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Autore: Mordreed    21/08/2015    8 recensioni
COLIN O'DONOGHE- JENNIFER MORRISON
Due perfetti sconosciuti che si incontrano per caso, anni prima che il destino li unisse in una nuova esperienza lavorativa. Un incontro dimenticato, un nuovo inizio. Una storia d'amore tormentata, intesa e proibita che sconvolgerà la vita di entrambi. La passione incontrollabile e sventurata, di due amanti clandestini e maledetti.
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: colin o'donoghue, Jennifer Morrison, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NdA

Salve a tutti.
Vi ringrazio per la pazienza e per le recensioni che leggo sempre con piacere.
Ecco qui il nuovo capitolo che è direttamente collegato al prossimo.
So che siete in molti a seguire la storia e vi ringrazio davvero, quindi non appena la maggior parte di voi avrà letto e recensito il capitolo, posterò subito l'altro così da non perdere il senso di continuità

Grazie ancora e spero vi piaccia.

Canzone da ascoltare durante la lettura: https://www.youtube.com/watch?t=67&v=ScfQDcFYUvQ




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Anche quella mattina arrivò tardi a lavoro.
Colpa di Sebastian ovviamente.
In certe cose era davvero lento… non che le dispiacesse, ma ultimamente stava diventando un abitudine.
Lui l’accompagnò sul set ma tornò subito a casa.
Doveva fare i bagagli e raggiungere il suo agente nella sua villa a Miami.
Avevano delle proposte lavorative da valutare insieme.
“Fai il bravo”
Le disse lei, baciandolo dolcemente sulle labbra.
Lui la strinse con più forza e sorrise.
Erano poggiati alla portiera della loro vettura.
“Io si.. tu piuttosto.
Attenta a non rimorchiare altri sconosciuti in un bar..”
Jen abbassò gli occhi e arrossì, ricordando ciò che era successo settimane prima con Jonathan, l’amico di Colin.
“.. ma ripensandoci, sei libera di rimorchiare chi vuoi, se questo significa che poi potrò punirti come l’altra volta…”
Lui sorrise eccitato al solo ricordo, lei lo colpì sul braccio, ma non poté fare a meno di sorridere.
“Va via, pervertito.. niente telefonate nel cuore della notte perché hai voglia di fare sesso telefonico”
Lo ammonì lei mentre lui rideva.
 
Congedato Sebastian, Jennifer si aggirò sul set con due caffè bollenti in mano.
Cercava Colin ovviamente, voleva ringraziarlo per quella strana notte e per essere stato così gentile.
Anche se restava comunque stronzo.
Sapeva che portandogli un caffè, avrebbe reso l’idea.
Chiese a uno stagista di lui, e quello gli rispose che era arrivato un’ora fa ma che non si era ancora fatto vedere in giro.
Jen sorrise, pensando che forse lui fosse così stanco, a tal punto da essersi addormentato in  camerino.
Andò a cercarlo, raggiungendo l’assolato parcheggio delle roulotte.
La sua moto era parcheggiata poco distante.
Mentre si avvicinava, non poté fare a meno di pensare che non era mai stata nel suo camerino.
Questo la fece sentire stranamente nervosa.
Nervosismo che poi superò, ripensando al fatto che aveva trascorso la notte nella sua camera d’albergo.
Arrivò di soppiatto, pronta a bussare e a coglierlo sul fatto ma una volta giunta alla sua porta, sentì la sua voce provenire dall’interno.
Sembrava nervoso, forse persino preoccupato.
Non seppe dirlo.
Jen non l’aveva mai sentito parlare così seriamente.
Era al telefono con qualcuno.
“.. ora mi è impossibile, si… sono a lavoro”
Tono formale, sulla difensiva.
Non da lui.
Jen si spostò verso la finestra cercando di spiare all’interno.
Per fortuna le persiane non erano chiuse.
Lui era dentro, al centro della stanza.
C’era sole ovunque, motivo per cui i suoi occhi non riuscirono a cogliere tutti i dettagli .
