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Autore: Stella cadente    11/08/2015    6 recensioni
Francia, 1482:
Parigi è una città che nasconde mille segreti, mille storie, mille volti e mille intrecci.
Claudie Frollo è un giudice donna che tiene alla sua carriera più di ogni altra cosa al mondo.
Olympe de Chateaupers è una giovane ragazza da poco al servizio del giudice e, sebbene sia spavalda e forte, si sente sempre sottopressione sotto lo sguardo austero di quella donna cinica ed esigente.
Nina è una semplice ragazza di quindici anni, confinata nella cattedrale a causa di un inconfessabile segreto..
L’arrivo di Eymeric, un giovane ramingo gitano, sconvolgerà le vite di queste tre donne, in un modo diverso per ognuna.
Ma alla fine, di quali altri segreti sarà testimone Parigi?
Genere: Fantasy, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: Gender Bender
Capitoli:
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XV.
Amor, ch’a nullo amato amar perdona...
 
 
Say so long to innocence
From underneath the evidence
You taste like Heaven, but God knows you're built for sin
You're built for sin
 
 
Una settimana dopo – Claudie
 
 
 
 
Quel giorno nevicava leggermente, e assistevo annoiata alla Festa popolana in piazza. Come al solito. Il cielo era stranamente terso e in alto splendeva il sole, mentre attorno tutti sembravano contenti di quell’avvenimento tanto amato – non da me, comunque.
Era l’unico giorno in cui l’ordine non era d’obbligo. In cui tutti facevano quello che volevano, anche se sotto il mio sguardo vigile. L’unico giorno in cui c’era il disordine, la disorganizzazione, la sciatteria. Ed io vedevo passarmi davanti zingari, delinquenti, barboni, ma non potevo prendere in qualche modo provvedimenti.
Senza che me ne fossi resa conto stavo digrignando i denti dal fastidio.
E poi, una musica mi distrasse.
Era un flauto, probabilmente, che suonava una melodia egiziana, suadente e limpida. Armoniosa.
Perfetta.      
E su quella musica, come generato da quelle stesse note ammaliatrici, apparve lui.
Lui, che si muoveva facendo ondeggiare il suo corpo bronzeo e sinuoso come se fosse un nastro, che incantava le donne con i suoi occhi innaturalmente verdi e impressionava gli uomini con le sue acrobazie complesse e articolate, impossibili.
«Ecco a voi, Eymeric!»
La frase completa arrivò sorda alle mie orecchie.
Capii soltanto il suo nome. Quel nome bellissimo, musicale, seducente come lui.
Eymeric.
 
 
Mi svegliai di soprassalto, con la fronte madida di sudore e le mani che formicolavano, mentre il petto si alzava e si abbassava convulsamente in sospiri nervosi; l’aria stessa sembrava bruciare nei miei polmoni. Nella mente avevo solo i suoi capelli corvini, nei quali si riverberava il riflesso luminoso del sole, che dava loro una sfumatura ramata – quasi scarlatta.
Deglutii: quel ragazzo mi stava portando lentamente alla pazzia.
L’Inferno. Lui è l’Inferno.
Cercai di calmarmi respirando lentamente e di placare il tremito alle mani.
Da giorni avevo il sonno difficile, ma da quando lo zingaro Eymeric si trovava dentro casa mia, dormire mi era praticamente impossibile.
Dovevo fermarlo, in qualche modo; il suo sortilegio si stava diffondendo sempre di più, e non potevo permettere una cosa del genere. Ma come avrei potuto fare?
Sospirai pesantemente: mi sentivo oppressa. Costantemente in ansia e in soggezione a causa della sua presenza. Anche se, in realtà, la figura autorevole ero io.
Dovevo essere io.
Non era normale. Non c’era niente di normale, nel modo in cui mi sentivo.
Desideravo qualcosa di impossibile, qualcosa che mai mi sarebbe stato raggiungibile. Qualcosa che non avrei mai avuto. Lui.
Stavo perdendo il senno, e il fatto che me lo ritrovassi davanti tutti i giorni rendeva la situazione insostenibile. Avevo continuamente la bocca secca. Non dormivo. Lo spiavo durante la notte. In sua presenza mi sentivo tremare le gambe anche se stavo a sedere.
Tutto ciò doveva avere una fine.
Dovevo liberarmi di lui; l’avrei eliminato, e con lui la sua maledizione.
Sarei stata bene. Sì.
Mi alzai lentamente e aprii un cassetto della mia credenza, estraendone una misericordia piccola, ma affilata. La lama lanciava bagliori nella luce della notte, e sentii un barlume strano animarmi gli occhi.
Sarei diventata una criminale, un’assassina; i ruoli si sarebbero ribaltati; qualcun altro avrebbe giudicato me al mio posto.
Ma non mi importava.
Dovevo ucciderlo, o sarebbe stato lui ad uccidere me. Non lo avrei mai avuto; potevo tenerlo prigioniero finché volevo, ma non mi avrebbe mai liberata da tutta quella sofferenza. Non avrebbe mai scelto me.
Mi odiava.
Ed io avrei continuato a perdermi nei suoi occhi di sfuggita, senza mai poterci annegare veramente.
Non potevo continuare a torturarmi così.
L’unica soluzione era uccidere il gitano, lo stregone, eliminarlo, di modo che non potesse tormentarmi più.
Sospirai come per farmi coraggio e uscii dalla mia stanza, muovendo qualche passo nel corridoio. Il suono dei miei piedi contro il pavimento sembrava rimbombare come un gong nelle mie orecchie e sentivo la testa pulsarmi.
Indugiai un attimo nel buio.
Poi mi avviai all’imboccatura delle scale e mi recai al piano di sotto, lasciando la ragione a quello di sopra.
 
