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Autore: Arlie_S    11/08/2015    4 recensioni
[IN REVISIONE COMPLETA: scriverò accanto ad ogni capitolo se è stato revisionato o meno, mano a mano che ricomincerò a pubblicare]
Sei disposto a distruggere ciò che ami per i tuoi ideali, giusti o sbagliati che siano?
Esiste il “punto di non ritorno”, quando si parla di sentimenti?
Forse sì, forse no.
O magari, è solo una questione di scelte.
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[Dal testo del Cap. 7]
- Belle gambe! – le gridò dietro nel trambusto del Pozzo. Lei si immobilizzò dopo pochi passi.
- Hai per caso hai detto qualcosa, Turner? – disse gelida girando la testa verso di lui e guardandolo minacciosa.
- Ma figurati! Fai finta che non ti abbia detto niente! – le gridò lui alzando entrambe le mani.
Sul viso della ragazza di allargò un sorrisetto tra il divertito e il sadico.
- Sarà meglio, perché tra due ore hai la valutazione per l’addestramento dei Capofazione. E indovina a chi è toccato il sommo piacere di valutarti? – disse facendo trasparire la soddisfazione nella voce.
Eric si sentì sbiancare, mentre il sorrisetto arrogante che aveva messo su sparì immediatamente dal suo viso e le braccia gli ricadevano giù.
“Oh merda” pensò. “Questa volta sì, che sono fottuto.”
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eric, Four/Quattro (Tobias), Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Capitolo 11

 

                  

Girò un’altra volta davanti allo specchio chiedendosi cosa, esattamente, l’avesse spinta a farsi trascinare a una stupida festa dal suo ancor più stupido migliore amico e, come se non bastasse, in compagnia di quella vacca della sua ragazza.

Davvero geniale, Kaithlyn. Stai perdendo la mano ferma.

Bene, iniziava anche a parlare da sola?

Sbruffò, cercando di sistemarsi il vestito rosso in modo da non rischiare di rimanere in mutande alla prima occasione e non sentirsi una completa imbecille.

Maledetto Jason.

Quel brutto idiota era riuscito a prenderle la pistola e le aveva giurato solennemente che non gliela avrebbe resa, a meno che lei non passasse la serata a quella dannatissima festa.

Vile, infimo ricattatore.

Non le rimaneva che attendere con ansia il momento in cui sarebbe rientrata in possesso dell’arma per minacciarlo e andarsene, ma nel frattempo aveva dovuto prepararsi e sistemarsi.

Non era mai andata pazza per le gonne… in particolare per quelle che la fasciavano in quel modo, rendendogli difficoltosi i movimenti; forse avrebbe dovuto infilarsi qualcosa di più pratico, ma ormai era tardi per cambiare idea e mettersi un paio di pantaloni. E poi quel vestito rosso le piaceva.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-Kath? Kath! Kath, ci sei? –

Possibile che anche lei fosse vittima dell’estenuante lentezza che caratterizzava le donne nel prepararsi per uscire? Eppure gli sembrava di avere a che fare con un soggetto piuttosto… rapido, per quel genere di cose.

Sbatté un’altra volta il pugno contro la superficie della porta, arricciando le labbra. – Ti ricordi, vero, che ho un ostaggio? – sibilò, cercando di essere il più minaccioso possibile cosa che riusciva sicuramente molto meglio a lei, inquietante per natura.

Se nasci quadrato non muori tondo.

Improvvisamente la porta si spalancò, rivelando sulla soglia una Kaithlyn vestita di tutto punto.

Addirittura il tubino?

Doveva proprio aver voglia di liberarsi di lui…

La squadrò dalla testa ai piedi: niente male davvero.

- Allora, ci muoviamo? Stasera devo anche fare una sorpresa a Clarisse! – le comunicò. Sperava quasi che si offrisse di aiutarlo, ma l’espressione schifata sul viso della ragazza lo dissuase da ogni proposito.

Si fece da parte per farla uscire. – Sia chiaro, Jason: mezz’ora. Poi mi rendi ciò che è mio, altrimenti ti uccido e faccio da sola, okay? –.

Che donna adorabile.

- Certo. Io mantengo sempre le mie promesse, al contrario di qualcuno. – le disse, assottigliando gli occhi.

Kaithlyn lo guardò scettica. – Dì un po’, ce l’hai con me? Perché se ti riferisci a quella volta in cui ti ho “promesso” di aiutarti a fare questa fantomatica sorpresa a quella, sappi che l’ho detto solo per farti smettere di blaterale.-

Assunse un’aria esageratamente oltraggiata. – Io contavo su di te, Kaithlyn Evenson. Mi abbondoni nel momento del bisogno?. –

- Sì. –

- D’accordo, lasciamo stare. Quel povero ragazzo l’hai visto o sentito? – le chiese, mentre si avviavano verso il Pozzo.

L’occhiataccia che ricevette lo fece desistere.

Okay, individuato l’argomento tabù della serata.

 

 

 

 

 

 

Il Pozzo era già affollato e il caos stava evidentemente iniziando a prendere rapidamente piede tra gli Intrepidi.

In fondo al Pozzo avevano piazzato una console per la musica dietro la quale un Intrepido con la cresta verde e una maglietta smanicata con tutti i bordi sbrindellati, stava già tenendo banco circondato da una piccola folla intenta a richiedere quella o l’altra canzone.

In fondo, sulla sua destra, era stato montato un banco da bar dietro il quale poteva intravedere numerose mensole sulle quali facevano bella mostra numerose bottiglie.

Fece scorre lo sguardo sugli intrepidi che si erano già radunati in capannelli più o meno numerosi a ridere sguaiatamente, urlando battute e qualche parolaccia.

Non era lo stesso insieme di voci fastidioso che si creava durante una discussione tra Eruditi, dove ognuno cercava di stare un’ottava sopra agli altri e per farsi sentire dovevi urlare fino a logorarti le corde vocali; gli Intrepidi interagivano come un tutt’uno e se in quel momento le fosse venuto in mente di comunicare qualcosa le sarebbe bastato montare sul primo tavolino disponibile e gridare qualcosa come “Sfida”, “bandiera”, “Hancock” per ottenere l’attenzione genale di tutti presenti, indipendentemente dai discorsi in cui erano impegnati.

- Ehi bambola! –

Qualcuno, anche se aveva un’idea piuttosto precisa di chi fosse, le tirò una pacca sulla spalla.

Jason le sorrise, mentre lei si riprometteva di fargliela pagare. – A quanto pare bastava solo un piccolo incentivo per stimolarti a uscire! – esclamò allegramente prima di voltarsi e fare un cenno a un ragazzo che non conosceva.

L’unica nota positiva, era l’assenza di Clarisse… anche se le sembrava di aver intravisto Eleanor Davis e Jasmine Steward.

Strano. In genere dove c’era una, si trovavano anche le altre due.

Una volta le aveva addirittura viste andare in giro per la Residenza con i vestiti in tinta l’una con l’altra.

Raccapricciante.

