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Autore: Synapsis    22/08/2015    1 recensioni
“Nessuno vuole nascere, ma una volta che si è qui, nessuno vuole morire... e allora dove sta la responsabilità individuale? Sono io che scelgo, o vengo scelto? Questo dono, questi occhi che da sempre mi hanno condizionato, chi li ha voluti per me? Quell'atto di volontà, quello che ci differenzia dagli animali, allora, forse... se non è decidere quando venire al mondo è dunque decidere quando andarsene? E qui che sta circoscritta la nostra scelta, nel programma già scritto da qualcuno là in alto, sempre se quel qualcuno ci sia davvero? Che sia il suicidio la nostra unica, autentica, scelta?”.
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La storia ha luogo in una stanza d'albergo, la numero 404, dove Beyond Birthday, il 22 Agosto di tredici anni fa, si dà a fuoco per portare a termine il suo piano.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Beyond Birthday
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Tsugumi Obha e NisioIsin; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. La storia e il disegno mi appartengono.

Note Autrice: Ok, non ho potuto fare a meno di scrivere questa OS in codesto triste giorno – per chi? Ho voluto inserire due passi della bellissima ed enigmatica canzone dei Doors – The End, appunto – perché, oltre ad essere una delle mie canzoni preferite, ho trovato alcuni punti che ben si sposano con la personalità di Beyond – a mio parere - e questo è il risultato. Lascio qui di seguito il link per chi volesse ascoltarla durante la lettura → The Doors - The End Spero che vi sia piaciuta e che abbia saputo intrattenervi. Grazie per essere passati di qui!

Synapsis




L'assassino si svegliò prima dell'alba,

Calzò i suoi stivali.

Prese una maschera dalla galleria antica

E s'inoltrò nel corridoio [...]

E arrivò ad una porta, e guardò all'interno

"Padre?"

"Sì, figlio?"

"Voglio ucciderti."



La stanza era inondata dagli ultimi raggi di sole, quando il flebile fruscio di una capocchia di fiammifero appena sfregata ruppe il silenzio quasi sacro che vi aleggiava. Un'altra luce si insidiò così in quella camera d'albergo, giungendo persino nei meandri più oscuri di una mente ormai da tempo orfana della propria sanità, ed emanando allo stesso tempo un flebile calore che solleticò la pelle dell'uomo che lo teneva stretto tra le dita, come se in quell'esile bastoncino di legno fosse contenuto il più prezioso dei tesori. Non aveva mai sentito così vicino a sé quella sensazione, quel misto di paura e adrenalina che lo scosse dall'interno e che rendeva lo scorrere del suo sangue impetuoso come un fiume bollente tra gli argini delle sue vene, e la cosa – paradossalmente, visto la situazione in cui si trovava – lo fece sentire vivo. Una lingua di fuoco attirò il suo sguardo con la sua movenza, come se gli stesse parlando in un linguaggio arcano, e lui si lasciò ammaliare da tanta grazia con la stessa accondiscendenza di un amante devoto: era tutto lì, tra le trame danzanti di quelle fiamme, era lì ciò di cui adesso aveva bisogno, ciò per cui si era tanto prodigato in quegli anni di duro pensare, pensare, progettare, pianificare...


{Uccidere.}


Si sentì così felice, che un velo opaco gli oscurò gli occhi, e solo dopo aver sentito qualcosa di umido rotolargli sulle guance, si rese conto che erano lacrime – quando era stata l'ultima volta che aveva pianto?

Le gocce salate si mescolarono con la miscela acre e pungente della benzina che lo ricopriva dalla testa ai piedi, il bidone di plastica oramai vuoto era riverso a pochi centimetri di distanza, gettato dopo essere stato svuotato del suo contenuto.

L'uomo osservò per qualche secondo quel desolante scenario, senza metterci troppa attenzione, per poi puntare gli occhi sul vuoto di fronte a sé e prendendosi ancora qualche istante prima di compiere l'ultimo atto - la scena madre - del suo capolavoro.

E fu allora che la vide.

Un brivido gelato lo inchiodò sul posto, soffiando sulla pelle bagnata, sia per la benzina che per il sudore. Non c'era nessuna finestra aperta, né alcuno spiraglio, e anche se così fosse stato, il caldo dell'estate californiana non giustificava quell'alito ghiacciato che sentiva addosso. Ricompose gli ultimi sprazzi di lucidità che gli erano rimasti per comprendere che quel freddo non proveniva da altro luogo se non da dentro di sé, dalle crepe che ricoprivano la sua anima assiderata e che in quel momento screziava la parete di fronte con il suo nerume.

