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Autore: Bellamy    22/08/2015    1 recensioni
La battaglia tra i Cullen e i Volturi termina in maniera inaspettata: i Cullen perdono, Edward e Bella si uniscono alla Guardia di Aro e Renesmee perde la memoria. I pochi mesi di vita vissuta da Nessie vengono spazzati via.
Dopo quasi un secolo, Aro invita Renesmee a Volterra.
Genere: Malinconico, Suspence, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Nuovo personaggio, Renesmee Cullen, Volturi | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Breaking Dawn
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Il sole picchiava forte nelle mie palpebre, aprii febbrilmente gli occhi e vennero attaccati dalla luce abbagliante del sole che filtrava dalla finestra vicina al letto. Repressi un lamento e ficcai il mio volto nel cuscino morbido e caldo borbottando parole. Chiusi gli occhi e mi riaddormentai.
 
Fui svegliata da uno spasmo improvviso che ebbe inizio dal mio cervello e si espanse in tutto il mio corpo come un elettroshock o da un defibrillatore usati senza nessun preavviso e motivo.
Col fiato corto mi misi a sedere. Accaldata mi guardai attorno, ero sola ovviamente, tutto sembrava apposto. Il silenzio pesante avvolgeva tutto il palazzo. L’orologio segnava le cinque del pomeriggio. Avevo dormito così tanto? Nessuno eravenuto a cercarmi?
Mi stropicciai gli occhi, il sonno fu pesante quanto un mattone e freddo come il ghiaccio.
Sentivo caldo, i capelli appiccicati alla fronte, ero ancora vestita di tutto punto.
Mi sentivo oppressa, toccata, osservata e non ne capii il perché. Forse era per qualcosa che sognai ma che non ricordavo. Anzi non ricordavo proprio cosa sognai quella notte ma non credevo fosse niente di diverso dai soliti sogni.
Mi alzai dal letto e guardai fuori la piazza dove la gente seduta nei tavolini dei bar sorseggiavano tranquilli il loro caffè nelle tazzine bianche e assaggiavano stuzzichini nei piattini che servivano i camerieri. Dei bambini giocavano con una palla al centro della piazza, accanto alla fontana che sgorgava acqua fresca.
Non smettevo di stupirmi della loro ignoranza e innocenza.
Guardandoli mangiare e bere, la mia gola arse urlando invidiosa. Da quanto che non bevevo?
Mi allontanai dalla finestra e corsi verso il camino e cercai dietro. Presi il mio zaino e mi sedetti in una poltrona, gettai a terra tutto quello che non mi serviva ed esultai prendendo le cinque sacche di sangue che si trovavano nel fondo dello zaino.
Mi fermai un attimo e un grande punto interrogativo si posò pesante sopra la mia testa: e se le scoprivano? Se sentivano l’odore di sangue umano?
Non avevano niente da obbiettare, no? Era sangue umano, loro stessi mi avevano proposto di farmi avanti.
In quel preciso istante una siringa annientò dentro le mie vene una dose fredda di incoerenza e disgusto verso me stessa: io stessa avevo negato con fermezza ad Aro di non partecipare a quel banchetto, non volevo assolutamente uccidere delle persone e bere il loro sangue tanto meno bere il sangue di qualche sconosciuto nascosta da tutti in una stanza antica millenni della Toscana.
Strinsi i denti e rimisi le sacche di sangue di nuovo al loro posto.
Guardai il cellulare e il computer sotto ai miei piedi accigliata. Ero delusa e triste, mi sentivo dimenticata da loro, dai Cullen. Non provarono a cercarmi, ero sempre stata io fin a quel momento.
Mandarmi a Volterra era un loro modo per sbarazzarsi di me? Era successo qualcosa?
Presi il computer e lo appoggiai tra le gambe, quando fu completamente acceso posai la freccetta nell’icona della posta elettronica. Non c’era nulla, decisi di scrivere io, a Carlisle.
 
Ciao nonno! Come state?
 
Mi fermai, non sapevo come continuare. C’erano tante cose da dire ma non trovavo le parole e il mio cervello cercava di nascondere il giusto motivo per scrivere una email, si era svuotato capovolgendosi come una borsa.
Sapevo cosa volevo scrivere: che ero arrabbiata, che volevo tornare a casa, che volevo ritornare da loro. Sbuffai,  già immaginavo la risposta di Carlisle al mio capriccio. Dovevo stare attenta per la mia sicurezza e restare buona.