 
Avevo appena offerto ad Eymeric la camera degli ospiti, un piano sotto rispetto alla mia, perché stava accettando di pentirsi per ciò che aveva detto alla Festa
O forse dovresti pentirti della tua esistenza perché mi stai facendo impazzire
e stava svolgendo bene i compiti che gli assegnavo ogni giorno.
Era molto strano, a pensarci, che avesse accettato con così tanta… docilità. Non mi sarei mai aspettata una reazione di tal genere da lui, a meno che non avesse qualcosa in mente. Sembrava fin troppo innocuo perché non ci fosse alcun tranello sotto.
Mi avvicinai alla camera dello zingaro, attenta a non fare rumore.
La porta di legno era socchiusa e si poteva vedere un piccolo e fine spicchio della stanza; Eymeric era avvolto tra le lenzuola bianche del letto che gli avevo da poco concesso, mentre le lievi fiamme del caminetto diffondevano un piacevole tepore e gettavano bagliori color ambra sulla sua pelle scura, facendolo quasi sembrare un angelo.
Entrai nella camera, chiudendomi la porta alle spalle, e mi avvicinai piano.
I suoi occhi incantevoli erano chiusi in un sonno profondo, mentre i capelli ricadevano un po’ sul cuscino, un po’ sulla sua fronte.
Restai per un pochino ad ammirarlo; era perfetto, bello come il più luminoso dei serafini. Ma era anche oscuro, lo sapevo. Un angelo nero che contemplava la mia lenta distruzione e il rogo della mia anima.
E io dovevo spegnere quel fuoco.
Presa da una forza che mai aveva fatto parte di me – una forza rabbiosa, disperata – sollevai il pugnale sopra il collo di Eymeric, come per tagliarlo di netto, senza pietà.
Il cuore mi batteva come se avesse voluto schizzarmi fuori dal petto e le mani mi tremavano.
Esitai.
Che mi sta succedendo?
Una lacrima – una delle poche che avessi mai versato – mi rotolò calda sulla guancia.
Non ce la faccio.
Il pugnale mi cadde dalle mani e andò a schiantarsi con un fragore metallico sul pavimento, ai piedi del letto in cui dormiva il ragazzo, che si svegliò bruscamente.
In un istante mi trovai davanti quelle gemme verdi che mi fissavano come a volermi chiedere una spiegazione, quegli occhi sconvolti e terrorizzati.
Mi lasciai cadere a terra e mi coprii miseramente il viso con le mani, il gesto più spontaneo che mi venisse di fare.
«Cosa stavate facendo?»
La sua voce mi scosse; era così piena di paura che io stessa fui attraversata da un brivido.
Mi sentii un mostro.
Sono un mostro.
Scoprii il volto e lo vidi inorridire; non mi aveva mai vista così.
Così fragile.
Così vulnerabile.
Così… umana.
«Che cosa mi stai facendo, zingaro?» dissi in un sussurro. La mia voce era venuta fuori tremante, debole.
Ero senza più forze.
Altre lacrime mi scivolarono via dagli occhi.
«Mi stai portando alla pazzia; ho persino pensato di ucciderti, perché devo in qualche modo liberarmi di te. Non vedi che effetto hai su di me? Devo eliminarti, così non mi tormenterai più. Ma come posso farlo sapendo già che sentirò la tua mancanza, sentendo già il cuore dolere ancor prima di vibrare il colpo?»
Lui se ne stava muto, con le sopracciglia aggrottate, immobilizzato sul suo letto, a guardarmi con un’espressione che non sapevo come definire. Era... impressionato, forse, ma non riuscivo a cogliere in quale modo lo fosse.
«So che sarò dannata per l’eternità… ma io ti amo!»
Sgranai gli occhi.
Che cosa ho detto?
Portai lo sguardo, quasi meccanicamente, su Eymeric, che mi restituì un’occhiata allibita.
Restammo per pochi attimi a guardarci, che a me sembrarono immensi.
Non sapevo che espressione avessi, ma sicuramente era straziata, folle, l’espressione di una dannata. Lui invece era sempre bellissimo, con quegli occhi di smeraldo che erano così vivi, veri e spavaldi, unici e ammalianti anche in quel momento, in cui erano spalancati e intimoriti.
«Cosa?»
Per la prima volta sentivo la sua voce prendere una tonalità realmente impaurita, come se tutta la sua forza e il suo coraggio si fossero incrinati di colpo.
«Voi… mi amate?»
Non riusciva a raccapezzarsi di quello che gli avevo appena rivelato; ogni fibra del suo corpo esprimeva sorpresa. Una sorpresa violenta e disarmante, che investiva anche me con la sua prepotenza.
«Io…»
Presi un impercettibile respiro e mi forzai ad alzarmi ostentando decisione, come a voler coprire in qualche modo quel fuggente attimo di debolezza.
Riacquistai la mia solita espressione sprezzante, e dopo essermi schiarita la voce, dissi, gelida:
«Non importa. Non lascerò che tu mi distrugga in questo modo.»
Feci una pausa, poi aggiunsi:
«La libertà ti sarà concessa a breve, zingaro. Tra qualche giorno potrai andartene.»
E fuggii dalla camera, camminando velocemente.
«Aspettate!» fece lui, correndomi dietro.
Ero già sulle scale quando mi afferrò un braccio. Mi ritirai con uno scatto; la sua mano era incandescente sulla mia pelle.
«Sentite…» tentennò.
Lo guardai furiosa, sentendo gli occhi mandare fiamme.
Le fiamme che TU hai portato in me.
«Credo di amarvi anche io.»
Gli lanciai un’ ultima occhiata carica di rabbia e disprezzo, formando quell’espressione che da sempre mi caratterizzava quando avevo a che fare con degli zingari.
Che assurdità.
E corsi lungo i gradini delle scale in pietra, sparendo del tutto alla sua vista.