Un brivido le corse lungo la schiena. Quelle tre le davano il voltastomaco, oltre che a farle salire l’impellente necessità di trivellare di colpi un bersaglio; era più forte di lei. Non aveva mai sopportato, nemmeno quand’era più piccola, certi soggetti. Ricordava che durante i livelli inferiori aveva anche provato a socializzare con le bambine, perlopiù Erudite, della sua età ma non aveva avuto molto successo. Un po’ perché non era mai stata brava a fare amicizia, un po’ perché spesso e volentieri le bambine Erudite erano istruite dalle madri a essere delle piccole vipere e per quanto lei fosse cinica e incurante degli altri, ad eccezione di quelle due o tre persone che teneva vagamente in considerazione, non aveva mai sentito il bisogno di approfittarsi di nessuno, forse anche perché non le era mai mancato proprio niente.

- Ehi, ti sei incantata Kath? Vieni! –

Jason le afferrò una mano e la tirò senza troppi complimenti verso il bancone dal lato opposto del Pozzo costringendola ad arrampicarsi su uno degli sgabelli rialzati rivestiti di stoffa nera.

- Tu, hai bisogno di una bella sbronza! – la informò, appoggiandosi con un braccio  al banco in legno scuro e lucido, e ammiccando all’indirizzo di una cameriera.

Idiota.

- Tu dici? –

- Sissignore! Ci puoi scommettere, questa faccenda degli iniziati ti stressa troppo… e la notte è ancora lunga! – esclamò allegramente, mentre chiedeva due shotini al ragazzo dietro di bancone e gliene posava uno davanti.

Jason sollevò il bicchierino, come a proporre un brindisi e ne bevve in un unico sorso il contenuto trasparente.

Osservò con sospetto il suo bicchiere, e lanciò un’occhiata inquisitoria a ragazzo, che batteva ritmicamente le dita sul bancone e la guardava in attesa.

Be’, che male poteva farle un bicchierino di vodka? Se l’avesse assecondato avrebbe smesso di tormentarla e lei avrebbe potuto tornarsene in santa pace al suo appartamento.

Storse la bocca, come se si trovasse davanti a un liquido di dubbia composizione e fosse indecisa se rischiare o meno di morire avvelenata.

- Allora, bellezza? Jacob non ti ci ha messo mica il veleno! –

- Questo lo dici tu! – risposero in coro Kaithlyn e il barista, intromessosi nella conversazione.

Si scambiarono un’occhiata diffidente, poi lui scoppiò a ridere. – Hai così poca fiducia nei tuoi compagni di fazione, Evenson? – rise, appoggiando i palmi delle mani al banco interno dei cocktail.

- Sì. –

- Io te l’avevo detto che era una faccenda seria, Jake! – gli disse Jason, passandosi una mano tra i riccioli biondi.

Era contenta che si stessero divertendo perché se avessero continuato così quella sarebbe stata l’ultima sera in cui avrebbero potuto usufruire dell’uso delle gambe.

Picchiettò con la punta dell’unghia dell’indice sul bicchierino, e passò distrattamente un polpastrello sul bordo.

- Non te la prendere Evenson, se non te la senti non fa niente! Ti porto un succo di frutta? – le chiese quell’imbecille con quei capelli ridicoli.

Be’, gli conveniva ridere… finché aveva ancora tutti i denti.

Afferrò delicatamente il bicchierino e lo sollevo all’altezza del viso con aria pensosa.

Fissò per un lungo secondo il ragazzo sorridente davanti a lei e l’aria derisoria che aveva dipinta sul viso. Forse in altre circostanze sarebbe stata anche al gioco, ma quella non era proprio la serata adatta.

- Guarda che è buono! – la incoraggiò ancora come se stesse parlando ad una bambina.

Per tutta risposta gli gettò il contenuto del bicchierino in faccia, mentre un sorrisetto le increspava le labbra.

Be’, se l’era cercata.

Il tizio di nome Jacob restò un secondo interdetto, mentre si scambiava un’occhiata perplessa con Jason; a quanto pareva erano amici. Poi riscoppiarono a ridere sonoramente, strappandole un sorrisetto divertito.

- Dammene un altro.. –

- Solo se prometti di non lasciarmelo addosso! – la provocò, mentre le riempiva nuovamente il bicchiere.

- Sei fortunato che fosse alcol e non quel simpatico coltello a punta biforcuta che si trova in quel barattolo. – gli assicurò, facendo un cenno con la testa al contenitore di utensili per i cocktail.

- Oh, grazie tante allora sei veramente una donna magnanima! – rise, mentre lei buttava giù il contenuto del bicchiere in un unico sorso. Sentì la bolla d’alcol bruciarle la gola, mentre si passava la lingua tra le labbra.

- Bene. Ora posso andarmene? – domandò, poggiando il bicchiere e guardando risolutamente Jason.

Il sorriso sul suo volto si spense come una lampadina fulminata, mentre lo vedeva agitarsi un po’ sulla sedia. – In realtà.. – iniziò, quasi titubante guardandola con un’espressione di scuse. – No. –

Ah, bene.

Inarcò le sopracciglia, in attesa di una spiegazione. Se voleva costringerla a interagire con tutta quella gente senza prendere a pugni nessuno, dato che si sentiva particolarmente mal disposta, avrebbe dovuto darle una motivazione un po’ più che convincente.

Jason storse la bocca, come se non avesse voglia di fare qualcosa ma sapesse che andava fatta. Un attimo dopo un paio di chiavi argentate erano sul bancone lucido.

Sul momento non capì cosa fossero, poi le osservò attentamente e le riconobbe. – Ehm.. Jason? Non vorrei turbarti, ma io le tue chiavi di casa le ho da quando abbiamo finito l’iniziazione. – gli fece notare, infilando la punta di un’unghia nel cordoncino di spago che le teneva unite e facendole girare con non curanza.

Lui la guardò pazientemente e alzò gli occhi al cielo. – Lo so, tonta. È ovvio che non siano per te, no? – le spiegò con accondiscendenza.

Tonta?

Non fece in tempo a controbattere che un’intuizione si fece largo nella sua mente.

No.

No, no e ancora no.

Impossibile!

Aprì la bocca, mentre sempre più rapidamente prendeva consapevolezza di quel disastro.

Doveva avere proprio un’espressione sconcertata, perché sentì la risata di Jason e del tizio del bar arrivarle alle orecchie.

Alzò gli occhi su Jason, quasi spaesata. – Tu scherzi. Ti avverto, se è … -

- No, certo che non è uno scherzo! Voglio darle a Clarisse! –

Voglio darle a Clarisse.

E pensare che negli ultimi tempi si era quasi illusa che Jason rinsavisse!

Stupida

Anzi, stupido.

Non era lei ad essersi messa con quel caso umano di stupidità… anche se forse, parlando di casi umani, avrebbe dovuto starsene zitta.

Non aveva mai avuto nessun interesse amoroso verso Jason, nonostante lo reputasse un bel ragazzo e si trovasse più che bene con lui solo… non quella.

Non era il tipo giusto per lui, ed era assolutamente convinta che meritasse di meglio… magari una ragazza un po’ più sveglia, un po’ più tranquilla… un po’ più da Jason!

Lui era il tipo che girava per la casa in mutande perché si è dimenticato dove ha gettato i pantaloni… lei se non era tirata a lucido non metteva il naso fuori di casa; Clarisse era una di quelle ragazze pettegole a cui piaceva parlar male di chiunque respirasse la sua stessa aria o mettere in giro brutte voci su chi non le andava a genio.

Jason, invece, per quanto fosse borioso ed esagitato come molti Candidi divenuti Intrepidi, agiva sempre in buona fede indipendentemente da chi si trovava davanti, e forse un po’ anche per ingenuità, si aspettava che anche gli altri facessero altrettanto.

