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Autore: OmegaHolmes    16/08/2015    2 recensioni
Questa storia è un Crossover e AU ispirata alla serie TV irlandese "HUMANS".
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John Watson è un medico militare obbligato a congedarsi a causa delle sue ferite riportate in guerra; incapace di riuscire a reinserirsi nella società troppo monopolizzata e spinta al progresso, è obbligato a prendersi un Synth, ovvero un "sintetico", cioè un robot di ultima generazione.
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Dal testo:
"La donna lo fissava intensamente, coltivando quel silenzio, contraddistinto da profondi pensieri, poi disse:
-Ha pensato di prendersi un Synth, come le ho consigliato?-
L’ex medico militare emise una risatina acuta e nervosa, facendo cenno negativo con il capo:
-Io non ho bisogno di una bambola che si prenda cura di me.-
-Credo che invece ne avrebbe davvero bisogno, John. Questo la aiuterebbe ad inserirsi più facilmente nella società, con l’aiuto di un synth programmato appositamente per aiutarla.-"
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John!Humas - Sherlock!Synth
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Johnlock
Genere: Angst, Drammatico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Nota dell'autrice: Salve a tutti e grazie ancora per aver recensito e letto! Questo capitolo sarà leggermente più breve, ma credo che il prossimo sarà forse un po' più intricato.
Spero vi piaccia :) Detto ciò, buona lettura!
ps: continuate a dirmi cosa ne pensate, perchè è fondamentale per me.
O_H


Non riusciva ancora a comprendere completamente il modo nella quale la sua vita era cambiata nel giro di 24 ore.
Mentre faceva queste constatazioni, se ne stava comodamente seduto nella cucina di Mrs Hudson, mentre la sua synth, Vera, serviva la cena ad entrambi.
 
Sherlock aveva preferito starsene al piano di sopra, dato che “aveva la carica residua del 33%”.
Per tutta la cena John parlò con gioia alla signora, che pareva molto più giovane della sua età, anche se amava continuare ad affermare che per lei il dottore e il sintetico erano una coppia.
Un paio di volte l’uomo porse alla synth alcune domande, come per esempio “Ti piace qui?” ,ma lei rispondeva sempre “Non capisco la sua domanda.”
Perciò si era ulteriormente convinto che il sintetico che Mike gli aveva venduto era davvero caro e si sentì ancora una volta in colpa per tutti i soldi che aveva fatto spendere all’esercito.
Ma “Dopotutto” pensò “Mi hanno buttato fuori…quindi è solo un piccolo regolamento dei conti.”

La cena finì e lui si ritrovò con un incredibile stanchezza addosso, che lo portò ad andare a dormire.
Sherlock se ne stava seduto sulla sedia della cucina, collegato ad una presa, con gli occhi chiusi; lo osservò per alcuni istanti, con uno sguardo di riconoscenza, perché era grazie alla sua esistenza che lo Stato gli aveva assegnato un appartamento.
Sospirò e con passo zoppicante andò a chiudersi in camera, dove senza sapere come, si ritrovò a dormire profondamente.

* * *

Stava camminando in un enorme parco, la cui erba era rossa come il sangue.
Gli scarponi affondavano, come se ad ogni passo la sua vita venisse risucchiata da quel terreno demoniaco.
-Devo…farcela…devo-- - continuava a ripetersi, con voce esausta, mentre le ginocchia toccarono il suo e lui si ritrovò a carponi, con le mani inondate da un liquido rosso.
Un’acre odore di ferro gli riempì le narici e si rese conto che era l’odore del sangue.
Osservò nuovamente le sue mani e ora aveva in mano il cuore di un uomo che con gli occhi febbrili, sgranati lo implorava di salvarlo, con urla straziate.
Altri uomini arrivarono strisciando, aggrappandosi alle sue gambe, finchè non lo tirarono a terra, sopraffacendolo.

Poi un urlo.

Quando sgranò gli occhi, le cui ciglia erano imperlate dal sudore salato e doloroso del suo incubo, si rese conto che si trovava in una stanza accogliente, dove la luce era accesa.
Niente sangue; niente morti; lui era disteso nel suo nuovo letto, ansimante e tremante come una foglia.
Ma perché la luce era accesa?