Guardai in cagnesco lo schermo del computer per una manciata di minuti. Alla fine premetti il tasto invio e infine lo spensi. Rimisi a posto tutte le mie cose e lo zaino ritornò dietro il camino.
Con un turbinio di pensieri negativi in testa che non riuscivo nemmeno a decifrare entrai nel piccolo bagno di marmo della stanza, mi spogliai e con un broncio mi immersi nella vasca d’acqua più o meno gelata.
 
 
Erano le sette di sera ed io ero seduta rigidamente in una poltrona a fissare il camino spento, ad aspettare.
Ai suoi piedi si trovava un violino di legno lucido, non lo presi. Era il mio strumento preferito ma non mi azzardai a toccarlo, non ero in vena di suonare. Era lì, che pregava di essere usato, distolsi lo sguardo.
Fuori la gente si era fatta più chiassosa e più felice, alcuni uomini alzavano in alto calici stracolmi di birra, alcuni ragazzini si baciavano seduti sopra la fontana, donne che tenevano dei microfoni in mano e stonavano note di una canzone italiana.
Io aspettavo, empatica, scacciando il forte desiderio di sangue che mi tormentava da quando le mie mani toccarono quelle sacche.
Bussarono, un solo deciso tocco, alla porta ed io ne fui quasi grata.
Mi aspettavo che dietro la porta ci fosse ancora Jane ma mi ritrovai davanti una tormentata Bella. Quando fui faccia a faccia con lei, la vampira strabuzzò gli occhi e si morse il labbro inferiore indugiando sul mio volto e quel senso di oppressione aumentò di livello. Sembrava spaventata.
“Ciao.” Fece lei, esitante.
La guardai chiedendomi cosa volesse “Buonasera.”
“Dobbiamo andare.” Mormorò lei indicando le scale in fondo al corridoio.
“Va bene.” Sussurrai chiudendomi la porta alle spalle. Bella mi guardò fare quella operazione e poi cominciò a farmi strada, la seguii mettendomi accanto al suo fianco, guardando dritto davanti a me.
Sentivo i suoi occhi fissi su di me e mi innervosii. Avevo voglia di urlarle cosa diamine aveva e perché mi fissava come una bambina che guardava una vetrina di un negozio pieno di bambole edizione limitata. Era maniacale, non se ne rendeva conto?
“Perché a quest’ora?” domandai per rompere il silenzio e farle distogliere il suo sguardo dal mio medaglione.
Bella non mi rispose. Stavamo scendendo delle scale di granito e arrivammo in un ingresso molto più piccolo rispetto a quello della Sala delle Udienze. Seduta in una poltrona c’era Alessandra, con delle grandi violacee occhiaie sotto gli occhi, che scartava frettolosamente dei fogli.
Appena ci vide alzò gli occhi su di noi e si fermò per un attimo ad osservarci, gli occhi si trasformarono in due fessure.
“E’ arrivato?” balbettò Bella verso Alessandra.
Le mani di Alessandra iniziarono a tremare facendo cadere altri fogli “S-si.”
“Tutto bene?” le domandai, non stava bene. Sembrava fosse sul punto di avere una crisi nervosa. Sentii Bella mandarmi una occhiataccia alle mie spalle, non m’importava nulla.
Alessandra mi guardò e mi sorrise cercando di sistemarsi i capelli già ordinati “Si, si, sto bene. Grazie per aver chiesto, signorina Renesmee.”
“Sicura? E non chiamarmi signorina!”
La mano fredda di Bella mi premette forte la mia spalla e mi spinse verso la porta dove molto probabilmente si trovavano Aro e tutto il resto della combriccola.
Mentre le porte si aprivano, la guardai e mi scrollai la sua mano di dosso. Lei ricambiò il mio sguardo, triste.
La voce perennemente felice di Aro trillò “Oh! Eccoti Renesmee!”
Era un atrio circolare, circondato da alberi di frutto, un piccolo pozzetto per l’acqua e delle panchine di marmo che la circondavano. Sopra le nostre teste c’era il cielo che a poco a poco diventava sempre più scuro facendo apparire le prime stelle.
 Rimasi un attimo di stucco: non pensavo che nel palazzo ci fosse uno spazio all’aperto così grande e bello.
