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Autore: KawaiiDemon    10/08/2015    1 recensioni
Julio é un ragazzo di 17 anni, cittadino del mondo, ma rinchiuso in una casa d'accoglienza a Seoul. Scappato da essa, si ritroverà a fare i conti con il mondo reale, popolato da persone delle quali è meglio diffidare. Volente o nolente, finirá con l'unirsi a loro e a scivolare lentamente nel mondo delle gang, della droga e della malavita.
Dal testo:
"Si chiuse la zip della felpa e mise in spalla lo zaino. Si voltó un' ultima volta a guardare ció che si lasciava alle spalle: non solo l'umido e schifoso bagno in cui si trovava, ma la sua schifosa camera, i suoi schifosi coinquilini, l'intero schifoso edificio; il quale non era altro che una delle 1000 case d'accoglienza sparse per tutto il paese."
Genere: Drammatico, Malinconico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Scese al pian terreno e si guardò intorno. Non sembravano esserci segni di indicazioni per la sala pranzo o roba simile, così decise che sarebbe andato a intuito. Si avviò per un corridoio debolmente illuminato da una luce al neon, osservando una per una le porte alla sua destra e alla sua sinistra. Guardandosi intorno mentre procedeva, riusciva a vedere solo porte di legno chiaro contrassegnate da targhette che recitavano cose tipo “lavanderia” e “sala del biliardo”. Una parte di lui rabbrividì al pensiero di cosa ci si dovesse aspettare da una sala del biliardo in un motel squallido come quello. Molto probabilmente dentro le buche vivevano famiglie di topi o cose simili. Era ormai arrivato in fondo, ma ancora una sala da pranzo non si trovava. In compenso, alla sua sinistra una porta recitava la parola “cucina”, e l’odore che filtrava da sotto di essa non era poi così vomitevole come Julio si sarebbe aspettato. Una lampadina si accese nella sua testa: se la cucina si trovava lì, sicuramente non era lontano dalla sua meta. Infatti la trovò, qualche passo più avanti: a differenza delle altre stanze, non vi si entrava da una porta piccola e stretta, ma da una grande porta a doppia anta aperta per metà.
La carta da parati all’interno della sala da pranzo rappresentava un paesaggio giapponese, con tanto di Monte Fuji e tramonto in lontananza, O meglio, lo aveva rappresentato in passato. Ora era scolorita, a tratti macchiata da qualcosa di indecifrabile, e in certi punti scollata dalle pareti. La stanza sembrava deserta, e di conseguenza immersa nel silenzio, fatta eccezione per la costante musichetta nipponica che aleggiava da una cassa appesa ad un angolo. ‘Se non altro, è diversa da quella che c’è nell’ingresso’ pensò Julio.
I tavoli potevano accogliere al massimo una persona, ed erano ornati con una tovaglia rosso fuoco con sopra ricamato un dragone. Julio gli si avvicinò e si sedette dubbioso sulla sedia, rossa anche quella. Il bicchiere aveva una crepa che partiva dal basso e si allungava verso l’alto, quasi rompendolo in due; il piatto aveva un’incrostatura verde sul bordo, e le bacchette erano palesemente usa e getta, rilavate 100 volte come minimo per essere riusate.
Julio non toccò niente, e si limitò ad afferrare titubante un menù di cartoncino, in piedi vicino alla bottiglia d’acqua. Scorrendo lo sguardo, trovò solo cibo giapponese, e questo non volse a suo favore. Avrebbe potuto ordinare un’anguilla fritta e impanata senza neanche saperlo. Uscendo da una porta alla sua sinistra, una signora grassottella e bassa (che, Julio ci avrebbe scommesso una fortuna, era la tizia dell’ingresso, solo truccata in modo diverso) camminò verso di lui nel suo kimono di dubbio gusto stringendo in mano un blocco note e una penna.
“Deciso cosa ordinare?” trillò sfoggiando il suo solito sorriso.
Julio studiò altri trenta secondi il menù per poi emettere un poco convinto “Lei cosa mi consiglia?”
La signora ci pensò su un secondo per poi indicare il nome “Udon” sul menù.
“Questi!” esclamò con decisione “spaghetti in brodo con gamberi tempura”
“Ok, vada per quelli” mormorò Julio porgendole il menù “Grazie”
Lei fece un piccolo inchino congiungendo le mani, in un finto atteggiamento Geisha, per poi allontanarsi e rientrare da dove era uscita. Julio si passò una mano sugli occhi, sfinito e pensieroso.
In quel momento si aprì un’anta della doppia porta, ed entrò un ragazzo che dimostrava più o meno la sua età. Aveva i capelli biondi, nascosti da un cappellino con la visiera. I suoi occhi marroni si muovevano furtivi per tutta la stanza, osservando tutto e non perdendone nemmeno un dettaglio. Indossava un giubbotto di pelle nera senza maniche, e sotto una canotta grigio scuro. I suoi jeans erano logori e strappati sotto le ginocchia, mentre ai piedi aveva delle converse bianche, ma che un tempo lo erano state di più.
Si sedette rilassato ad un tavolo abbastanza distante da Julio, ma essendo loro le uniche due persone nella stanza, il suo sguardo si mosse subito verso di lui. Julio abbassò il proprio imbarazzato, fingendo improvviso interesse per la tovaglia e i suoi disegni. Percepì lo sguardo dell’altro che si abbassava, ed emise un sospiro liberatorio.
Dopo una decina di minuti sbucò dalla cucina la Finta-Geisha, stavolta tenendo in mano un vassoio con una ciotola fumante. Arrivata al tavolo gliel’ appoggiò davanti, togliendo prima il piatto precedente. Un’ improvvisa fragranza di brodo raggiunse il naso di Julio e fece gorgogliare il suo stomaco di appetito. La Geisha si allontanò con il suo sorrisetto falso, dopo aver mormorato un “Buon appetito” nell’accento più giapponese che le fosse riuscito.