Con occhi allucinati, guardò la sua ombra, l'oggetto di tale turbamento che proprio non riusciva a comprendere – ma, dopotutto, il tempo della razionalità per lui stava per finire, lasciando spazio all'atavica paura che da sempre si impadronisce del corpo di colui che sa di stare per morire e che non potrà sottrarsi a tale destino.

La sua proiezione stava immobile, come se lo stesse fissando, emulando la sua stessa posizione e seguendo fedelmente ogni singolo gesto del suo proprietario. Ben presto, si accorse che quella era l'unica immagine di se stesso che gli era rimasta, l'unico vero aspetto che gli apparteneva e che mai – mai - avrebbe potuto cambiare o dimenticare. Spense il fiammifero che si stava per consumare, continuando a squadrare quella pozza scura, mentre il sole calava oltre l'orizzonte e le ombre si allungavano sempre di più.

Anche la sua si ingigantì, occupando tutta la parete e il soffitto e opprimendolo sotto la sua grande verità. Beyond iniziò a tremare e con un sorriso sghembo, che dietro l'arroganza celava il terrore, afferrò un altro fiammifero dalla scatolina posta in fondo alle tasche dei pantaloni e con foga lo accese. Lo tese di fronte a sé, come un coltello pronto a scattare per difendersi dall'aggressore e allo stesso tempo indietreggiò, mentre l'ombra si faceva sempre più grande.


«Eh, eh, ehn, maledetta! Tra un po' ci sarà talmente tanta luce che non ci sarà più spazio per te».


Come se qualcuno volesse deriderlo, il fiammifero si spense nel movimento concitato del braccio, lasciando che il fumo gli pizzicasse le narici. Fu frustrazione quella che improvvisamente si impadronì del suo volto, emozione che lasciò subito il posto all'orrore.

Che cosa stava facendo? Mettersi ad urlare in quel modo, in quel momento!

Contro una stupida ombra!

Mise le mani sulla testa e iniziò a scuoterla.

No, non poteva dare di matto adesso, doveva resistere ancora un altro po'. Era stato bravo, maledettamente abile nel portare avanti il suo piano senza farsi coinvolgere dalle sue emozioni.

Non poteva mandare a monte tutto, non ora, no!

Si accasciò pesantemente sul letto a due piazze, continuando a tenere la testa fra le mani. Le sue dita stringevano alcune ciocche di capelli e le strattonavano sempre con più crescente rabbia, e nonostante il dolore iniziò a irradiarsi dalle radici, Beyond continuava a tormentarsi.

Era questa allora, la fine?

La fine di un lungo viaggio verso il successo, la fine di tutte le sue ambizioni?

Della gioia che prima gli aveva bagnato le ciglia, adesso non era rimasto nulla.

Per la prima volta, si chiese se ciò che stava per compiere era davvero la cosa giusta, e il dover accettare di essere raggirato da quella stupida – e umana – titubanza, lo infastidì. Non c'era nulla di cui dubitare, era proprio ciò che da sempre aveva voluto: prendersi una rivincita, contro L e contro tutto ciò che aveva dovuto patire nelle sue ventitré primavere.

Eppure, in quel momento altre preoccupazioni sembravano voler attirare la sua attenzione, distraendolo da quell’obiettivo che da anni aveva riempito il vuoto della sua esistenza. L’odio incommensurabile che provava per il detective e che lo aveva riempito, tagliando il posto ad ogni altra emozione che così non aveva avuto modo di alleviare la sua sofferenza, lo stava abbandonando nel momento in cui ne avrebbe avuto più bisogno.


{Non è forse l’odio che permette all’uomo più vile

di commettere l’azione più nobile?}


Adesso, dietro la cortina nera dell’odio che, dopo tanto tempo, si era ritirata, qualcos’altro era venuto alla luce: gli anelli di una catena che aveva forgiato inconsapevolmente, quella stessa catena che lo teneva fissato al suo cieco dolore e che non gli aveva permesso di muoversi verso altre direzioni; quella catena che adesso lo stava soffocando.

Trasse un profondo respiro e rilasciò la sua chioma, spostando le mani a stringere i gomiti. La sua ombra era ancora lì, le sue estremità collegate alle punte delle sue scarpe.

Beyond la guardò con risentimento, avrebbe tanto voluto che lo lasciasse da solo nel compimento della sua follia. Ma probabilmente, quando si muore bisogna prima scontrarsi con i propri mostri.

