Capitolo
11
Girò
un’altra volta davanti
allo specchio chiedendosi cosa,
esattamente, l’avesse spinta a farsi trascinare a una stupida
festa dal suo
ancor più stupido migliore amico e, come se non bastasse, in
compagnia di
quella vacca della sua ragazza.
Davvero
geniale, Kaithlyn. Stai perdendo la mano ferma.
Bene,
iniziava anche a
parlare da sola?
Sbruffò,
cercando di
sistemarsi il vestito rosso in modo da non rischiare di rimanere in
mutande
alla prima occasione e non sentirsi una completa imbecille.
Maledetto
Jason.
Quel
brutto idiota era
riuscito a prenderle la pistola e le aveva giurato
solennemente che non gliela avrebbe resa, a meno che lei non
passasse la
serata a quella dannatissima festa.
Vile,
infimo ricattatore.
Non
le rimaneva che
attendere con ansia il momento in cui sarebbe rientrata in possesso
dell’arma
per minacciarlo e andarsene, ma nel frattempo aveva dovuto prepararsi e
sistemarsi.
Non
era mai andata pazza per
le gonne… in particolare per quelle che la fasciavano in
quel modo, rendendogli
difficoltosi i movimenti; forse avrebbe dovuto infilarsi qualcosa di
più
pratico, ma ormai era tardi per cambiare idea e mettersi un paio di
pantaloni.
E poi quel vestito rosso le piaceva.
-Kath?
Kath! Kath, ci sei? –
Possibile
che anche lei
fosse vittima dell’estenuante lentezza che caratterizzava le
donne nel
prepararsi per uscire? Eppure gli sembrava di avere a che fare con un
soggetto
piuttosto… rapido, per
quel genere di
cose.
Sbatté
un’altra volta il
pugno contro la superficie della porta, arricciando le labbra.
– Ti ricordi,
vero, che ho un ostaggio?
– sibilò,
cercando di essere il più minaccioso possibile cosa che
riusciva sicuramente
molto meglio a lei, inquietante per natura.
Se
nasci quadrato non muori tondo.
Improvvisamente
la porta si
spalancò, rivelando sulla soglia una Kaithlyn vestita di
tutto punto.
Addirittura
il tubino?
Doveva
proprio aver voglia
di liberarsi di lui…
La
squadrò dalla testa ai
piedi: niente male davvero.
-
Allora, ci muoviamo?
Stasera devo anche fare una sorpresa a Clarisse! – le
comunicò. Sperava quasi
che si offrisse di aiutarlo, ma l’espressione schifata sul
viso della ragazza lo
dissuase da ogni proposito.
Si
fece da parte per farla
uscire. – Sia chiaro, Jason: mezz’ora. Poi mi rendi
ciò che è mio, altrimenti
ti uccido e faccio da sola, okay? –.
Che
donna adorabile.
-
Certo. Io mantengo sempre le mie
promesse, al contrario di
qualcuno. – le disse, assottigliando gli occhi.
Kaithlyn
lo guardò scettica.
– Dì un po’, ce l’hai con me?
Perché se ti riferisci a quella volta in cui ti
ho “promesso” di aiutarti a fare questa fantomatica
sorpresa a quella, sappi che
l’ho detto solo per
farti smettere di blaterale.-
Assunse
un’aria
esageratamente oltraggiata. – Io contavo su di te, Kaithlyn
Evenson. Mi
abbondoni nel momento del bisogno?. –
-
Sì. –
-
D’accordo, lasciamo stare.
Quel povero ragazzo l’hai
visto o
sentito? – le chiese, mentre si avviavano verso il Pozzo.
L’occhiataccia
che ricevette
lo fece desistere.
Okay,
individuato l’argomento tabù della serata.
Il
Pozzo era già affollato e
il caos stava evidentemente iniziando a prendere rapidamente piede tra
gli
Intrepidi.
In
fondo al Pozzo avevano
piazzato una console per la musica dietro la quale un Intrepido con la
cresta
verde e una maglietta smanicata con tutti i bordi sbrindellati, stava
già
tenendo banco circondato da una piccola folla intenta a richiedere
quella o
l’altra canzone.
In
fondo, sulla sua destra,
era stato montato un banco da bar dietro il quale poteva intravedere
numerose
mensole sulle quali facevano bella mostra numerose bottiglie.
Fece
scorre lo sguardo sugli
intrepidi che si erano già radunati in capannelli
più o meno numerosi a ridere
sguaiatamente, urlando battute e qualche parolaccia.
Non
era lo stesso insieme di
voci fastidioso che si creava durante una discussione tra Eruditi, dove
ognuno
cercava di stare un’ottava sopra agli altri e per farsi
sentire dovevi urlare
fino a logorarti le corde vocali; gli Intrepidi interagivano come un
tutt’uno e
se in quel momento le fosse venuto in mente di comunicare qualcosa le
sarebbe
bastato montare sul primo tavolino disponibile e gridare qualcosa come
“Sfida”,
“bandiera”, “Hancock” per
ottenere l’attenzione genale di tutti presenti,
indipendentemente dai discorsi in cui erano impegnati.
-
Ehi bambola! –
Qualcuno,
anche se aveva
un’idea piuttosto precisa di chi fosse, le tirò
una pacca sulla spalla.
Jason
le sorrise, mentre lei
si riprometteva di fargliela pagare. – A quanto pare bastava
solo un piccolo incentivo per
stimolarti a
uscire! – esclamò allegramente prima di voltarsi e
fare un cenno a un ragazzo
che non conosceva.
L’unica
nota positiva, era
l’assenza di Clarisse… anche se le sembrava di
aver intravisto Eleanor Davis e
Jasmine Steward.
Strano.
In genere dove c’era una, si trovavano anche le altre due.
Una
volta le aveva
addirittura viste andare in giro per la Residenza con i vestiti in
tinta l’una
con l’altra.
Raccapricciante.
Un
brivido le corse lungo la
schiena. Quelle tre le davano il voltastomaco, oltre che a farle salire
l’impellente
necessità di trivellare di colpi un bersaglio; era
più forte di lei. Non aveva
mai sopportato, nemmeno quand’era più piccola,
certi soggetti. Ricordava che
durante i livelli inferiori aveva anche provato a socializzare con le
bambine,
perlopiù Erudite, della sua età ma non aveva
avuto molto successo. Un po’
perché non era mai stata brava a fare amicizia, un
po’ perché spesso e
volentieri le bambine Erudite erano istruite dalle madri a essere delle
piccole
vipere e per quanto lei fosse cinica e incurante degli altri, ad
eccezione di
quelle due o tre persone che teneva vagamente in considerazione, non
aveva mai
sentito il bisogno di approfittarsi di nessuno, forse anche
perché non le era
mai mancato proprio niente.
-
Ehi, ti sei incantata
Kath? Vieni! –
Jason
le afferrò una mano e
la tirò senza troppi complimenti verso il bancone dal lato
opposto del Pozzo costringendola
ad arrampicarsi su uno degli sgabelli rialzati rivestiti di stoffa
nera.
-
Tu, hai bisogno di una
bella sbronza! – la informò, appoggiandosi con un
braccio al banco in
legno scuro e lucido, e ammiccando
all’indirizzo di una cameriera.
Idiota.
-
Tu dici? –
-
Sissignore! Ci puoi
scommettere, questa faccenda degli iniziati ti stressa
troppo… e la notte è
ancora lunga! – esclamò allegramente, mentre
chiedeva due shotini al ragazzo
dietro di bancone e gliene posava uno davanti.
Jason
sollevò il
bicchierino, come a proporre un brindisi e ne bevve in un unico sorso
il
contenuto trasparente.