Non era la prima volta che si buttava in quel modo in una relazione; lui era il tipo che si spremeva, che dava tutto a tutti… il contrario di lei, che piuttosto che fare un passo indietro pur sapendo di essere in parte nel torto, preferiva ignorare Eric e posticipare il momento di cui avrebbero dovuto parlare.

Come se non bastasse aveva uno strano presentimento, mentre guardava le chiavi con aria dubbiosa.

Forse era solo paranoica e la sua fiducia pressoché inesistente nei confronti degli altri la faceva dubitare di chiunque… più o meno.

Scosse la testa, focalizzando nuovamente l’attenzione su Jason il suo entusiasmo sembrava essersi affievolito.

- Allora? Che dici? – le chiese con una nota di impazienza nella voce, mentre batteva nervosamente le dita sul banco.

Che sei matto. Salvati finché puoi!

- Ehm… -

Doveva essere veramente alla disperazione se veniva a chiedere consiglio, tra tutti, proprio a lei.

Jason le rivolse un cenno d’incoraggiamento mentre alzava un angolo della bocca e corrugava le sopracciglia in un’espressione impaziente.

- Forte. Ehm… wow. Quindi… quindi fai sul serio? – chiese, cercando di dare un minimo di entusiasmo alla sua voce.

Magari, una ragazza del genere era esattamente quello che gli serviva… eppure non riusciva ad essere tranquilla.

Jason annuì con convinzione. – Sì! Anche se tu non sei d’accordo, pensi che sia impazzito e avresti voluto suggerirmi di darmi alla fuga… non guardarmi come se ti avessi colta con le mani nel sacco, so che non la puoi vedere. – disse, seriamente.

Non poteva certo dire che non la conoscesse..

Lo vide agitarsi sul posto come se stesse per dimenticarsi qualcosa di assolutamente fondamentale.

- Dopo vado a prenderle il portachiavi, ne ho visto uno simpatico l’altro giorno! E domani ti sorbirai tutto il reso conto della serata. – esclamò allegramente. O sadicamente, dato che aveva appena affermato di essere consapevole della sua avversione nei confronti della sua ragazza..

O magari avrebbe dovuto solo rilassarsi ed essere meno pragmatica e paranoica.

Forse era solo l’antipatia che provava verso Clarisse a farle pensare che ci fosse qualcosa di strano nella sua assenza… avrebbe dovuto farsi una ragione di lei e Jason insieme, prima o poi.

Decise di provare a comportarsi da amica per non ripetere il delizioso siparietto di quella mattina.

- Temevo questa risposta. – borbottò, cercando di rilassarsi. – e… lei dov’è? – chiese, lanciando un’occhiata sbrigativa al Pozzo che iniziava a essere ghermito di gente.

- Non si sentiva bene, ed è rimasta a casa... dopo vado a vedere come sta, almeno posso darle le chiavi! -.

- E tu perché non sei rimasto con lei? – indagò, poggiando un gomito al bancone e reggendosi la testa con il palmo della mano.

Jason assunse un’espressione perplessa. – Be’, ha detto che voleva andare a letto per riposarsi un po’. Che dici mi presento con un cornetto? –

Ah.

Quella situazione le puzzava di bruciato…

Decise di ignorare le proprie impressioni; d’altronde Jason era grande e vaccinato, non aveva certo bisogno della balia.

- Sicuro. Perché no? –

- Eccoti qua, donna di poca fede! –

Si girò, mentre veniva riportata bruscamente alla realtà. Steven Robinson veniva in tutta la sua irritante spavalderia verso di loro, seguito a poca distanza dal resto dei Tiratori Scelti degli Intrepidi.

- Wow Evenson… dove nascondevi le gambe? – rise il ragazzo castano dietro Steven, David.

Kaithlyn inarcò un sopracciglio, mentre la sensazione di essersi infilata in bel guaio s’insinuava nella sua mente.

Steven s’infilò dietro il bancone e si mise davanti a lei, reggendosi la testa con una mano e osservandola.

- Che vuoi? – domandò bruscamente prima che tutti si fossero comodamente seduti.

Si sentiva circondata.

Steven aprì la bocca per dire qualcosa. - Perché donna di poca fede? – si intromise Alex, che si era appena seduto accanto a Jason.

– La rossa qui presente pensava che la volessi abbordare! – esclamò in tono indignato, senza tuttavia riuscire a reprimere un sorrisetto. – Di nuovo! – aggiunse, a mo’ di spiegazione.

Sospirò, preparandosi a un interminabile scambio di battute idiote.

- Be’, non ha tutti i torti! Per te basta che una ragazza respiri... e la Evenson respira piuttosto bene. – s’intromise David Wilson tirando una pallina di carta fatta con un tovagliolino in faccia a Steven.

- Sicuro! Se le tappi quella boccuccia con del nastro adesivo è perfetta! – concordò, come se lei non ci fosse prima di girarsi a ordinare da bere.

Ci fu una risata generale. Quando avrebbe chiesto a Max e agli altri Capofazione di aumentare la mole di lavoro, dato che lei non aveva problemi di nessun tipo a rimanere al poligono più a lungo, avrebbe riso lei. Gli avrebbe fatto avere gli incubi per mesi, tanto li avrebbe fatti sgobbare.

L’addestramento per le Forze Speciali gli sarebbe sembrato un simpatico pic-nic in un campo di tulipani, a confronto.

- Avete finito? – chiese, stirando le labbra in un sorrisetto forzato e fingendo un tono divertito.

- Certo che no bellezza, abbiamo appena iniziato! A proposito, quelle cosa sono? Due anni fa non c’erano, sono sicuro! – esclamò Steven sporgendosi in avanti e indicando il suo seno.

- Invece c’erano eccome, Robinson. – ribatté senza particolare entusiasmo, incrociando le braccia sul bancone.

- No, tu menti. Io non le ho viste! – insistette, battendo un pugno sul legno lucido.

Come poteva essere concentrata tanta stupidità in un’unica persona? Che gusto c’era a fare l’idiota? Non capiva.

E poi quella serata iniziava a diventare troppo allegra e irritante per i suoi gusti. – O magari le poche volte che siamo stati insieme sei stato talmente veloce da non avere il tempo per accorgertene. – ipotizzò con non curanza.

Bingo.

Steven assunse una finta aria ferita. – Ma Katy! – disse, prima di abbassare la voce e sporgersi verso di lei in un atteggiamento confidenziale. – Questo era un segreto… - le borbottò, senza tuttavia abbandonare l’espressone da schiaffi e strizzandole l’occhio. – Ops… - mormorò, con finta non curanza, tirando fuori un ghigno derisorio.

Non era mai andata pazza per i nomignoli e l’unico che tollerava era “Kath”, affibbiatole da Jason quattro anni prima… ma Katy non le sarebbe mai andato giù. Non c’era una spiegazione razionale a quell’avversione, ma le veniva il nervoso ogni qualvolta qualcuno la appellava in quel modo idiota.

- Ciao ragazzi! Che avete da confabulare? – chiese Clarke Lewis, raggiungendoli e sedendosi alla sua destra.

- Kaithlyn sta per insultare Steven! – rispose qualcuno in tono entusiasta.