C'è una credenza che da secoli alimenta la fantasia dei vivi, cioè che prima di morire, l'esistenza di chi sta per finire i suoi giorni passi davanti ai suoi occhi come un treno impazzito che porta con sé l'ultimo anelo di vita. Beyond non ebbe neanche il tempo di meravigliarsi nello scoprire che tutto ciò era vero, perché già la sua mente aveva iniziato a portarlo indietro nel tempo, mossa dalle domande che mai aveva avuto il coraggio di porsi.

Cos'era che odiava? Quale era stato il fattore scatenante della sua collera?

L?

Lui era solo un capro espiatorio, il rappresentante di quella struttura dove tanto sperava di trovare un po’ di felicità, il padre bambino di tutti gli orfani del Wammy's House che volevano prendere il suo posto, e lui era uno di quelli, un tempo. Ricordava ancora molto bene il giorno in cui arrivò all’orfanotrofio di Winchester, dopo esser passato da un collegio ad un altro. Il primo istituto che lo accolse, fu quello in cui fu sbattuto dopo che la madre morì, suicidatasi con l’aiuto di un tram che le mozzò la testa1.

Pensò alla madre, e fu preso ancora una volta dal rammarico nel suo non riuscire a ricordare il suo volto. Ricordava solo di essere nato per sbaglio, lo sbaglio di una giovane prostituta che aveva scordato che per la gente come lei non può esistere un sentimento puro e sincero come l'amore: è l'odio, al contrario, che trova in essa terreno fertile per i suoi semi e la donna indirizzò tutto il suo risentimento dell'essere stata abbandonata al figlio, tra l'altro fonte della sua miseria. Lui, d'altro canto, era troppo piccolo per capire che l'atteggiamento della madre era anormale e solo dopo comprese qual era il filo che li legava; inoltre, il suo mondo rientrava entro le sue braccia magre dove spesso si rintanava la notte, quando la coscienza della ragazza da ore si trovava racchiusa in una bolla, e proprio in quei momenti, l'odore di lavanda misto a lacrime che sentiva quando si stringeva al suo seno era ciò che più per lui si avvicinava a una ninna nanna.

Del loro rapporto contraddittorio non rimembrava nient'altro, ma la cosa certa era che Beyond non provava rancore nei suoi confronti: in realtà, era soltanto una ragazza sperduta e amareggiata che un giorno aveva visto nascere e morire nello stesso istante la speranza di avere una vita diversa, una piccola rivincita che avrebbe potuto assaporare se solo quel bastardo fosse stato sicuro anche nei fatti e non solo a letto. Invece, le era rimasto quel pargoletto, che tanto gli somigliava nell'aspetto e anche tanto strano.

Un sorriso amaro curvò le sue labbra, nel pensare che sia lui che la madre erano stati accomunati dallo stesso destino meschino: sì, era quello il filo che li collegava, oltre all'odio viscerale verso la vita.


{Cosa sono i figli, se non parte dei loro genitori,

abitati da piccoli pezzi che compongono la loro personalità e che,

da un momento all'altro,

potrebbero deflagrare come un ordigno?}



Sembrava davvero che l'unica amica sincera che potessero conoscere fosse la morte.

La fine.

Forse lui, più di chiunque altro, più della madre.

Niente e nessuno aveva mai scosso il suo cuore – freddo? Impassibile? O forse, più semplicemente, ferito? - il cuore di un figlio mai voluto, di un bambino a cui era stata strappata la sua identità. Niente e nessuno lo aveva mai spaventato, lui non aveva davvero paura di nulla – e forse, per questo gli altri bambini avevano paura di lui.

Tutto questo perché lui, a differenza degli altri, sapeva bene che i mostri di cui aver paura non erano quelli che si nascondevano sotto i letti o quelli che strappavano gli occhi, bensì erano ben altri: come quello che mangiava a poco a poco i numerini che vedeva sopra le teste di tutti, o almeno, all'epoca era quella l'unica cosa che davvero lo impauriva.

Con il passare degli anni e con la maturazione delle proprie idee, l'opinione che aveva degli altri e del mondo cambiò radicalmente e ben presto si accorse che quel mostro che tanto temeva non esisteva.

Era semplicemente la vita che dava e toglieva, che con una logica tutta sua amministrava quanto dovesse vivere uno e quanto dovesse vivere un altro, e alla sua decisione, nessuno poteva sottrarsi; allora, capì che l'unica cosa che davvero contava, ma che a nessuno importava o – più semplicemente – che nessuno era in grado di vedere, era la consapevolezza che tutto aveva una fine.

