali: ognuno di quei tremendi squali senza misericordia aveva gli occhi e la mente puntati su di lui, le pesanti pinne battevano all’unisono l’acqua e li incanalavano verso lui, il solo obiettivo, un nemico e un pasto che gli efferati predatori si sarebbero divisi tutt’altro che equamente, dilaniando il suo corpo finché i singoli brandelli sarebbero stati irriconoscibili pezzi di carne e metallo maciullati rabbiosamente.
I poteri che in autonomia si mettevano in moto per la salvezza di Fossil non potevano tenere a bada tutti i soldati scuri e tutti insieme, e la radura terrosa che divideva il gormita della Terra dai soldati si faceva sempre più stretta e soffocante.
Le difese degli Spiriti cominciavano a cedere mentre la paura aumentava, e Fossil perdeva la concezione del tempo e dello spazio, incapace di reagire.
Fossil, dannazione! strepitò Larcon con un urlo lacerante che dolse e ridestò il gormita dal suo torpore anticipatore della morte.
Non ti ho portato qui per farti uccidere; agisci, imbecille! Concentrati, e desidera la fine!
“Larcon!” urlò esasperato. Il cerchio si restringeva sempre più, e i soldati si leccavano i denti scoperti, pregustando glaciali la morte di Fossil
“Voglio eliminare questi...SSX-47 e ho bisogno del tuo aiuto!”
Si sentiva estremamente ridicolo e disperato, benché non ci fosse nessuno dotato di senno ad osservare quell’insolito e folle recita: parlare da solo, supplicare uno Spirito con tutto il suo animo con la falce della morte ormai sul collo.
Chiuse gli occhi, strinse i pugni. Digrignò i denti fino quasi a spaccargli gli uni sugli altri, e si aggrappò al desiderio di vita che lo animava da sempre, al desiderio di immortalità che lo aveva mosso a quella pazza impresa.
“Larcon, eliminali! – gridò – Ti supplico, Larcon! Io voglio eliminarli! Devono essere eliminati!”
Un’invisibile energia si scaturì dall’urlo di Fossil, avvolgendo in essa tutto il blocco più prossimo di soldati scuri, penetrando in essi. Raggiunse le più piccole componenti della materia che si univano per formare i tragici guerrieri di gelo. L’energia le trasformò in un modo che esse non si aspettavano, che nessuno si aspettava. Ogni particella in movimento, ogni carica elettrica che naturalmente scorre nei corpi, tutte le gocce di sangue, acqua, sudore e saliva nei soldati scuri…si fermarono.
***
Il cielo aperto e vagamente nuvoloso, sconfinato, si era da tempo liberato delle catene della nebbia, e ora riluceva sciolto di un acceso fiordaliso. Le tre lune erano pallide, anonime e opache sfere offuscate dalla lucentezza della volta celeste, più chiare e indistinte delle stesse nuvole.
Per un periodo di tempo incalcolabile di struggente impazienza e frustrazione, imbottito da rabbiosi lamenti e vani movimenti delle membra così tenacemente fissate sulla ruvida terra, la distesa infinita del firmamento era l’unica cosa che i suoi occhi potevano vedere.
L’aveva vista inondata del cupo e malinconico grigiore delle nebbie dell’eponima vallata, farsi forte dei raggi luminosi di Nejema e scrollarsi di dosso l’umido grave, invano poiché i vapori si dimostrarono più forti e tenaci della luce; aveva osservato l’empireo aprirsi definitivamente davanti a lui, mutare dalle più smorte e spente tonalità d’azzurro macchiato a un’estremità del rosso dell’alba a un acceso e incontaminato blu, e le nuvole evolversi insieme ad esso, da rosa - violetto a bianco candido.
A non finire aveva seguito il corso incessante delle nubi: soffici e al contempo impalpabili lenzuola celesti, amorfe e multiformi insieme. Scorrevano innocue trasportate dal vento, disgregandosi in decine di brillanti batuffoli o riunendosi in ciclopiche distese di sublime e solenne cotone, tanto maestose e tanto fragili, prone a spezzarsi e a disfarsi nuovamente in tante innocue sfere d’aria sospese nel vuoto.
Nel loro scorrere perpetuo le aveva viste mutare ed assumere centinaia di forme, tutte diverse, tutte improbabili e tutte che gli ricordavano eventi o personaggi poco graditi.
Il suo silenzio contemplativo era durato fin troppo. Come riuscivano i ka’nhili a sopportare quella calma e quella noia, e a trarre forza da quello stato di cosiddetta serenità, in cui lui aveva fatto tutto tranne che placato la sua rabbia e il suo senso di impotenza?
