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Autore: coldmackerel    22/08/2015    5 recensioni
Levi/Eren | Hospital AU
Una commedia sull'essere morti.
Levi, finalmente, torna a lavorare come infermiere dopo essersi ripreso da un incidente d'auto che l'aveva quasi ucciso. Non c'è niente di meglio a darti il 'bentornato' quanto il realizzare di aver perso la testa e riuscire a vedere gli spiriti dei pazienti comatosi del reparto sei. Così, si trova, controvoglia, ad aiutarli a imparare a vivere da morti. Eren, l'ultimo paziente dell'ala sei, ha sei mesi per imparare ad essere morto. Buona fortuna, ragazzo.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eren Jaeger, Rivaille, Un po' tutti
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti! Qui Seth, la traduttrice. So che torno quando iniziavate a darmi per morta, ma (s)fortunatamente per voi non è così. Purtroppo per tutto luglio ho avuto troppo da fare tra università ed ospedale (per il motivo che vi ho raccontato l'ultima volta) mentre ad agosto si sono messi una bella crisi di nervi, l'ospedale e un'altra cosa che non aggiornavo da 2 mesi e di cui dovevo veramente occuparmi, a farmi rimandare ancora la traduzione. Ma ci sono e ho assolutamente intenzione di continuare, anzi, possibilmente anche di aggiornare il più possibile fino a quando sarò in vacanza. Adesso è l'una del mattino e non conto di pubblicare prima di un'altra lunga rilettura del capitolo, però dai prossimi giorni cercherò di iniziare a mettermi finalmente in regola con i commenti, che ho vergognosissimamente ignorato fino ad adesso. Sono pessima, ma farò del mio meglio per farmi perdonare. Grazie davvero tantissimissimo a tutti per il supporto e godetevi questo splendido capitolo! Buona lettura!
SULLA TRADUZIONE: possibili errori di battitura + spero di non aver scritto stupidaggini quando vengono fatte delle descrizioni musicali, quelle parti sono difficilissime da tradurre per me perchè contengono un sacco di termini tecnici che non so come esprimere in italiano e mi danno un bel da fare... se qualcuno nota errori in questo ambito e me li vuole segnalare sarò più che felice di modificare!


The 6th ward
CAPITOLO 20: Avvocati e Bourbon

1 mese, 22 giorni

“Il testimone dello stato è presente. Il medico supervisore è presente. Il testimone dell’ospedale?”

“Qui.” disse Levi, alzando debolmente una mano per farsi riconoscere.

L’avvocato annuì, firmando diversi documenti e rovistando tra le pile di scartoffie piene di incomprensibili tecnicismi legislativi. Il procedimento per Annie, Bertholdt e Reiner fu molto più formale delle precedenti morti a cui aveva assistito. Nonostante ciò, nei giorni precedenti, il reparto sei era stato in una sorta di buon umore. Era ovvio che i tre pazienti in mano allo Stato fossero in qualche modo sollevati dalla decisione presa dal giudice, e quindi gli altri avevano semplicemente deciso di assecondarli. Tutti i documenti erano stati compilati, e una donna con lo sguardo severo, fasciata in un tailleur elegante e con appesa alla spalla una ventiquattrore firmata, era comparsa davanti a loro per controllare che Erwin staccasse la spina ai tre. Levi era lì come testimone dell’ospedale, Erwin era il medico supervisore e l’avvocato era il testimone dello stato. Tutto era decisamente in ordine.

Connie, Sasha ed Eren erano in piedi vicino ai tre, come se stessero tutti aspettando che iniziasse una cerimonia formale di laurea. Ed era un po’ come se fosse veramente così, perché Reiner, Bertholdt e, in un certo senso anche Annie, sembravano speranzosi e impazienti di finire in fretta. L’unica cosa che non permetteva di rendere il tutto ancora più simile ad una laurea venuta male era la mancanza di tocco e toga. Era davvero l’unico dettaglio che mancava. Be’, quello, e la capacità di far battere il proprio cuore senza una macchina.

“Presenza di conoscenti o relativi?”

Erwin alzò un sopracciglio all’avvocato. “Di cosa?”

Stringendo le labbra con condiscendenza, la donna chiarì: “Ci sono degli amici dei pazienti presenti per offrire la loro testimonianza?”

Levi alzò di nuovo la mano. “Qui.”

La donna in divisa gli lanciò uno sguardo fulminante. “Lei è un testimone dell’ospedale, signore.”