- Niente di nuovo, quindi! Jack? Mi passi il sacchetto dei pop-corn? –

Ah-ha. Che qualcuno iniziasse immediatamente a farle il solletico.

- Io me ne vado! – decretò, scendendo dallo sgabello e allungando una mano per prendere la borsa. Purtroppo Jason fu più veloce, facendola sparire prima ancora che fosse riuscita ad allungarsi abbastanza da afferrarla.

- E dai… solo un paio d’ore, poi vado da Clary e ti rendo la tua bambina, promesso! –

“Clary”? Non poteva averlo detto sul serio.

Certo, prima erano dieci minuti, poi mezz’ora ed ora addirittura un paio d’ore? La prendeva per i fondelli?

Sbuffò, impaziente di prendere la sua roba e dileguarsi prima di essere troppo brilla per farlo… peccato che qualcuno, anche se aveva un vago sospetto, le avesse ordinato un altro drink non meglio identificato e gliel’avesse piazzato proprio sotto il naso.

- Sicura di volere anche il limone? Già sei acida e antipatica come pochi esseri viventi al mondo… -

Qualcuno fece per infilarle una mano nel bicchiere ma gli tirò una sberla sul dorso. Primo, non voleva assolutamente sapere l’ultima volta che se l’era lavate, secondo  non sopportava quando le venivano messe le mani nel piatto o nel bicchiere e terzo, avrebbe tanto voluto sapere chi gli aveva dato tutta quella confidenza.

- Mamma mia come sei antipatica! – sbuffò Lewis incrociando le braccia sul petto e dondolandosi in bilico sulle gambe posteriori della sedia.

Rigirò pigramente il drink rosso scuro con la cannuccia nera, poi lo sollevò e buttò giù un lungo sorso.

Pessima idea.

Purtroppo per lei il drink era buono e l’alcol non si sentiva affatto. Doveva averlo scelto Jason, perché dubitava che qualcun altro avrebbe potuto azzeccare i suoi gusti con tanta precisione.

- Dai, Kath… solo uno. – la pregò il traditore, punzecchiandole un braccio con uno stecchino.

Ancora dieci secondi e Jason avrebbe scoperto a sue spese come eliminare qualcuno utilizzando un innocuo stecchino di legno.

- E d’accordo. Solo uno. Poi me ne vado, intesi? –

E buttò giù.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sì maledisse, mentre sentiva salirle lungo la gola la voglia di scoppiare a ridere; non ricordava con esattezza cosa fosse successo dopo il primo bicchiere ma doveva essere divertente, perché si trovava ancora lì anziché essere a casa.

Strano.

I suoi compagni di squadra erano tutti ubriachi e ridevano per ogni scemenza… ed anche a lei veniva da ridere, anche se non sapeva se per la battuta fatta da Lewis o perché ridessero tutti gli altri.

Si sentiva stupida. Anche se, a conti fatti, non era lei quella con due cannucce nelle narici.

L’ennesima risata le arrivò alle orecchie, attutita però dalla musica rimbombante delle casse. Se prima il Pozzo era affollato, in quel momento era decisamente peggio. La parte centrale, adibita a pista da ballo, era ghermita di gente che ballava, amoreggiava e scherzava mentre le luci continuavano a illuminare a intermittenza quel groviglio di gente ubriaca.

L’unico ancora totalmente con i piedi per terra sembrava Jason, che parlava concitatamente con Alex Jeffrey. Sembrava… sconvolto, come se avesse appena ricevuto una notizia a cui era impossibile credere.

Jason si girò verso di lei, la bocca semi aperta e lei ne approfittò per cogliere la palla la balzo. – Andiamo? Ho bevuto, ridacchiato come un’idiota e vi ho sopportati senza tentare di uccidervi; se resto ancora un po’ rischio di essere mossa a pietà e mettere fine alle loro sofferenze. – disse, indicando i compagni di squadra.

Lui parve riaversi e le rivolse un sorriso. – D’accordo. Concedimi un ballo e poi sei libera, d’accordo? – le propose alzandosi, facendo il giro del tavolo quadrato e mettendosi in ginocchio davanti a lei probabilmente per parlarle meglio.

Pure?!

Il suo primo pensiero razionale fu quello di colpirlo sul naso, riprendersi ciò che le apparteneva e andarsene, ma forse complice l’alcol si fece trascinare nella pista da ballo.

Jason la fece girare, le afferrò le braccia e se le mise sulle spalle mentre iniziavano a muoversi al ritmo della musica.

Nonostante non ci fosse niente di sensuale o malizioso nel modo in cui lui le aveva appoggiato la mano sulla schiena o nel modo in cui lei si muoveva vicino a lui, era piuttosto sicura che se Eric l’avesse vista avrebbe dato i numeri più del solito, geloso com’era.

Che cosa stupida…

Rise, arricciando il naso e permettendo a Jason di farla girare di nuovo e per poco non perse l’equilibrio sui tacchi. Fortunatamente fu riacciuffata prima di cadere all’indietro.

Jason la afferrò per un braccio e la avvicinò a sé, dicendole qualcosa che non capì. – Eh? – gridò, per sovrastare il frastuono delle casse.

Lui le indicò la scollatura, facendole cenno di sistemarsi il vestito che, essendo privo di spallini, le stava calando.

Un ragazzo, passando da lì, le fece cenno di andare a ballare con lui guadagnandosi un’occhiata poco accondiscendete e provocando degli eccessi di risa a Jason. Vedendolo quasi lacrimare dalle risate le venne naturale accodarsi a lui, coprendosi la bocca con una mano per cercare di contenersi.

Continuarono a ballare e a ridere come due idioti per un pezzo, tornando ogni tanto a bere qualcosa al bancone mentre la tentazione di stordire Jason con una botta in testa e andarsene diventava sempre più lieve e la sua testa sempre più vuota e leggera.

L’ennesima canzone finì, scatenando applausi e urla da tutta la pista da ballo. Si tappò le orecchie, quando una ragazza, vicino a lei, lanciò un urletto talmente acuto da farle pensare che avrebbe potuto incrinare il soffitto di vetro.

- Andiamo? – ritentò, afferrando Jason per un avambraccio e tirandolo verso di lei per farsi sentire in quel frastuono.

Lui controllò l’orologio e rise. – Mi hai concesso un’altra mezz’ora, due drink fa Kath! – le ricordò chino verso di lei per sentire cosa diceva. Avevano i nasi a pochi centimetri di distanza, ed erano tanto vicini da poter sentire il fiato dell’altro sul viso.

Non era in imbarazzo o in difficoltà: era abituata alla vicinanza con lui.

Sospirò e si avvicinò al suo orecchio, schiacciandosi contro di lui che la trattenne con una mano dietro la schiena. – Andiamo più in là, allora! Se mi arriva un’altra gomitata qualcuno si ritroverà privo di arti. –

Si staccò da Jason e lo afferrò per la maglietta nera e aderente, trascinandolo verso la parte meno affollata del Pozzo.

Uscirono da quel marasma a fatica, imprecando e ridendo quando qualcuno se la prendeva a male per una pedata.

Passarono alcuni momenti di silenzio, durante i quali nessune dei due parlò. Ora che la sola cosa che le arrivava alle orecchie era la musica a tutto volume, iniziava a sentire un certo fastidio alla testa: non avrebbe dovuto farsi convincersi a bere.