Doveva agire, doveva sentire l’adrenalina, l’azione e la passione. Tutte cose che in quella condizione gli erano lontane come erano distanti quelle plurime nuvole, o come le stesse lune, e le stelle nascoste dalla luce del sole.
Non poteva riposare, assopirsi, approfittare indegnamente di quello stato delle cose. Il riposo, l’interruzione dell’ardore e della foga, doveva essere meritato. E non c’era nulla di meritevole nell’essere stato attirato con l’inganno di cui era incresciosamente caduto preda in quella trappola che lo tratteneva lontano dal fuoco degli eventi, dove si stava decidendo il futuro dell’Isola e di Mitera stessa.
Ogni volta che le radici attorno ai polsi e alle caviglie sembravano allentarsi e Obskurios spingeva tentando di spezzarle, Grandalbero se ne accorgeva e le stringeva più di prima, e la pressione esercitata dalla magia degli invisibili stregoni dell’aria lo premeva ancor maggiormente al suolo.
“Sia maledetta la tua gente, Grandalbero!” inveì sputando, e scrollando violentemente il capo a destra e a manca, cozzando con le corna sul suolo granuloso, duro sotto la sabbia.
Il silenzio dei suoi aguzzini era la cosa più insopportabile in assoluto. Non reagivano a nessun suo capriccio che non fosse un tentativo di fuga, nessun insulto o provocazione; anche quando Obskurios, nei momenti di massima rassegnazione, tentò un discorso spassionato, quelli erano rimasti muti, immobili e invisibili.
“Tutto questo non ha senso! – continuò imbestialito, stringendo e strattonando vanamente le braccia – Chissà che onore quando, alla fine di tutto, tornerai dai tuoi e annuncerai che tutto il tempo sei rimasto a sorvegliare me! Sarai ricordato per sempre, per questo, ne sono più che sicuro.”
“Magari gli Osservatori saranno così stupiti della tua fermezza e del tuo valore da venirti a prendere.” Riprese sarcastico le sue provocazioni, puntando su un argomento che sapeva più a cuore al Signore della Foresta.
Zero reazioni a quel meschino insulto. Se non una replica fisica: i lacci nodosi si fecero più vigorosi, talmente tanto che Obskurios arrivò per un momento a non sentirsi più il sangue nelle mani, e a provare un fastidioso freddo formicolio alle dita.
Davvero non aveva nessun senso. A che scopo portare il re dei gargoyle lontano dal fulcro della battaglia? Che guadagno c’era nel tenerlo imprigionato all’aperto e solamente con la magia e con il potere degli elementi, destinati prima o poi ad esaurire le energie dei suoi improvvisati carcerieri?
Soprattutto, cosa speravano di ottenere da lui? Non aveva alcun tipo di informazione riservata di chissà quale utilità per il nemico. Le sue armi speciali? Ormai era questione di tempo che fossero dispiegate in campo, e forse lo erano già. Segreti riguardanti l’alleanza con lo Stregone di Fuoco, lo Stregone di Fuoco stesso o, più probabilmente e sollevando maggiormente il timore del re, lo scopo della sua cattura era far crollare Tato Yami, porre fine alla lunga faida tra ka’nhili e gargoyle con la conquista di Oscuro Orizzonte e la fine della sua dinastia che da tanto, sin da prima dell’esilio, governava quella corrente di gargoyle.
Rimanere all’oscuro di tutto, non solo dei motivi della sua curiosa prigionia ma anche di perdersi tutto l’esito della battaglia, di non essere nel mezzo tra il sangue e il doloro a guidare e incitare i suoi guerrieri non lo poteva sopportare.
Ira, frustrazione, impotenza, paura…tutte emozioni forti che andavano ad affastellarsi, ad accumularsi, pronte a scoppiare. Ma non bastavano per renderlo libero.
Sì, poteva liberarsi: lasciare scorrere libere tutte le sue passioni e i suoi impulsi, fare di sé un’arma, uno strumento nelle mani dei suoi sentimenti…più del normale.
La sua mente, le memorie e la concentrazione, si convogliarono su una sola figura, un solo uomo, sorgente di numerose sofferenze, problemi, rabbia: El’issam di Karmil, Sommo Luminescente III Signore della Luce.
Il solo nome, la visione anche confusa del suo viso celato dal mistico elmo furono sufficienti a fargli ribollire il sangue nelle vene.