“E un amico.” insistette Levi, guardando male quella persona scostante.

“Ah, è così?” mormorò lei retoricamente. “Molto bene. Può iniziare secondo orario.” aggiunse, rivolgendosi ad Erwin e guardando l’orologio al suo polso.

Levi imitò l’azione, guardando il proprio orologio e scoprendo che mancavano quattro minuti allo scatto dell’ora. “Quattro minuti.” annunciò. Erwin gli lanciò uno sguardo stranito, perché anche lui aveva un orologio. Ma i mocciosi no.

Senza fregarsene di cosa avrebbero pensato gli altri, Levi parlò verso la parte apparentemente vuota della stanza: “Qualcosa che dobbiamo sapere prima che tiriate le cuoia?”

Erwin sembrava perplesso, ma decise che fosse meglio tenere la bocca chiusa. L’avvocato sbuffò impazientemente, fissano lo sguardo fuori la finestra.

“Sì,” disse Reiner con sicurezza. “Devo solo dire al numero 44, l’attaccante Richards, che è il suo stato un gran placcaggio.” rise amichevolmente. “Un vero onore.” aggiunse, alzando la mano come se avesse un bicchiere con cui brindare al giocatore che lo aveva messo al tappeto per sempre.

Berthold fece spallucce con fare contento. “Non sono mai stato bravo con queste cose. Ma è stato divertente,” disse. “Ci vediamo all’altro lato, magari?”

“Impossibile,” rise Connie. “Ma se vuoi vederci, batti un colpo all’inferno chiedendo di Springer e Blause.”

“E di Jaeger,” si intromise Eren. “Siamo realisti.”

Bertholdt strinse calorosamente le mani ai tre in successione, prima di abbracciarli velocemente. Con Levi, però, si limitò a dargli una pacca su una spalla, a cui seguì un flebile: “Grazie, Levi.”

Un solo angolo della bocca dell’infermiere si alzò a quell’espressione di gratitudine, e Levi rispose con un solo cenno del capo.

Dopo, fu il turno di Reiner di fare il suo giro, e questi, differentemente dall’amico, strinse ognuno dei pazienti rimasti in un abbraccio così stretto da essere doloroso, alzandoli da terra di un paio di centimetri, e guadagnandosi forti proteste da parte di Connie. Similmente a Bertholdt, però, a Levi diede una sola pacca sulle spalle e un cenno della testa, come ringraziamento.

Il tempo stava scorrendo. “Qualche ultima parola per noi, Annie?” scherzò Reiner.

Annie sorrise lievemente. “E’ stato bello, no?”

“Essere morta?” chiese Sasha criticamente.

Per la prima volta, Annie rise leggermente, ma con abbastanza forza da non farti pensare di essertelo immaginato. “Tutto,” sospirò lei. “Tutto è stato bello. E lo è ancora.”

Poi non disse altro, ma non fu in grado di nascondere il sorrisino che stava ancora distendendo i suoi lineamenti.

“Pensate a noi che saremo lassù, se è vero che c’è una vita nell’aldilà,” rise Reiner. “E se non c’è, be’, è stata una bella esperienza quella che abbiamo fatto insieme.”

Non fu pronunciata altra parola. Erwin spense i monitor di tutti e tre i pazienti in veloce successione e, nel giro di pochi secondi, fu come se non ci fosse mai stato nessuno lì. Sasha pianse un po’, e Connie la riprese per il suo comportamento da ragazzina, ma Levi sospettava che quelle non fossero lacrime di tristezza.

“Ah, lasciala in pace,” borbottò Levi non appena Erwin lasciò la stanza insieme alla donna impaziente, per chiamare lo staff dell’obitorio. “Aver accettato quello che è successo non significa che non ha il permesso di piangere.”

Connie fece una smorfia. Non riusciva a capire. Ma Sasha si asciugò le lacrime, con un sorriso di gratitudine sulle labbra. Levi rise a quella strana coppia. “Nessuno di loro ti ha chiesto di non piangere, Sasha. E nessuno ti ha detto di non essere triste.”

Avendo finalmente capito, Connie fece spallucce con aria di scusa. “Ah, come al solito dovresti aver ragione.” borbottò.

“Uh, Levi…” disse Eren improvvisamente, con un’espressione di panico sul volto. Stava gesticolando verso il suo naso.