Si appoggiò una mano sulla fronte e girò il viso verso Jason, che aveva l’aria di uno appena uscito da un incontro di lotta libera: i capelli biondi erano sparati in aria in un groviglio informe di grossi riccioli, la maglietta era quasi completamente tirata da un lato, come se fosse rimasto impigliato in qualcosa – o in qualcuno - mentre si facevo largo tra la gente ed era evidentemente paonazzo.

Non riuscì a fare a meno di scoppiargli a ridere in faccia, tanto era sconvolto il suo aspetto. Jason la guardò interrogativamente prima di alzare gli occhi verdi verso l’alto e cercare inutilmente di appiattirsi i capelli; dopo alcuni secondi rinunciò, sbuffando e incrociando le braccia sul petto.

- Okay bellezza, sarà meglio che ti riaccompagni a casa. Non voglio che il tuo ragazzo ti veda vestita così a ridacchiare e scherza con me perché non ho la minima voglia di scappare per tutta la Residenza… l’ultimo drink e andiamo! - .

- Peccato! Sarebbe uno spettacolino divertente… per me. – lo schernì mentre gli passava accanto. – A proposito di casi umani: non dovevi andare dalla cosa, lì? -.

Jason corrugò le sopracciglia, perplesso. – La…? Ah! Clarisse… sì certo. Allora facciamoci l’ultimo goccetto, perché ne avrò bisogno, e poi andiamo. D’accordo?-.

Ci pensò per un momento; ormai il danno era fatto e a casa il massimo che poteva succederle era ritrovarsi a litigare con Eric nel caso decidesse di farsi vivo.

Sì, forse poteva quasi passare una serata pseudo tranquilla a bere e “divertirsi”, anche se preferiva continuare a scansare i suoi esagitati compagni di squadra.

 - Okay. Ma solo un quarto d’ora. Andata? – chiese, porgendogli la mano destra.

Jason sorrise allegramente e l’afferrò, scuotendola vigorosamente un paio di volte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Era come se la rabbia gli scorresse sottopelle, nelle vene, e fino ai sottili capillari delle dita, bruciando tutto ciò che incontrava. Come un veleno, o un acido particolarmente forte.

Quel trambusto, per lo stato psico-fisico in cui si trovava, lo infastidiva terribilmente; così come lo irritava oltremodo quel gruppo abnorme di gente che stava facendo baldoria.

Strinse i pugni, sentendo tirare le croste sulle nocche, mentre perlustrava con lo sguardo il Pozzo.

Sperava che Kaithlyn non si fosse infilata sul serio in quel casino, perché non aveva la benché minima voglia d’infilarcisi anche lui. Non in quel momento per lo meno.

Si appoggiò discretamente alla parete, dopo aver fatto cenno a Sean di andare senza di lui, e incrociò le braccia sul petto mentre appoggiava la pianta di un piede alla parete.

Aspetto per alcuni minuti, lanciando di tanto in tanto occhiate poco rassicuranti a chi si azzardava a fissarlo più del dovuto o lo urtava inavvertitamente.

Dopo alcuni minuti di attesa iniziò a innervosirsi: dove diamine era finita?

Sapeva che c’era la squadra di Tiratori al completo, li aveva visti transitare, ma di Kaithlyn nemmeno l’ombra.

Guardò pigramente l’orologio digitale, mentre il numero dei minuti passava da cinque a sei.

Respirò pesantemente dal naso, scocciato. Kaithlyn avrebbe dovuto passare da lì prima o poi e quando ciò sarebbe accaduto, le avrebbe fatto passare un brutto quarto d’ora.

Quando rialzò gli occhi, gli sembrò di scorgere, solo per un secondo, una lunga chioma di riccioli, che immediatamente dopo sparì.

Si staccò dalla parete dandosi una piccola spinta con il piede che aveva appoggiato al muro e fece alcuni passi nella direzione della pista da ballo improvvisata per verificare di aver visto bene; non era affatto facile in quel trambusto e con le luci a intermittenza, ma gli sembrava troppo familiare per non essere di Kaithlyn.

Riuscì a farsi largo tra la folla, spintonando la gente e imprecando sonoramente quando qualcuno gli pestava i piedi; in quel momento era un bel vantaggio essere più di un metro e novanta, perché riuscì a individuare la ragazza in pochi attimi.

Mentre la guardava, sentì la rabbia e una folle gelosia impadronirsi di lui. Kaithlyn e Jason stavano ballando con certo entusiasmo davanti a lui e lei sembrava anche contenta, mentre lui la faceva girare scherzosamente o le appoggiava una mano sulla schiena per guidarla.

Iniziava quasi ad avere la vista chiazzata di rosso, e sentiva il cuore martellargli furiosamente nel petto mentre quel coso sempre tenendole una mano sulla schiena, le afferrava la mano libera e la faceva dondolare goffamente di lato. E lei rideva. Rideva e si stava divertendo come l’aveva vista fare poche volte, con un altro.

Be’, come biasimarla...

Digrignò i denti e fece un altro passo verso i due, immobilizzandosi un attimo prima che potessero accorgersi che era lì; Kaithlyn aveva appoggiato una mano sulla spalla di Jason e si era sporta verso il suo orecchio per dirgli qualcosa. Lui si girò verso di lei, e avevano i visi talmente vicini che per un attimo temette che si stessero baciando, ma l’unica cosa che quel menomato fece fu sorridere apertamente, guardare l’orologio, risponderla qualcosa e annuire, prima di farsi trascinare dalla sua, dannazione, sua ragazza fuori da quella calca.

Cosa gli aveva detto? Cosa gli aveva sussurrato e perché non aveva parlato ad alta voce invece di avvinarsi in quel modo a lui? Che bisogno c’era, in quel casino, di dire qualcosa in un orecchio a qualcuno se non si trattava di una cosa privata, personale, intima?

Perché ballavano così vicini, così appiccicati?

Sentiva una gelosia mai provata; la avvertiva pulsare in ogni fibra del suo corpo, fin nelle dita dei piedi e si sentì seriamente sull’orlo del baratro, prossimo a perdere completamente il controllo sulle sue azioni.

Non lo aiutava nemmeno vederla sotto le luci bianche, nella zona laterale al Pozzo quella con meno gente. E come avrebbe potuto farlo sentire meglio? Aveva un tubino rosso che le arrivava giusto a metà coscia e che le fasciava il fisico asciutto mettendo in risalto le sue forme in un modo che, per quel lo che riguardava, sarebbe dovuto essere ritenuto illegale e punibile penalmente. Come se non bastasse, i tacchi la slanciavano e quando si voltò nella sua direzione, senza vederlo, notò che era anche truccata. Non riuscì a capire quanto, ma sicuramente aveva un rossetto scuro che riprendeva il colore dei capelli che le scendevano oltre metà schiena in una massa accuratamente disordinata.

Si sentì mancare il respiro, non sapeva con esattezza se dalla rabbia, dalla gelosia pulsante e cocente che lo stava ardendo divorandolo dall’interno o dal fatto che la sua ragazza fosse tanto bella e sexy.

Bella e sexy mentre esce con un altro…

Maledizione!

L’idea di travolgere senza troppi problemi la ragazzina che gli ballava davanti e andare a uccidere nel modo più brutale e doloroso possibile Miller e a dirne quattro a Kaithlyn diventò fin troppo allettante, raggiungendo il culmine quando la vide ridere divertita all’indirizzo di quello.