Osservò le sue spalle rigide, la sua testa china, la mano destra che stringeva il telefono accanto all’orecchio.
D’un tratto prese a battere il piede sul pavimento.
Si, era decisamente nervoso.
“…va bene, passerò il prima possibile.”
Jen capì che la telefonata era ormai alle battute finali.
Aveva voglia di parlargli, di chiedergli cosa c’era che non andava.
Era curiosa o preoccupata per lui?
Evitò la risposta allontanandosi dalla roulotte prima che lui potesse scoprirla.
 
 
Lo osservò molto quel giorno.
Se era nervoso non dava a vederlo.
Riusciva a nasconderlo alla perfezione.
Fu per tutto il tempo solare e giocoso con tutti, come suo solito.
Non aveva scene con lui quel giorno.
Ma più di una volta incrociò il suo sguardo.
Lui le sorrideva e lei ricambiava.
 
 
Finì tardi di girare con Jamie, Ginny e Sarah.
Lei fu la più lenta a svestire i panni  del personaggio che interpretava e a ritornare se stessa.
Era il tramonto e quando uscì dalla roulotte, si trovò immersa nella luce morente di fine giornata.
Decise di chiedere un passaggio a Josh ma lui era già andato via con Ginny.
Le rimaneva Jamie e Sarah.
Cercò nei loro camerini ma non trovò nessuno.
Raggiunse il parcheggio in tempo per vederle andar via sullo stesso taxi.
Maledizione.
Tornò indietro per prendere il telefono e prenotare un taxi a sua volta.
Fu allora che notò la luce nel camerino di Colin, accesa.
Sbuffò decidendo il da farsi, ma alla fine concluse che non c’era nulla di male ad andare da lui.
Ebbe una strana sensazione mentre raggiungeva la sua roulotte nel parcheggio silenzioso.
Erano rimasti di nuovo soli sul set.
Giunta alla sua porta, respirò l’aria frizzante della sera, prima di decidersi a bussare.
 Sentì le molle del divano cigolare, mentre probabilmente lui si alzava per aprire.
Sembrò sorpreso come la notte prima, quando le aveva aperto la porta in albergo.
“Ehy”
La salutò curioso.
“Ehy”
Gli rispose lei di rimando.
“Posso entrare?”
Chiese imbarazzata dato che lui continuava a fissarla senza dire niente.
Sembrò risvegliarsi alle sue parole e rendersi conto della situazione.
Annuì e si spostò di lato tenendo la porta per lasciarla passare.
Lei salì i tre gradini che precedevano l’entrata e lo raggiunse sulla soglia.
Per un attimo fu così vicina da sentire il suo odore.
Capì che aveva fumato da poco, ma l’odore di tabacco lasciò comunque trapelare una piccola traccia del suo profumo.
A Jen piacque.
Il suo profumo la faceva sentire al sicuro.
Ci aveva pensato quella mattina, tra una scena e l’altra.
Forse era una stranezza psicologica, una specie di ‘imprinting’ post traumatico.
Forse lei associava il suo profumo al fatto di sentirsi sicura, protetta, perché lui l’aveva salvata da quello psicopatico.
Era stato lui.
Nessun altro.
Forse ogni volta che sentiva il suo profumo nei paraggi, la sua mente rielaborava la cosa, trasmettendole un senso di pace e sicurezza.
Colin chiuse la porta e Jen si guardò intorno, esattamente come aveva fatto nella sua camera d’albergo.
Studiò l’interno del suo camerino curiosa e vide che c’era molto più di lui in quei pochi metri quadri, che nella stanza in cui dormiva.
“Suoni?”
Chiese colpita notando la custodia di una chitarra sul pavimento, accanto al divano.
Lui sorrise, sembrava in qualche modo felice di toccare l’argomento.
“Si, ma non sono molto bravo..”
“Mh..”
Fece criptica lei.