Osservò
con sospetto il suo
bicchiere, e lanciò un’occhiata inquisitoria a
ragazzo, che batteva
ritmicamente le dita sul bancone e la guardava in attesa.
Be’,
che male poteva farle
un bicchierino di vodka? Se l’avesse assecondato avrebbe
smesso di tormentarla
e lei avrebbe potuto tornarsene in santa pace al suo appartamento.
Storse
la bocca, come se si
trovasse davanti a un liquido di dubbia composizione e fosse indecisa
se
rischiare o meno di morire avvelenata.
-
Allora, bellezza? Jacob
non ti ci ha messo mica il veleno! –
-
Questo lo dici tu! –
risposero in coro Kaithlyn e il barista, intromessosi nella
conversazione.
Si
scambiarono un’occhiata
diffidente, poi lui scoppiò a ridere. – Hai
così poca fiducia nei tuoi compagni
di fazione, Evenson? – rise, appoggiando i palmi delle mani
al banco interno
dei cocktail.
-
Sì. –
-
Io te l’avevo detto che era
una faccenda seria, Jake! – gli disse Jason, passandosi una
mano tra i riccioli
biondi.
Era
contenta che si stessero
divertendo perché se avessero continuato così
quella sarebbe stata l’ultima
sera in cui avrebbero potuto usufruire dell’uso delle gambe.
Picchiettò
con la punta
dell’unghia dell’indice sul bicchierino, e
passò distrattamente un polpastrello
sul bordo.
-
Non te la prendere
Evenson, se non te la senti non fa niente! Ti porto un succo di frutta?
– le
chiese quell’imbecille con quei capelli ridicoli.
Be’,
gli conveniva ridere…
finché aveva ancora tutti i denti.
Afferrò
delicatamente il
bicchierino e lo sollevo all’altezza del viso con aria
pensosa.
Fissò
per un lungo secondo
il ragazzo sorridente davanti a lei e l’aria derisoria che
aveva dipinta sul
viso. Forse in altre circostanze sarebbe stata anche al gioco, ma
quella non
era proprio la serata adatta.
-
Guarda che è buono! – la
incoraggiò ancora come se stesse parlando ad una bambina.
Per
tutta risposta gli gettò
il contenuto del bicchierino in faccia, mentre un sorrisetto le
increspava le
labbra.
Be’,
se l’era cercata.
Il
tizio di nome Jacob restò
un secondo interdetto, mentre si scambiava un’occhiata
perplessa con Jason; a
quanto pareva erano amici. Poi riscoppiarono a ridere sonoramente,
strappandole
un sorrisetto divertito.
-
Dammene un altro.. –
-
Solo se prometti di non
lasciarmelo addosso! – la provocò, mentre le
riempiva nuovamente il bicchiere.
-
Sei fortunato che fosse
alcol e non quel simpatico coltello a punta biforcuta che si trova in
quel
barattolo. – gli assicurò, facendo un cenno con la
testa al contenitore di
utensili per i cocktail.
-
Oh, grazie tante allora
sei veramente una donna magnanima! – rise, mentre lei buttava
giù il contenuto
del bicchiere in un unico sorso. Sentì la bolla
d’alcol bruciarle la gola,
mentre si passava la lingua tra le labbra.
-
Bene. Ora posso andarmene?
– domandò, poggiando il bicchiere e guardando
risolutamente Jason.
Il
sorriso sul suo volto si
spense come una lampadina fulminata, mentre lo vedeva agitarsi un
po’ sulla
sedia. – In realtà.. –
iniziò, quasi titubante guardandola con
un’espressione
di scuse. – No. –
Ah,
bene.
Inarcò
le sopracciglia, in
attesa di una spiegazione. Se voleva costringerla
a interagire con tutta quella gente senza prendere a pugni nessuno,
dato che si
sentiva particolarmente mal disposta, avrebbe dovuto darle una
motivazione un
po’ più che convincente.
Jason
storse la bocca, come
se non avesse voglia di fare qualcosa ma sapesse che andava fatta. Un
attimo
dopo un paio di chiavi argentate erano sul bancone lucido.
Sul
momento non capì cosa
fossero, poi le osservò attentamente e le riconobbe.
– Ehm.. Jason? Non vorrei
turbarti, ma io le tue chiavi di casa le ho da quando abbiamo finito
l’iniziazione. – gli fece notare, infilando la
punta di un’unghia nel cordoncino
di spago che le teneva unite e facendole girare con non curanza.
Lui
la guardò pazientemente
e alzò gli occhi al cielo. – Lo so, tonta.
È ovvio che non siano per te, no? – le
spiegò con accondiscendenza.
Tonta?
Non
fece in tempo a
controbattere che un’intuizione si fece largo nella sua
mente.
No.
No,
no e ancora no.
Impossibile!
Aprì
la bocca, mentre sempre
più rapidamente prendeva consapevolezza di quel disastro.
Doveva
avere proprio
un’espressione sconcertata, perché
sentì la risata di Jason e del tizio del bar
arrivarle alle orecchie.
Alzò
gli occhi su Jason,
quasi spaesata. – Tu scherzi. Ti avverto, se è
… -
-
No, certo che non è uno
scherzo! Voglio darle a Clarisse! –
Voglio
darle a Clarisse.
E
pensare che negli ultimi
tempi si era quasi illusa che Jason rinsavisse!
Stupida
Anzi,
stupido.
Non
era lei ad essersi messa
con quel caso umano di stupidità… anche se forse,
parlando di casi umani,
avrebbe dovuto starsene zitta.
Non
aveva mai avuto nessun
interesse amoroso verso Jason, nonostante lo reputasse un bel ragazzo e
si
trovasse più che bene con lui solo… non quella.
Non
era il tipo giusto per
lui, ed era assolutamente convinta che meritasse di meglio…
magari una ragazza
un po’ più sveglia, un po’
più tranquilla… un po’ più da Jason!
Lui
era il tipo che girava per
la casa in mutande perché si è dimenticato dove
ha gettato i pantaloni… lei se
non era tirata a lucido non metteva il naso fuori di casa; Clarisse era
una di
quelle ragazze pettegole a cui piaceva parlar male di chiunque
respirasse la
sua stessa aria o mettere in giro brutte voci su chi non le andava a
genio.
Jason,
invece, per quanto
fosse borioso ed esagitato come molti Candidi divenuti Intrepidi, agiva
sempre
in buona fede indipendentemente da chi si trovava davanti, e forse un
po’ anche
per ingenuità, si aspettava che anche gli altri facessero
altrettanto.
Non
era la prima volta che
si buttava in quel modo in una relazione; lui era il tipo che si
spremeva, che
dava tutto a tutti… il contrario di lei, che piuttosto che
fare un passo
indietro pur sapendo di essere in parte
nel torto, preferiva ignorare Eric e posticipare il momento di cui
avrebbero
dovuto parlare.
Come
se non bastasse aveva
uno strano presentimento, mentre guardava le chiavi con aria dubbiosa.
Forse
era solo paranoica e
la sua fiducia pressoché inesistente nei confronti degli
altri la faceva
dubitare di chiunque… più
o meno.
Scosse
la testa,
focalizzando nuovamente l’attenzione su Jason il suo
entusiasmo sembrava
essersi affievolito.
-
Allora? Che dici? – le
chiese con una nota di impazienza nella voce, mentre batteva
nervosamente le
dita sul banco.
Che
sei matto. Salvati finché puoi!
-
Ehm… -
Doveva
essere veramente alla
disperazione se veniva a chiedere consiglio, tra tutti, proprio a lei.