Guardando in basso, l’uomo notò una serie di goccioline rosse cadere lentamente sul suo camice. “Ah, merda,” borbottò, alzando la mano per tamponare il flusso di sangue. “Cristo, perché cambia sempre orifizio!?” si lamentò nonostante lo scorrere del liquido incriminante rendesse il tutto più complicato. Rovistando tra i cassetti vicino ad uno dei letti, trovò un paio di garze impacchettate separatamente e le aprì tutte. Accartocciandole in una grande palla, le portò al naso, lasciando che il flusso terminasse il suo corso il più velocemente possibile.

“Metti la testa all’indietro.” suggerì Connie.

Levi gli lanciò uno sguardo furioso. “Potrei uccidermi così, idiota.”

“Wow,” rise Connie. “Per tutto questo tempo mia madre stava tentando di uccidermi, a quanto pare. Quando pensi di conoscere una donna…”

“Mi volete andare a prendere un asciugamano o no?” chiese Levi, sperando di far andare via i mocciosi. Lui odiava quando lo fissavano. Ma, sfortunatamente, solo Sasha e Connie corsero via, mentre Eren rimase, uno sguardo accusatorio sul suo volto preoccupato. “Ah, non iniziare moccioso.”

“Hai parlato con Hanji, vero?”

Levi alzò gli occhi al cielo. “Certo che l’ho fatto.” Non avrebbe mai ammesso che gli era completamente passato di mente. “E’ tutto a posto.” insisté.

“Sì, stai proprio alla grande.” lo sfidò Eren.

Levi lo guardò storto. “Be’ questo non sarebbe successo se – ” Ma fu interrotto da uno starnuto che diede fine alle sue lamentele, prendendolo completamente di sorpresa. In un orribile spettacolo della forza distruttiva di uno starnuto, Levi sputò sangue sul pavimento. “Cristo santo, dannazione.”

Gli occhi di Eren erano spalancati e il ragazzo si mise le mani tra i capelli, muovendole freneticamente. “Oh mio Dio, è disgustoso! Stai morendo?” Sembrava diviso tra l’essere mortificato e spaventato.

Il moccioso terrorizzato stava iniziando a far andare anche Levi in panico, sebbene lui sapesse che era stato solo uno starnuto. “Datti una calmata! Ho solo starnutito.”

Camminando avanti e indietro, Eren continuò a spettinarsi i capelli. “Credo che il tuo cervello ti sia appena uscito dal naso, Oddio credo che – ”

Levi fermò i suoi movimenti afferrandolo per il colletto della maglietta e costringendolo ad abbassarsi con la forza, in modo che fossero allo stesso livello, a solo pochi centimetri di distanza. “Eren,” disse tenebrosamente. Gli occhi del ragazzo erano sbarrati, ma tenne la bocca chiusa. “Chiudi quella boccaccia.” Annuendo, Eren rimase silente. “Ho solo starnutito mentre mi stava uscendo del sangue dal naso. Vammi a prendere altre fottute garze prima che arrivino quelli dell’obitorio e pensino che ho ammazzato qualcuno qua dentro.”

Finalmente in grado di riprendere il controllo, Eren cercò negli altri cassetti della stanza, tornando con le mani piene di pacchetti monouso di garze. Li aprì tutti, mettendoli insieme in modo da avere un bel po’ di tessuto per assorbire il sangue. Levi stava per prenderselo, quando Eren scostò la sua mano, afferrandogli il mento in una rara espressione di forza, e mantenendo lui ferme le garze. Levi gli lanciò uno sguardo scocciato, ma Eren non fece altro che fissarlo con lo stesso astio. Questa volta non l’avrebbe avuta vinta.

Dopo quasi un minuto di silenzio, Eren chiese piano: “Vuoi che controlli sotto il letto per assicurarmi che qualche parte del tuo cervello con sia finita lì?”

Era un’affermazione così stupida che Levi sbuffò divertito nella garza, facendo indietreggiare schifato il ragazzo. “Che schifo Levi. Dio, smettila.”

“Sei tu che ha iniziato.” rispose l’infermiere, con la voce comicamente nasale.

“Sei sicuro di stare bene?”

Puntando i suoi occhi in quelli verdi e inspiegabilmente ipnotici di Eren, Levi decise di fare finta. Era facile mentire al ragazzo. “Sì, Hanji ha detto che è normale.” Be’, non l’aveva ancora fatto – ma lui aveva intenzione di sentirglielo dire presto. Non era proprio una grossa bugia.