“.. può essere.. ci sono molte cose in cui non sei bravo, per esempio nel rispettare le regole”
Corrugò la fronte curioso, chiedendosi a cosa la ragazza stesse alludendo.
Jen capì che era in alto mare.
“Ti avevo già detto che non si può fumare qui..”
Lui scosse la testa testardo.
“E’ il mio camerino, ci faccio quello che voglio”
“Ok, concesso”
Sentenziò lei fingendo un tono da giudice di corte.
“Comunque, che ci fai ancora qui?”
Le domandò lui cambiando discorso.
“Oh..”
Jen si sedette sul divano.
Lo fissò e gli rispose.
“.. Cercavo un passaggio, ma Josh e Ginny sono già andati via.
Ho provato con Sarah e Jamie ma non sono riuscita a beccarle in tempo. Cosi sono tornata indietro per prendere il telefono e chiamare un taxi, ho visto la luce nel tuo camerino accesa e così…”
Lasciò la frase in sospeso, perché ormai il senso era chiaro.
“Quando vuoi”
Disse lui semplicemente, prendendo le chiavi e la giacca.
“Andiamo”
Uscirono mentre lui chiudeva la serratura.
“Vado a prendere la borsa, torno subito”
Disse lei raggiungendo il suo di camerino.
Tornò in meno di tre minuti.
Montarono entrambi in sella e partirono.
Il viaggio fu sereno e tranquillo.
Dopo una giornata di lavoro, non c’era spazio per i sorpassi, la velocità e l’adrenalina.
Tutto ciò che cercavano era un po’ di relax.
Colin sembrava stare bene, ma in qualche modo, Jen sapeva che qualcosa non andava.
Lo notò anche nel modo in cui guidava, in cui stringeva i manubri quasi a volerli strangolare.
Un modo per scaricare lo stress?
Distratta dai suoi pensieri, non si accorse che erano appena arrivati davanti a casa sua.
La sera era calata totalmente su LA, in lontananza si scorgevano striature violacee nel cielo, confondersi col blu scuro.
Jen scese, si tolse il casco, lo guardò.
Non sapeva come dirglielo, ma lo fece comunque.
“Ti va di .. entrare?”
Anche lui si era tolto il casco per salutarla.
La guardò come se non avesse sentito bene la domanda.
Era chiaro che l’aveva colto di sorpresa.
Tuttavia, la risposta lasciò Jen totalmente basita.
“Mi spiace, non posso”
Ebbe l’improvvisa voglia di colpirlo con qualcosa e fargli male.
C’era qualcosa nella sua risposta che la infastidiva, la faceva sentire.. frustrata.
Al diavolo la privacy, lei doveva, sentiva, di dover sapere il perché.
“E’ successo qualcosa?”
Lui abbassò lo sguardo e si grattò la guancia a disagio.
“No.. è solo che devo andare in un posto”
“Dove?”
Chiese lei subito.
Di nuovo lui arretrò inquieto.
Non lo fece  solo fisicamente, ma anche mentalmente.
Stava alzando dei muri, la stava allontanando.
Ora Jen aveva la prova che Colin le stava nascondendo qualcosa.
Lui infatti, non rispose.
Non aveva una scusa pronta, una bugia adatta.
“Ok..”
Sospirò lei cercando di calmarsi.
Strinse il casco come a volersi fare forza e fece un passo verso di lui che era seduto sulla sua moto.
Colin sembrò sorpreso da tanta vicinanza ma non arretrò.
Non questa volta almeno.
“.. so che c’è qualcosa che non vuoi dirmi e forse avrai anche le tue ragioni, ma volevo dirti che puoi fidarti di me. Puoi dirmelo, io.. non ne parlerò con nessuno..”
lui abbassò lo sguardo, Jen marcò la dose.
“.. ieri notte ci siamo promessi di essere.. amici e farsi delle confidenze è proprio quello che gli amici fanno.”
Capi che le sue parole gli avevano fatto incredibilmente piacere.
Forse aspettava un discorso del genere da tempo.
Jen si sentì un po’ stronza.