Se fosse stato in un’altra situazione, avesse avuto una giornata tranquilla e non fosse in rotta con lei, forse avrebbe riso anche lui, per schernirlo: aveva decisamente un aspetto sconvolto.

Peccato che quel momento non rispettasse neanche mezza di quelle situazioni: aveva avuto da discutere per tutto il giorno, era di umore nero ed era in rottura con la lei. Che, per inciso, si stava divertendo a fare la deficiente con il fulcro, uno dei tanti, dei suoi problemi. Jason. Anche se, a voler essere onesto con se stesso, quando si trattava di lei ogni esponente di sesso maschile diventava un problema. Un enorme, gigantesco problema da eliminare.

Avanzò facendosi largo a spintoni diretto verso Kaithlyn; nel frattempo lei e Miller si scambiarono un altro paio di battute e si strinsero teatralmente le mano destra.

Lui poteva sicuramente dire “addio” a quella mano. Si prendeva troppa libertà con il corpo della sua ragazza.

Non appena fosse riuscito ad agguantarla e a trascinarla, anche a costo di caricarsela in spalla, da un’altra parte l’avrebbe sentito.

Cosa pensava? Che lui se ne sarebbe stato buono buono e farsi trattare da idiota da lei?

Jason appoggiò una mano sul braccio nudo di Kaithlyn, mentre nella sua mente si proiettavano immagini di loro due avvinghiati da qualche parte. Era un pensiero illogico e privo di fondamento, perché tra loro due non c’era mai stato nulla se non amicizia.

O almeno credeva.

Comunque stessero le cose, quel gesto innocente e il fatto che lei si accostasse a lui per sentire nuovamente cosa aveva da dire, gli fecero perdere quasi del tutto il controllo.

Non capì con esattezza la dinamica di ciò che accadde dopo: un ragazzo Intrepido che non conosceva, evidentemente ubriaco, urtò Kaithlyn costringendola a fare un passo indietro per non perdere l’equilibrio sui tacchi alti. Lei si voltò verso di lui, l’espressione irritata nuovamente sul volto e gli disse qualcosa che, a giudicare dal gesto infastidito che fece con la mano, stava a intendere di stare attento a dove mettesse i piedi.

La strada gli fu sbarrata da una ragazza dai capelli striati di azzurro e alcuni piercing su sopracciglia e labbra che sembrava intenzionata a dirgli qualcosa. Irritato, la prese per le spalle e la spostò malamente di lato per riprendere la sua avanzata verso il suo obiettivo.

Vide il ragazzo che aveva urtato Kaithlyn girarsi verso di lei e dirle qualcosa a gran voce, ma nel trambusto non riuscì a distinguere chiaramente le parole; non doveva essere stato niente di lusinghiero, perché Kaithlyn inarcò le sopracciglia e fece due passi verso di lui, arrivandogli a una ventina di centimetri dalla faccia e rispondendogli evidentemente in modo evidentemente aggressivo.

Un attimo dopo il ragazzo le tirò un man rovescio in pieno viso, facendola finire a terra.

Le sue priorità cambiarono istantaneamente e le sue gambe si mossero da sole verso il tipo che aveva appena firmato la sua condanna a morte e che stava torreggiando su di lei.

Vide appena Jason avanzare per mettersi nel mezzo, una mano alzata verso il ragazzo e una verso Kaithlyn.

Si avventò sul ragazzo, colpendo Jason con una spallata e costringendolo a spostarsi di lato, mentre afferrava quell’idiota per la maglietta e lo attaccava alla parete sollevandolo di diversi centimetri dal suolo.

Era assolutamente infuriato, fuori di sé dalla rabbia. Aveva perso il controllo, e sapeva che si sarebbe sentito meglio solo quando avrebbe visto il tuo avversario contorcersi dal dolore ai suoi piedi.

Sentiva tutti i muscoli vibrare di energia che aspettava solo di essere sfogata.

Lo bloccò con un braccio sotto il collo e lo colpì con un montante allo stomaco; gli mancò il respirò per un momento, mentre cercava di alzare le gambe per incassare il colpo troppo ubriaco per reagire.

- Se ti azzardi a toccarla un’altra volta, ti ammazzo. – sibilò in un ringhio basso e furioso a due centimetri dal suo viso. Aveva lo sguardo annebbiato e sembrava non capire la situazione, ma non gli importava.

Non gli importava.

Lui rise, forse a causa dell’alcol ed Eric perse definitivamente ogni briciolo residuo di autocontrollo. Gli sferrò un altro montante, e spinse con il braccio che aveva pressato sulla sua gola; lui gli strinse il braccio, probabilmente in debito di ossigeno. Eric sorrise malefico e dopo aver spinto un’ultima volta sulla sua gola, lo lasciò scivolare a terra. Il gesto fu seguito da una serie di calcia dati quasi alla cieca, non gli importava dove lo stava colpendo.

Voleva fargli male.

 

 

 

 

 

 

 

 

Aveva perso di vista Eric da un po’, ma non se n’era preoccupato: era grande e vaccinato, e sapeva badare a se stesso. E poi voleva stare un po’ con Mia, che fino a quel momento aveva avuto fin troppa pazienza con entrambi.

Improvvisamente, mentre stavano ballando, Mia si fermò e piantò gli occhi castani verso un lato del Pozzo, in una delle zone dove c’era meno gente. Anche loro si erano spostati, non potendone più di quell’ammasso di gente.

- Che c’è? – le chiese, mettendole una ciocca di capelli lisci dietro l’orecchio. Lei strinse le labbra e assottigliò leggermente gli occhi, corrugando le sopracciglia.

- Sean… quello non è Eric? – domandò, facendo un cenno con la testa verso la parte del Pozzo che stava osservando.

Sean si voltò nella direzione che gli era stata indicata, e per poco non gli venne un colpo.

- Torno subito… - le disse distrattamente, prima di dirigersi di corsa verso quel danno che andava sotto il nome e cognome di Eric Turner.

Eric si stava avventando senza pietà su un ragazzo che sembrava poco più grande di loro con diversi calci; se avesse continuato così, gli avrebbe spappolato la milza e il fegato e non era sicuramente una grande idea.

Arrivò alle spalle di Eric in pochi secondi e lo afferrò per le braccia; non era un’impresa semplice, contando che era diversi centimetri più alto di lui e decisamente infuriato.

S’illuse di essere riuscito a immobilizzarlo, ma l’unica cosa che ottenne fu sfilargli la giacca.

Lasciò cadere l’indumento a terra e cercò di tirarlo indietro con tutta la forza che aveva, riuscendo suo malgrado ad allontanarlo  per un secondo; a Eric bastò un attimo altrettanto breve per strattonare violentemente il braccio dalla sua presa.

Perché nessuno faceva nulla?

Non fece in tempo a formulare il pensiero che un ragazzo, che riconobbe come Steven Robinson, passò un braccio intorno alla gola di Eric, riuscendo a tirarlo indietro.

Eric provò a strattonarsi nuovamente con tutta la forza che aveva, ma si aggiunsero altri due ragazzi: uno bassino ma largo di spalle con folti capelli castani tutti spettinati, e un altro alto e magro dai capelli biondi tutti sparati in aria.

Dovevano essere di qualche anno più grandi di loro.

