Nota:
ho
come l’impressione che dopo questo capitolo verrò
linciata. Tuttavia, buona
lettura : )
CAPITOLO
DICIOTTO - ABIGAIL
So, this is me swallowing my pride,
standing in front of you,
saying I’m sorry for that night.
(Back to Dececember, T.Swift)
Cinque
anni dopo.
“Sei
pronta per andare a scuola?”
“Posso
finire di vedere i cartoni?”
“Mi
sa che non abbiamo tempo per vederli tutti”.
“Solo
questo”.
“D’accordo”.
La
bambina teneva gli occhi fissi sullo schermo
della televisione e un biscotto mezzo mordicchiato in mano, mentre il
padre si
era rimboccato le maniche per lavare i piatti sporchi nel lavello, ma
ogni tanto
lanciava occhiate alla figlia sorridendo tra sé e
sé di fronte a quello sguardo
così innocente e affascinato.
Sua
figlia era la cosa più bella che gli fosse
capitata e in quegli ultimi anni era stata la sua forza per andare
avanti.
Ormai viveva soltanto per lei e faceva tutto ciò che
c’era da fare soltanto per
lei.
Sulla televisione comparvero i titoli di coda che segnavano la fine del
cartone
e la bambina mise in bocca il resto del biscotto, mandandolo
giù con un paio di
sorsi di latte.
“Adesso
sei pronta per andare?”
“Sì,
papà”.
La
bambina scattò dalla sedia e corse in camera a
prendere zaino e cappotto. Il padre l’aiutò a
indossarli e poi afferrò le
chiavi dell’auto e quelle della casa.
“Buongiorno!”
li salutò la voce dell’anziana signora
che abitava nell’appartamento di fronte al loro e che aveva
preso in particolare
simpatia i due, soprattutto la bambina, visto che spesso le faceva da
baby-sitter.
“Buongiorno,
Signora Brook”, ricambiò l’uomo mentre
chiudeva la porta di casa. “Come sta oggi?”
“Al
solito, l’artrite che ogni tanto fa
scricchiolare qualche povero osso”, si lamentò
lei, ma sempre con un sorriso
dolce stampato in volto. “Significa che oggi
pioverà”.
“Grazie
per l’avvertimento. Ora io e Abby dobbiamo
andare, siamo in ritardo”.
“Ma
certo, ma certo. Buona giornata”.
“Anche
a lei, Signora Brook”. L’uomo allungò
una
mano in direzione della figlia e la bambina si aggrappò ad
essa, trotterellando
a fianco del padre, lungo il corridoio, verso le scale.
Qualche
ora prima…
Jack
si lanciò praticamente fuori dal Tardis e non
si voltò nemmeno indietro per vedere la cabina ripartire o
salutare l’uomo al
suo interno.
Corse
lungo la baia e raggiunse il parapetto che lo
separava dal mare, appoggiandovi sopra le mani. Lasciò
vagare lo sguardo in
giro, verso l’orizzonte dove il sole pian piano cominciava a
spuntare e faceva
disperdere una luce rosea e pallida che andava a illuminare il cielo e
a
coprire le stelle.
Nulla era cambiato, tutto sembrava essere rimasto come ricordava lui.
Eppure…
Eppure
aveva una terribile sensazione.
Raggiunse
in rapide falcate una panchina dove aveva
visto il giornale e cercò subito la data. Il suo cuore
mancò un battito.
Non poteva essere…
Non voleva crederci…
Ci doveva essere un errore…
Adesso avrebbe richiamato il Dottore e gli avrebbe chiesto di
aggiustare quella
cosa perché lui non poteva essere lì, non poteva
aver perso tutto quel tempo.
Si
lasciò cadere sulla panchina e affondò la faccia
nelle mani.
Ma chi voleva ingannare? Era tutto giusto, era tornato nel momento
giusto,
almeno nella sua linea temporale, solo… ora ci sarebbero
state delle
conseguenze e non sarebbero state affatto piacevoli.
Voltò
il capo e i suoi occhi incontrarono la base
del Torchwood tre, ancora lì, intoccata e come lui
l’aveva lasciata.
Ma questo non significava che in quei cinque anni non fosse cambiato
nulla,
anzi.