Julio afferrò incerto le bacchette, cercando di non pensare all’alone di sporco che vi era ancora presente e di concentrarsi sul cibo. Tirò su il primo grumo di spaghetti e se lo ficcò in bocca: il sapore non era proprio male, ma la musica d’atmosfera in sottofondo non lo aiutava certo ad assaporarli al meglio. Distrattamente, vide la Geisha tornare fuori dalla cucina e dirigersi al tavolo del ragazzo entrato poco prima.
Julio non sentì bene cosa si dicessero, ma ci fu uno scambio di gesti piuttosto confidenziale, con molti annuimenti da parte della cameriera e sorrisetti dal ragazzo. In pochi minuti anche quest’ultimo venne servito, e durante il loro pasto Julio riusciva ancora a sentire il suo sguardo su di sé. Quando ebbe finito si alzò, si pulì la bocca con l’orlo della manica (in mancanza di tovagliolo), e si diresse verso la porta.
Con suo stupore e leggera paura, anche il ragazzo si alzò dal suo tavolo e si diresse esattamente nella sua direzione. Julio sentì un brivido freddo attraversargli la schiena. Non lo avevano mai inseguito prima. Dopotutto nessuno, anche al di fuori della Casa, si era mai preoccupato di dove stesse andando o perché. Ma dai movimenti decisi e fluidi di quel tipo, Julio capì subito che doveva interessargli parecchio.
Dapprima cercò di velocizzare il passo, in modo da seminarlo e uscire vivo da quell’edificio, ma le opzioni erano poche, trovandosi in un unico e lungo corridoio. Riusciva a sentire i suoi passi pesanti dietro di lui, e un altro brivido lo scosse mandandolo nel panico. Improvvisamente si rese conto di non aver mai pensato ad una cosa fondamentale da quando era un uomo libero: la sicurezza. Fino a quel momento, era sempre stato lui quello che rompeva le regole, ed aveva pensato che sarebbe stato così per sempre. Solo ora si rendeva conto che al mondo esistevano persone molto più sregolate di lui, ed un ragazzo solo nel bel mezzo di Seul,e per di più nel quartiere più povero, era un bersaglio facile ad ogni tipo di scorribanda.
Arrivato alla fine del corridoio, si tuffò più veloce che poteva fuori dalla porta, catapultandosi in strada di nuovo. Il flusso di persone era diminuito da prima, e Julio cercò di usare tutto ciò a suo vantaggio. Velocizzò ancora di più il passo, sicuro che l’inseguitore l’avrebbe presto perso in mezzo a quell’intrico di strade e viuzze. Buttò uno sguardo indietro, oltre la sua spalla e vide con orrore che il ragazzo lo stava ancora seguendo: deglutì forte e si impose di respirare in modo regolare, di scacciare via quest’ansia e di continuare a camminare.
Improvvisamente vide l’occasione che faceva al caso suo. Una piccola via, stretta e corta che l’avrebbe portato, se i ricordi non lo tradivano, in una delle zone più difficili da raggiungere di tutto il quartiere, meno frequentata e piuttosto tranquilla. Svoltò seccamente a sinistra e poi si mise a correre. Svoltò in diverse direzioni a caso, senza pensare a dove sarebbe capitato o se ci sarebbe stato un vicolo cieco. Quando fu sicuro di essere abbastanza lontano, si voltò e vide con sollievo che il ragazzo era sparito. Si guardò intorno: era ad un incrocio, con una strada a sinistra, una a destra e una davanti a lui. Aspettò dieci secondi. Poi venti. Poi quaranta. Dopo un minuto capì che l’inseguitore non l’avrebbe più raggiunto, ovunque egli fosse ora.
Questo pensiero svanì presto, rimpiazzato dal panico più totale.
Dalla via alla sua sinistra sbucò qualcosa, così rapidamente che neanche Julio riuscì a capire di cosa si trattasse, che gli si buttò sopra, facendolo atterrare di schiena sul duro asfalto.
Qualunque cosa fosse era pesante,e Julio urlò terrorizzato, contorcendosi per liberarsi.
‘Ti prego’ pensò in cuor suo ‘Non voglio morire sbranato da un cane randagio’
Poi sentì una mano coprirgli la bocca e un’altra afferrargli il polso sinistro, e solo allora aprì gli occhi e capì che un cane sarebbe stato l’ultimo dei suoi problemi.
A cavalcioni sopra di lui, leggermente sudato ed ansimante, stava il ragazzo che lo aveva inseguito. Il suo volto era ad una trentina di centimetri da quello di Julio, e i suoi capelli biondi erano più spettinati rispetto a prima.
Più stupito che spaventato, Julio smise di urlare e, prendendo il polso del ragazzo con il braccio libero, gli staccò la mano dalla sua bocca.
“Si può sapere cosa vuoi?” disse nel modo più aggressivo che riuscisse a usare in quel momento.
Il ragazzo gli lasciò il polso e si mise le mani sui fianchi. “La vera domanda è: perché sei fuggito con una tale velocità?”
“Io?!” rispose indignato Julio “Non ti conosco e mi hai inseguito per almeno 3 isolati senza sosta, credo di avere il diritto di essere spaventato!”
L’altro rimase interdetto per qualche secondo, poi si sciolse in un sorriso. Un sorriso un po’ troppo amichevole, si disse Julio.
“Che maleducato, forse avrei dovuto presentarmi prima di farti prendere un infarto. Comunque io mi chiamo Kibum, se è questo che vuoi sapere. E tu, amico mio, hai avuto una bella fortuna a incontrarmi oggi.”
   
 
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