- Okay, moccioso, ora calmati. – sentì dire in tono baldanzoso da Steven, mentre lo vedeva rafforzare la presa.

In tutta risposta Eric riuscì ad assestargli una gomitata nello stomaco, che l’altro incassò piegandosi leggermente senza tuttavia lasciare la presa ferrea. Era abbastanza alto da non doversi abbassare troppo per una gomitata.

Con una smorfia tra il sofferente e il divertito Steven fece forza, tirando Eric indietro con uno strattone che sembrò smorzargli il respiro e farlo imbestialire ancora di più.

Eric fece per rigirarsi, ma Sean rafforzò la presa sul suo braccio cercando di non farsi strattonare.

- D’accordo, scusa. – annaspò Steven, facendo un passo indietro per allontanare Eric dal malcapitato che in quel momento boccheggiava a terra. – però tiri più del mio cavallo dai Pacifici, amico.

In effetti, pur essendo in quattro, non riuscivano a immobilizzarlo del tutto. Dove essere proprio infuriato.

Riuscirono dopo alcuni interminabili secondi a spostarlo da dov’era, e quando furono abbastanza lontani, Sean gli piazzò davanti impedendogli il passaggio.

Eric si strattonò con violenza e fece per andare addosso a Steven, che alzò le mani in segno di resa nonostante l’espressione tranquilla.

- Ora datti una calmata, o dovremo usare le maniere forti. – lo avvisò.

Eric gli lanciò un’occhiata di fuoco e fece un passo indietro, prima di passarsi una mano sulla testa e avviarsi quasi di corsa fuori dal Pozzo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si riscosse dallo stato in cui si trovava e corse dietro all’amico, facendosi largo tra gli altri e recuperandolo in pochi secondi.

Fuori dal Pozzo, nel corridoio buio illuminato semplicemente dalle luci azzurrognole appese alle pareti, individuo la sagoma di Eric svoltare lateralmente e sparire. Si lanciò all’inseguimento, cercando di tenere un passo abbastanza sostenuto da non perderlo di vista ma non abbastanza veloce da arrivargli troppo vicino. Voleva prima vedere cosa aveva intenzione di fare.

I loro passi rimbombavano nei corridoi deserti, mentre i rumori della festa sembravano infrangersi sulle pareti che li circondavano in un eco rimbombante, sempre più lontano, che sembrava voler lasciare il posto al fragore del fiume a cui si stavano rapidamente avvicinando.

Eric camminava a passi svelti davanti a lui, che a malapena riusciva stargli dietro, passandosi febbrilmente le mani tra i capelli; sembrava sul punto di esplodere di nuovo a giudicare dal respiro irregolare, quasi ansimante, intriso di frustrazione e rabbia.

Eric svoltò l’angolo di nuovo, sparendo dal suo campo visivo e costringendolo a scattare in avanti e a svoltare repentinamente per raggiungerlo.

Impiegò alcuni secondi per metterlo a fuoco nonostante la luce tenue che filtrava dall'alto, mentre il fragore del fiume che s’infrangeva sulle pareti dello Strapiombo parecchi metri sotto di loro gli riempiva le orecchie.

Eric era davanti alla ringhiera, tremante di rabbia e con le mani strette intorno al corrimano in metallo scuro. Aveva la testa china in avanti mentre ondeggiava pericolosamente, come un pazzo, avanti e indietro nel tentativo di calmarsi e riacquistare il controllo.

Lui era l’unico a sapere il perché di quegli attacchi di rabbia spaventosi, e non l’aveva detto ad anima viva. Nemmeno a Mia, e sospettava che neanche Kaithlyn lo sapesse, anche se ci viveva praticamente insieme.

Eric gli aveva confessato, in uno dei rari momenti in cui si apriva con qualcun altro, che quando stava con lei si sentiva più tranquillo e non voleva mandare tutto all’aria, anche se non aveva usato quelle parole, per quel… problemino.

E tu chiamalo problemino!

Sentì uno strano rumore metallico, e un brivido gli attraversò la schiena quando comprese da dove proveniva.

- Eric…- lo avvisò avvicinandosi frettolosamente a lui e poggiandogli una mano sul braccio. – se continui così farai un bel volo.. cerca di calmarti. – tentò, mentre Eric continuava a far pericolosamente dondolare la ringhiera. Se avesse continuato così l’avrebbe scardinata e sarebbe finito di sotto.

Sembrava incapace di reagire e di riacquistare lucidità, così, nel tentativo di aiutarlo, Sean gli strinse una mano intorno al braccio cercando di staccarlo da lì.

Due secondi dopo si ritrovò con il sedere per terra, mentre Eric, come una tigre in gabbia, si prendeva la testa tra le mani e riiniziava a fare avanti e indietro.

Tese le orecchie, sentendo un paio di tacchi avvicinarsi rapidamente a loro. Che fosse Mia?

La figura dai capelli lunghi e ricchi, ancora avvolta nell’oscurità, non poteva essere lei e lui fu felice di essersi sbagliato: per quanto volesse bene a Eric, preferiva decisamente esserci solamente lui in quei momenti… Kaithlyn entrò nello spiazzo ancora vestita e truccata di tutto punto e si bloccò sulla porta prima di lanciargli un’occhiata interrogativa, tenendo la giacca di Eric in mano.

Sean storse la bocca, e le fece un cenno di diniego con la testa, evitando accuratamente di incrociare il suo sguardo. Doveva essere Eric a confrontarsi con lei, non lui. Per tutta risposta Kaithlyn fece una smorfia scocciata al suo indirizzo e poi lo oltrepassò per andare vicino a Eric, ancora preda delle sue stesse emozioni.

Kaithlyn fece il suo stesso errore afferrando Eric per un braccio, - Eric, calmati! – gli disse, ma fu costretta ad allontanarsi un attimo dopo per evitare uno spuntone.

Nonostante la spinta, non gli sembrò intenzionata a demordere; infatti raddrizzò le spalle e assunse un cipiglio decisamente più duro di quello che aveva pochi secondi prima.

Si appoggiò con il fianco destro alla ringhiera, dandogli le spalle e poggiando il peso su una sola gamba. Sporse la testa in avanti, come se cercasse di scrutare il viso di Eric, che gli sembrava di sentir fremere di rabbia anche da lì.

Aprì la bocca per fermare Kaithlyn che aveva alzato, in modi un po’ troppo bruschi data la situazione, la mano sinistra forse intenzionata a scostare i capelli scuri dal viso di Eric, ma non ebbe tempo di proferire parole.

Non appena Eric intercettò lo sguardo di Kaithlyn, s’infiammo.  - È colpa tua! – le ringhiò contro in un sibilo, lasciando la presa sul corrimano e facendo un passo indietro come se si trovasse davanti a un serpente velenoso. – Se tu non avessi fatto la putt... -.

Sean si pietrificò sul posto, mentre il suono prodotto da quei due schiaffi gli arrivava alle orecchie.

Per un secondo, che a lui parve eterno, regnò il silenzio e il gelo. L’aria era carica di una tensione opprimente, che nonostante non lo riguardasse in prima persona, sembrava schiacciarlo al suolo e incollargli le mani al pavimento.

L’attimo dopo, Eric si scagliò contro Kaithlyn facendola schiantare con la schiena contro la parete e sbattere la testa. Le teneva le mani piantate sulle spalle, impedendole qualsiasi movimento.

