Anime & Manga > Tokyo Mew Mew
Segui la storia  |       
Autore: Xion92    17/08/2015    8 recensioni
Introduzione breve: se immaginate un sequel di TMM pubblicato su Shonen Jump invece che su Nakayoshi, probabilmente verrebbe fuori qualcosa di simile.
Introduzione lunga: Un'ipotetica seconda serie, in cui il tema serio di fondo è l'integralismo religioso e il nemico principale è un alieno, Flan, intenzionato a portare a termine la missione fallita nella serie precedente. E' suddivisa in tre parti:
I. In questa parte c'è il "lancio" della trama, del nemico principale, l'iniziale e provvisoria sconfitta di gran parte dei personaggi, l'approfondimento della relazione tra Ichigo e Masaya, fino alla nascita della loro figlia;
II. Questa parte serve allo sviluppo e all'approfondimento del personaggio della figlia di Ichigo, Angel, la sua crescita fisica e in parte psicologica, la sua relazione con i suoi nonni e col figlio di Flan, i suoi primi combattimenti in singolo;
III. Il "cuore" della storia. Torna il cast canon e i temi tornano ad essere quelli tipici di TMM mescolati a quelli di uno shonen di formazione: spirito di squadra, onore, crescita psicologica, combattimenti contro vari boss, potenziamenti.
Coppie presenti: Ichigo/Masaya, Retasu/Ryou.
Nota: rating modificato da giallo a arancione principalmente a causa del capitolo 78, molto crudo e violento.
Genere: Azione, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aoyama Masaya/Mark Aoyama, Ichigo Momomiya/Strawberry, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Ciao! Questo capitolo sarà un po' più lungo, ma perché ho voluto e dovuto metterci molte cose. Spero veramente di essere riuscita ad esprimere i sentimenti di Ichigo in modo credibile, perché io non sono mai passata in una situazione come la sua (per fortuna, aggiungerei!). Ho cercato di fare del mio meglio, fatemi sapere!
Ah, e avevo anche fatto un disegno di Flan da postare qua, ma ovviamente mi sono dimenticata di scannerizzarlo. Vaaa beh, lo posterò sicuramente nel prossimo capitolo.
E... visto che domani è il mio compleanno e sarò via tutto il giorno, risponderò alle recensioni quando torno, nel caso vengano lasciate martedì. Buona lettura!

 

Capitolo 14 - Nascita


Shintaro e Sakura non ci avevano messo molto ad accorgersi della sparizione dei due ragazzi. Sakura, rigirandosi nel sonno, aveva per caso allungato una mano verso il posto di Ichigo, solo per scoprire che era vuoto. Svegliatasi di botto, si era accorta che mancava anche Masaya. Così aveva svegliato suo marito, ed entrambi agitatissimi, si erano messi di fronte alla tenda ad aspettarli. Avrebbero potuto andare a cercarli a turno, ma sapevano che sarebbe stato inutile: la notte era buia e senza un filo di luce non avrebbero avuto la minima speranza di orientarsi per le strade. Inoltre era in quelle ore che si concentrava in giro la maggiore delinquenza. Non era sicuro allontanarsi.
Sakura teneva le mani giunte in una preghiera silenziosa, sperando che i suoi due ragazzi tornassero a casa presto, Shintaro invece era furibondo e non faceva altro che ripetere che, appena li avesse visti tornare, li avrebbe massacrati a suon di ceffoni, tutti e due.
Improvvisamente sentirono un rumore di passi avvicinarsi. Si bloccarono e aguzzarono lo sguardo in lontananza. Dall’oscurità videro spuntare la loro figlia, trasformata in Mew Mew, che si avvicinava con passo strascicato.
Sakura si lasciò sfuggire un gridolino di gioia e di sollievo, Shintaro invece, coi pugni stretti, fece per avvicinarsi a lei, fuori di sé dalla rabbia, ma, appena fu abbastanza vicino per distinguerne i lineamenti del viso, si fermò, stupefatto.
Ichigo non era normale quella notte. Lo sguardo non era lo stesso che aveva di solito. Aveva gli occhi spenti, senza vita, e sembrava una persona morta che non era tale solo perché continuava a camminare.
Sakura, appena vide sua figlia in quelle condizioni, le corse incontro. “Ichigo… cosa ti è successo, santo cielo? Perché sei trasformata in Mew Mew? E… e dov’è Aoyama-kun?”
La ragazza, appena sentì pronunciare quel nome, si lasciò sfuggire un lamento disperato e scoppiò in pianto dirotto, con una spinta allontanò i suoi genitori e corse verso la tenda, ci entrò a capofitto e si gettò nel posto dove il suo Masaya aveva sempre dormito fino a poche ore prima.
I suoi genitori non avevano idea di come comportarsi. Sporsero la testa dentro la tenda e, quando la videro ridotta così, la rispettarono e la lasciarono in pace.
La ragazza continuò a piangere per tutta la notte, senza smettere per un solo istante. La mamma e il papà rimasero fuori, ad ascoltare col cuore spezzato i suoi lamenti e, quando spuntò l’alba, provarono a riaffacciarsi dentro la tenda. La videro tornata alla sua forma normale, che dormiva, sfinita dal troppo piangere, con le guance e il viso ancora incrostati dalle lacrime.
Entrambi capirono cosa doveva essere successo: il comportamento della figlia non lasciava dubbi. Era chiaro che quella notte era avvenuto un combattimento fatale, e che Masaya non sarebbe tornato mai più. Il cuore dei due genitori era pieno di tristezza, soprattutto quello di Sakura, che in quell’anno si era affezionata moltissimo al ragazzo, al suo carattere dolce, buono, gentile, alla sua disponibilità, al fatto che con i suoi ragionamenti positivi cercava sempre di tirare su la famiglia anche nei momenti più difficili, al pensiero che con lui sua figlia era in buone mani. Shintaro, anche se non lo dimostrò apertamente, era abbattuto quanto sua moglie: in tutto quel tempo che avevano passato insieme, i due uomini avevano maturato un grande rispetto verso l’altro. Masaya aveva sempre trattato Shintaro con tutti gli onori, e il padre era arrivato a fidarsi di lui ciecamente, perché aveva capito col tempo che a sua figlia non sarebbe potuto capitare un uomo migliore. Si era affezionato a lui in modo sincero, ed ora veniva fuori che non c’era più…