Sembrando soddisfatto dalla risposta, Eren lasciò il mento di Levi, permettendogli finalmente di tenersi la garza da solo. Il sangue aveva quasi smesso di scorrere quando piombarono nella stanza Connie e Sasha con le braccia piene di carta igienica. “Non riuscivamo a trovare un asciugamano.” farfugliò Sasha, porgendo un groviglio di carta igienica ai due.

“Questo è tutto quello che abbiamo trovato.” concluse Connie.

Levi strinse gli occhi. “E’ il mio naso che sta sanguinando, non il mio culo. Dove diavolo eravate?”

Gli occhi di Sasha si spalancarono: “Hai una sola idea di quanto ci voglia a srotolare tre interi rotoli di carta igienica?”

Eren sembrava sbalordito. “Perché non li avete semplicemente portati interi?”

Connie e Sasha si scambiarono una lunga occhiata di pentimento.

“Lasciatemi morire qui,” disse Connie cupamente, lasciando cadere la pila di carta igienica sul pavimento. “Ho appena superato il limite di stupidità umana. Ora ci possiamo ritirare, Sasha. Niente di quello che faremo d’ora in poi sarà mai stupido come quello che di cui abbiamo dato prova in questo momento.”

“Non ti permettere di far ridere di nuovo Levi,” lo avvertì Eren, cercando di trattenersi a sua volta. “E’ fottutamente disgustoso.”

“Ehi! Io non ti ho chiesto nulla,” obbiettò Levi. “Fatti i fottuti affaracci tuoi.”

Era troppo tardi, però. Tutti e tre i mocciosi erano distratti dalle proprie risa.





1 mese, 20 giorni

Eren stava migliorando molto. Ogni volta che si sedeva davanti al bellissimo Steinway di Levi, il susseguirsi delle note diventava più solido, ogni crescendo più emozionale, e le flessioni nell’armonia della melodia più piacevoli. Levi non era mai stato un grande fan della musica classica, ma ascoltare Eren suonare non era poi così male. Alcune sere l’uomo si sedeva al piano per ore, strimpellando vari pezzi di jazz uno dopo l’altro, cambiando il ritmo e partendo di nuovo come in una conversazione con sé stesso, ma la maggior parte delle sere, Eren lo cacciava dallo sgabello e si esercitava in varie sonate e studi, come era consigliato a tutti i musicisti classici. Levi aveva un sacco di spartiti, anche se non ne aveva mai suonato nessuno, e ad Eren bastava quello per fare pratica. Altre sere ancora, quando Eren stava suonando, Levi si sedeva comodo sul vecchio divano di pelle, mormorando qualche piccola critica o dei consigli costruttivi mentre beveva un po’ troppo. I consigli erano tutti abbastanza buoni, almeno fino a quando – se lo faceva – non arrivava al sesto o settimo drink.

La maggior parte delle volte, comunque, finiva per addormentarsi sul divano mentre aspettava che Eren ci desse un taglio con la musica, e, ogni volta, si svegliava con una coperta addosso e le luci spente. Era un peccato che Eren non avesse mai potuto permettersi un vero insegnante, ma Levi era segretamente preoccupato che degli insegnamenti accademici avrebbero rovinato l’emozione nuda e cruda dell’interpretazione che Eren dava a quella che normalmente era banale musica.

“Ragazzo, vai più piano quando fai quella scala, così perdi tutto il suo fascino,” biascicò Levi dal divano. “Non c’è bisogno di essere così fottutamente arrabbiato in ogni cosa che suoni.”

Eren staccò le mani dalla tastiera come se avesse in qualche modo recato danno alla musica. “Oh, ah, giusto.” E così partì di nuovo, ripetendo il passaggio, ma seguendo il consiglio di Levi di suonarlo più gentilmente.

“Sì, molto meglio,” disse Levi, annuendo alla ripresa della melodia. “Tieniti per il prossimo movimento. Lì puoi essere arrabbiato.”

E così, Eren si trattenne per la parte successiva. Levi non si alzava mai dal divano quando il ragazzo stava suonando, né lo ascoltava con particolare attenzione, ma la musica, stavolta, era sorprendentemente furiosa. L’uomo si girò verso l'altro con curiosità, occhieggiando il moccioso di schiena. Le spalle di Eren erano tese e lui continuava ad alzarsi leggermente dalla sedia tale era la ferocia con cui stava premendo le dita sulla tastiera.

“Ehi! Datti un calmata ragazzo!”

Eren si fermò improvvisamente, consapevole di stare maltrattando il pianoforte. Dopo un momento di teso silenzio, il giovane si lasciò cadere sulla tastiera, al punto che la sua fronte premette contro alcuni dei tasti, creando un dissonante accordo di note in completa disarmonia tra loro.