Jason
le rivolse un cenno d’incoraggiamento
mentre alzava un angolo della bocca e corrugava le sopracciglia in
un’espressione impaziente.
-
Forte. Ehm… wow. Quindi…
quindi fai sul serio? – chiese, cercando di dare un minimo di
entusiasmo alla
sua voce.
Magari,
una ragazza del
genere era esattamente quello che gli serviva… eppure non
riusciva ad essere
tranquilla.
Jason
annuì con convinzione.
– Sì! Anche se tu non sei d’accordo,
pensi che sia impazzito e avresti voluto
suggerirmi di darmi alla fuga… non guardarmi come se ti
avessi colta con le
mani nel sacco, so che non la puoi vedere. – disse,
seriamente.
Non
poteva certo dire che non la conoscesse..
Lo
vide agitarsi sul posto
come se stesse per dimenticarsi qualcosa di assolutamente fondamentale.
-
Dopo vado a prenderle il
portachiavi, ne ho visto uno simpatico
l’altro giorno! E domani ti sorbirai tutto il reso conto
della serata. –
esclamò allegramente. O sadicamente, dato che aveva appena
affermato di essere
consapevole della sua avversione nei confronti della sua ragazza..
O
magari avrebbe dovuto solo rilassarsi ed essere meno
pragmatica e paranoica.
Forse
era solo l’antipatia
che provava verso Clarisse a farle pensare che ci fosse qualcosa di
strano
nella sua assenza… avrebbe dovuto farsi una ragione di lei e
Jason insieme,
prima o poi.
Decise
di provare a comportarsi da amica
per non
ripetere il delizioso siparietto di quella mattina.
-
Temevo questa risposta. –
borbottò, cercando di rilassarsi. – e…
lei dov’è? – chiese, lanciando
un’occhiata sbrigativa al Pozzo che iniziava a essere
ghermito di gente.
-
Non si sentiva bene, ed è
rimasta a casa... dopo vado a vedere come sta, almeno posso darle le
chiavi! -.
-
E tu perché non sei
rimasto con lei? – indagò, poggiando un gomito al
bancone e reggendosi la testa
con il palmo della mano.
Jason
assunse un’espressione
perplessa. – Be’, ha detto che voleva andare a
letto per riposarsi un po’. Che
dici mi presento con un cornetto? –
Ah.
Quella
situazione le puzzava di bruciato…
Decise
di ignorare le
proprie impressioni; d’altronde Jason era grande e vaccinato,
non aveva certo
bisogno della balia.
-
Sicuro. Perché no? –
-
Eccoti qua, donna di poca
fede! –
Si
girò, mentre veniva
riportata bruscamente alla realtà. Steven Robinson veniva in
tutta la sua
irritante spavalderia verso di loro, seguito a poca distanza dal resto
dei
Tiratori Scelti degli Intrepidi.
-
Wow Evenson… dove
nascondevi le gambe? – rise il ragazzo castano dietro Steven,
David.
Kaithlyn
inarcò un
sopracciglio, mentre la sensazione di essersi infilata in bel guaio
s’insinuava
nella sua mente.
Steven
s’infilò dietro il
bancone e si mise davanti a lei, reggendosi la testa con una mano e
osservandola.
-
Che vuoi? – domandò bruscamente
prima che tutti si fossero comodamente seduti.
Si
sentiva circondata.
Steven
aprì la bocca per
dire qualcosa. - Perché donna di poca fede? – si
intromise Alex, che si era
appena seduto accanto a Jason.
–
La rossa qui presente
pensava che la volessi abbordare!
–
esclamò in tono indignato, senza tuttavia riuscire a
reprimere un sorrisetto. –
Di nuovo! – aggiunse, a mo’ di spiegazione.
Sospirò,
preparandosi a un
interminabile scambio di battute idiote.
-
Be’, non ha tutti i torti!
Per te basta che una ragazza respiri... e la Evenson respira
piuttosto bene. – s’intromise David
Wilson tirando una
pallina di carta fatta con un tovagliolino in faccia a Steven.
-
Sicuro! Se le tappi quella
boccuccia con del nastro adesivo è perfetta! –
concordò, come se lei non ci fosse
prima di girarsi a ordinare da bere.
Ci
fu una risata generale.
Quando avrebbe chiesto a Max e agli altri Capofazione di aumentare la
mole di
lavoro, dato che lei non aveva problemi di nessun tipo a rimanere al
poligono
più a lungo, avrebbe riso lei. Gli avrebbe fatto avere gli
incubi per mesi,
tanto li avrebbe fatti sgobbare.
L’addestramento
per le Forze
Speciali gli sarebbe sembrato un simpatico pic-nic in un campo di
tulipani, a
confronto.
-
Avete finito? – chiese,
stirando le labbra in un sorrisetto forzato e fingendo un tono
divertito.
-
Certo che no bellezza,
abbiamo appena iniziato! A proposito, quelle
cosa sono? Due anni fa non c’erano, sono sicuro!
– esclamò Steven
sporgendosi in avanti e indicando il suo seno.
-
Invece c’erano eccome,
Robinson. – ribatté senza particolare entusiasmo,
incrociando le braccia sul
bancone.
-
No, tu menti. Io non le ho
viste! – insistette, battendo un pugno sul legno lucido.
Come
poteva essere
concentrata tanta stupidità in un’unica persona?
Che gusto c’era a fare l’idiota?
Non capiva.
E
poi quella serata iniziava
a diventare troppo allegra e irritante per i suoi gusti. – O
magari le poche
volte che siamo stati insieme sei stato talmente veloce da non avere il
tempo
per accorgertene. – ipotizzò con non curanza.
Bingo.
Steven
assunse una finta
aria ferita. – Ma Katy!
– disse,
prima di abbassare la voce e sporgersi verso di lei in un atteggiamento
confidenziale. – Questo era un segreto… - le
borbottò, senza tuttavia
abbandonare l’espressone da schiaffi e strizzandole
l’occhio. – Ops… - mormorò,
con finta non curanza, tirando fuori un ghigno derisorio.
Non
era mai andata pazza per
i nomignoli e l’unico che tollerava era
“Kath”, affibbiatole da Jason quattro
anni prima… ma Katy non
le sarebbe
mai andato giù. Non c’era una spiegazione
razionale a quell’avversione, ma le
veniva il nervoso ogni qualvolta qualcuno la appellava in quel modo
idiota.
-
Ciao ragazzi! Che avete da
confabulare? – chiese Clarke Lewis, raggiungendoli e
sedendosi alla sua destra.
-
Kaithlyn sta per insultare
Steven! – rispose qualcuno in tono entusiasta.
-
Niente di nuovo, quindi!
Jack? Mi passi il sacchetto dei pop-corn? –
Ah-ha.
Che qualcuno iniziasse immediatamente a farle il
solletico.
-
Io me ne vado! – decretò,
scendendo dallo sgabello e allungando una mano per prendere la borsa.
Purtroppo
Jason fu più veloce, facendola sparire prima ancora che
fosse riuscita ad
allungarsi abbastanza da afferrarla.
-
E dai… solo un paio d’ore,
poi vado da Clary e ti rendo la tua
bambina, promesso! –
“Clary”?
Non poteva averlo detto sul serio.
Certo,
prima erano dieci
minuti, poi mezz’ora ed ora addirittura un paio
d’ore? La prendeva per i
fondelli?
Sbuffò,
impaziente di
prendere la sua roba e dileguarsi prima di essere troppo brilla per
farlo…
peccato che qualcuno, anche se aveva un vago
sospetto, le avesse ordinato un altro drink non meglio
identificato e
gliel’avesse piazzato proprio sotto il naso.