“Mi fido di te.. ma questo non ha nulla a che vedere con la fiducia.”
Ora era lei ad essere in alto mare.
“E che cos’è allora?”
Forse qualcosa nel suo sguardo, convinse il ragazzo che lei non avrebbe mollato.
Perciò alla fine si arrese e glielo disse.
“Mi hanno chiamato dalla centrale di polizia, devo presentarmi da loro per un interrogatorio”
“Oddio.. che hai fatto?”
Serrò le labbra e non rispose, mentre notava l’espressione di Jen mutare man mano che arrivava alla risposta da sola.
“E’ per me? Per quello che è successo con quel.. ragazzo?”
Lui annuì.
“Voglio venire con te”
Fece lei decisa.
“No”
Replicò lui secco.
Lei gli lanciò uno sguardo di sfida, lui contraccambiò.
Cos’era, suo padre?
Non stava a lui decidere.
“E’ una cosa che mi riguarda, voglio, devo esserci”
Lui protestò  ma lei lo ignorò infilandosi il casco e montando nuovamente in sella.
“Parti”
Gli urlò aggrappandosi a lui.
Di nuovo Colin, si arrese alla sua testardaggine.
 
 
Essere nella sala d’attesa della centrale era l’ultima cosa di cui aveva bisogno.
Ricordava quell’orribile notte di due giorni prima, quando era stata costretta per ore a raccontare ciò che era successo.
Ricordava lo stordimento, il voler dimenticare tutto subito e lasciarsi dietro quella brutta esperienza.
Ricordava le domande capillari dell’agente che la stava interrogando, il tono infastidito di Seb quando gli chiedeva se era necessario scavare nel minimo dettaglio.
Ormai il colpevole era stato preso.
Perché accanirsi?
Tamburellava nervosa le gambe, man mano che i minuti passavano, il nervosismo crebbe a tal punto che prese anche a tormentarsi le mani.
 
 
Le lancette sul grande orologio bianco in sala d’attesa scorrevano lente.
Sembrava che il tempo non passasse mai.
Non era solo una sensazione, ma un dato di fatto.
O almeno era quello che Colin pensava.
Era seduto al suo fianco, mentre cercava di mantenere una calma apparente, la stessa che aveva mantenuto per tutto il giorno.
Lei invece era palesemente agitata.
Sapeva ciò che quel luogo le ricordava, sapeva che lei voleva solo andare avanti.
Era il motivo per cui non voleva portarla lì.
Perché costringersi a rivivere tutto senza alcun motivo?
Oltre che testarda, Colin aggiunse anche il termine ‘masochista’ alla lista.
Sentì la sua ansia crescere nel momento in cui prese a ticchettare più forte le gambe e a tormentarsi le mani.
Mise una mano sulla sua gamba agitata, per tranquillizzarla.
Lei si fermò all’istante, guardandolo.
“Va tutto bene”
Le disse.
Lei annuì fingendosi serena.
Voleva apparire padrona della situazione ma era chiaro che non lo era affatto.
“Lo so”
Rispose.
Colin sorrise divertito.
“In questo momento sei una pessima attrice”
Le sussurrò lui.
“Vaffanculo”
Replicò lei con lo stesso tono basso.
Lui rise.
“Quanto mi era mancato..”
Il loro piccolo momento di pace fu interrotto dall’agente che si occupava del caso.
Uscì dal suo studio chiamando il suo nome.
“Signor O’Donoghue, la prego mi segua..”
Colin si alzò, Jen fece altrettanto.
Più che altro scattò come uno di quei pupazzi a molla.
“Vengo anch’io”
Il poliziotto la osservò con più attenzione.
“Lei è..?”
Cercò di ricordarsi il suo nome, Jen gli andò in aiuto.
“Jennifer Morrison, la… vittima”
Un po’ di gergo poliziesco lo conosceva anche lei.
“Va bene, può venire anche lei allora”
Sentenziò l’agente facendo strada verso il suo ufficio.