“Che ti viene?” chiese Levi, alzandosi dal divano.

“Brutta giornata.” borbottò Eren con aria abbattuta, la fronte ancora posata sulla tastiera.

Facendosi strada verso il piano, Levi si poggiò svogliatamente contro lo strumento.

Fantastico.

Emozioni.

Forse se non avesse chiesto ad Eren perché era una giornata no, il ragazzo avrebbe lasciato stare.

“Prima sono venuti a trovarmi Mikasa ed Armin. Le mie spese mediche li stanno distruggendo. Senza il mio guadagno da operaio sono fottuti. La mia assicurazione sulla vita era una merda.”

Be’, perlomeno non ci era voluto molto per farlo parlare. “Come mai non sei coperto da un’assicurazione per il lavoro?” si chiese Levi.

“Non avevo il mio fottuto casco protettivo in testa,” grugnì Eren. “Ergo, non è un problema loro.”

Levi pensò alla situazione in maniera pratica. “Be’, lo sai cosa si dice sulle assicurazioni: è una scommessa sul se spenderai molti più soldi di quanti ne vedrai mai tornare.”

Eren sbuffò divertito. “E che succede se muori giovane?”

“Hai vinto.”

Eren tolse la fronte dalla tastiera, cogliendo Levi abbastanza di sorpresa quando vide le lacrime di rabbia che gli rigavano il volto. Però, il ragazzo stava comunque sorridendo leggermente alla sua battuta, e la rabbia sembrava stare diminuendo. “Che schifo.” disse Eren scocciato.

Levi non rispose, ma lo spinse più in là sullo sgabello, per sedersi al suo fianco, mentre si arrotolava le maniche della camicia. Poi, si immerse in un ritmo jazz semplice, con cui era facile improvvisare e che era utilizzato da un sacco di novellini nel campo del blues. Poi guardò verso Eren. “Suona qualcosa.”

Un altro po’ di frustrazione sembrò dissiparsi dal volto di Eren. “Eh?”

“Io tengo il ritmo, tu suoni,” disse Levi impazientemente, continuando a suonare la base che aveva scelto. “Basta con questa roba classica. E’ ora di iniziare a fregartene di tutto e di tutti.” mormorò.

Con molta concentrazione, Eren studiò il movimento delle mani di Levi mentre strimpellavano l’accordo base un paio di volte, memorizzandone il ritmo. Dopo un po’, suonò tentativamente un paio di note che andavano bene con la progressione di Levi, prima di lasciarsi andare ad un’improvvisazione semplice. All’inizio suonava infantile e un po’ impacciata, ma dopo un paio di prove, Eren riuscì a entrare in contatto con il motivo della melodia e ad ottenere una buona performance. A Levi non piaceva duettare, ma per una volta lasciò correre.

“Ah, forza,” ridacchiò Levi. “Questo è tutto quello che sai fare?”

Eren aggrottò le sopracciglia un po’ infastidito, ma non tardò a inserire nella sua improvvisazione dei riff più veloci e dei giri di fase più complessi. Così era molto meglio. “Lo dici solo perché tu hai la parte facile, vecchio.” borbottò.

“Quando sei vecchio, te lo sei guadagnato il compito facile,” rise Levi, cercando di ingentilire il ritmo di base. “Va bene, chiudi alla fine di questo movimento, eh?”

Così, alla loro ultima sequenza, accompagnato dalla ripetizione di accordi di Levi, Eren si lasciò andare ad un bell’arpeggio che terminò in un eccezionale, ma inaspettato, accordo. Senza fare commenti, Levi si diresse in cucina. Purtroppo aveva finito il liquore, quindi avrebbe dovuto accontentarsi di un bicchiere d’acqua. O forse no, c’era ancora un po’ di vecchio bourbon non finito. Lo versò fino all’ultima goccia in un bicchiere – era quasi un drink e mezzo – e poi si voltò per tornare sul divano, ma non prima di aver bevuto più della metà del liquore in un sorso. In qualche modo, intanto, il moccioso lo aveva raggiunto, e quando Levi si girò, finì per scontrarsi contro Eren con un grugnito sorpreso, quasi rischiando di rovesciare il poco alcool che gli era rimasto.

“Gesù Cristo, Eren – ” iniziò a dire, ma Eren alzò gli occhi al cielo e afferrò Levi per la collottola per chiudere la distanza tra le loro labbra.