-
Sicura di volere anche il
limone? Già sei acida e antipatica come pochi esseri viventi
al mondo… -
Qualcuno
fece per infilarle
una mano nel bicchiere ma gli tirò una sberla sul dorso.
Primo, non voleva
assolutamente sapere l’ultima volta che se l’era
lavate, secondo non
sopportava quando le venivano messe le
mani nel piatto o nel bicchiere e terzo, avrebbe tanto voluto sapere
chi gli
aveva dato tutta quella confidenza.
-
Mamma mia come sei
antipatica! – sbuffò Lewis incrociando le braccia
sul petto e dondolandosi in
bilico sulle gambe posteriori della sedia.
Rigirò
pigramente il drink
rosso scuro con la cannuccia nera, poi lo sollevò e
buttò giù un lungo sorso.
Pessima
idea.
Purtroppo
per lei il drink
era buono e l’alcol non si sentiva affatto. Doveva averlo
scelto Jason, perché
dubitava che qualcun altro avrebbe potuto azzeccare i suoi gusti con
tanta
precisione.
-
Dai, Kath… solo uno.
– la pregò il traditore,
punzecchiandole un braccio
con uno stecchino.
Ancora
dieci secondi e Jason
avrebbe scoperto a sue spese come eliminare qualcuno utilizzando un
innocuo
stecchino di legno.
-
E d’accordo. Solo uno. Poi
me ne vado, intesi? –
E
buttò giù.
Sì
maledisse, mentre sentiva
salirle lungo la gola la voglia di scoppiare a ridere; non ricordava
con
esattezza cosa fosse successo dopo il primo bicchiere ma doveva essere
divertente, perché si trovava ancora lì
anziché essere a casa.
Strano.
I
suoi compagni di squadra
erano tutti ubriachi e ridevano per ogni scemenza… ed anche
a lei veniva da
ridere, anche se non sapeva se per la battuta fatta da Lewis o
perché ridessero
tutti gli altri.
Si
sentiva stupida. Anche
se, a conti fatti, non era lei quella con due cannucce nelle narici.
L’ennesima
risata le arrivò
alle orecchie, attutita però dalla musica rimbombante delle
casse. Se prima il
Pozzo era affollato, in quel momento era decisamente peggio. La parte
centrale,
adibita a pista da ballo, era ghermita di gente che ballava,
amoreggiava e
scherzava mentre le luci continuavano a illuminare a intermittenza quel
groviglio di gente ubriaca.
L’unico
ancora totalmente
con i piedi per terra sembrava Jason, che parlava concitatamente con
Alex
Jeffrey. Sembrava… sconvolto, come se avesse appena ricevuto
una notizia a cui
era impossibile credere.
Jason
si girò verso di lei,
la bocca semi aperta e lei ne approfittò per cogliere la
palla la balzo. –
Andiamo? Ho bevuto, ridacchiato come un’idiota e vi ho
sopportati senza tentare
di uccidervi; se resto ancora un po’ rischio di essere mossa
a pietà e mettere
fine alle loro sofferenze. – disse, indicando i compagni di
squadra.
Lui
parve riaversi e le
rivolse un sorriso. – D’accordo. Concedimi un ballo
e poi sei libera,
d’accordo? – le propose alzandosi, facendo il giro
del tavolo quadrato e
mettendosi in ginocchio davanti a lei probabilmente per parlarle meglio.
Pure?!
Il
suo primo pensiero
razionale fu quello di colpirlo sul naso, riprendersi ciò
che le apparteneva e
andarsene, ma forse complice l’alcol si fece trascinare nella
pista da ballo.
Jason
la fece girare, le
afferrò le braccia e se le mise sulle spalle mentre
iniziavano a muoversi al
ritmo della musica.
Nonostante
non ci fosse niente
di sensuale o malizioso nel modo in cui lui le aveva appoggiato la mano
sulla
schiena o nel modo in cui lei si muoveva vicino a lui, era piuttosto
sicura che
se Eric l’avesse vista avrebbe dato i numeri più
del solito, geloso com’era.
Che
cosa stupida…
Rise,
arricciando il naso e
permettendo a Jason di farla girare di nuovo e per poco non perse
l’equilibrio
sui tacchi. Fortunatamente fu riacciuffata prima di cadere
all’indietro.
Jason
la afferrò per un
braccio e la avvicinò a sé, dicendole qualcosa
che non capì. – Eh? – gridò,
per
sovrastare il frastuono delle casse.
Lui
le indicò la scollatura,
facendole cenno di sistemarsi il vestito che, essendo privo di
spallini, le
stava calando.
Un
ragazzo, passando da lì,
le fece cenno di andare a ballare con lui guadagnandosi
un’occhiata poco
accondiscendete e provocando degli eccessi di risa a Jason. Vedendolo
quasi
lacrimare dalle risate le venne naturale accodarsi a lui, coprendosi la
bocca
con una mano per cercare di contenersi.
Continuarono
a ballare e a ridere
come due idioti per un pezzo, tornando ogni tanto a bere qualcosa al
bancone
mentre la tentazione di stordire Jason con una botta in testa e
andarsene
diventava sempre più lieve e la sua testa sempre
più vuota e leggera.
L’ennesima
canzone finì, scatenando
applausi e urla da tutta la pista da ballo. Si tappò le
orecchie, quando una
ragazza, vicino a lei, lanciò un urletto talmente acuto da
farle pensare che
avrebbe potuto incrinare il soffitto di vetro.
-
Andiamo? – ritentò,
afferrando Jason per un avambraccio e tirandolo verso di lei per farsi
sentire
in quel frastuono.
Lui
controllò l’orologio e
rise. – Mi hai concesso un’altra
mezz’ora, due drink fa Kath! – le
ricordò
chino verso di lei per sentire cosa diceva. Avevano i nasi a pochi
centimetri
di distanza, ed erano tanto vicini da poter sentire il fiato
dell’altro sul
viso.
Non
era in imbarazzo o in
difficoltà: era abituata alla vicinanza con lui.
Sospirò
e si avvicinò al suo
orecchio, schiacciandosi contro di lui che la trattenne con una mano
dietro la
schiena. – Andiamo più in là, allora!
Se mi arriva un’altra gomitata qualcuno
si ritroverà privo di arti. –
Si
staccò da Jason e lo
afferrò per la maglietta nera e aderente, trascinandolo
verso la parte meno
affollata del Pozzo.
Uscirono
da quel marasma a
fatica, imprecando e ridendo quando qualcuno se la prendeva a male per
una
pedata.
Passarono
alcuni momenti di
silenzio, durante i quali nessune dei due parlò. Ora che la
sola cosa che le
arrivava alle orecchie era la musica a tutto volume, iniziava a sentire
un
certo fastidio alla testa: non avrebbe dovuto farsi convincersi a bere.
Si
appoggiò una mano sulla
fronte e girò il viso verso Jason, che aveva
l’aria di uno appena uscito da un
incontro di lotta libera: i capelli biondi erano sparati in aria in un
groviglio informe di grossi riccioli, la maglietta era quasi
completamente
tirata da un lato, come se fosse rimasto impigliato in qualcosa
– o in qualcuno
- mentre si facevo largo tra la gente ed era evidentemente paonazzo.
Non
riuscì a fare a meno di
scoppiargli a ridere in faccia, tanto era sconvolto il suo aspetto.
Jason la
guardò interrogativamente prima di alzare gli occhi verdi
verso l’alto e
cercare inutilmente di appiattirsi i capelli; dopo alcuni secondi
rinunciò,
sbuffando e incrociando le braccia sul petto.