Ma, anche se il loro morale era a terra, la vita purtroppo non poteva fermarsi: un nuovo giorno era arrivato, e loro tre non potevano starsene con le mani in mano. C’erano le faccende da fare, il cibo da cercare, tante cose che dovevano occupare le loro giornate. Così i due genitori, seppur con la morte nel cuore, dovettero riprendere le normali attività quotidiane allo spuntare del sole, e cercarono di coinvolgere in tutti i modi anche la figlia, per cercare di scuoterla dal suo dolore, di farla reagire. Ma non ci fu verso: Ichigo, dopo la prima reazione di dolore profondo, manifestato in modo evidente con urla, pianti e grida, si stava lentamente lasciando cadere in una specie di apatia. Soltanto Masha e Rau le stavano sempre vicino, il primo svolazzandole intorno con occhi tristi, cercando, per quanto poteva, con le poche parole che riusciva a pronunciare, di tirarla su, e il secondo, avendo capito quello che era successo al suo padrone, le leccava le mani, ma lei non li considerava nemmeno.
I giorni passavano, ma lei non reagiva ad alcuno stimolo. I suoi occhi erano spenti, non vi era più alcuna luce in lei, quando la madre o il padre la chiamavano non rispondeva, non mangiava più, e tutto quello che faceva era restare seduta sull’erba fissando un punto fermo davanti a lei con sguardo vacuo. I suoi genitori erano disperati. Sapevano che la loro figlia sarebbe anche stata capace di lasciarsi morire, se continuava così.

