CAPITOLO DICIANNOVE –
FORGIVE ME
And it’s two a.m. and I’m
cursing your name…
(The way I loved you, T.Swift)
“Papà?”
“Sì,
tesoro?”
“Un
giorno mi porti allo zoo?”
Ianto
mostrò un sorriso dolce alla sua bambina e si
risedette di nuovo sul suo letto. “Appena avrò un
po’ di tempo libero lo farò.
Te lo prometto”.
“E
quando lo avrai?”
“Non
lo so. Lo sai che papà fa un lavoro…
complicato”.
“Lo
so. Però è figo il tuo lavoro”.
“Abbastanza”.
“Vorrei
poterlo dire anche ai miei amici”.
Ianto
sospirò e le prese una mano tra le sue,
accarezzandole il dorso. “Mi dispiace, piccola. Non voglio
che tu sia costretta
a mentire però…”.
“Oh,
ma a me non importa. Tanto loro non
capirebbero”.
L’uomo
ridacchiò. Poi si chinò per posarle un bacio
sulla fronte. “Ti adoro, Abigail”.
“Ti
adoro anche io, papà”.
“Buonanotte”.
“Buonanotte”.
Si
alzò per spegnere la luce. Poi, dopo aver
controllato Abigail un’ultima volta, uscì dalla
stanza e trascinò la porta con
sé, ma la chiuse solo a metà.
Si diresse nell’altro lato dell’appartamento e
lì iniziò a rimettere in ordine
la cucina, a lavare i piatti della cena e a sistemare i giocattoli
sparsi per
il salotto. La sua vita in fondo era diventata così, una
routine costante;
sistemare, riordinare, occuparsi di Abby. E poi c’era il
lavoro. Quello non era
proprio una routine, ogni giorno succedeva qualcosa di strano. Ma forse
qualcun
altro l’avrebbe pensata così. Invece per lui, che
ormai ci era abituato, era
una routine anche quello. Cercava solo di non farsi troppo male, di non
mettere
in pericolo la sua vita perché adesso c’era Abby e
se lui fosse morto chi si
sarebbe occupato di lei? Sua sorella? Certo, ma non poteva lasciarla
orfana.
L’ultima volta che se l’era vista brutta era finito
all’ospedale con un braccio
e un paio di costole rotte. Nulla di troppo grave ma si era spaventato
a morte.
Da allora Owen, Tosh e Gwen si sono incaricati di andare nelle missioni
pericolose. A loro non costava nulla, dicevano, ma non gli piaceva
rimanere in
disparte e guardare i suoi amici rischiare la vita.
Però
anche quella ormai era la routine. Era la sua
vita…
Fino
a quel giorno. Finché Jack non si è di nuovo
ripresentato. Ed era meglio se non lo avesse fatto. Era riuscito a
costruirsi
un equilibrio, a trovare una pace interiore.
Certo, i primi giorni della sua assenza erano stati terribili, anche
dopo che
era nata la bambina. Continuava a pensare a lui, a chiedersi che fine
avesse
fatto e aveva davvero pensato che gli fosse successo qualcosa di
terribile. Ma
poi si era detto “è Jack, a lui non succedono cose
terribili e anche se gli
succedono lui ne esce sempre fuori”. E quindi aveva concluso
che in realtà Jack
non voleva tornare. Tutto quello per lui si era fatto troppo difficile,
per lui
che non amava le cose stabili, che non voleva nemmeno chiamare la loro
relazione una relazione. Ma lo
aveva
fatto solo perché così era più facile.
E una volta convintosi di questo, pian
piano aveva incominciato ad andare avanti; dopotutto, non
c’era altro che
avesse potuto fare. C’era voluto anche tutto
l’aiuto di Rhiannon e dei suoi
colleghi… e poi Abigail. Quando la guardava negli occhi si
diceva che era per
lei che doveva andare avanti. Come una madre che improvvisamente si
ritrova
vedova.
E si era abituato, all’assenza di Jack. Quasi.
Invece
adesso eccolo che ritorna. Come il figliol
prodigo, come l’eroe acclamato che torna da
un’importante impresa. Eccolo che
ritorna a sconvolgere di nuovo tutti i suoi equilibri, come ha sempre
fatto,
dopotutto.
Avrebbe di nuovo dovuto ricostruire la sua routine. Perché
sapeva per certo
che, anche se avesse deciso di non perdonarlo e di tenerlo a distanza,
avrebbe
comunque sconquassato tutto.