-
Okay bellezza, sarà meglio
che ti riaccompagni a casa. Non voglio che il tuo ragazzo ti veda
vestita così
a ridacchiare e scherza con me perché non ho la minima
voglia di scappare per
tutta la Residenza… l’ultimo drink e andiamo! - .
-
Peccato! Sarebbe uno
spettacolino divertente… per me. – lo
schernì mentre gli passava accanto. – A
proposito di casi umani: non dovevi andare dalla cosa,
lì? -.
Jason
corrugò le
sopracciglia, perplesso. – La…? Ah!
Clarisse… sì certo. Allora facciamoci
l’ultimo
goccetto, perché ne avrò bisogno, e poi andiamo.
D’accordo?-.
Ci
pensò per un momento;
ormai il danno era fatto e a casa il massimo che poteva succederle era
ritrovarsi a litigare con Eric nel caso decidesse di farsi vivo.
Sì,
forse poteva quasi passare
una serata pseudo tranquilla a bere e “divertirsi”,
anche se preferiva
continuare a scansare i suoi esagitati compagni di squadra.
- Okay. Ma solo un quarto
d’ora. Andata? –
chiese, porgendogli la mano destra.
Jason
sorrise allegramente e
l’afferrò, scuotendola vigorosamente un paio di
volte.
Era
come se la rabbia gli
scorresse sottopelle, nelle vene, e fino ai sottili capillari delle
dita,
bruciando tutto ciò che incontrava. Come un veleno, o un
acido particolarmente
forte.
Quel
trambusto, per lo stato
psico-fisico in cui si trovava, lo infastidiva terribilmente;
così come lo
irritava oltremodo quel gruppo abnorme di gente che stava facendo
baldoria.
Strinse
i pugni, sentendo
tirare le croste sulle nocche, mentre perlustrava con lo sguardo il
Pozzo.
Sperava
che Kaithlyn non si
fosse infilata sul serio in quel
casino, perché non aveva la benché minima voglia
d’infilarcisi anche lui. Non
in quel momento per lo meno.
Si
appoggiò discretamente
alla parete, dopo aver fatto cenno a Sean di andare senza di lui, e
incrociò le
braccia sul petto mentre appoggiava la pianta di un piede alla parete.
Aspetto
per alcuni minuti,
lanciando di tanto in tanto occhiate poco rassicuranti a chi si
azzardava a
fissarlo più del dovuto o lo urtava inavvertitamente.
Dopo
alcuni minuti di attesa
iniziò a innervosirsi: dove diamine era finita?
Sapeva
che c’era la squadra
di Tiratori al completo, li aveva visti transitare, ma di Kaithlyn
nemmeno
l’ombra.
Guardò
pigramente l’orologio
digitale, mentre il numero dei minuti passava da cinque a sei.
Respirò
pesantemente dal
naso, scocciato. Kaithlyn avrebbe dovuto passare da lì prima
o poi e quando ciò
sarebbe accaduto, le avrebbe fatto passare un brutto quarto
d’ora.
Quando
rialzò gli occhi, gli
sembrò di scorgere, solo per un secondo, una lunga chioma di
riccioli, che
immediatamente dopo sparì.
Si
staccò dalla parete
dandosi una piccola spinta con il piede che aveva appoggiato al muro e
fece
alcuni passi nella direzione della pista da ballo improvvisata per
verificare
di aver visto bene; non era affatto facile in quel trambusto e con le
luci a
intermittenza, ma gli sembrava troppo
familiare per non essere di Kaithlyn.
Riuscì
a farsi largo tra la
folla, spintonando la gente e imprecando sonoramente quando qualcuno
gli pestava
i piedi; in quel momento era un bel vantaggio essere più di
un metro e novanta,
perché riuscì a individuare la ragazza in pochi
attimi.
Mentre
la guardava, sentì la
rabbia e una folle gelosia impadronirsi di lui. Kaithlyn e Jason
stavano
ballando con certo entusiasmo davanti a lui e lei sembrava anche
contenta,
mentre lui la faceva girare scherzosamente o le appoggiava una mano
sulla
schiena per guidarla.
Iniziava
quasi ad avere la
vista chiazzata di rosso, e sentiva il cuore martellargli furiosamente
nel
petto mentre quel coso sempre
tenendole una mano sulla schiena, le afferrava la mano libera e la
faceva
dondolare goffamente di lato. E lei rideva. Rideva e si stava
divertendo come
l’aveva vista fare poche volte, con un altro.
Be’,
come biasimarla...
Digrignò
i denti e fece un
altro passo verso i due, immobilizzandosi un attimo prima che potessero
accorgersi che era lì; Kaithlyn aveva appoggiato una mano
sulla spalla di Jason
e si era sporta verso il suo orecchio per dirgli qualcosa. Lui si
girò verso di
lei, e avevano i visi talmente vicini che per un attimo temette che si
stessero
baciando, ma l’unica cosa che quel menomato fece fu sorridere
apertamente,
guardare l’orologio, risponderla qualcosa e annuire, prima di
farsi trascinare
dalla sua, dannazione, sua ragazza
fuori da quella calca.
Cosa
gli aveva detto? Cosa
gli aveva sussurrato e perché non aveva parlato ad alta voce
invece di
avvinarsi in quel modo a lui? Che bisogno c’era, in quel
casino, di dire
qualcosa in un orecchio a qualcuno se non si trattava di una cosa
privata,
personale, intima?
Perché
ballavano così
vicini, così appiccicati?
Sentiva
una gelosia mai
provata; la avvertiva pulsare in ogni fibra del suo corpo, fin nelle
dita dei
piedi e si sentì seriamente sull’orlo del baratro,
prossimo a perdere
completamente il controllo sulle sue azioni.
Non
lo aiutava nemmeno
vederla sotto le luci bianche, nella zona laterale al Pozzo quella con
meno
gente. E come avrebbe potuto farlo sentire meglio? Aveva un tubino
rosso che le
arrivava giusto a metà coscia e che le fasciava il fisico
asciutto mettendo in
risalto le sue forme in un modo che, per quel lo che riguardava,
sarebbe dovuto
essere ritenuto illegale e punibile penalmente. Come se non bastasse, i
tacchi
la slanciavano e quando si voltò nella sua direzione, senza
vederlo, notò che
era anche truccata. Non riuscì a capire quanto,
ma sicuramente aveva un rossetto scuro che riprendeva il colore dei
capelli che
le scendevano oltre metà schiena in una massa accuratamente
disordinata.
Si
sentì mancare il respiro,
non sapeva con esattezza se dalla rabbia, dalla gelosia pulsante e
cocente che
lo stava ardendo divorandolo dall’interno o dal fatto che la
sua ragazza fosse
tanto bella e sexy.
Bella
e sexy mentre esce con un altro…
Maledizione!
L’idea
di travolgere senza
troppi problemi la ragazzina che gli ballava davanti e andare a
uccidere nel
modo più brutale e doloroso possibile Miller e a dirne
quattro a Kaithlyn
diventò fin troppo allettante, raggiungendo il culmine
quando la vide ridere
divertita all’indirizzo di quello.
Se
fosse stato in un’altra
situazione, avesse avuto una giornata tranquilla e non fosse in rotta
con lei,
forse avrebbe riso anche lui, per schernirlo: aveva decisamente un
aspetto
sconvolto.
Peccato
che
quel momento non rispettasse neanche mezza di quelle situazioni: aveva
avuto da
discutere per tutto il giorno, era di umore nero ed era in rottura con
la lei. Che,
per inciso, si stava divertendo a fare la deficiente con il fulcro, uno
dei
tanti, dei suoi problemi. Jason. Anche se, a voler essere onesto con se
stesso,
quando si trattava di lei ogni esponente di sesso maschile diventava un
problema. Un enorme, gigantesco problema da eliminare.