Una settimana più tardi dalla tragedia, era arrivata la pioggia. Quando pioveva, non c’era altra scelta che stare al sicuro nella tenda aspettando che passasse. Avevano sempre fatto così, ma stavolta soltanto Sakura e Shintaro erano seduti dentro. Avevano provato a convincere Ichigo ad entrare a ripararsi, ma non c’era stato verso. Lei a malapena li aveva ascoltati, e ora sedeva sempre nello stesso posto, con le ginocchia strette al petto, lasciando che le gocce di pioggia bagnassero i suoi vestiti e le scorressero tra i capelli.
Era sotto una pioggia come quella che erano avvenute le cose più belle insieme al suo ragazzo. Era sotto la pioggia che si erano dichiarati i loro sentimenti, era sotto la pioggia che avevano fatto l’amore per la prima volta. Ma questa volta, sotto questa pioggia, lei era da sola. E lo sarebbe sempre stata, d’ora in poi. Non aveva più nulla, aveva perso tutto: non aveva più la sua vita spensierata di un tempo, né le sue amiche, le sue compagne di battaglia, né il suo Masaya. Era sola al mondo.
Sentiva un grande vuoto dentro si sé. Il suo ragazzo le mancava terribilmente: le mancavano il suo viso affabile, i suoi occhi nocciola che si illuminavano ogni volta che incrociava il suo sguardo, i suoi capelli neri, folti e morbidi, la sua voce profonda e dolce, le sue mani che la accarezzavano sempre in modo così dolce, le sue forti braccia tra le quali si sentiva a casa come in nessun altro posto, il calore del suo corpo, il sapore delle sue labbra, i brividi che le provocava ogni volta che la baciava. Si toccò con un dito il campanellino al collo che lui le aveva regalato, facendolo tintinnare. Ora lui non c’era più, e lei non l’avrebbe mai più rivisto. Lui le aveva detto di andare avanti per il loro figlio. Ma a lei non importava nulla. Non ci riusciva. Si sentiva distrutta come la città in cui viveva. Lei aveva combattuto contro tanti nemici, aveva lottato anche contro la terribile situazione dell’ultimo anno, cercando di sopravvivere in quella Tokyo senza futuro. E aveva sempre sopportato, aveva sopportato la morte delle sue compagne e dei suoi amici, la perdita della sua vita, aveva sopportato tutto. Ma ora non ce la faceva più: era esausta e stanca di combattere. Quanto sarebbe stato facile arrendersi, lasciarsi andare, lasciarsi cadere nell’oblio. Mai il desiderio di morte la stava prendendo come in quel momento.
Sakura, al pensiero di sua figlia al freddo, di fuori da sola, non resistette oltre.
“Caro, le parlo io. Tu aspetta qui. Ti prometto che non rientrerò in questa tenda senza di lei.”
Uscita fuori, scossa dai brividi di freddo, guardò alcuni metri più in là. Ichigo era sempre lì, non si era mossa di un millimetro. Tirò un gran respiro e le si avvicino.
“Ichigo, dai, vieni dentro che piove.” Non le rispose, né si voltò a guardarla. Sembrava che non l’avesse neanche sentita.
“Figlia mia, stare così sotto la pioggia a prendere il freddo e l’acqua non fa bene alla tua creatura, lo sai?”
Queste parole ebbero il potere di scuotere dal suo torpore la ragazza, ed Ichigo si voltò verso sua madre.
“Mamma… ma tu… come fai a sapere…?”
Sakura le sorrise mestamente: “è inutile cercare di nascondermi una cosa simile, sai, ci sono passata anch’io. E poi stamattina, mentre piegavo il tuo pigiama, ho visto che era bagnato all’altezza del petto. Dai, ormai è evidentissimo, Ichigo.”
La vide arrossire violentemente e chinare la testa.
“Ichigo” continuò sua madre “lo so che il tuo dolore è infinito, e ti comprendo benissimo. Anch’io starei come te, se fossi al posto tuo. Però, capisci, avrai anche perso tutto, ma qualcuno per tirare avanti ancora ce l’hai. Se continuerai così, perderai anche lui.”
“Non mi importa”, mugugnò lei. “Io questo bambino non lo sento. So che c’è solo perché Masaya me l’ha detto. Se non ci fosse, per me sarebbe lo stesso.”
“Non devi parlare così. Forse ancora non lo senti, e sei triste, ma vedrai, quando sarà con noi ti darà una grande gioia. Se per ora non riesci ad immaginarlo, prova a pensare che metà di lui viene dal tuo ragazzo. Potrebbe anche assomigliargli molto. Non pensi che una parte di Aoyama-kun sta crescendo dentro di te? Pensa alla tua creatura come se fosse lui. Non ti viene naturale l’istinto di proteggerlo?”
Ichigo ci pensò un po’ su, poi tirò un gran sospiro e si alzò, seguendo finalmente sua madre dentro la tenda.
Le parole di Sakura fecero effetto: vide sua figlia fare almeno degli sforzi per ricominciare a mangiare, e lentamente, col passare dei giorni, riprendere le normali attività quotidiane. Tuttavia non ritornò la stessa di prima: era diventata una persona diversa. La morte del suo fidanzato l’aveva segnata profondamente, e rimase più chiusa, taciturna e sulle sue rispetto a prima.
Sakura era profondamente dispiaciuta di vederla così, ma sapeva che più di tanto non si poteva fare. Poteva solo sperare che la nascita di suo figlio riuscisse in futuro a farla ritornare la Ichigo di una volta. Ora invece il problema era un altro: come dare al padre la notizia?
Sakura, in tutti quei mesi, aveva osservato Ichigo e Masaya con grande attenzione e, saggia ma discreta, aveva capito che ormai i due non si limitavano più ai semplici baci: se ne era accorta dal fatto che Ichigo aveva incominciato a chiamare il suo ragazzo per nome, e il fatto che quando uscivano per compere si portavano sempre una coperta dietro. E anche dal modo diverso in cui ultimamente si guardavano. Tuttavia aveva tenuto questa scoperta per sé, perché sapeva che Shintaro era ancora gelosissimo di sua figlia anche se teneva questo sentimento molto nascosto e, se avesse saputo che ormai i due ragazzi erano uniti anche da un legame carnale, si sarebbe infuriato in modo terribile. Sakura sapeva che suo marito era ancora completamente all’oscuro degli incontri amorosi dei due, e non aveva idea di come avrebbe potuto reagire alla notizia della gravidanza della figlia. Non era il caso che le due donne lasciassero che se ne accorgesse da solo: meglio farglielo sapere fintanto che non si notava ancora.
Così Sakura, presa da questi pensieri, ne parlò con Ichigo una mattina, mentre tutte e due erano a un fiume poco distante dalla tenda a lavare i vestiti. Decisero così che non c’era motivo di aspettare ancora. Certamente si sarebbe arrabbiato, ma poi avrebbe dovuto accettare la notizia e farsene una ragione. Gliene avrebbero parlato quella sera stessa. Ormai era passato un altro mese, non potevano più rimandare.
Quella sera i tre stavano come al solito seduti sull’erba davanti alla loro tenda, in quella calda sera di inizio maggio. Erano tutti e tre taciturni, ma Shintaro ormai ci aveva fatto l’abitudine: da quando Masaya non c’era più, sembrava che sulla loro famiglia fosse scesa una specie di ombra. Intanto però le due donne continuavano a guardarsi di sottecchi, finché Sakura non si decise a rompere il silenzio.
“Senti, caro, Ichigo deve dirti una cosa.” Guardò poi incoraggiante verso la figlia.
Shintaro alzò gli occhi dalla ciotola piena per metà di minestra di patate che stavano mangiando, e guardò verso sua figlia, aspettando che iniziasse a parlare.
“Io, ecco… papà, ehm… io…” cominciò lei, balbettando. Doveva dirglielo. Doveva farlo. Ma non ci riusciva. La lingua le si incollava al palato, impedendole di proseguire. Lanciò un’occhiata supplichevole a sua madre, come per chiederle aiuto, e la donna più grande decise di farla finita lì. Era inutile fare tanti giri di parole.
“Shintaro, tua figlia aspetta un bambino”. Ecco. L’aveva detto. E ora, che sarebbe successo?