Quel posto mi dava uno strano senso di pace e tranquillità che non sentivo da quando avevo messo piede in quell’aereo a Seattle.
Dopo tutto non ebbi tempo e modo di calmarmi, Aro, i suoi fratelli, Edward, Alec e Jane erano posti accanto al primo, vicino alle panchine. Bella corse verso Edward.
Aro schioccò le dita molto pigramente e dei lampioni riccamente decorati d’oro si accesero nello stesso istante.
“Ora va maglio.” Affermò Aro “Come stai, Renesmee?”
Distolsi lo sguardo dai lampioni “Io bene, lei?”
Lui mi sorrise “Io bene. Sai, io e i miei fratelli abbiamo passato tutta la giornata a fare ricerche, molto più espanse dopo le tue utilissime dichiarazioni e aiuti.”
Gli feci un cenno “Niente di che! Quando volete!” e lui continuò.
“Abbiamo contattato dei nostri cari e vecchi amici da tutto il mondo chiedendo loro se hanno mai incontrato una come te, una mezza vampira.”
“La risposta?”
Per un attimo sperai che lui rispondesse di sì, che c’era qualcun altro oltre me, che non ero sola a dover sottostare ai mezzi esperimenti di Aro diventando così sua cavia.
“No, non hanno mai incontrato nessun ibrido. A quanto pare siete molto rari e ben nascosti.” Fece una pausa, pensando alle parole che aveva appena detto “Ovviamente conoscono te, probabilmente sei conosciuta a livello mondiale, l’unica mezza vampira cresciuta insieme a dei vampiri per tutto questo tempo.”
“Che cosa ne pensi?”
Lo guardai. Che cosa ne pensavo io? Assolutamente niente.
“Non mi aspettavo di avere così tanta fama.” Sussurrai.
“Renesmee ne hai molta invece!” disse Aro come se fosse così tanto ovvio.
Non mi trattenni dal chiederlo “E ora?”
Vi prego lasciatemi andare. Per favore.
Lui iniziò a girarmi intorno, guardandomi con attenzione. “Ora vorremo conoscere un altro tratto di te.”
Confusa, seguii il suo cerchio intorno a me. “Che cosa?”
“La tua forza.”
Dietro di me comparve un vampiro che più un uomo era una torre alta centinaia di metri. Era di carnagione scura e i capelli fini lunghissimi. La giacca nera minacciava di strapparsi per il troppo eccesso di massa muscolare. Metteva soggezione in tutta la sua altezza.
Non poteva fare sul serio. Non avevo mai provato veramente la mia forza, non avevo mai avuto un vero motivo per usarla –tranne in quei pochi momenti con Emmett ma m’immobilizzava in pochi minuti.
Sapevo di essere un po’ più veloce rispetto ad un vampiro normale ma non pensavo fosse così importante.
“La mia forza?” ripetei. Quel mostro dietro di me era lì per quel motivo. Mi sentii rimpicciolire e fragile allo stesso tempo. Tutte le forze che avevo in corpo erano svanite lasciandomi vuota.
“Si.” Rispose lui come se la cosa fosse più ovvia della mia popolarità. “Fa parte dei nostri studi. Per capire se sei più simile a noi che agli umani.”
“Questo non ha senso. Certo che lo sono! Sono un po’ più forte rispetto agli umani ma non quanto voi!”
Carlisle non mi aveva parlato di questo genere di cose, pensai, in allerta, guardando nervosamente Aro.
“E se non volessi?” la domanda mi uscì di bocca libera come aria, senza controllo né padrone.
Aro guardò dietro le mie spalle e fece un cenno.
Una mano fredda e grande il doppio della mia faccia strinse la mia spalla sinistra e tirò.
Fu tutto veloce: non sentii più i miei piedi toccare terra, ero pesante nell’aria mentre mi scagliavo contro una panchina di marmo a pochi metri di distanza da me, sbattendo la testa.
Vidi buio intorno a me e poi a poco a poco più nitido ma tutto vorticava, gli alberi giravano come una giostra. Non capivo cosa stava succedendo, come se mi fossi appena svegliata da un sonno durato cento anni.
Un vampiro enorme si stagliò davanti a me alzandomi per le spalle. Con i capelli davanti agli occhi, gli posai le mani al collo e calciai un colpo di piede dritto nel suo petto facendolo cadere nella pietra levigata, io lo tenni fermo appoggiandogli sopra le spalle le mie ginocchia.