Avanzò
facendosi largo a
spintoni diretto verso Kaithlyn; nel frattempo lei e Miller si
scambiarono un
altro paio di battute e si strinsero teatralmente le mano destra.
Lui
poteva sicuramente dire
“addio” a quella mano. Si prendeva troppa
libertà con il corpo della sua
ragazza.
Non
appena fosse riuscito ad
agguantarla e a trascinarla, anche a costo di caricarsela in spalla, da
un’altra parte l’avrebbe sentito.
Cosa
pensava? Che lui se ne
sarebbe stato buono buono e farsi trattare da idiota da lei?
Jason
appoggiò una mano sul
braccio nudo di Kaithlyn, mentre nella sua mente si proiettavano
immagini di
loro due avvinghiati da qualche parte. Era un pensiero illogico e privo
di
fondamento, perché tra loro due non c’era mai
stato nulla se non amicizia.
O
almeno credeva.
Comunque
stessero le cose,
quel gesto innocente e il fatto che lei si accostasse a lui per sentire
nuovamente cosa aveva da dire, gli fecero perdere quasi del tutto il
controllo.
Non
capì con esattezza la
dinamica di ciò che accadde dopo: un ragazzo Intrepido che
non conosceva,
evidentemente ubriaco, urtò Kaithlyn costringendola a fare
un passo indietro
per non perdere l’equilibrio sui tacchi alti. Lei si
voltò verso di lui,
l’espressione irritata nuovamente sul volto e gli disse
qualcosa che, a
giudicare dal gesto infastidito che fece con la mano, stava a intendere
di
stare attento a dove mettesse i piedi.
La
strada gli fu sbarrata da
una ragazza dai capelli striati di azzurro e alcuni piercing su
sopracciglia e
labbra che sembrava intenzionata a dirgli qualcosa. Irritato, la prese
per le
spalle e la spostò malamente di lato per riprendere la sua
avanzata verso il
suo obiettivo.
Vide
il ragazzo che aveva
urtato Kaithlyn girarsi verso di lei e dirle qualcosa a gran voce, ma
nel
trambusto non riuscì a distinguere chiaramente le parole;
non doveva essere
stato niente di lusinghiero, perché Kaithlyn
inarcò le sopracciglia e fece due
passi verso di lui, arrivandogli a una ventina di centimetri dalla
faccia e
rispondendogli evidentemente in modo evidentemente aggressivo.
Un
attimo dopo il ragazzo le
tirò un man rovescio in pieno viso, facendola finire a terra.
Le
sue priorità cambiarono
istantaneamente e le sue gambe si mossero da sole verso il tipo che
aveva
appena firmato la sua condanna a morte e che stava torreggiando su di
lei.
Vide
appena Jason avanzare
per mettersi nel mezzo, una mano alzata verso il ragazzo e una verso
Kaithlyn.
Si
avventò sul ragazzo,
colpendo Jason con una spallata e costringendolo a spostarsi di lato,
mentre
afferrava quell’idiota per la maglietta e lo attaccava alla
parete sollevandolo
di diversi centimetri dal suolo.
Era
assolutamente infuriato,
fuori di sé dalla rabbia. Aveva perso il controllo, e sapeva
che si sarebbe
sentito meglio solo quando avrebbe visto il tuo avversario contorcersi
dal
dolore ai suoi piedi.
Sentiva
tutti i muscoli
vibrare di energia che aspettava solo di essere sfogata.
Lo
bloccò con un braccio
sotto il collo e lo colpì con un montante allo stomaco; gli
mancò il respirò
per un momento, mentre cercava di alzare le gambe per incassare il
colpo troppo
ubriaco per reagire.
-
Se ti azzardi a toccarla
un’altra volta, ti ammazzo. – sibilò in
un ringhio basso e furioso a due
centimetri dal suo viso. Aveva lo sguardo annebbiato e sembrava non
capire la
situazione, ma non gli importava.
Non
gli importava.
Lui
rise, forse a causa
dell’alcol ed Eric perse definitivamente ogni briciolo
residuo di
autocontrollo. Gli sferrò un altro montante, e spinse con il
braccio che aveva
pressato sulla sua gola; lui gli strinse il braccio, probabilmente in
debito di
ossigeno. Eric sorrise malefico e dopo aver spinto un’ultima
volta sulla sua
gola, lo lasciò scivolare a terra. Il gesto fu seguito da
una serie di calcia
dati quasi alla cieca, non gli importava dove lo stava colpendo.
Voleva
fargli male.
Aveva
perso di vista Eric da
un po’, ma non se n’era preoccupato: era grande e
vaccinato, e sapeva badare a
se stesso. E poi voleva stare un po’ con Mia, che fino a quel
momento aveva
avuto fin troppa pazienza con entrambi.
Improvvisamente,
mentre
stavano ballando, Mia si fermò e piantò gli occhi
castani verso un lato del
Pozzo, in una delle zone dove c’era meno gente. Anche loro si
erano spostati,
non potendone più di quell’ammasso di gente.
-
Che c’è? – le chiese, mettendole
una ciocca di capelli lisci dietro l’orecchio. Lei strinse le
labbra e
assottigliò leggermente gli occhi, corrugando le
sopracciglia.
-
Sean… quello non è Eric? –
domandò, facendo un cenno con la testa verso la parte del
Pozzo che stava
osservando.
Sean
si voltò nella
direzione che gli era stata indicata, e per poco non gli venne un
colpo.
-
Torno subito… - le disse
distrattamente, prima di dirigersi di corsa verso quel danno che andava
sotto
il nome e cognome di Eric Turner.
Eric
si stava avventando
senza pietà su un ragazzo che sembrava poco più
grande di loro con diversi
calci; se avesse continuato così, gli avrebbe spappolato la
milza e il fegato e
non era sicuramente una grande idea.
Arrivò
alle spalle di Eric
in pochi secondi e lo afferrò per le braccia; non era
un’impresa semplice,
contando che era diversi centimetri più alto di lui e
decisamente infuriato.
S’illuse
di essere riuscito
a immobilizzarlo, ma l’unica cosa che ottenne fu sfilargli la
giacca.
Lasciò
cadere l’indumento a
terra e cercò di tirarlo indietro con tutta la forza che
aveva, riuscendo suo malgrado
ad allontanarlo per
un secondo; a Eric
bastò un attimo altrettanto breve per strattonare
violentemente il braccio
dalla sua presa.
Perché
nessuno faceva nulla?
Non
fece in tempo a
formulare il pensiero che un ragazzo, che riconobbe come Steven
Robinson, passò
un braccio intorno alla gola di Eric, riuscendo a tirarlo indietro.
Eric
provò a strattonarsi
nuovamente con tutta la forza che aveva, ma si aggiunsero altri due
ragazzi:
uno bassino ma largo di spalle con folti capelli castani tutti
spettinati, e un
altro alto e magro dai capelli biondi tutti sparati in aria.
Dovevano
essere di qualche
anno più grandi di loro.
-
Okay, moccioso, ora calmati.
– sentì dire in tono baldanzoso da Steven,
mentre lo vedeva rafforzare la presa.
In
tutta risposta Eric
riuscì ad assestargli una gomitata nello stomaco, che
l’altro incassò
piegandosi leggermente senza tuttavia lasciare la presa ferrea. Era
abbastanza
alto da non doversi abbassare troppo per una gomitata.