A
passo lento e con lo svolazzo del lungo cappotto,
si diresse verso l’entrata. Una volta dentro, rimase fermo in
silenzio per
sentire dei rumori o delle voci, ma non c’era nessuno. Era
ancora presto,
dopotutto.
Si mise a passeggiare in giro, constatando che nemmeno lì
era cambiato molto,
eccetto qualche nuovo oggetto alieno lasciato in giro, un computer
nuovo di
Tosh, fogli di carta e cose così. Persino nel suo ufficio le
cose erano rimaste
come erano. Chissà se qualcuno lo aveva usato, magari Gwen.
Ma ne dubitava.
Scese
al piano inferiore e si scontrò con la
macchina del caffè, pulita e lucidata.
Ianto…
Il suo cuore accelerò immediatamente i battiti al pensiero
del ragazzo. Come
avrebbe fatto a spiegargli? Come si sarebbe giustificato con lui? E,
soprattutto, stava bene?
Gli venne da piangere, ma si trattenne.
Era contento di essere tornato a casa, ma aveva anche paura e questa
era una
sensazione nuova per il Capitano.
Salì
di nuovo al piano superiore e si sedette sul
divano, chiudendo gli occhi.
Gwen,
Tosh e Owen arrivarono insieme alla baia al
solito orario ed entrarono subito alla base di Torchwood, attraverso la
grande
ruota rumorosa. Ma non appena misero piede dentro, capirono che
c’era qualcosa
di strano, a cominciare dalle luci accese.
Contemporaneamente
estrassero le pistole e
cominciarono a guardarsi attorno sospettosi, riflettendo su quale fosse
il
miglior modo per accogliere l’indesiderato visitatore,
chiunque esso fosse. Di
certo non si aspettavano di trovare Jack addormentato sul divano.
Gwen
lo scosse per un braccio piuttosto bruscamente
e l’uomo scattò subito a sedere, trovandosi due
pistole puntate davanti agli
occhi.
“Dannazione!
Mettete giù quelle pistole!” ringhiò il
Capitano, alzandosi in piedi.
“E
perché dovremmo?” fece Gwen in tono scontroso.
“Non
vorrete mica spararmi”.
“Servirebbe
a qualcosa?” chiese Owen, il capo
inclinato da un lato e gli occhi assottigliati a formare due fessure
minacciose.
“Certo,
non mi aspettavo un bentornato caloroso ma
questo mi sembra troppo”.
Restarono
tutti quanti in silenzio per un po’, come
riflettendo sul da farsi, ma poi Gwen e Owen misero via le pistole,
anche se la
mano rimase sull’impugnatura. Infine restarono a fissare il
Capitano di fronte
a loro, gli sguardi seri e impenetrabili. Solo quello di Tosh sembrava
emanare
una certa sorpresa.
“Quando
sei tornato?” chiese Gwen, questa volta più
rilassata ma sempre sull’attenti.
“Poche
ore fa”.
“Perché
sei tornato?” Questa volta fu Owen a porre
la domanda. “Dopo cinque anni, pensavamo che non saresti
più tornato”.
“Ecco…”,
iniziò Jack senza sapere come continuare.
Da dove avrebbe dovuto iniziare? “Io… posso
spiegarvi”.
“Già,
come hai fatto l’ultima volta”.
Il
Capitano stava per aggiungere qualcos’altro, ma
qualsiasi parola stesse per pronunciare venne bloccata dal rumore della
ruota
che girava di nuovo per aprire la porta e lasciar entrare
l’ultimo membro della
squadra che ancora non era arrivato.
Ianto fece il suo ingresso camminando con passo sicuro, buttando la
giacca sul
primo attaccapanni che trovò a portata di mano.
“Scusate
il ritardo, ho accompagnato Abby a scuola”.
Gli
altri rimasero in silenzio, gli occhi rivolti al
ragazzo, aspettando solo il momento in cui si sarebbe accorto della
presenza di
Jack. Il cuore di quest’ultimo batteva
all’impazzata. Come avrebbe reagito, si
chiedeva.
Anche
Ianto salì al piano superiore ma, soltanto
quando si accorse dello strano silenzio che regnava nella stanza,
alzò lo
sguardo sugli amici, bloccandosi sul posto al vedere Jack davanti a
lui.
Nessuno disse niente, non una mosca interruppe il silenzio carico di
tensione
che si era venuto a creare.