Onestamente non fu male. Eren lo baciò con forza e sorprendente sicurezza, lasciandogli ben poco tempo per guadagnare anche solo un po’ di controllo sulla situazione. Sfortunatamente, però, durò troppo poco. Quasi subito dopo che Levi era stato tirato per il collo della camicia, era stato anche spinto leggermente all’indietro. Eren stava scuotendo sdegnatamente la testa verso di lui. “Ovviamente sai di liquore. Che sorpresa!” sospirò, girandosi per uscire dalla cucina. “Scusa se ti ho preso alla sprovvista,” disse poi casualmente, ritornando al pianoforte. “Sapevo che tu non l’avresti mai fatto.” aggiunse.

Levi rimase lì impalato come uno stupido, stringendo il bicchiere quasi vuoto che aveva in mano. Il suono della sonata per pianoforte di Bach ricominciò a riecheggiare nel suo salotto, mentre lui replicava nella sua mente quello che era appena successo.

Be’, era stato strano.

Finendo il suo ultimo sorso di bourbon, Levi lasciò il bicchiere nel lavandino per poi tornare al suo posto sul divano, stavolta senza essere assalito da Eren nel processo. “La tua interpretazione dei mezzo forte di Bach fa schifo.” disse amaramente, lasciandosi cadere sul divano.

Eren sbuffò. “Come se avesse qualche importanza.”

“Tu invece sapevi di persona morta.” rispose Levi, come se fosse un bambino. C’era qualcosa nel fatto che Eren disapprovava le sue bevute un po’ troppo frequenti, che lo faceva imbestialire.

Con le spalle che gli tremavano a causa delle risa trattenute, Eren continuò a rimanere rivolto verso la tastiera. “Non ho detto che non mi è piaciuto.” disse.

Levi guardò male la schiena di Eren. Lo sborone non si degnava neanche di girarsi. “Sì, neanche io l’ho detto.”

“Avresti dovuto vedere la tua faccia.” rispose Eren ironicamente, senza smettere di suonare la sonata su cui stava facendo pratica.

Dannazione.

“Suona la tua stupida musica,” lo aggredì Levi. “E’ tremenda.”

“Credo sia arrivata l’ora di andare a letto,” rispose Eren seriosamente. “Diventi scontroso dopo la mezzanotte.”

Levi non rispose, ma fece la cosa peggiore possibile dopo rispondere, che voleva dire addormentarsi sul fottuto divano come se fosse veramente arrivata l’ora della nanna. Come al solito, si risvegliò con una coperta, ma, abbastanza stranamente, quando aveva aperto gli occhi, Eren stava suonando un motivetto jazz, anzichè uno dei soliti pezzi classici. Controllando il suo orologio, Levi fu sorpreso di scoprire che erano passate le tre del mattino. Ora che Eren era in grado di dormire, non stava quasi mai in piedi per molto tempo, dopo che Levi si era addormentato.

“Questo suona molto meglio ragazzo.” sbottò intontito l’uomo, dal suo posto sul divano.

“Non riesco a dormire,” spiegò Eren, rispondendo ad una domanda che non gli era stata posta. “Scusa se ti ho baciato in cucina.” aggiunse, in un ulteriore riflessione.

Levi fece un sorrisetto. “Non ti preoccupare. La prossima volta avvisa, okay?”

“Mi dispiace.” ripeté stupidamente Eren.

“A me no,” ridacchiò Levi. “Ora mettiti a dormire.”

“Hai intenzione di rimanere sul divano?” chiese Eren timidamente, con una nota di imbarazzo nella voce.

“Preferisci così?”

Girandosi verso di lui, Eren cercò di trattenersi dal rispondere “No.”, ma fallì miseramente.

Dannazione. Il divano era veramente comodo. Con un mezzo borbottio per lo sforzo, Levi si alzò dal divano per andare a letto, seguito poco dopo da Eren. Nessuno dei due era veramente sicuro su come e quando quell’arrangiamento bizzarro fosse diventato un’abitudine consolidata, ma è difficile tornare a dormire da soli quando ti sei abituato alla presenza di qualcuno – anche se questo qualcuno è fottutamente gelido e ti si attacca addosso come una piovra.

“Però credo che tu mi abbia convertito al bourbon, perlomeno.” mormorò Eren in una leggera, sospirata risata ad accompagnare la sua battutina.

“Hai quattro secondi per addormentarti prima che ti butti giù dalla finestra.”

   
 
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