Con
una smorfia tra il
sofferente e il divertito Steven fece forza, tirando Eric indietro con
uno
strattone che sembrò smorzargli il respiro e farlo
imbestialire ancora di più.
Eric
fece per rigirarsi, ma
Sean rafforzò la presa sul suo braccio cercando di non farsi
strattonare.
-
D’accordo, scusa. –
annaspò Steven, facendo un passo indietro per allontanare
Eric dal malcapitato
che in quel momento boccheggiava a terra. – però
tiri più del mio cavallo dai
Pacifici, amico. –
In
effetti, pur essendo in
quattro, non riuscivano a immobilizzarlo del tutto. Dove essere proprio
infuriato.
Riuscirono
dopo alcuni
interminabili secondi a spostarlo da dov’era, e quando furono
abbastanza
lontani, Sean gli piazzò davanti impedendogli il passaggio.
Eric
si strattonò con
violenza e fece per andare addosso a Steven, che alzò le
mani in segno di resa
nonostante l’espressione tranquilla.
-
Ora datti una calmata, o
dovremo usare le maniere forti. – lo avvisò.
Eric
gli lanciò un’occhiata
di fuoco e fece un passo indietro, prima di passarsi una mano sulla
testa e
avviarsi quasi di corsa fuori dal Pozzo.
Si
riscosse dallo stato in
cui si trovava e corse dietro all’amico, facendosi largo tra
gli altri e
recuperandolo in pochi secondi.
Fuori
dal Pozzo, nel
corridoio buio illuminato semplicemente dalle luci azzurrognole appese
alle pareti,
individuo la sagoma di Eric svoltare lateralmente e sparire. Si
lanciò
all’inseguimento, cercando di tenere un passo abbastanza
sostenuto da non
perderlo di vista ma non abbastanza veloce da arrivargli troppo vicino.
Voleva
prima vedere cosa aveva intenzione di fare.
I
loro passi rimbombavano
nei corridoi deserti, mentre i rumori della festa sembravano
infrangersi sulle
pareti che li circondavano in un eco rimbombante, sempre più
lontano, che
sembrava voler lasciare il posto al fragore del fiume a cui si stavano
rapidamente avvicinando.
Eric
camminava a passi
svelti davanti a lui, che a malapena riusciva stargli dietro,
passandosi
febbrilmente le mani tra i capelli; sembrava sul punto di esplodere di
nuovo a
giudicare dal respiro irregolare, quasi ansimante, intriso di
frustrazione e
rabbia.
Eric
svoltò l’angolo di
nuovo, sparendo dal suo campo visivo e costringendolo a scattare in
avanti e a
svoltare repentinamente per raggiungerlo.
Impiegò
alcuni secondi per
metterlo a fuoco nonostante la luce tenue che filtrava dall'alto,
mentre il
fragore del fiume che s’infrangeva sulle pareti dello
Strapiombo parecchi metri
sotto di loro gli riempiva le orecchie.
Eric
era davanti alla
ringhiera, tremante di rabbia e con le mani strette intorno al
corrimano in
metallo scuro. Aveva la testa china in avanti mentre ondeggiava
pericolosamente, come un pazzo, avanti e indietro nel tentativo di
calmarsi e
riacquistare il controllo.
Lui
era l’unico a sapere il
perché di quegli attacchi di rabbia spaventosi, e non
l’aveva detto ad anima
viva. Nemmeno a Mia, e sospettava che neanche Kaithlyn lo sapesse,
anche se ci
viveva praticamente insieme.
Eric
gli aveva confessato,
in uno dei rari momenti in cui si apriva con qualcun altro, che quando
stava
con lei si sentiva più tranquillo e non voleva mandare tutto
all’aria, anche se
non aveva usato quelle parole, per quel… problemino.
E
tu chiamalo problemino!
Sentì
uno strano rumore
metallico, e un brivido gli attraversò la schiena quando
comprese da dove
proveniva.
-
Eric…- lo avvisò
avvicinandosi frettolosamente a lui e poggiandogli una mano sul
braccio. – se
continui così farai un bel volo.. cerca di calmarti.
– tentò, mentre Eric
continuava a far pericolosamente dondolare la ringhiera. Se avesse
continuato
così l’avrebbe scardinata e sarebbe finito di
sotto.
Sembrava
incapace di reagire
e di riacquistare lucidità, così, nel tentativo
di aiutarlo, Sean gli strinse
una mano intorno al braccio cercando di staccarlo da lì.
Due
secondi dopo si ritrovò
con il sedere per terra, mentre Eric, come una tigre in gabbia, si
prendeva la
testa tra le mani e riiniziava a fare avanti e indietro.
Tese
le orecchie, sentendo
un paio di tacchi avvicinarsi rapidamente a loro. Che fosse Mia?
La
figura dai capelli lunghi
e ricchi, ancora avvolta nell’oscurità, non poteva
essere lei e lui fu felice
di essersi sbagliato: per quanto volesse bene a Eric, preferiva
decisamente
esserci solamente lui in quei momenti… Kaithlyn
entrò nello spiazzo ancora vestita
e truccata di tutto punto e si bloccò sulla porta prima di
lanciargli
un’occhiata interrogativa, tenendo la giacca di Eric in mano.
Sean
storse la bocca, e le
fece un cenno di diniego con la testa, evitando accuratamente di
incrociare il
suo sguardo. Doveva essere Eric a confrontarsi con lei, non lui. Per
tutta
risposta Kaithlyn fece una smorfia scocciata al suo indirizzo e poi lo
oltrepassò per andare vicino a Eric, ancora preda delle sue
stesse emozioni.
Kaithlyn
fece il suo stesso
errore afferrando Eric per un braccio, - Eric, calmati! – gli
disse, ma fu costretta
ad allontanarsi un attimo dopo per evitare uno spuntone.
Nonostante
la spinta, non
gli sembrò intenzionata a demordere; infatti
raddrizzò le spalle e assunse un
cipiglio decisamente più duro di quello che aveva pochi
secondi prima.
Si
appoggiò con il fianco
destro alla ringhiera, dandogli le spalle e poggiando il peso su una
sola
gamba. Sporse la testa in avanti, come se cercasse di scrutare il viso
di Eric,
che gli sembrava di sentir fremere di rabbia anche da lì.
Aprì
la bocca per fermare
Kaithlyn che aveva alzato, in modi un po’ troppo bruschi data
la situazione, la
mano sinistra forse intenzionata a scostare i capelli scuri dal viso di
Eric,
ma non ebbe tempo di proferire parole.
Non
appena Eric intercettò
lo sguardo di Kaithlyn, s’infiammo. -
È
colpa tua! – le ringhiò contro in un sibilo,
lasciando la presa sul corrimano e
facendo un passo indietro come se si trovasse davanti a un serpente
velenoso. –
Se tu non avessi fatto la putt... -.
Sean
si pietrificò sul
posto, mentre il suono prodotto da quei due schiaffi gli arrivava alle
orecchie.
Per
un secondo, che a lui
parve eterno, regnò il silenzio e il gelo. L’aria
era carica di una tensione
opprimente, che nonostante non lo riguardasse in prima persona,
sembrava
schiacciarlo al suolo e incollargli le mani al pavimento.
L’attimo
dopo, Eric si
scagliò contro Kaithlyn facendola schiantare con la schiena
contro la parete e
sbattere la testa. Le teneva le mani piantate sulle spalle, impedendole
qualsiasi movimento.
Si
riscosse rapidamente e si
alzò, pronto a levarle Eric di dosso ma lei gli fece cenno,
con il braccio che
era obbligata a tenere lungo il fianco, di stare restare fermo.