Jack non sapeva che fare; avrebbe voluto buttarsi addosso al ragazzo,
stringerlo in un abbraccio, baciarlo e dirgli quanto gli dispiaceva, ma
non gli
sembrava una buona idea, almeno per il momento. Perciò
lasciò che fosse l’altro
a fare il primo passo.
“Bentornato”,
sibilò Ianto. “Spero che il viaggio
sia stato… piacevole”. Il suo tono era
indifferente, disinteressato. E a Jack
fece male. Avrebbe preferito l’odio, la rabbia, qualsiasi
altra cosa sarebbe
andata meglio dell’indifferenza.
“Ianto…”.
“Vado
a fare il caffè. Non l’ho ancora preso
stamattina”, lo interruppe il ragazzo, tornando di nuovo al
piano inferiore.
Anche
gli altri finalmente si decisero a reagire e
si allontanarono dal Capitano. Solo Gwen si voltò verso di
lui. “Subito nella
sala riunioni. Tu ci devi delle spiegazioni”.
Quando
i quattro membri del Torchwood Tre si
radunarono attorno al grande tavolo nella sala riunioni, Jack
lasciò vagare lo
sguardo su tutti loro, cercando dei segni sui loro volti che gli
indicassero
che erano veramente passati cinque anni. Perché ancora non
riusciva a crederci.
Non erano cambiati molto, nessuno di loro. Gwen aveva solo un nuovo
taglio di
capelli, non portava più la frangetta.
Ianto
distribuì il caffè ai suoi colleghi, ma non a
Jack. Non alzò nemmeno lo sguardo su di lui. Il Capitano lo
osservò, cercando
di capire, cercando di trovare le parole giuste da dire.
Perché in fondo era
solo di lui che gli importava; non gli interessava che gli altri
fossero
arrabbiati con lui o che lo odiassero. Solo Ianto contava in quel
momento.
Ma Ianto era… distante. Ed era… diverso. Non
portava più il completo, ma un
semplice paio di jeans e una maglietta. E gli sembrava stanco,
affaticato.
“Allora,
Jack!” esclamò Gwen, distraendo il Capitano
che riportò lo sguardo sulla donna, seduta a capotavola
esattamente di fronte a
lui. “Attendiamo le spiegazioni”.
“Io…”,
iniziò l’uomo, facendo di nuovo scorrere lo
sguardo sui presenti. La verità. La verità era
sempre la soluzione giusta. “Io
ero col Dottore. Stavamo viaggiando, abbiamo visitato diversi posti.
Avrebbe
dovuto riportarmi indietro al momento in cui sono partito,
ma… qualcosa è
andato storto”.
“Che
cosa?”
“Il
Tardis… la sua astronave è rimasta incastrata in
un anello temporale. Ci abbiamo impiegato due settimane a uscirne
fuori”.
“Due
settimane?”
“Due
settimane nell’anello… ma cinque anni qui sulla
Terra”. Lo sguardo gli cadde di nuovo su Ianto il quale
continuava a tenere gli
occhi fissi sul tavolo le labbra serrate, la schiena appoggiata allo
schienale.
“E
non potevi mandarci un messaggio o qualche
segnale? Tanto per capire se stavi bene o che non ti eri scordato di
noi”.
“Ogni
comunicazione era interrotta. Non potevamo
parlare con nessuno. Mi è già capitato una volta,
con John Hart. Ma credetemi,
col Dottore è persino peggio. Non fa che
lamentarsi”. Jack piegò le labbra in
un sorriso cercando di sdrammatizzare, ma non sortì alcun
effetto. “Mi
dispiace. Mi dispiace davvero tanto. Non avrei mai voluto che
succedesse”.
Dopo
le sue parole, nella stanza calò il silenzio.
Da quel momento in poi, Jack era sicuro che avrebbe odiato il silenzio.
Forse
loro aspettavano che aggiungesse qualcos’altro, ma lui non
sapeva più che altro
dire. Quella era in sostanza tutta la storia: due settimane bloccato
nel Tardis
col Dottore e avrebbe dato qualsiasi cosa per tornare indietro e non
essere mai
partito.
A
un certo punto lo stridio di una sedia che graffia
sul pavimento sbloccò la situazione e Ianto si
alzò in piedi.
“Scusate,
ho un sacco di scartoffie da mettere in
ordine”, disse, uscendo dalla stanza a passo spedito, senza
guardare nessuno.