Alzai gli occhi verso Aro lanciandogli un’occhiata che gridava “Contento?!”
Aro mi sorrideva, estasiato, gli altri mi fissavano come se si aspettassero che il vampiro sotto di me reagisse.
Bella, invece, era una maschera di terrore. Un suo polso era stretto alla mano di Edward.
“Signore” pregò lei “Per favore.”
Sentendola, il mio cuore fu invaso da un calore estraneo, che non avevo mai provato prima d’ora.
Perché lei era l’unica che si opponeva a ciò che Aro mi stava facendo fare? In fondo, cosa le poteva interessare mai? Era forse lei quella strana? Una vampira della guardia dei Volturi che andava contro il pensiero adottato dai Volturi stessi?
Era una voce che urlava ma che nessuna si degnava di ascoltare.
Perché aveva quell’espressione di dolore che squarciava quel suo bel volto?
Socchiusi gli occhi e non vidi più. Era buio, non era possibile, non era ancora notte ed eravamo circondati dalla luce. Era buio pesto, profondo e infinito.
Allo stesso tempo le mie orecchie non captarono nessun suono, nessun rumore, nessun respiro.
Dentro di me il mio cuore batteva forte contro la gabbia toracica mentre io mi perdevo in quel universo buio e silenzioso.
Il dolore che si irradi per tutto il corpo rifece scattare la mia vista e il mio udito. Mi ritrovavo a terra e la mano del vampiro che mi ringhiava a pochi centimetri dal viso stringeva forte il collo.
Averlo vicino accanto a me, con una rabbia immotivata ma solo stimolata dal suo padrone, mi faceva ridere. Era una marionetta.
Strinsi la mano del vampiro scuro e l’allontanai da me alzandomi, spingendolo. Strinsi il suo pugno e con le unghia lo graffiavo facendo cadere della polvere dalla sua pelle.
Le sue braccia mi presero per i fianchi alzandomi e mi premette contro il suo petto, stringendomi, stritolando le mie ossa. Non riuscivo a respirare.
Aro!” sentii dire qualcuno ma era una voce lontana.
Il vampiro continuava a stringere intorno a me, le sue dita stringevano contro la carne della mia pancia. Ero una bambolina in confronto a lui, mi poteva prendere in un palmo di mano. Non gli era difficile farmi fuori in pochi secondi.
Repressi un grido e gli diedi un calcio negli stinchi che lo fece cadere a terra, mi voltai immediatamente e con un braccio gli avvolsi il collo stringendolo a me con l’altro gli staccai definitivamente il braccio sinistro con un sordo rumore di pietra che si rompe coperto poi dalle urla del vampiro.
Ricominciai a respirare. Caddi a terra e  lasciai immediatamente quell’arto dalle mie mani che cadde rumorosamente a terra.
Che cosa avevo fatto?
“Strabiliante! Fratelli! Avete visto?!”
Non badai neanche ad ascoltare Aro che parlava, ammirato, di me o di qualcos’altro.
I miei occhi guardavano quel vampiro che si attaccava il suo braccio alla spalla coprendoli di veleno. Ricambiava il mio sguardo, uno sguardo assassino, e ringhiava come le preda più pericolosa al mondo.
Mi alzai da terra e sentii delle forte fitte allo stomaco che mi fecero gemere.
Non mi occupai di Aro, dei suoi fratelli e degli altri, con una spinta aprii le porte ed uscii dall’atrio.
Alessandra era ancora lì ma senza scartoffie in mano, indietreggiò appena sbucai io e vedendomi si spaventò. Si portò una mano alla bocca.
“Ciao Alessandra.” Feci io, tenendomi un braccio stretto alla pancia e iniziai a camminare veloce. Ad ogni passo i fianchi bruciavano, trattenni rantoli fino a quando arrivai nella mia stanza e chiusi la porta dietro di me.
Urlai e mi strappai la maglietta che avevo scelto quella mattina con cura. Corsi in bagno e mi misi davanti alla lunga specchiera di legno celeste con intagliate delle volute.
Una lunga cicatrice che partiva da sotto il seno destro e scendeva fino al fianco sinistro per poi posarsi tra le fossette di venere era una parte di me che c’era sempre stata, come un talismano contro il male o una etichetta, un marchio.  