Contro
ogni buon senso,
raddrizzò le spalle e si fermò a pochi passi da
loro.
Tutto
accadde nel giro di
pochi secondi, ed ebbe appena il tempo di rendersi conto di quello che
stava
accadendo, prima che il primo pugno di Eric si schiantasse contro la
parete con
forza inaudita, seguito a ruota da un altro, un altro e un altro
ancora.
Le
nocche di Eric si
schiantavano ai lati del viso di Kaithlyn, che rimase immobile fino a
quando un
pugno non la colpì sul viso, anche se non riuscì
a vedere dove. La vide solamente
girare il viso dall’altra parte mentre una smorfia di dolore
le attraversava il
volto; Eric, a quel punto, parve tornare in sé.
Sentiva
lo zigomo pulsarle,
mentre il dolore continuava a diffondersi sul viso e sentiva qualcosa
di umido
percorrerle la schiena e la guancia.
Si
portò una mano sul lato
ferito del viso, poi si guardò le dita sporche di sangue.
Alzò
gli occhi su Eric
cercando di capire cosa gli passasse per la testa. La scapola, che
doveva
essersi tagliata quando l’aveva pressata contro il muro, era
ancora
dolorosamente a contatto con la pietra irregolare e ruvida che le
grattava il
taglio aperto; il vuoto alla testa provocato dall’alcol le
era passato e, forse
complice la botta presa o la situazione, si sentiva più
vigile che mai.
Sentiva
il cuore martellarle
nel petto mentre fissava il ragazzo che aveva davanti agli occhi alla
ricerca
di risposte: non sembrava neanche lui. Aveva sentito parlare spesso,
quando ancora
viveva tra gli Eruditi e a cena i suoi riempivano lei e i suoi fratelli
di
nozioni, di disturbi comportamentali ed era piuttosto certa di trovarsi
di
fronte a un attacco di rabbia.
Possibile
che ne soffrisse?
Perché non se n’era accorta prima?
Sembrava
ancora furente,
teso come una corda di violino e pronto a scattare di nuovo come un
serpente a
sonagli in attesa del passo falso del suo avversario.
-
Eric, lasciami. Adesso. –
riuscì a dire. Si sentiva intontita, frastornata per il
colpo ricevuto sul
viso; era una fortuna che l’avesse presa di striscio
causandole solo
un’escoriazione... se l’avesse centrata in pieno
viso, avrebbe potuto
fratturarle lo zigomo. Avvertiva la scapola bruciarle e brevi scariche
di
dolore partire dal taglio aperto diffondersi intorno alla ferita,
innervando la
bolla di dolore che avvertiva in quella zona e crescendo
progressivamente
d’intensità.
Sentiva
il bisogno
impellente di staccarsi da lì crescerle nel petto, ma sapeva
di non aver alcuna
possibilità di strattonare tutti quei fasci di nervi e
muscoli; non in quelle
condizioni patetiche.
-
Eric, mi stai facendo
male. – ripeté, questa volta con voce
più nitida e dura. – Lasciami. –
Con
suo grande sollievo sentì
la pressione sulla spalla sparire gradualmente fino a lasciarla libera
di
staccarsi dalla parete.
Se
prima era rimasta
interdetta, in quel momento era decisamente furiosa; si rendeva conto
che
avrebbe dovuto fare un passo indietro, lasciare che quel momento
finisse e che
Eric riacquistasse la ragione ma non ci riusciva. Nemmeno mentre lui la
guardava come se le volesse stringere le mani alla gola, gli occhi
annebbiati ancora
da quella scintilla di follia terribile.
Lui
parve ripensarci e la riappiccicò
al muro con violenza facendo protestare la sua spalla in modo piuttosto
doloroso; il taglio doveva essere profondo, perché sentiva
qualcosa di umido
bagnarle la schiena. Forse sangue.
Istintivamente
gli assestò
una pedata sulla gamba con tutta la forza che aveva, riuscendo a fargli
fare un
passo indietro.
Avanzò
leggermente e lo
fissò: aveva lo sguardo fisso e impenetrabile, come se non
ci fosse niente, nessuno dietro gli
occhi grigi, quasi
metallici.
Strinse
le labbra in una
smorfia arrabbiata. – Stammi a sentire: non so che diavolo ti
sia preso Turner,
ma… -
-
Taci! – le ringhiò,
guardandola freddamente. – Sfido che la gente ti guarda di
traverso! -.
Spalancò
la bocca,
indignata. – Come. Ti. Permetti? Hai bel coraggio,
Capofazione dei miei
stivali! Sei dove sei solo perché…-
iniziò, prima di ripensarci e
interrompersi.
-
Continua. Sono curioso di
sentire le cazzate che ti escono dalla bocca. Avanti! -.
Alzò
un braccio per colpirlo
di nuovo ma Eric le bloccò il polso a pochi centimetri dal
suo viso. – Non sai
fare niente di meglio che schiaffeggiarmi? –
domandò in tono basso e calcolato.
– Anzi, c’è qualcosa
che sai fare
decisamente meglio, ma non rientra tra le doti combattive…
giusto? – insinuò malevolo.
Provò
a divincolare il
braccio, senza successo. A Eric bastò fare leggermente
pressione per
abbassarglielo e inclinarlo verso il basso fino a farle male. Strinse
le
labbra, decisa a non dargli soddisfazione, mentre sentiva Sean fare un
paio di
passi verso di loro.
Provò
ancora a divincolarsi
e fece per caricare un altro calcio, questa volta tra le gambe ma lui
la lasciò
con un ultimo gesto di stizza prima di adombrarsi ancora più
e girarsi per
andarsene. Sean le passò accanto, lo raggiunse e tirandolo
per un braccio lo
trascinò verso il corridoio opposto a quello da dove era
arrivata lei. Vide
Eric tirare un calcio e un pugno alla parete e poi scollare la mano
dolorante,
prima di scomparire nell’oscurità.
Gli
gridò dietro,
inutilmente.
Allora,
allora, allora.
Quanti sono
quelli che si sono messi in fila per fucilarmi?
Non cosa
possiate pensare di tutto questo, ma vi dico subito che non ho ancora
finito di
sistemare per le feste i personaggi, miei e non; quindi armatevi di
pazienza e
sopportatemi!
Qualcuno ha
già in mente qualcosa sui prossimi sviluppi? Ovviamente come
al solito sono
insicura e piena di dubbi, ma non vi tedierò con domande su
domande lasciando a
voi “l’ardua
sentenza.”
Siate
impietose!
Passiamo ai
ringraziamenti che dite?
Dunque,
dunque.
Ringrazio
come sempre Kaimy_11,
che recensisce
sempre con una puntualità disarmante (al
contrario di me nell’ultimo periodo!) ogni capitolo
e Adeus,
che non si dimentica mai di lasciarmi il suo parere (come
invece qualche volta capita a me, ci vuole pazienza!).
Ringrazio
anche EliDirectionxX che
ha
aggiunto la storia tra le preferite, e Sara_lost e
WelcomeInTheBlackParade che
l’ha inserita tra le seguite!
Ovviamente
come sempre ringrazio anche chi si limita a leggere e vi segnalo, per
chi ne ha
voglia, la pagine del mio account su facebook.
Ecco il link:à https://www.facebook.com/pages/Kaithlyn-J-Evenson/865334640156569?fref=ts
Grazie
davvero a tutti!
P.s: mi scuso
con tutte le persone che seguono Mind’s Shades. Non ho
abbandonato al storia,
solo che avendo poco tempo non ho ancora potuto terminare il capitolo e
aggiornare… non perdete la speranza!
Un bacione,
Kaithlyn