Subito dopo venne seguito anche da Tosh e Owen.
“Ho
un corpo da dissezionare”, mormorò il medico.
“Io
devo controllare delle cose al computer”.
Solo
Gwen rimase ancora lì insieme a Jack. Aspettò
qualche istante, però, prima di alzarsi anche lei e
dirigersi verso il
Capitano. Restò a guardarlo per un po’, con quei
suoi occhi scuri ma vispi e
dopo, con un incredibile slancio, buttò le braccia attorno
al collo dell’uomo e
lo abbracciò forte. Jack aveva pensato che gli avrebbe dato
uno schiaffo oppure
un pugno ed era già pronto a incassare.
“Mi
sei mancato, Jack”, gli sussurrò
all’orecchio,
affondando il viso nell’incavo del suo collo e inspirandone
l’odore, quei
famosi feromoni del cinquantunesimo secolo.
“Anche
voi mi siete mancati. Tutti quanti”.
Si
staccarono e Gwen gli sorrise. “Sono comunque
ancora arrabbiata con te”.
“Lo
capisco”.
Esitarono.
“Come
sta Rhys?”
“Sta
bene. In fondo, non è cambiato molto qui
dentro. Le nostre vite sono sempre le stesse”.
“Sono
contento che stiate bene”.
“Ce
la siamo vista brutta”.
“Ma
ve la siete cavata alla grande”.
“Sì,
direi di sì”.
Lasciarono
che di nuovo il silenzio li avvolgesse,
senza sapere più che dirsi. Jack era contento di avere
almeno Gwen su cui poter
contare. La donna dal canto suo era contenta di rivedere il Capitano;
loro
quattro se l’erano cavata bene, però si era
sentita molto la mancanza dell’uomo.
Cinque anni erano tanti. Ma non aveva la più pallida idea se
le cose sarebbero
tornate come prima oppure no. L’ultima volta che era sparito
così era stato via
solo un paio di mesi, ma adesso… adesso tante cose erano
cambiate, loro erano
cambiati e in fondo, per quanto ognuno di loro fosse bravo nel suo
lavoro,
addestrato e allenato, erano stati lasciati senza una bussola, senza
una guida.
Nessuno di loro lo avrebbe ammesso, ma Jack contava molto nel team.
“Dagli
tempo”, sbottò Gwen a un tratto. “A
Ianto”,
aggiunse, notando il sopracciglio alzato del Capitano di fronte a lei.
“Parlagli,
ma dagli tempo. Col tempo forse le cose tra di voi si
sistemeranno”.
Non
gli sembrava molto convinta delle sue parole e
nemmeno Jack lo era. Ianto lo avrebbe mai perdonato?
Non ne aveva idea ma ci avrebbe provato, a farsi perdonare.
Perciò disse a Gwen
di mettersi al lavoro, di fare quello che doveva fare e lui corse
giù per le
scale diretto agli archivi, dove sapeva avrebbe trovato il giovane
gallese.
Infatti, non appena aprì la porta, vide Ianto impegnato
vicino ad un tavolo a
riordinare alcuni fogli.
Gli
si avvicinò silenziosamente e restò a guardarlo
per un po’, indeciso su come annunciarsi.
“Che
cosa vuoi?” gli arrivò la voce forte e glaciale
del giovane che gli stava dando le spalle.
“Ianto…”.
Prese un respiro profondo. “Ti trovo bene”.
Idiota!
Non lo trovava bene affatto.
Ianto
non rispose.
“Stai
bene anche in jeans, comunque. Come mai niente
completo?”
“Si
sono rovinati tutto. Me ne è rimasto uno solo
che conservo per il mio funerale”.
Jack
si sentì stringere il cuore e lo stomaco. In
realtà
si sentì stringere tutti gli organi interni. Non avrebbe
saputo dire se gli
avesse dato più fastidio la frase che Ianto aveva detto o il
tono con cui l’aveva
detta. Probabilmente tutte e due.
Gli si avvicinò di più da dietro le spalle e gli
poggiò una mano sul fianco. Il
ragazzo si scostò bruscamente.
“Jack,
ho del lavoro da fare”.
“Mi
dispiace”, pronunciò il Capitano guardandosi i
piedi. “Mi dispiace davvero tanto, Ianto”. Vide il
ragazzo irrigidirsi e
stringere in mano un foglio.