El’issam aveva varcato i confini della sopportazione molto, molto tempo fa. Gli aveva amputato un braccio, lo aveva privato di una parte di sé che non sarebbe mai più tornata; ma se si trattasse solo di questo, Obskurios si sarebbe dimostrato un uomo davvero riprovevole e superficiale, per scatenare una nuova ondata di guerra e guerriglia tra popoli con la sola motivazione del torto fisico.
L’odio e l’avversione avevano radici più profonde e ben più speciali e intime, sia a livello del re come singolo che al livello generale della sua intera gente.
Il destino dei due sovrani, e con essi il futuro dei loro seguaci, si era intrecciato in un modo che nessuno avrebbe mai potuto sospettare o immaginare. Obskurios e Karmilla, sua moglie e compagna al trono, avevano dimostrato a tutta Tato Yami e tutta Karmil che l’odio razziale e culturale tra le due genti, radicato da anni e incessantemente perseguito sin dall’esilio, non aveva più ragione di esistere, che le due tribù potevano convivere insieme. Già da diverso tempo prima che Obskurios e Karmilla si incontrassero per la prima volta gli attacchi dei gargoyle ai ka’nhili e viceversa erano calati di frequenza e di intensità, prospettando un periodo di sospensione e possibile ma unanimemente ritenuta improbabile pace.
Luminescente III aveva la possibilità di accettare l’amore tra Karmilla e Obskurios e cambiare per sempre le sorti dei due popoli e dare una svolta alla loro condizione di confino; ma le tradizioni e la morale rigide dei ka’nhili, l’intolleranza di El’issam e dei suoi sudditi di fronte al terribile e disgustoso peccato di cui si era macchiata Car’milah, la sorella di El’issam, si misero in mezzo e condussero a un’ostilità ancora più sentita che in precedenza.
Car’milah fu bandita da Karmil per aver consumato amore con un gargoyle, un atto increscioso e vergognoso che andava contro ogni varietà di morale e di etica, e per aver tradito i costumi dei padri perseguendo la via delle tenebre, cosa per il quale all’espulsione si aggiunse una temibile punizione fisica che lasciò il suo corpo irrimediabilmente sfregiato per il resto della vita.
Car’milah lasciò Karmil e si ritirò a Tato Yami, più aperto nei suoi confronti, dall’amato Obskurios. Non c’era più nulla che la legava ancora alla sua casa e alla sua famiglia, così chiuse nel passato e in anacronistici codici, se non un’avversione fatale per ciò che le avevano fatto. Non voleva più avere a che fare con loro, né mai essere riferita come una ka’nhili o la sorella disgraziata del Sommo Signore. Cambiò nome in Karmilla, di gusto affine allo stile gargoyle, e si prestò a delle operazioni chirurgiche atte a trasformare il suo corpo e a renderlo più simile a quello di un gargoyle che di un ka’nhili.
L’amore che Obskurios provava per lei, l’ira per ciò che aveva passato, il desiderio di proteggerla e di vendicarla per l’ingiusta punizione, la furia per l’incapacità dei ka’nhili di cambiare e comprendere, lo spinsero a riprendere con la stessa forza di un tempo le ostilità tra i due popoli.
E il tempo in cui il loro confino sarebbe stato revocato si allontanava sempre di più.
La violenza e la sete di vendetta nei confronti di El’issam, il grande e colmo di passione amore per Karmilla, un amore che in migliaia, anche tra i suoi stessi sudditi, reputavano impossibile e malevolo, furono un’iniezione di adrenalina e di energia pura nel corpo intrappolato del re di Tato Yami…che intrappolato non fu più.
Con un urlo tanto possente da spezzare i legami celesti che tenevano ancorate le lune alle nere cerchie e farle affondare su Mitera, trasformò l’energia accumulata in un’onda di ardente e denso oblio che si propagò come un’esplosione attorno a lui, spezzando definitivamente le catene arboree di Grandalbero, che non ebbe più possibilità di rinsaldare.
Il Signore della Foresta fu sbalzato a piedi all’aria, e la stessa sorte subirono gli stregoni aerei, travolti dall’ondata di oscurità e dalla concentrata massa d’acqua che il re spruzzò dalle mani e dai piedi per catapultarsi verso l’alto.
Niente più manette di legno, né ignote magie a tenerlo fermo e impotente a terra, distante dal combattimento e fuori dal suo posto a guida dell’esercito: Obskurios era ora libero, e ricolmo di pulsioni infuocate e prorompenti.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni europei > Gormiti / Vai alla pagina dell'autore: TheEldestCosmonaut