Videro l’uomo appoggiare lentamente il cucchiaio nel piatto. Alzò gli occhi e fulminò Ichigo con lo sguardo.
“Ragazza mia… che cosa ha appena detto tua madre? Credo di non aver sentito bene.”
Lei deglutì la saliva che aveva in bocca e, facendosi forza, ripeté tutto d’un fiato: “papà, sono incinta. Non ho idea di quanto, ma credo due o anche tre mesi…”. Avrebbe voluto aggiungere qualcosa, ma non ci riuscì, perché vide suo padre fare una faccia strana, una via di mezzo tra un sorriso divertito e l’espressione di uno che sta per esplodere dalla rabbia.
“Ichigo, è uno scherzo, vero? Lo so che tua e tua madre siete delle gran spiritose…” incalzò, con un tono di voce che non prometteva niente di buono.
Sakura rispose al posto della figlia: “Shintaro, ti prego, cerca di capire. Non stiamo scherzando. Cerca di accettare questo fatto.”
Il padre respirò profondamente, più volte, per calmarsi, e riuscì a far tornare la sua espressione quasi normale. Poi parlò ancora alla figlia. “Ne sei sicura, Ichigo? Veramente, non mi stai prendendo in giro?”
Lei ne fu perplessa. Quante altre rassicurazioni gli servivano, ancora? Perché non esplodeva rabbioso come faceva solitamente in situazioni simili?
“Sì, papà, son sicura…”
Shintaro scosse appena la testa, come per cercare di liberarsi da un pensiero fastidioso, e chiese duramente alla figlia: “mi sa che mi sono perso qualche sviluppo, allora. Ma tu e Aoyama non… insomma… non vi baciavate soltanto?”
La figlia si sentì venire il latte alle ginocchia; non avrebbe voluto farlo, ma per reazione spontanea si mise la mano sulla fronte, sospirando. Lei gli aveva detto che era incinta, e ora lui voleva indagare fino a che punto si era spinta col suo ragazzo?
“Papà, per favore. Lo so che potrebbe sembrarti strano, ma ho quindici anni. Ero fidanzata da un anno intero.”
Il padre avrebbe voluto arrabbiarsi, a quelle parole, ma invece fece tutto il possibile per mantenere il suo autocontrollo. In passato tendeva molto di più a perdere la testa, ma quel periodo vissuto in quel modo, allo stato quasi primitivo, gli aveva fatto capire che più si stava calmi e meglio era.
“Va bene. Eri fidanzata da un anno, sì. E lo so che Aoyama era un ragazzo affidabile, e che avevo risolto le cose con lui. Ma sei ancora troppo piccola per certe cose, Ichigo. Avresti dovuto aspettare ancora.”
Tutto questo discorso stava facendo meravigliare la giovane sempre di più. Shintaro sembrava non aver fatto neanche caso al fatto che lei fosse incinta. L’unica cosa su cui sembrava essersi focalizzato era il fatto che, per rimanerci, aveva dovuto avere dei rapporti col suo ragazzo. Beh, era ora di dargli una svegliata. Se non voleva parlare della gravidanza lui, l’avrebbe costretto lei.
“E del fatto che io sia incinta, papà? Non mi dici niente?” insisté.
“Ah, giusto. Sai, Ichigo, se vivessimo una vita normale tu ora saresti già stata spedita in camera tua. Ma nelle condizioni in cui siamo… beh, effettivamente devo ammettere che un pacco di profilattici ormai è l’ultima cosa che si può sperare di trovare in giro. Quindi non posso fartene una colpa”. Ichigo si sentì sollevata. Riusciva a vedere, dalle espressioni del suo viso, che suo padre avrebbe voluto arrabbiarsi, ma non ci riusciva. “Per quanto riguarda il bambino in sé, posso solo dire che mi dispiace per lui. Nessuno si meriterebbe di nascere in una Tokyo ridotta così. Ma ormai c’è, e non ci possiamo fare niente. Sai che le cose da fare sono tante, e sarà difficile andare avanti, ma ci proveremo.”
Aveva appena finito di parlare, quando Ichigo, lieta per quelle parole, gli andò vicino e lo abbracciò stretto. “Papà, ti voglio bene!”
Lui, imbarazzatissimo, rispose: “ehi, ehi, calma. Cosa dovrei fare, tanto? Sbatterti fuori casa? Eh no, la mia bambina deve restare sempre con suo padre, è chiaro, questo!”
Sakura, lì vicino, sospirò felice che le cose si fossero risolte nel modo migliore. Suo marito dopotutto amava sua figlia oltre ogni dire, e non avrebbe potuto reagire in un modo diverso da quello.