Abigail in fondo era anche sua figlia ed era certo che Jack questo non
lo
avrebbe mai rinnegato. In fondo, Jack non era un completo bastardo.
Non
è un bastardo, si
ripeté Ianto per l’ennesima volta
mentre piegava la coperta sul divano. Anche se era arrabbiato con lui
questo
non lo avrebbe mai potuto dire. E non per i sentimenti che aveva
nutrito per
lui ma perché era un semplice dato di fatto.
Un
improvviso suonare alla sua porta lo distrasse.
Ianto lanciò un’occhiata all’orologio
chiedendosi chi mai potesse essere a
quell’ora.
Si precipitò ad aprire la porta e imprecò
sottovoce quando vide chi lo aveva
disturbato. Come si dice “parli del diavolo e spuntano le
corna”.
Fece
per sbattergli la porta in faccia ma Jack ci
mise un piede in mezzo per impedirglielo.
“Aspetta,
Ianto! Lasciami spiegare”.
Ianto
lo guardò come se avesse davanti l’uomo
peggiore del mondo. “Bene, parla!” lo
incitò quando vide che esitava.
“Posso
almeno entrare?”
Il
più giovane si guardò attorno come se temesse
l’arrivo di qualcuno. Poi aprì la porta per farlo
passare.
“Parla
piano che la bambina dorme”.
Jack
continuava a fregarsi le mani, nervoso. Non si
era mai sentito così prima d’ora. Non che lui
ricordasse almeno.
“Ianto,
a me dispiace veramente tanto. So che niente
di quello che dirò potrà convincerti
o… farmi perdonare per davvero, però. Io
non so che fare. Vorrei poter tornare indietro nel tempo
e…”.
“Perché
non lo fai?” lo interruppe Ianto
bruscamente. “Eri un agente del tempo, sai
manipolarlo”.
“Non
è così facile. Ci sono delle
regole…”.
“Già,
niente è facile con te”. Gli voltò le
spalle,
appoggiandosi al ripiano della cucina.
Il
Capitano ebbe un tremito; non stava andando
affatto bene.
“Senti…
lo so che non è stato facile per te. Ci
sarei dovuto essere, per te, per Abigail… e invece ho
rovinato tutto, come
sempre. Ma vorrei rimediare e ti prometto che non ti
deluderò più. Ti prometto
che tutto sarà come deve essere”.
Jack
smise di parlare. Cadde il silenzio.
“Hai
finito?” gli chiese Ianto.
“Sì”.
Finalmente
il ragazzo si voltò a fronteggiarlo.
“Bene,
ora puoi andare”.
“Ianto…”.
Jack sembrava veramente sull’orlo di una
crisi di pianto.
“Ianto
cosa?!” esplose a quel punto l’altro.
“Hai
ripetuto il mio nome non so quante volte oggi e sinceramente sono
stanco.
Davvero stanco. Di te e di… tutto quello che mi tiri
addosso. Tu non sai un bel
niente di quello che ho passato io, quindi non hai nemmeno il diritto
di
parlare. Per te potranno anche essere state due settimane, ma per me e
Abby
sono passati cinque anni. E Jack, ci sono persone che… che
hanno una vita
normale, che fanno cose normali e che non godono
dell’immortalità per cui
possono permettersi di rovinare tutto, di tagliare i rapporti
perché tanto
avranno un sacco di tempo per costruirsene altri”. Fece una
pausa per
riprendersi, poi proseguì: “Dio solo sa come ho
fatto a innamorarmi di te. Vorrei
non averti mai conosciuto. E ora, ti prego, se non hai altro da dire,
vattene.
E per quel che mi riguarda puoi anche tornartene col tuo
Dottore”. E gli voltò
di nuovo le spalle.
Jack
abbassò lo sguardo come un cane bastonato.
Qualcosa dentro di lui era appena crollato con un sonoro rumore.
Restò a
fissare la schiena di Ianto per qualche altro tempo, pensando a delle
parole
efficaci da dire. Ma non ce n’erano. Non ce n’erano
più. Non ce n’erano mai
state.
A
passo lento si diresse verso la porta, l’aprì e
lasciò l’appartamento.