La cosa lo atterriva e lo affascinava allo stesso tempo.

Il ciclo eterno delle stagioni, con la loro cadenza sempre uguale, era in realtà un continuo ripetersi di vita e morte, inizio e fine. Un esempio lampante è il bocciolo, che in primavera si affaccia timidamente tra le tenere foglie dell'albero, in estate diventa il fiore più bello per poi appassire nella parentesi autunnale e morire nella morsa dell'inverno.

Ma non è questo che rende il fiore ancora più bello?

Come se la morte, con la sua ferrea e rigida logica, desse un senso a un'esistenza altrimenti fine a se stessa.

Pensò a uno dei fiori più belli che avesse mai visto: pensò ad A.

La vita era stata ingiusta nel consegnarle un'esistenza così breve, ma la cosa che lo consolava era che la morte avesse avuto pietà di lei sottraendola da una realtà troppo crudele per un animo puro come il suo, sostituendo il suo dolore con un vuoto in cui sarebbe rimasta in eterno.

Anche per lui, la morte avrebbe avuto pietà, nonostante di male lui ne aveva fatto tanto, e se avesse creduto alla morale tradizionale, avrebbe dovuto tremare al pensiero dell'infimo girone dell'inferno che lo attendeva; ma la verità era che non c'era nulla ad aspettarlo, solo un vuoto pneumatico che lo avrebbe ingoiato.

La pace assoluta.

Perché odiarla tanto, la morte? Perché non amarla, come faceva lui?

La verità, è che nessun essere umano desidera venire al mondo. Un bel giorno si viene buttati in quel grande palcoscenico che è la propria vita, senza che nessuno chieda il permesso; c'è chi ha il ruolo di protagonista, chi è una mera comparsa, ma a prescindere dal proprio ruolo, ogni giorno si deve soffrire, gioire, annoiarsi, così come detta il copione.

Una vera violenza insomma.

Malgrado ciò, una volta venuto, nessuno vuole più andarsene e questo, a Beyond, sembrava un paradosso.


Nessuno vuole nascere, ma una volta che si è qui, nessuno vuole morire... e allora dove sta la responsabilità individuale? Sono io che scelgo, o vengo scelto? Questo dono, questi occhi che da sempre mi hanno condizionato, chi li ha voluti per me? Quell'atto di volontà, quello che ci differenzia dagli animali, allora, forse... se non è decidere quando venire al mondo è dunque decidere quando andarsene? E qui che sta circoscritta la nostra scelta, nel programma già scritto da qualcuno là in alto, sempre se quel qualcuno ci sia davvero? Che sia il suicidio la nostra unica, autentica, scelta?”.


Quante volte aveva letto brama di vivere negli occhi di un uomo destinato a morire tra pochi giorni? Cosa dire poi delle sue vittime, quando con un ultimo disperato battersi cercarono di tenersi stretta la loro misera, breve vita ormai agli sgoccioli? Trovava fastidioso questo attaccamento alla vita, oltre che insensato: perché amarla così tanto la vita, quando in realtà era un bugia, una meravigliosa bugia ma pur sempre falsa?

È nella morte che risiede la verità, nel suo soporifero manto nero si annida tutto ciò che la vita ci promette, ma che non raggiungeremo mai!

Nella morte lui aveva infatti riposto le sue speranze, non nella vita.

Ed erano lì, a costituire l'essenza di quei fiammiferi, morte e speranza, insieme.

Chiuse gli occhi e si alzò lentamente: era giunto il momento e lui era pronto.

Concentrandosi in ogni suo singolo gesto, accese un ennesimo fiammifero, che stavolta non si sarebbe spento.

Lo avvicinò al petto, dove era situato il suo freddo cuore e in un attimo il fuoco divampò su tutto il petto.

C'era troppo caldo, troppo dolore e troppa luce per accorgersi che, mentre bruciava, l'ombra che lo aveva accompagnato in quei suoi ultimi istanti, svanì.



{E adesso, non era più neanche il fantasma che era stato.}





Questa è la fine, bellissima amica.
Questa è la fine, la mia sola amica, la fine.

La fine di risa e piccole bugie. La fine delle notti in cui cercammo di morire
Questa è la fine.


(The end – The Doors)





[Note]:







1) Il romanzo ci svela che la madre di Beyond si è suicidata, investita da un tram. Il fatto che sia una prostituta, è frutto della mia fantasia.

  
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