I mesi continuarono a passare e la vita bene o male a proseguire. La primavera finì ed arrivò l’estate, la quale a sua volta finì per far posto all’autunno. Ichigo visse il primo periodo della sua gravidanza in modo abbastanza distaccato, visto che era ancora troppo giovane per rendersi veramente conto di quello che le stava succedendo. Però una cosa la sapeva: la morte di Masaya non era stata vana. Flan infatti non si era più fatto vivo, i chimeri sembravano essere diminuiti di parecchio, e così lei e i suoi genitori non avevano più avuto bisogno di spostarsi con la tenda e la moto, ed erano rimasti accampati nello stesso parco praticamente dall’inizio della gestazione.
Sakura era molto preoccupata per l’impossibilità di far seguire la gravidanza della figlia da qualche dottore, che ormai a Tokyo non si trovavano praticamente più. Per fortuna però Ichigo era di costituzione molto robusta e resistente, e riuscì a passare tutti quei mesi senza quasi complicazioni.
Nel frattempo sua madre, tra un lavoro e l’altro, dava buoni insegnamenti a sua figlia su come occuparsi di un bambino piccolo, visto che era stata molto chiara fin dall’inizio con Ichigo: la madre era lei. E lei si sarebbe occupata del bambino. Non era intenzione di Sakura prendere il suo posto. A volte ad Ichigo faceva male la testa a cercare di ricordarsi tutte queste cose, ma accettava quello che sua madre le insegnava senza protestare: fare un figlio significava anche esserne responsabile, in fondo.
Mentre la gestazione proseguiva e il corpo giovane di Ichigo si modificava e metteva su peso, anche la mente della giovane piano piano stava cambiando: nei primi mesi aveva vissuto quasi senza far caso alla propria condizione, visto che la sua creatura ancora non si era manifestata in alcun modo. Non la sentiva muovere e ancora non poteva neppure essere certa della sua presenza, visto che fisicamente era sempre uguale. Ma dal momento in cui il ventre della giovane cominciò a crescere e il bambino a fare i primi movimenti, la mente di Ichigo acquisì un modo di pensare più amorevole, più materno, più protettivo. E così una mattina, mentre bevevano il the tutti e tre davanti alla tenda, disse a sua madre che avrebbe tanto voluto preparare un regalo per suo figlio, prima che nascesse. Sakura accolse la proposta con entusiasmo.
“Cosa gli vorresti fare?”
“Non lo so, qualcosa di utile, che in futuro gli potrebbe servire” cercò di spiegarsi la ragazza.
“È un pensiero molto bello il tuo, ma purtroppo non abbiamo quasi nulla. Però proprio l’altro giorno sono riuscita a barattare un po’ di oggetti, vai a vedere cosa abbiamo negli scatoloni.”
La ragazza si alzò con un po’ di fatica e andò a controllare. C’erano alcuni oggetti utili, ma nessuno di essi la colpì in modo particolare. Finché, scavando più a fondo, riuscì a trovare un grosso gomitolo di lana azzurra.
‘Questo colore mi ricorda tanto il mio Masaya…’ pensò con le lacrime agli occhi rigirandoselo tra le mani. Poi le venne un’illuminazione, e tornò dai suoi genitori.
“Mamma, senti, vorrei confezionare una sciarpa con questo gomitolo. È abbastanza grosso, vero?”
Sua madre la guardò. “Vuoi fare una sciarpa? È una bella idea, gli potrà essere utile se fa freddo. E il colore azzurro va bene sia per i maschi che per le femmine. Però tu non hai mai lavorato ai ferri. Ne saresti capace?”
Ichigo rispose, convinta: “ormai un anno e mezzo fa ho preparato dei cioccolatini per San Valentino per Masaya, e non avevo mai fatto dei dolci prima. Però erano venuti buoni e gli erano piaciuti molto. Quindi posso riprovarci. Mi insegnerai come si fa?”
Sakura sorrise intenerita. “Va bene, questo pomeriggio ci proviamo.”
Quel pomeriggio Sakura, con i ferri, si mise seduta vicina ad Ichigo contro un albero poco distante dalla tenda e le fece vedere come lavorare con i ferri. Ci vollero molte ore alla ragazza per riuscire ad avviare il lavoro e a proseguirlo, perché sembrava assolutamente negata. Ma non le importava di non essere brava: l’affetto che sentiva per la sua creatura la spingeva a provare e riprovare anche quando, in fondo, avrebbe voluto afferrare i ferri e gettarli nell’erba. Dopo molte ore di fatica e sudore, la giovane finalmente osservò soddisfatta il suo lavoro. Certo non era perfetta, ma era venuta proprio una bella sciarpa, azzurra, lunga e calda.
“Sei stata bravissima, Ichigo. Vedrai come piacerà a tuo figlio! Non gli verrà mai il mal di gola!” si complimentò sua madre.

Era una notte buia e fredda nell’inizio di ottobre. Tokyo era come al solito silenziosa, anzi, più del solito, visto che, se in primavera ed estate un minimo di movimento e viavai di persone c’era, nella brutta stagione le strade diventavano assolutamente vuote, e tutti si ritiravano nei loro alloggi di fortuna. Nel parco dove la famiglia Momomiya era accampata non volava una mosca, e l’atmosfera sarebbe stata assolutamente silenziosa, se non fosse stato per delle grida improvvise di dolore che si alternavano a dialoghi abbastanza assurdi.
“Ichigo, te lo ripeto, due più due quanto fa?!”
“Qu… quattro!”
“E due per due?!”
“Sempre quattro!”
“Quindi ancora sei capace di capire quello che ti dico, giusto?”
“C… certo, mamma!”
“E cosa ti ho detto un attimo fa?”
“Di spingere solo quando vengono le contrazioni.”
“E allora perché spingi anche quando non devi? Fai più attenzione!”
Shintaro, che era rimasto fuori della tenda ad aspettare, non ne poteva più di questa tiritera. Andavano avanti a grida e incitamenti da almeno due ore, e fuori faceva un freddo cane. Che almeno Ichigo si spicciasse a partorire! E possibilmente senza brutte sorprese, visto che, come al solito, di dottori non se n’erano trovati, e se ci fossero state complicazioni di qualche tipo, Ichigo sarebbe stata spacciata.