 
 
Penso che questo sia il capitolo più denso di emozioni, finora. È ben visibile – almeno spero – il tormento di Claudie, il suo struggimento e al tempo stesso la sua oscura passione per Eymeric.
Che le dice di amarla.
 … Molto strano.
Lei, ovviamente, dal momento che il gitano l’ha sempre disprezzata e odiata – come, giustamente, farebbe un qualunque perseguitato nei confronti del suo persecutore – non ci crede. E se ne va. Ma del resto, nemmeno Eymeric sembra capacitarsi di questa situazione.
Ho amato scrivere questo passaggio della storia (a mio avviso davvero importante), perché per quanto riguarda Claudie è molto introspettivo. Ho voluto far sì che il nostro giudice assomigliasse un po’ anche al Frollo del libro, specialmente in questo capitolo – vi immaginate quello Disney  a fare una dichiarazione spassionata ad Esmeralda? Giammai! – e che i suoi sentimenti apparissero veri, intensi.
Spero che vi sia piaciuto. Al prossimo capitolo ragazzi :)
Stella cadente
PS Nota storica al testo: la misericordia era un piccolo pugnale, usato durante le esecuzioni di decapitazione per tagliare i tendini ed evitare così ulteriori sofferenze al condannato (da qui il nome misericordia, appunto).
  
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