La cicatrice sembrava tanto una crepa contro il marmo più raffinato e trattato. Carlisle aveva provato a chiuderla in tutti i modi possibili eppure i metodi umani non funzionavano. Provò anche con dei fili di ferro e con tanti altri materiali che non si vedevano spesso o che non erano legali. Niente per aveva funzionato, ogni tre mesi dovevo cambiare i fili di sutura perché la ferita si riapriva.
Come me la procurai non lo sapevo, era sempre stata con me, come per il medaglione e l’amnesia.
Toccai la linea discontinua rossastra, al tocco bruciava dolorosamente ma non era sul punto di riaprirsi.
 Mi spogliai, girai la specchiera per non vedermi mentre ero nella vasca, e mi rifeci un altro bagno. L’acqua traboccava dalla vasca ed io mi vi immersi tutta e rimasi in apnea fino a quando i polmoni protestarono. E pensai.
Ripercorsi tutti i movimenti nella mia testa in una velocità impressionante. Quello scontro sembrò durare un anno intero, invece durò solo pochi secondi, poco più del tempo che si impiega per sbattere le ciglia.
Tre domande si posero dentro di me.
Mi ero pentita di ciò che avevo fatto? No, era pura difesa personale, non ero stata io ad attaccare, mi ero opposta a quella richiesta pazzoide di Aro.
Ero scioccata da ciò che avevo appena fatto? Cioè aver staccato un braccio ad un vampiro? Si, lo ero. Non credevo fosse possibile che sarei stata capace di questo. Ero leggermente compiaciuta di questa rivelazione.
Ma la mia famiglia cosa avrebbe pensato? Avrebbero disapprovato? O mi avrebbero applaudita per il mio coraggio e forza?
Quel nuovo lato di me stessa mi destabilizzava o mi inebriava allo stesso tempo. Il fatto che potevo proteggermi dagli altri grazie solo a me stessa, con solo la mia forza, mi dava fiducia e allo stesso illusioni troppo concrete.
Ero arrabbiata? Si, stavo impazzendo dalla rabbia ma si era… assopita. Ero arrabbiata con tutti: con la mia famiglia, con Aro, con Bella, con la ferita che non smetteva di bruciare.
Un moto di violenza, voluta dalle mie nuove abilità, si espanse in tutto il mio corpo pregando di distruggere tutto ci che aveva incontro.
Dovevo uscire da lì, immediatamente. Abbandonare l’Italia.
 
Rientrai nella camera da letto - vestita di nuovo di tutto punto e sempre di nero- e gridai, il cuore a mille.
“Ssshh.” Fece lei.
“Che ci fa lei qua?” dissi a denti stretti tenendomi a debita distanza da Bella.
Lei sembrava lacerata dalla distruzione più totale. Si avvicinò a me e i suoi occhi esaminarono tutto il mio corpo.
“Che guarda?!”
Si passò una mano tra quei capelli lunghi color mogano. “Voglio sapere solo se stai bene.”
Mi strinsi tra le braccia dove sentivo ancora la cicatrice pulsare. “Se sto bene?”
Bella si mise a sedere nel mio letto ma non la smise di fissarmi. “Si.”
“Sto bene. Può andare.” Le risposi con freddezza.
Lei non parve ascoltarmi e continuò “L’avevo detto ad Aro. L’avevo detto a tutti che era una pazzia! Renesmee credimi! Ma loro erano tutti estasiati. Di cosa?!
Iniziò a singhiozzare e lo strano calore riavvolse il mio cuore dandomi alla testa. Era davvero l’unica a cui importavo qualcosa? Non mi conosceva neanche ma sembrava che mi conoscesse da anni. Mi parlava come se fossi una sua vecchia amica.
Indugiai vicino alla porta del bagno e poi mi misi a sedere nel letto accanto a lei, rigidamente.
“Non lo so.” Le risposi, sussurrando. Perché era ancora qui? Aveva il permesso? Se ne fregava?
Si voltò verso di me ed io mi vidi riflessa in quei grandi occhi rossi. “Ti… Ti sei fatta tanto male?”
Mi strinsi le braccia più forte a me “No, non tanto.”
Lei guardò il mio gesto “Che cosa ti sei fatta?”
La guardai di traverso “Niente.”
“Per favore, Renesmee.”
“Perché lei è qui? Per favore, se ne vada!”
Bella si alzò, aprì la porta e se la chiuse alle sue spalle.
Io mi gettai nel letto e chiusi gli occhi.
  
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