“Forza, che ci siamo quasi. Ce la fai a spingere ancora?”
“Mmmh… veramente no, mamma, non ne posso più” rispose la figlia, ansimando di fatica.
“Sforzati uguale, che le spalle sono la parte più ostica.”
Ichigo respirò a fondo, più profondamente che poté, e cercò di dare un’altra spinta. Tutto quello che udì furono delle grida forti, grida e urli che solo la tenera gola di un neonato poteva emettere.
“Ce l’hai fatta, Ichigo! Bravissima!” sentì gridare sua madre.
La ragazza era sfinita, tuttavia fece forza sui gomiti per cercare di sollevare il busto e vedere suo figlio appena nato.
“Mamma,” esclamò col fiato sospeso “è un maschio?”
“No, tesoro, è una femmina! Caro, presto, vieni dentro, vieni a vedere che bella!” rispose la madre, con un certo disappunto iniziale di Ichigo.
Appena il padre sentì quelle parole, subito cacciò la testa dentro per guardare. Quando vide ciò che sua figlia aveva messo alla luce, a prima vista non ne rimase impressionato.
Al contrario di quanto aveva detto sua moglie, non è che la neonata fosse particolarmente bella, anzi, era esattamente come tutti i bimbi appena nati: tutta rossa, con una testa assurdamente sproporzionata e il corpo ricoperto di liquido bianchiccio. Non aveva neanche un capello in testa, aveva due occhi spauriti e la sua bocca era spalancata nel pianto, nel disperato tentativo di immettere aria dentro i polmoni per evitare il soffocamento. Insomma, bruttina, tanto per usare un eufemismo.
Ma appena Ichigo la vide, il suo cuore ebbe come un tuffo, dimenticandosi in un attimo che per tutta la gravidanza aveva sperato che fosse un maschio. Era sua figlia. Era nata. Era lì davanti a lei, e poteva vederla per la prima volta. Allungò d’istinto le braccia, come una supplica silenziosa a sua madre, che subito gliela dette, senza neanche ripulirla. La ragazza, appena la ebbe tra le braccia, fu scossa da un tremito che le percorse tutto il corpo. Non importava che oggettivamente non fosse una gran bellezza. Per lei era la creatura più bella dell’universo. Era tutta la sua vita, in un mondo in cui non aveva più nessuno e che non sarebbe più riuscito a darle nulla. La sollevò leggermente e premette le labbra contro la sua fronte, mentre delle lacrime silenziose cominciarono a sgorgarle dagli occhi.
Sentì a quel punto la voce emozionata di sua madre: “tesoro, io esco un momento con tuo padre a prendere una boccata d’aria, va bene? Fra dieci minuti torniamo dentro per festeggiare tutti insieme.”
Ichigo la guardò piena di gratitudine per permetterle di vivere quegli importantissimi primi momenti da sola con sua figlia.
Appena furono sole, la ragazza abbassò lo sguardo sulla bimba che stringeva in braccio. Era talmente piccola da farle dubitare che fosse veramente un essere umano vivo. Ma si vedeva subito che possedeva un’energia fuori del comune: agitava gambe e braccia in tutte le direzioni e, anche se aveva smesso di piangere, apriva e chiudeva la bocca come per cercare di dire qualcosa.
Ichigo era una ragazza giovane, visto che ancora doveva compiere sedici anni, e a prima vista, una ragazza di quell’età con un figlio in braccio avrebbe potuto scandalizzare qualcuno.
Ma Ichigo non era una ragazza comune: aveva vissuto tante di quelle avventure e quelle esperienze, positive e negative, da aver raggiunto un grado di maturità molto maggiore rispetto alle sue coetanee. Aveva combattuto contro alieni, mostri pericolosi, contro un dio, e aveva vissuto l’ultimo anno e mezzo della sua vita praticamente allo stato selvaggio. E in tutto questo, o almeno in una buona parte, c’erano state le sue amiche, le sue compagne di battaglia, e il padre di sua figlia. Era anche e soprattutto grazie a loro se ora lei era cresciuta, era diventata una donna non solo di corpo ma anche di mente.
Per tutta la gravidanza, Ichigo aveva sperato che il bambino che portava in grembo, anche se femmina, possedesse una grossa somiglianza con Masaya. Ma purtroppo per ora era impossibile dire a chi dei due genitori sarebbe assomigliata di più: la bambina non aveva in testa neppure un capello, e le iridi degli occhi erano bluastre, come quelle di tutti i neonati. Sicuramente avrebbe dovuto aspettare qualche mese perché i capelli iniziassero a crescerle e gli occhi assumessero il colore definitivo.
Beh, non importava. Era la sua bambina. Era la sua unica ragione di vita ora, le era rimasta solo lei. E lei, la sua mamma, le sarebbe stata sempre vicina. Non l’avrebbe mai lasciata. L’avrebbe nutrita, cresciuta, insegnato a parlare, a camminare, a vivere e lei in cambio avrebbe portato un po’ di luce in quel mondo devastato.
Come poteva definire quella creaturina? Che le era stata data dal cielo apposta per tirarla fuori dall’oblio in cui si stava lasciando cadere? Si ricordò improvvisamente di Zakuro, che era cristiana, e che una volta aveva parlato loro di alcuni aspetti della sua religione. Ichigo era rimasta molto colpita dalla figura degli angeli. E sentì che la bambina che stringeva a sé possedeva proprio le loro caratteristiche. Ma sì, era esattamente come loro: era stata mandata a lei per salvarla e ridarle una speranza di vita.
La strinse a sé con delicatezza, e mormorò con la bocca vicina al suo viso, come per confidarle un segreto: “angelo, angioletto…” e in quel momento, come una rivelazione, le venne alle labbra il nome che avrebbe dato a sua figlia. “Angel… ti chiamerò così. Perché un angelo tu sei e degli angeli porterai il nome.” La guardò con lo sguardo pieno di tenerezza. “Oh, Angel, se soltanto il tuo papà potesse vederti… sono sicura che impazzirebbe dalla felicità, ti amerebbe più di chiunque altro sulla Terra, e ti proteggerebbe come ha già fatto con me… piccola mia, se lui ora non è qui con noi, è solo perché è morto per proteggere te… se tu sei viva, qui tra le mie braccia, il merito è solo suo.”
Improvvisamente si sentì stanca, ma non poteva lasciarsi addormentare così: sapeva che c’era una cosa importante che doveva fare. Certamente la bambina aveva fame: stava iniziando a schioccare la lingua sul palato e a guardarsi in giro, con un’espressione simile al nervosismo. Sakura le aveva spiegato mille volte come si fa ad allattare, e ora lei ci doveva provare, anche se si sentiva vagamente in imbarazzo.
Allora, come si faceva? Giusto, doveva mettersi seduta, prendere la figlia tra le braccia e avvicinarla al petto. Ci provò, cercando di mantenere l’equilibrio incrociando le gambe, visto che di schienali non ce n’erano. Ma stava scomoda, e non si sentiva a suo agio. E neanche la bambina lo sembrava: pareva non volesse attaccarsi a nessun patto.
Dopo un po’, Ichigo, stufa, pensò: ‘e se invece di seguire gli insegnamenti di mia madre, dessi retta al mio istinto?’
Decise allora di seguire la seconda opzione: si lasciò cadere sdraiata sul fianco, con Angel stesa accanto a lei. In quella posizione, incredibilmente tutto si aggiustò subito: non faceva nessuna fatica, e la bimba subito si trascinò verso il suo petto, cominciando a succhiare tranquilla. Ichigo si sentiva incredibilmente a suo agio così, nemmeno lei sapeva perché. Dopo pochi minuti, vinta dalla stanchezza, chiuse gli occhi nonostante il lieve fastidio delle labbra di sua figlia che stringevano forte.
Il suo primo sonno fu interrotto dal rumore della cerniera della tenda che si apriva. Una veloce folata di vento entrò dentro, insieme ai genitori della ragazza, che presero posto e si sedettero sul telo che fungeva da pavimento. Sakura era emozionatissima, Shintaro era un po’ indeciso su che comportamento adottare. Per prima parlò la madre, stupita e divertita dalla posa di sua figlia.
“Ma cara… come stai allattando? Come un animale? Così faceva la gatta che avevo da bambina quando allattava i suoi cuccioli, sai? Mi ricordi lei!” osservò, in una risata. A quelle parole, anche Ichigo si mise a ridere: non avrebbe mai creduto che i suoi geni modificati avrebbero potuto spingerla a farle preferire addirittura una posizione per allattare piuttosto che un’altra. Era la prima volta che rideva così di gusto, dopo la morte del suo ragazzo: i miracoli che poteva fare una bimba così piccina.
A quel punto, Shintaro intervenne: “figliola, sei stata fortunata che sia andato tutto bene. Mi ricordo quando eri nata tu. Eri prematura, e se non ci fossero stati i dottori e l’ospedale, saresti morta. Però con questa bambina è andata diversamente, per fortuna è nata sana. Dunque… hai già deciso come chiamarla?” chiese.
“Sì, papà, ci ho pensato adesso. Il suo nome è Angel, vi piace?” rispose sicura di sé la giovanissima mamma, tirandosi su e staccandosi la bambina appisolata dal petto.
Vide suo padre, che fino a quel momento aveva avuto un’espressione tutto sommato felice, fare una faccia stranissima, un misto tra incredulità e schifo. “Come hai detto che la chiamerai?”
“…Angel, papà” rispose lei, ora un po’ incerta.
Lui sbottò: “ma che razza di nome è questo? Si può sapere da dove l’hai tirato fuori?!”
Lei ci rimase male: “che ha che non va? È bellissimo!”
“Ma porca miseria!” esclamò il padre, contrariato “perché ora devi tirare fuori i nomi stranieri? Non puoi darle un nome normale e giapponese, come ce l’abbiamo tutti quanti?!”
La bambina, che si era addormentata da poco, a quelle urla si svegliò e cominciò a piangere come una disperata per la paura. La madre la tirò su in braccio e incominciò a ninnarla goffamente per calmarla, e guardò suo padre duramente: “sei contento, ora? L’hai fatta piangere!”
Shintaro la ignorò, sentendosi però un po’ in colpa. “E poi… mi vuoi spiegare che vuol dire ‘Angel’? Non riesco neanche a pronunciarlo bene… mi fa inceppare la lingua.”
“Semplicemente angelo in inglese, papà” sospirò Ichigo. “A scuola non ero una cima, ma alcune parole inglesi le avevo imparate. Anzi, angel è una parola che ci avevano insegnato in una di quelle poche lezioni in cui ero stata a sentire.”
“E che cosa sarebbe un angelo?” chiese il padre, incuriosito, che non aveva mai avuto a che fare con le religioni di ceppo ebraico.
“È una specie di…” cominciò la figlia, ma Sakura la interruppe.
“Suvvia, caro, non è il caso di fare una tragedia per un nome. Se la nostra Ichigo ha deciso di chiamarla così, vuol dire che per lei questa parola ha un significato importante. Dico bene, tesoro?”
Lei annuì, felice che sua madre fosse dalla sua parte.
Shintaro allora alzò le braccia al cielo, rassegnato. “E va bene, fate come vi pare. Chiamala pure Angel, se ci tieni. Ma ripeto che non mi piace. E ti assicuro che appena sarà maggiorenne andrà di corsa all’anagrafe per farselo cambiare, vedrai se non sarà così!” ‘Certo’, pensò però subito dopo… ‘come se esistesse ancora un qualcosa di somigliante a un’anagrafe.’
“Posso almeno prenderla in braccio?” chiese, per fare la pace.
Ichigo non avrebbe voluto cedere la sua prole tanto facilmente, ma alla fine si convinse e gliela lasciò prendere. A quel punto avvenne una cosa un po’ strana: Angel, che fino a quel momento si era comportata esattamente alla maniera dei neonati, quando incontrò lo sguardo di suo nonno i suoi occhi si illuminarono, e le sue labbra si piegarono appena in un accenno di risata.
“Avete visto? Avete visto? Le piaccio!” esclamò lui, trionfante.
Masha, che era lì vicino, si avvicinò svolazzando a loro e si complimentò con la sua vocetta metallica: “Bella Angel! Brava Ichigo!”
Anche Rau si avvicinò di qualche passetto e, scodinzolando, diede una leccatina di benvenuto alla testolina della piccola.
Ichigo avvicinò una mano alla testa della bambina per darle una carezza, ma lei, appena sentì qualcosa che la stava toccando, alzò di riflesso entrambe le manine e si aggrappò a un dito della madre. E quando la ragazza, sorpresa, cercò di allontanare la mano da lei, la bambina ormai si era attaccata al dito con così tanta forza che ci rimase praticamente appesa.
Sakura si mise a ridere: “sarà piccolina e minuta, ma in compenso ne ha, di carattere!”