Ianto,
non appena sentì la porta dietro di lui
chiudersi, batté un pugno sul tavolo. Poi cercò
di darsi un contegno. Ritornò
verso la camera di Abigail e restò sulla soglia a osservare
la sua piccola
bambina che dormiva placidamente, abbracciata al suo orsacchiotto di
peluche
preferito, ignara di tutto. Era uguale a Jack, aveva i suoi stessi
occhi, il
suo stesso naso, persino la stessa fossetta sul mento. Quando
l’aveva vista per
la prima volta questa somiglianza l’aveva quasi spaventato.
Come avrebbe fatto
a dimenticare se avrebbe visto l’uomo in ogni dettagli di sua
figlia? Per non
parlare della sua vivacità e del suo ottimismo. Erano tutte
cose che
appartenevano a Jack.
Jack…
al mondo non sarebbe esistito un altro uomo
uguale a lui. Nel mondo? Nell’universo semmai.
Non
appena ebbe richiuso la porta dell’appartamento
di Ianto, il Capitano si ritrovò a scivolarci contro finendo
col sedere sul
freddo pavimento dell’atrio.
Piegò le ginocchia al petto e vi sprofondò il
viso solcato dalle lacrime. Non
era riuscito a trattenerle, ringraziava soltanto di non essersi messo a
frignare di fronte al compagno… ex compagno. Dio, non
riusciva neanche a
pensarci.
Aveva
rovinato tutto! Aveva rovinato tutto! Ed era
solo colpa sua. Voleva strapparsi i capelli per questo, prendere il
muro a
testate ma a cosa sarebbe servito? Non a ridargli Ianto e nemmeno la
loro
bambina.
E
quelle parole che gli aveva detto… vorrei
non averti mai conosciuto. Quelle
parole facevano dannatamente male, erano come lame arroventate.
Ma che altro poteva fare? Che altro?
Perciò
restò così, seduto sul freddo pavimento del
pianerottolo, col viso solcato dalle lacrime.
Il
giorno dopo…
“Abbey,
tesoro, sei pronta?”
“Sì,
papà!”
Abigail
indossò velocemente la giacca a vento e
afferrò lo zaino azzurro con le margherite. Mentre Ianto era
ancora impegnato a
infilarsi in tasca il portafogli e le chiavi dell’auto, la
bambina aprì la
porta e uscì in corridoio. Ma rimase di stucco nel vedere
una figura
rannicchiata in posizione fetale vicino alla porta del loro
appartamento e che
sembrava essere profondamente addormentata.
“Papà,
c’è un uomo che dorme qua fuori”,
gridò.
“Che
cosa?”
“C’è
un uomo steso qua fuori. E’ quello che era ieri
al lavoro”.
Ianto
si precipitò fuori a vedere e sgranò gli occhi
nel trovarsi davanti Jack che, a causa delle grida di Abigail, si era
svegliato.
“Jack,
che diavolo ci fai qua?” lo aggredì
l’uomo
più giovane.
Il
Capitano lo guardò leggermente confuso; sembrava
nache lui leggermente sorpreso di trovarsi lì.
“Ecco, io… mi sono
addormentato”.
Jones
sospirò grattandosi la testa. “Uff…
senti,
rischiamo di arrivare tardi. Entra in casa e aspetto finché
non torno, ok?”
“Ok”.
Jack
non fece in tempo ad aggiungere altro che lo
vide allontanarsi tenendo loro figlia per mano. Lei girò la
testolina per
guardarlo, una luce curiosa negli occhi, e lui le sorrise. Lei
ricambiò.
Il
Capitano era intento a osservare gli oggetti e i
soprammobili presenti nell’appartamento di Ianto. Non era
cambiato molto quel
luogo, aveva solo aggiunto qualche foto di Abbey e cambiato il divano. Aveva persino dato una
sbirciatina nella
stanza della bambina; era una stanza come tutte le altre, piena di
bambole, peluches,
libri e altri giocattoli vari.
Poi
sentì la chiave girare nella toppa e si
precipitò in salotto.
Ianto
aprì la porta e si tolse la giacca. Posò le
chiavi sul mobiletto e restò a guardare Jack.
“Che
ci facevi davanti alla mia porta?”
“Mi
sono addormentato dopo che… dopo che abbiamo
parlato”.
“Hai
dormito lì tutta la notte?” C’era
stupore nel
tono del giovane.
“Be’,
più o meno…”.
“Hai
mal di schiena?”
“Nah…
noi immortali abbiamo la fortuna di non
soffrire mai”, scherzò Jack cercando di
sdrammatizzare. La preoccupazione di
Ianto gli aveva fatto piacere.