-John.-
 
Una voce calda eppure statica lo chiamò, mentre lo osservava in piedi, con il capo leggermente inclinato da una parte, con degli occhi verdi e inespressivi come quelli di un gatto.

-Stai bene?-

Era stato Sherlock, dio era Sherlock, per fortuna aveva acceso la luce e non l’aveva lasciato al buio a cercare le sue paure.

-S-sherlock…che…che ore sono? T-ti ho svegliato?- domandò passandosi le mani tozze sul volto, cercando di smettere di tremare.
-Sono le 3:32 e 57 secondi, John. I synth non dormono, si mettono solo in modalità economica durante la notte.-

John continuava a fremere con forti scossoni, mentre si guardava quelle mani che poco prima gli pareva avessero davvero cinto un cuore pulsante.
Poi un improvviso tocco alla sua spalla, come per magia, lo tranquillizzò all’istante.
Volse il capo con occhi lucidi ed increduli nel vedere Sherlock che gentilmente aveva posato una mano sulla sua spalla per calmarlo, sorridendogli gentilmente.

-E’ tutto finito, John.-
-Mi hai..mi hai sentito urlare?-
-Sì, John. Vuoi un bicchiere d’acqua?-
Il biondo annuì, ancora sopraffatto da sentimenti contrastanti per quel breve, ma intenso contatto.

Dopo pochi minuti, Sherlock ritornò con un bicchiere d’acqua in mano.
Il dottore bevve con avidità, ringraziandolo con voce quasi strozzata.

-Desideri un massaggio, John? Il tuo battito cardiaco è ancora accelerato e posso avvertire di tanto in tanto la presenza di extrasistole. Oggi non abbiamo fatto fisioterapia, credo dovremmo farla ora.-
L’umano lo guardò un po’ confuso, per poi rispondere un flebile –Sì..va bene.-

Con tocchi misurati il sintetico gli alzò la maglietta del pigiama, fino a sfilargliela del tutto, per poi piegarla con incredibile precisione da un lato del letto.
Successivamente si sedette sul bordo, dietro a John e con mani incredibilmente calde, iniziò a compiere delle leggeri pressioni sulla sua spina dorsale.
John non riuscì a non chiudere gli occhi alla piacevole sensazione così…”perfetta”.
-E’ questione di applicare la giusta pressione, John.-
Il biondo sobbalzò nel sentire l’altro riuscire ad interpretare così bene i suoi pensieri:
-Oh…e sei stato programmato per questo?-
-Esatto.-
-Capisco…-
Le mani sottili di Sherlock lo toccavano con tanta cura che pareva avessero paura di romperlo. Percepiva i propri nervi rilassarsi, la propria spina dorsale levigata in ogni sua vertebra dalle dita longilinee, fino a scendere ai fianchi particolarmente sensibili.
Le labbra di John erano torturate dai denti bianchi, un po’ per il piacere, un po’ per il dolore e un po’ per l’idea di essere sfiorato da quell’essere perfetto.
D’un tratto, tutto cessò.
I palmi nivei del sintetico si ritrassero, nonostante l’umano potesse percepirne il respiro alle sue spalle.
Deglutì, non capendo cosa stesse succedendo, poi due dita si posarono sulla sua cicatrice appena chiusa, sulla spalla sinistra.
John chiuse gli occhi, con un piccolo gemito al ricordo del dolore che gli continua a provocare quella ferita.
 
-Fa male, John?- mormorò quasi incantato.
-…non più tanto, Sherlock. Ma…me ne ha provocato e quando cambia il tempo…è davvero dolorosa.-
-E’ il dolore a renderci forti.- rispose mentre l’accarezzava appena.
Il dottore s’accigliò a quelle parole:-Tu…provi dolore, Sherlock?-
Silenzio.
-Sherl--? -
-I synth sono programmati per non provare dolore. Né alcun altro tipo di sentimenti. I sentimenti si trovano nella parte perdente, John.-
Il sintetico si alzò silenzioso, scivolando via da quella stanza.
John si sentiva ancora più confuso, perché… gli sembrava che il suo synth avesse davvero qualcosa che non andava.
O forse… aveva qualcosa di troppo.



 
  
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