Poche ore dopo, la famiglia, ora di nuovo tornata a quattro membri, dormiva tranquilla, ognuno dentro il proprio sacco a pelo. Shintaro e Sakura erano dalla parte destra della tenda, lasciando ad Ichigo il sinistro. La ragazza era l’unica a non essersi addormentata. Era sdraiata sul fianco, con Angel, avvolta in un asciugamano di fortuna, stretta al petto. La bambina dormiva ormai da un po’, e si muoveva solo ogni tanto nel sonno per riuscire a trovare il seno materno, succhiando mentre dormiva. Ichigo era ancora giovanissima e forse con i bambini inesperta, ma quelle poche ore erano bastate a farla innamorare perdutamente di quella creaturina. Quella bambina che si era portata dentro per tutti quei mesi, e che adesso si stava nutrendo grazie a lei. Non aveva idea di come sarebbe diventata crescendo, se sarebbe assomigliata di più a lei o a suo padre, che carattere avrebbe avuto… ma una cosa era certa: lei, Ichigo, ci sarebbe stata sempre per sua figlia. Avrebbe protetto Angel come Masaya aveva fatto con lei per tutti quegli anni.
Ormai era stanca: era ora di chiudere gli occhi e addormentarsi. Ma, prima di lasciarsi andare al sonno, guardò per l’ultima volta la bimba che dormiva tranquilla, ignara dei pensieri di sua madre e completamente all’oscuro della situazione del mondo in cui sarebbe cresciuta, e pensò:
‘Angel… tu sei la mia vita, adesso. Io ti giuro, figlia mia, che ti proteggerò sempre, con tutta me stessa, e se sarà necessario, io darò la mia vita per salvare la tua.’