“Tutto
qui quello che hai da dirmi?”
“Davvero,
Ianto. Se ci fosse un modo, anzi, se ci
fossero mille modi per farmi perdonare, per riuscire a rimediare a
quello che
ho fatto ti giuro che li userei tutti. Io non volevo che
succedesse…”.
“Però
è successo. E immagino che tu non possa riportare
indietro il tempo, Jack”.
Il
Capitano tremò al sentir pronunciare il suo nome
in quel tono così rabbioso e per di più da una
delle bocche che amava di più al
mondo.
Ma la frase detta da Ianto sembrava dannatamente ironica in quel
contesto. Uno pensa
che avere una macchina del tempo renda tutto più facile,
invece non è così. Ci sono
comunque tantissime regole che se non vengono rispettate potrebbero
causare
grossi danni irreparabili, linee del tempo che si cancellano e punti
fissi nel
tempo e nello spazio che sballano tutto.
“Spero
tu ti sia divertito con il Dottore. Cinque anni
è tanto tempo, immagino tu non l’abbia
sprecato”.
“Per
me sono state due settimane…”.
“E
per me sono stati cinque anni, dannazione!”
Finalmente Ianto alzò il capo su Jack, puntandogli davanti i
suoi occhi azzurri
in quel momento pieni di rabbia e furore. “Cinque anni in
cui…”. Abbassò di
nuovo lo sguardo e sospirò. “Lasciamo
perdere”.
Ianto
chiuse con forza un fascicolo e si
rimise a sistemare le carte.
“Lo
so che sei arrabbiato con me e va bene, non ti
biasimo. Nei hai tutto il diritto. Però… vorrei
sapere del bambino. Ti prego,
almeno questo”.
“Non
c’è nessun bambino”.
A
Jack venne un colpo e per una frazione di secondo
gli sembrò che la stanza avesse preso a girare.
“Che…
che cosa intendi?”
“Non
c’è nessun bambino, Jack. È una
bambina”.
“E
come si chiama?”
“Abigail.
L’ho chiamata Abigail, come mia madre”.
“E’
un bel nome”.
“Sì,
lo è. E lei è una bambina bellissima”.
“Avrà
preso da te”.
“Immagino
di sì. Ma non voglio parlarne ora”.
Una
bambina. E così avevano avuto una bambina. In altre
circostanze Jack ne sarebbe stato felicissimo. Si era immaginato molte
volte la
sua nascita, quanto sarebbe stato felice vedendola per la prima volta,
come l’avrebbero
cresciuta e tutto il resto. Ma questo era stato prima,
prima di quei fottuti cinque anni.
Adesso… adesso non aveva la più pallida idea di
come comportarsi. Voleva essere
felice, felice perché aveva avuto una bambina, felice
perché era tornato,
felice perché poteva avere di nuovo Ianto con sé.
E invece non ci riusciva.
“D’accordo,
ti lascio lavorare”.
E
uscì. Si sentiva tremendamente vigliacco e
stupido.
Andò
da Owen. Il dottore era impegnato a
dissezionare uno strano corpo scuro, viscido che emanava un odore
piuttosto
sgradevole.
“Wow!
Cos’è?”
“Non
ne ho la minima idea. L’ha trovato Gwen due
giorni fa in una discarica. Emanava una forte energia aliena,
così per
sicurezza controllo di che sostanze è composto”,
spiegò il ragazzo, senza
distogliere l’attenzione dal suo lavoro. Almeno lui sembrava
avere voglia di parlare.
“Senti,
Owen…”.
“Che
c’è, Jack?”
“Potresti
dirmi qualcosa di Abigail? Intendo, di
quando è nata? Com’è…
andata?”
“Non
dovresti chiederlo a Ianto?”
“Non
mi vuole parlare”.
“Puoi
forse biasimarlo?”
“Ti
prego, Owen”. Aveva perso il conto di quante
volte aveva detto ti prego in
quell’ultima
mezz’ora.
Owen
posò lo sguardo sul Capitano e si sentì
sciogliere; quello che aveva davanti non era il solito Jack, spavaldo e
sicuro
di sé. Era un Jack quasi disperato, che non sapeva
più che fare.