“Evviva!”
Ianto, senza mostrare alcun divertimento,
si diresse verso il piano cottura e si versò altro
caffè in una tazza.
“Hai
accompagnato Abigail a scuola?” gli chiese
allora il Capitano, dato che l’altro non accennava ad
aggiungere qualcosa.
“Sì”.
“Mi
parli un po’ di lei?”
Ianto
gli lanciò una strana occhiata e subito dopo
spostò lo sguardo. “E’… molto
allegra, dolce e ubbidiente. È anche intelligente
e più matura per la sua età. Ma questo penso sia
dovuto al suo avere, in parte,
DNA alieno. Per il resto è normale, comunque, Owen
l’ha controllata spesso da
quando è nata”.
Jack
lo aveva visto sorridere, finalmente, da quando
si era messo a parlare di Abigail e c’era una luce serena nei
suoi occhi. Ciò
gli accese un moto di speranza; quantomeno per Ianto non era stato
tutto
orribile.
“Ti
somiglia”.
“Somiglia
di più a te, a dire il vero. Te ne saresti
accorto se l’avessi guardata meglio”, disse Ianto.
Forse non avrebbe mai smesso
di tirargli addosso parole velenose. Il Capitano provò a
prendergli una mano ma
il ragazzo si ritrasse.
“Posso…
posso chiederti cosa… le hai detto di me?”
Il
ragazzo si diresse al lavello per lavare la tazza
che aveva usato. “Niente. Lei crede di essere nata come tutti
gli altri
bambini. Mi sono inventato una storia… che sua madre
è morta in un incidente
poco dopo che lei è nata e che si chiamava Amy. Non ho
aggiunto altro”. Si
voltò di nuovo verso l’uomo più vecchio
e vide il suo volto scioccato e
abbattuto. “Senti, Jack… non sapevo che fare. Non
sapevo nemmeno se saresti
tornato. Ed è troppo piccola per capire certe
cose”.
“Sì,
va bene… lo capisco, davvero”. Jack si
alzò di
colpo; non si era nemmeno accorto di essersi seduto. “Non ti
preoccupare”.
“Dovremmo
andare al lavoro. Siamo già in ritardo”.
“Mi
dispiace, mi dispiace davvero tanto. Continuerò
a ripeterlo anche se so che non basterà. Mi dispiace di
essermene andato, di
essere stato via per cinque anni e… mi dispiace che
tu… che tu non possa avere
altri bambini”.
“Te
l’ha detto Owen, immagino”. Ianto
scrollò le
spalle e abbassò lo sguardo. “Non importa. In ogni
caso non ne voglio altri.
Abbey mi basta”.
“Ok”.
“Ok”.
Restarono
a guardarsi per un po’ in silenzio, come
pensando a cosa dovevano dirsi arrivati a questo punto.
“E’
meglio se andiamo”, esordì Ianto allora.
“Posso
darti un passaggio. Ho il Suv parcheggiato di
sotto”.
“Preferirei
di no”.
Jack
annuì mesto. “D’accordo”. Poi
prese il suo
cappotto e andò alla porta. “Non mi perdonerai
mai, vero, Ianto?”
Ianto
non disse nulla.
Il Capitano aprì la porta e se ne andò.
MILLY’S
SPACE
Ed
eccoci qui, a questo nuovo capitolo.
Le cose per Jack e Ianto non stanno andando bene. Come si
concluderà? Ianto
riuscirà a perdonare Jack e a rimettersi con lui? Oppure si
lasceranno
definitivamente?
Mi
dispiace di non riuscire ad aggiornare le mie
fanfiction più assiduamente, ma sono un po’ presa
da tante altre faccende e sto
anche scrivendo cose… di genere un po’ diverso ^^
Spero che abbiate pazienza e che non vi scordiate delle mie storie. Nel
frattempo godetevi l’estate e andate a fare qualche bagno al
mare che con
questo caldo ci sta. E ricordatevi di lasciarmi qualche recensione che
io
voglio sapere cosa ne pensate.
Un
bacio,
Milly.
FEFI97:
ciaooooo!!! Che bello, una nuova lettrice *-* mi fa moooolto piacere
che la
storia ti piaccia. Sì, Ianto e Jack sono la mia otp in
assoluto. Comunque, non
si sa se Ianto riuscirà a perdonare Jack ma sicuramente non
sarà facile.
Continua a seguirmi, mi raccomando. Un bacione, Milly.