 

--

Ora, urge spiegazione sul nome di questo nuovo personaggio. Per prima cosa lasciatemi passare il fatto che Angel dovrebbe essere un nome maschile, ma penso che ultimamente sia considerato unisex (anche se continua ad essere usato più per i maschi). Tutte le Mew Mew devono avere un nome che si richiama a un cibo, e questo vale anche per Angel (non posso considerarlo spoiler, penso che sia evidente già dall'introduzione che combatterà anche lei). Con buona pace di Ichigo, che le ha dato quel nome per una motivazione molto nobile, la Angel Cake è una torta tipica americana, chiamata in questo modo perché è molto soffice e leggera.
Non sapevo all'inizio se fosse consono dare a una Mew Mew un nome straniero, ma dopotutto ce ne sono già altre due con un nome non giapponese: Bu-ling ha il nome cinese, e Berry è sempre inglese. Io scriverò il suo nome sempre nella forma corretta inglese, ma i giapponesi lo pronuncerebbro Enjeru.
Il compleanno di Angel è il 2 ottobre, che sarebbe il giorno della festa degli angeli custodi. Questo perché Angel (come vedremo anche più avanti), come le altre Mew Mew, è soggetta alla "legge della predestinazione post-nome", la quale enuncia: "a ogni bambino destinato a diventare un "eroe" o un personaggio relativamente importante da grande, verrà dato un nome che sottolineerà una caratteristica che avrà nella vita adulta".
E mentre io sto finendo di postare la prima parte della storia, proprio ieri ho iniziato a scrivere la terza. Quindi tranquille che non ci saranno ritardi di nessun tipo!
A lunedì prossimo, per l'ultimo capitolo della prima parte! 

   
 
Leggi le 8 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Tokyo Mew Mew / Vai alla pagina dell'autore: Xion92