Una volta dentro, chiuse la porta ed entrambi ebbero la sensazione di essere topi in gabbia.
“Allora..”
Cominciò l’uomo sedendosi alla scrivania e osservando i fascicoli del caso.
Colin lo studiò con più attenzione
Era un uomo sulla cinquantina, paffuto e con un viso che forse sapeva essere rassicurante o intimidatorio a seconda dei casi.
Lesse sul cartellino della divisa il suo nome: ‘Agente Chamberlain’.
“… mi racconti cos’è accaduto quella sera.
Cominci dal principio.”
Lo fece.
Colin gli raccontò di essere andato a cercarla, di aver sentito delle voci provenire dal suo camerino e di aver capito subito che c’era qualcosa che non andava.
Aveva spiato dalla finestra aperta della roulotte di lei e l’aveva vista mentre cercava di far ragionare il giovane che le puntata una pistola contro.
Aveva atteso in silenzio, mentre cercava un modo per intervenire senza mettere nessuno in pericolo.
Ma poi l’atteggiamento del giovane era divenuto insostenibile e pericoloso e lui era stato costretto a non badare alla prudenza e ad agire.
“E questo suo intervento ha richiesto parecchie lesioni e la rottura del setto nasale del giovane?”
Chiese Chamberlain spietato.
Colin ricordò di aver  perso il controllo e di aver volutamente fatto del male al ragazzo.
La sua mano recava ancora i segni di quel momento.
“Il ragazzo era armato, mentre cercavo di metterlo al tappeto è partito un colpo.. è stata legittima difesa”
Si giustificò lui ostentando sicurezza.
Con la coda dell’occhio notò Jen seduta al suo fianco, le mani strette alle ginocchia così tanto, che le sue nocche erano bianche.
“Può essere… ora bisogna chiarire qual è il suo concetto di legittima difesa..”
Colin non riusciva a capire a cosa alludesse il poliziotto.
Sapeva che c’era qualcosa sotto.
“.. mi dica signor O’Donoghue, è spesso un soggetto incline ad atteggiamenti distruttivi verso gli altri?”
“Come prego?”
Non si aspettava affatto una domanda del genere.
Chamberlain lo guardò a lungo in viso, sembrava studiarlo.
Colin ricambiava lo sguardo, ma era certo di essere piuttosto nervoso.
Dopo un eterno silenzio in cui rischiò di perdere la testa (forse quel silenzio era un test di resistenza per gente pazza?), l’agente prese un fascicolo e lo aprì.
“Di solito facciamo controlli incrociati almeno una volta al mese, sa.. è la procedura per stilare le statistiche sulla criminalità in città… e casualmente, ci siamo resi conto che il suo profilo è molto simile a quello di un altro caso..”
Trattenne il fiato così a lungo che sentì male ai polmoni.
Jen si agitò irrequieta al suo fianco, lo guardò e per un attimo si chiese se per caso lei stesse cambiando idea su di lui.
Se per caso il loro rapporto e quell’equilibrio precario da poco stabilito, stava per andare a farsi fottere.
“Vedo che non ne ha proprio idea, perciò le mostro questo..”
Chamberlain prese un foglio dal fascicolo e lo mise sul tavolo.
Era una foto stampata di una telecamera di sicurezza esterna.
A Colin bastò un attimo per capire.
Era fuori dal bar di Bill, la sera in cui aveva reclutato quel ragazzino per spaccare letteralmente la macchina di Jon così da avere un pretesto per mandarlo via e impedire a una Jen piuttosto ubriaca, di fare una follia di cui si sarebbe pentita per sempre, con lui.
Chamberlain mise sul tavolo altri fotogrammi.
In un attimo, anche Jen avendo a disposizione il quadro completo della situazione, capì.
Spalancò la bocca incredula e si poggiò completamente contro lo schienale della sedia, come se cercasse di non cadere.
Colin osservò le foto, ovviamente l’immagine non era delle migliori e solo un fotogramma sembrava svelare dettagli particolari del suo volto.