“La
gravidanza era andata bene e quando è arrivato
il momento di farla nascere l’ho tirata fuori senza alcun
problema. Era una
bambina bellissima, perfettamente in salute, anche se non completamente
umana”.
Ma,
c’era un ma sulla punta
della lingua
di Owen ed era quello a spaventare il Capitano.
“Ianto,
invece… Ianto ha avuto un’emorragia.
L’ho
dovuto aprire per bloccarla e non avevo molti mezzi a disposizione.
L’ho
salvato per miracolo”.
Jack
dovette sedersi, così si lasciò cadere sui
gradini di ferro cercando di non far notare che stava tremando.
“Grazie”.
“Non
ringraziarmi. Il guaio è che ora Ianto non potrà
più avere bambini. Né da te né da
nessun altro”.
C’era
qualcosa che avrebbe potuto farlo stare peggio
di come stava in quel momento? Probabilmente no.
Ianto doveva averne passate tante e lui non c’era. Non
c’era nel momento più importante
della sua vita, delle loro vite.
Non sarebbe mai dovuto entrare dentro il Tardis. O forse non sarebbe
mai dovuto
tornare.
La
mattinata trascorse tranquilla per Torchwood,
ognuno lavorò per conto proprio e tutti furono molto
silenziosi.
Jack rimase chiuso nel suo ufficio per tutto il tempo, constatando che
lì
niente era cambiato, nessuno aveva toccato niente. Infatti,
c’era parecchia
polvere.
Ianto quasi non uscì dagli archivi, ma tutti sapevano che
voleva soltanto
evitare Jack. Verso l’ora di pranzo si decise a lasciare il
lavoro che stava
facendo per andare a sbrigare qualcosa di molto importante, ma non
disse cosa e
Jack non fece altro che chiederselo. Almeno fino a quando il ragazzo
non si
ripresentò dopo un’ora, in compagnia.
Il
Capitano voleva andare a controllare le celle,
per vedere se ci fossero ancora i Weevil o qualche altra creatura,
quando si
imbatté in un paio di grandissimi occhi chiari che restarono
a guardarlo per
qualche istante, come se avessero di fronte a sé una strana
creatura. Appartenevano
a una bambina piuttosto minuta ma molto graziosa, con i capelli scuri
raccolte
in due lunghe trecce.
“Ciao”,
lo salutò lei.
“Ciao”,
rispose Jack, abbassandosi alla sua altezza.
“Io
sono Abigail. Tu chi sei?”
Jack
per poco non si sentì mancare.
Abigail… quella era Abigail. La sua bambina.
“Io
sono Jack”.
“Io
ti ho già visto”.
“Davvero?”
“Sì,
in una foto di papà”.
“Abby,
tesoro!” la voce di Ianto li distrasse
entrambi e la bambina si voltò verso il fondo della stanza.
“Vieni a finire i
compiti”.
Abigail
corse via,
lasciando Jack completamente spiazzato. Voleva piangere. Aveva
un’incredibile
voglia di piangere.
Ma non poteva farlo.
MILLY'S SPACE
Sì, sono una cattiva persona. Sia per non aver aggiornato per così tanto tempo sia per quello che ho fatto succedere in questo capitolo. Avete il permesso di lanciarmi addosso la verdura *apre ombrello*.
Sono stata veramente molto impegnata in questo periodo, voi non ci crederete neanche. Ma non ho intenzione di propinarvi le solite scuse che tanto non vi interessano ^^.
Parliamo solo di cose serie.
Perciò... che posso dire? Così è andata e così doveva andare. Possiamo considerare questo capitolo come l'inizio di una seconda parte della storia, una seconda fase. Siete curiosi di sapere come andrà a finire? Be', continuate a seguirmi.
Ma, cosa più importante, lasciatemi qualche recensione. Ho bisogno di conoscere le vostre opinioni.
Un bacione,
Milly.
LORIE_LIESMITH: mi dispiace, a quanto pare le cose non sono andate come avevi immaginato tu. Per quanto riguarda i viaggi col Dottore, ne saprai qualcosa nei prossimi capitoli. Intanto, spero ti sia piaciuto questo e spero che tu non ti sia dimenticata della storia.
Un grosso abbraccio. M.
P.S. non ho riletto il capitolo perché è davvero molto tardi e sono stanchissima, ma ci tenevo ad aggiornare. Quindi, se c'è qualche errore segnalatemelo pure.