Si riscosse rapidamente e si alzò, pronto a levarle Eric di dosso ma lei gli fece cenno, con il braccio che era obbligata a tenere lungo il fianco, di stare restare fermo.

Contro ogni buon senso, raddrizzò le spalle e si fermò a pochi passi da loro.

Tutto accadde nel giro di pochi secondi, ed ebbe appena il tempo di rendersi conto di quello che stava accadendo, prima che il primo pugno di Eric si schiantasse contro la parete con forza inaudita, seguito a ruota da un altro, un altro e un altro ancora.

Le nocche di Eric si schiantavano ai lati del viso di Kaithlyn, che rimase immobile fino a quando un pugno non la colpì sul viso, anche se non riuscì a vedere dove. La vide solamente girare il viso dall’altra parte mentre una smorfia di dolore le attraversava il volto; Eric, a quel punto, parve tornare in sé.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sentiva lo zigomo pulsarle, mentre il dolore continuava a diffondersi sul viso e sentiva qualcosa di umido percorrerle la schiena e la guancia.

Si portò una mano sul lato ferito del viso, poi si guardò le dita sporche di sangue.

Alzò gli occhi su Eric cercando di capire cosa gli passasse per la testa. La scapola, che doveva essersi tagliata quando l’aveva pressata contro il muro, era ancora dolorosamente a contatto con la pietra irregolare e ruvida che le grattava il taglio aperto; il vuoto alla testa provocato dall’alcol le era passato e, forse complice la botta presa o la situazione, si sentiva più vigile che mai.

Sentiva il cuore martellarle nel petto mentre fissava il ragazzo che aveva davanti agli occhi alla ricerca di risposte: non sembrava neanche lui. Aveva sentito parlare spesso, quando ancora viveva tra gli Eruditi e a cena i suoi riempivano lei e i suoi fratelli di nozioni, di disturbi comportamentali ed era piuttosto certa di trovarsi di fronte a un attacco di rabbia.

Possibile che ne soffrisse? Perché non se n’era accorta prima?

Sembrava ancora furente, teso come una corda di violino e pronto a scattare di nuovo come un serpente a sonagli in attesa del passo falso del suo avversario.

- Eric, lasciami. Adesso. – riuscì a dire. Si sentiva intontita, frastornata per il colpo ricevuto sul viso; era una fortuna che l’avesse presa di striscio causandole solo un’escoriazione... se l’avesse centrata in pieno viso, avrebbe potuto fratturarle lo zigomo. Avvertiva la scapola bruciarle e brevi scariche di dolore partire dal taglio aperto diffondersi intorno alla ferita, innervando la bolla di dolore che avvertiva in quella zona e crescendo progressivamente d’intensità.

Sentiva il bisogno impellente di staccarsi da lì crescerle nel petto, ma sapeva di non aver alcuna possibilità di strattonare tutti quei fasci di nervi e muscoli; non in quelle condizioni patetiche.

- Eric, mi stai facendo male. – ripeté, questa volta con voce più nitida e dura. – Lasciami. –

Con suo grande sollievo sentì la pressione sulla spalla sparire gradualmente fino a lasciarla libera di staccarsi dalla parete.

Se prima era rimasta interdetta, in quel momento era decisamente furiosa; si rendeva conto che avrebbe dovuto fare un passo indietro, lasciare che quel momento finisse e che Eric riacquistasse la ragione ma non ci riusciva. Nemmeno mentre lui la guardava come se le volesse stringere le mani alla gola, gli occhi annebbiati ancora da quella scintilla di follia terribile.

Lui parve ripensarci e la riappiccicò al muro con violenza facendo protestare la sua spalla in modo piuttosto doloroso; il taglio doveva essere profondo, perché sentiva qualcosa di umido bagnarle la schiena. Forse sangue.

Istintivamente gli assestò una pedata sulla gamba con tutta la forza che aveva, riuscendo a fargli fare un passo indietro.

Avanzò leggermente e lo fissò: aveva lo sguardo fisso e impenetrabile, come se non ci fosse niente, nessuno dietro gli occhi grigi, quasi metallici.

Strinse le labbra in una smorfia arrabbiata. – Stammi a sentire: non so che diavolo ti sia preso Turner, ma… -

- Taci! – le ringhiò, guardandola freddamente. – Sfido che la gente ti guarda di traverso! -.

Spalancò la bocca, indignata. – Come. Ti. Permetti? Hai bel coraggio, Capofazione dei miei stivali! Sei dove sei solo perché…- iniziò, prima di ripensarci e interrompersi.

- Continua. Sono curioso di sentire le cazzate che ti escono dalla bocca. Avanti! -.

Alzò un braccio per colpirlo di nuovo ma Eric le bloccò il polso a pochi centimetri dal suo viso. – Non sai fare niente di meglio che schiaffeggiarmi? – domandò in tono basso e calcolato. – Anzi, c’è qualcosa che sai fare decisamente meglio, ma non rientra tra le doti combattive… giusto? – insinuò malevolo.

Provò a divincolare il braccio, senza successo. A Eric bastò fare leggermente pressione per abbassarglielo e inclinarlo verso il basso fino a farle male. Strinse le labbra, decisa a non dargli soddisfazione, mentre sentiva Sean fare un paio di passi verso di loro.

Provò ancora a divincolarsi e fece per caricare un altro calcio, questa volta tra le gambe ma lui la lasciò con un ultimo gesto di stizza prima di adombrarsi ancora più e girarsi per andarsene. Sean le passò accanto, lo raggiunse e tirandolo per un braccio lo trascinò verso il corridoio opposto a quello da dove era arrivata lei. Vide Eric tirare un calcio e un pugno alla parete e poi scollare la mano dolorante, prima di scomparire nell’oscurità.

Gli gridò dietro, inutilmente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Allora, allora, allora.

Quanti sono quelli che si sono messi in fila per fucilarmi?

Non cosa possiate pensare di tutto questo, ma vi dico subito che non ho ancora finito di sistemare per le feste i personaggi, miei e non; quindi armatevi di pazienza e sopportatemi!

Qualcuno ha già in mente qualcosa sui prossimi sviluppi? Ovviamente come al solito sono insicura e piena di dubbi, ma non vi tedierò con domande su domande lasciando a voi “l’ardua sentenza.”

Siate impietose!

Passiamo ai ringraziamenti che dite?

Dunque, dunque.

Ringrazio come sempre Kaimy_11, che recensisce sempre con una puntualità disarmante (al contrario di me nell’ultimo periodo!) ogni capitolo e Adeus, che non si dimentica mai di lasciarmi il suo parere (come invece qualche volta capita a me, ci vuole pazienza!).

Ringrazio anche EliDirectionxX che ha aggiunto la storia tra le preferite, e Sara_lost  e WelcomeInTheBlackParade che l’ha inserita tra le seguite!

Ovviamente come sempre ringrazio anche chi si limita a leggere e vi segnalo, per chi ne ha voglia, la pagine del mio account su facebook.

Ecco il link:à https://www.facebook.com/pages/Kaithlyn-J-Evenson/865334640156569?fref=ts

Grazie davvero a tutti!

P.s: mi scuso con tutte le persone che seguono Mind’s Shades. Non ho abbandonato al storia, solo che avendo poco tempo non ho ancora potuto terminare il capitolo e aggiornare… non perdete la speranza!

Un bacione,

Kaithlyn

  
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