Gli altri invece, erano così sgranati e pieni di imperfezioni, che quella figura scura ritratta, poteva essere chiunque.
“Allora signor O’Donoghue?”
Chiese Chamberlain studiando ogni minimo cenno del ragazzo.
Lui alzò la testa da quelle foto e lo fissò fiero in volto.
“Non so di cosa sta parlando, agente..”
Chamberlain annuì, come se si aspettava una risposta simile.
Chissà quante volte al giorno udiva quella frase.
Tolse velocemente le foto dalla scrivania e poi chiese:
“Può dirmi dov’era la sera del..”
Lesse la data e l’ora da uno dei fotogrammi.
Colin cercò velocemente una scusa, ma Jen fu più veloce di lui.
“Con me”
Disse con semplicità.
Accavallò le gambe, raddrizzò la schiena e guardo con sicurezza l’uomo al di là della scrivania.
Colin capì che lei si era perfettamente calata nella parte.
C’era da fingere adesso e lei era maledettamente brava a farlo.
“Era con me, agente…”
Abbassò la voce mentre guardava con un sorriso sensuale il petto dell’uomo dove c’era il suo cartellino distintivo.
“… Chamberlain”
Il poliziotto non fu più del tutto indifferente come poco prima.
Jen l’aveva ammaliato, stava continuando a farlo, guardandolo con sensuale ed educata curiosità.
“E..”
Un colpo di tosse, Chamberlain si schiarì la voce distogliendo lo sguardo dal volto di lei.
Pessima scelta, più in basso c’erano le sue tette.
A disagio, tornò a guardare il fascicolo.
“E.. può dirmi dove eravate quella sera, signorina Morrison?”
“A casa mia, in effetti c’è anche un aneddoto buffo..”
Rise, una risata cristallina e volutamente frivola.
Si sbilanciò sulla sedia così da catturare nuovamente l’attenzione del poliziotto mentre si aggiustava i capelli.
Chamberlain restò nuovamente stregato.
“.. vede agente, la mia vicina ha un cane, un piccolo pincher di razza.. e mi creda, quel cane è una vera peste. Era in vacanza quei giorni, così l’ha lasciato a me.. per occuparmene sa, e quella sera era scappato via.. incredibile, l’avevo perso di vista solo un attimo.. solo uno e al mio ritorno in cucina non c’era più.. così ho chiamato Colin per aiutarmi a cercarlo e…”
Rise di nuovo, Chamberlain non poté fare a meno di notare come il suo petto si alzasse e abbassasse mentre rideva.
“… ovviamente lui è corso subito da me, ma solo perché pensava che trovare il cane fosse solo una scusa per..”
Colin deglutì stupito mentre lei si inclinava col busto verso Chamberlain con uno sguardo molto confidenziale.
“… beh… ha capito no?”
Mio dio se ci era caduto nella sua trappola.
Chamberlain era completamente andato.
Ipnotizzato.
Colin sentì un senso di fierezza e ammirazione feroce crescere in lui, mentre osservava rapito ed entusiasta, il modo in cui lei lo stava tirando fuori dai casini.
“Ehm.. ehm”
L’agente tossì riprendendo il controllo del suo corpo.
“Si, mi è abbastanza chiaro”
“Allora se non c’è altro agente Chamberlain..”
Cinguettò Jen.
“:… siamo liberi di andare?”
Si morse un labbro fingendosi una brava ragazza educata e rispettosa dell’autorità e Chamberlain si concentrò particolarmente sul modo in cui i denti della donna pizzicavano il suo labbro inferiore.  
“Si”
Replicò l’agente ormai fuori controllo.
Era chiaro che volesse liberarsi di loro perché non avrebbe retto a lungo.
Jen si alzò, Colin ancora scosso e rapito, fu più lento.
La donna salutò il poliziotto con uno dei suoi miglior sorrisi e uscì dall’ufficio.
Colin la seguì, chiudendosi dietro la porta totalmente meravigliato.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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