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Autore: NIKELMANN    15/08/2015    2 recensioni
Bozza scartata di storia romantica ambientata sul suolo torinese. Ho deciso di riscrivere da capo, ma ho pensato di pubblicarla per poter ricevere suggerimenti.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Contesto generale/vago
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-Sai che, tecnicamente, non possiamo restare qui?
-“Cè ‘nchessenso”?- Rispose lui, imitando quello che non sapeva nemmeno essere Carlo Verdone, qualcosa come un milione di anni prima.
-Che è passata un’ora da quando siamo saliti sulla metro. Se ci controllassero i biglietti, ci farebbero una multa.
Le motivazioni erano molto convincenti, ma il modo in cui la sua testa poggiava dolcemente sulla spalla di lui non aggiungeva nulla di persuasivo al discorso. La metropolitana di Torino continua ad andare avanti ed indietro tutto il giorno. Quando arriva ad uno dei due capolinea, semplicemente, svolta dentro un binario sotterraneo che la raccorda alle rotaie che si muovono nel senso opposto. L’accelerazione centripeta necessaria per muovere quel gigantesco e futuristico “brucomela” è ovviamente spropositata, così i binari si devono inclinare gradualmente, facendo sembrare il percorso che avrebbe seguito sotto decine di metri di roccia come una sorta di incubo psichedelico. Si può facilmente immaginare come il treno si inclini sull’asse che passa dalla testa alla coda sempre di più, finché, senza un vero e proprio distacco, cominci a risalire la parete e poi continui la propria corsa sul soffitto, per non ritornare a subire i capricci della gravità prima di aver percorso la parete opposta.
Sono solo fantasie, naturalmente. Non succede niente del genere nel tunnel di cambio marcia. Ma potrebbe. Loro non lo possono verificare, a meno di correre il rischio di essere segnalati. Tutte le stazioni sono teoricamente monitorate per tutta l’apertura della rete. Nessuno ti dice nulla, di solito, se contravvieni alle regole, perché il personale è ridotto al minimo. Si vocifera addirittura che il treno venga controllato dall’India a distanza. Probabilmente non è vero e c’è almeno un ometto lì fuori che può far fermare il treno quando vuole e rinchiuderti dentro una carrozza avvolta da uno strato impenetrabile di roccia ed asfalto.
I macchinari usati per scavare la metropolitana sono delle enormi trivelle. Grandi, enormi e pesantissime trivelle che si sono occupate di scavare sotto le fondamenta di Torino, lisciandole e levigandole al proprio passaggio. Con solerzia e pazienza, metro dopo metro, hanno scavato il passaggio per permettere il transito ad un enorme mezzo di trasporto. Non è impressionante come le stazioni della metropolitana parigina, né vi si accede tramite corridoi adatti ad ospitare una maratona sotterranea come quelli di Londra; tuttavia è il sottosuolo taurinense che la ospita. Una città che ha visto l’alba di tre diversi millenni, è stata a lungo capitale d’Italia ed ha vissuto da attrice principale ogni singola fase della storia umana da quando gli anni si ricordano con un D.C. dopo il numero, incluse prima e seconda rivoluzione industriale e passività definita “postindustriale” contemporanea.
Laggiù, sotto secoli e secoli e secoli di storia, questi catafalchi hanno scavato, spolpando il terreno come dei bruchi le mele, fino a finire il lavoro, per poi venire murati vivi in fondo alle loro stesse opere. Ora riposano, fieri guardiani del proprio operato, dietro spesse mura di roccia, moderni golem del progresso che la città italiana del mistero e del misticismo abbraccia continuamente, seppure controvoglia, come se in millenni di storia fosse rimasta ancora una bambina capricciosa che mette i vestiti da dama della madre.
Laggiù, al loro terzo o quarto giro, Leonardo ed Ombretta ascoltano occasionalmente il battito dei cuori l’uno dell’altra, più nel sangue che spinge tra i capillari delle dita che nelle vibrazioni dell’aria, coperte dal ritmo metallico delle ruote che sbranano binari di acciaio senza parvenza di galateo.
-Senti, tu non hai fame?
Ombretta scuote la testa, ma senza sollevarla dalla scomoda testa dell’omero del compagno, così che questi non capisce la risposta. Non che ne abbia bisogno, in fondo la conosce abbastanza bene da sapere che lei non sente la fame in momenti simili a quello. Strano come il nervosismo si manifesti in modo diverso da persona a persona: lui, per esempio, non aveva mai saltato un pasto ed aveva spesso esagerato con il cibo proprio per calmare i nervi. Tuttavia quel giorno nemmeno lui ha il benché minimo appetito, ed è più per un sano rispetto della tradizione di consumare tre pasti al giorno che insiste:
-Però qualcosa dobbiamo pur mangiare, no?
-Boh, io non ho fame. Se vuoi ti faccio compagnia.
Ombretta, finita la frase, passa un braccio sotto a quello del compagno, stringendolo a sé, solo per qualche istante, poi si alza in piedi.
-Qual è la prossima stazione?
-Non lo so… ha importanza?
-No, risponde lei, non ne ha. Era tanto per sapere.
Pochi minuti dopo si ritrovano sulle scale mobili che risalgono verso la fermata Principi d’Acaja.
   
 
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