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Autore: determamfidd    23/08/2015    1 recensioni
La battaglia era finita, e Thorin Scudodiquercia si svegliò, nudo e tremante, nelle Sale dei suoi Antenati.
La novità di essere morto sparisce in fretta, e osservare i propri compagni presto lo riempie di dolore e senso di colpa. Stranamente, un debole barlume di speranza si alza nella forma del suo parente più giovane, un Nano della linea di Durin con dei capelli rosso intenso.
(Segue la storia della Guerra dell'Anello)
(Bagginshield, Gimli/Legolas) Nella quale ci vuole tempo per guarire, i membri morti della Compagnia iniziano a guardare Gimli come se fosse una soap opera, Legolas è confuso, il Khuzdul viene abusato, e Thorin è quattro piedi e dieci pollici di sensi di colpa e rabbia.
[Traduzione]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Gimli, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia, Un po' tutti
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Era completamente buio.

«Ehi?» urlò Gimizh, e poi si strofinò la faccia. Sentì la terra che veniva strofinata sul suo naso e che si impigliava nella sua barba (ed era una barba e non solo delle basette ambiziose, non importa cosa dicesse Piccolo Thorin!). Non riusciva a vedere la propria mano davanti agli occhi. La sua voce rimbombava stranamente: non c'era più un tunnel davanti a lui. «Ehilà? Jeri? Agur? C'è qualcuno?»

Nessuna risposta.

Gimizh si tirò in piedi e poi un altra doccia di fine terra appiccicosa cadde da sopra. Lui si congelò.

Suo papà era stato un umile minatore una volta, prima che la Missione e Erebor e la prosperità lo scagliassero nella scena pubblica. Il papà di suo papà era stato un minatore. E anche suo papà prima di lui. Gimizh poteva essere un discendente della aristocratica Linea di Durin da parte di madre, ma nelle sue vene nuotavano anche generazioni su generazioni di minatori Vastifasci.

Ora, solo nel buio, tutti i suoi istinti erano svegli e gli urlavano contro.

«Sta crollando tutto» sussurrò a se stesso, e poi allungò una mano nel buio soffocante «L'aria non durerà. Mi serve la luce, mi serve la luce, mi serve la luce...»

Ci doveva essere una lampada rotta, davanti da qualche parte. Gimizh se la ricordava sospesa su una trave sopra alle teste delle guardie, prima di perdere i sensi. Per qualche motivo sapeva che era importante muoversi il più attentamente e silenziosamente possibile, nel caso la sua miracolosa tasca di spazio sottoterra crollasse.

Le sue mani trovarono roccia scavata, e fece un respiro tremante, e iniziò a cercare le lampade. Il suo battito era molto, molto forte nelle sue orecchie, ma non avrebbe frignato come un bambino. Era un Nano grande ora. Poteva essere coraggioso – coraggioso come suo Zio Gimli.

Non avrebbe pensato a suo Papà, intrappolato da qualche parte in tutta questa terra.

«Ahia!» squittì quando le sue dita trovarono un vetro rotto.

Hissssssss fece il suolo in movimento sopra di lui.

Il cuore di Gimizh si bloccò del tutto, una preghiera intrappolata dietro a labbra tremanti. Il suono del legno scricchiolante e della terra sussurrante era terribilmente, terribilmente rumoroso nel silenzio.

Dopo qualche istante, fermò le sue mani tremanti e si allungò nuovamente. La trave che era caduta si era poggiata contro al muro del tunnel invece che cadere del tutto, sembrava, e ora stava tenendo su le travi di puntellamento del muro invece del soffitto. Era questo l'unico motivo per cui questa piccola parte di tunnel non era crollata. Gimizh lanciò un fervente ringraziamento al Creatore per questo inaspettato colpo di fortuna, e poi le sue dita trovarono nuovamente la liscia consistenza fredda del vetro. Le lampade si erano rotte quando la trave era crollate, e del grasso caldo gli cadde sulle dita. Lui storse il naso. Che schifo.

Però, se era caldo voleva dire che non era passato tanto tempo dal crollo. Forse Jeri e Agur erano ancora avanti, solo sotto al terreno marrone grigiastro di Erebor. Forse stavano tutti bene! Erano dei guerrieri, come Zia Orla e Zio Gimli: certo che stavano bene.

Certo che stavano bene.

Riuscì a spingere un po' del grasso nel contenitore in ottone della lampada, e si tirò i vestiti fino a trovare l'orlo della giacca. Sua madre lo avrebbe sgridato, pensò amaramente mentre strappava a morsi la lana e la faceva rotolare nel grasso prima che si indurisse, lasciandola dondolare sul contenitore. Il vetro rotto attorno ai lati gli morse ancora le dita, e lui trattenne i singhiozzi. I Nani coraggiosi non piangevano durante le avventure.

Il sangue sulle sue mani fece diventare la terra fango mente toccava la trave caduta in cerca della selce. Non aveva acciarino, e sapeva che il suo stoppino improvvisato non sarebbe durato a lungo, ma con un po' di fortuna sarebbe riuscito a fare qualche torcia.

Il suo stinco si scontrò contro la trave, e lui fermò un altro singhiozzo. Era un Nano grande, era un Nano grande, era un Nano grande, era un...

Ci fu un altro sibilo del suolo in movimento, e Gimizh fu colto da un improvviso senso di panico. Si lanciò nella terra attorno ala trave, cercando follemente. «Dov'è, dov'è» riuscì a sussurrare, la dita appiccicose per il sangue e il fango «Dov'è...»

La sua mano si chiuse sulla spigolosa, fredda forma delle selci, due pietre legate insieme da una catenella.

Fece un sospiro.

Fu allora che Gimizh capì che quello che aveva sentito non era il sibilo del suolo.


Quando Thorin giunse correndo attraverso la luce stellare come una cometa, fu salutato da un pandemonio. «Thorin! Sia ringraziato il Creatore!» giunse la voce di Balin attraverso la confusione «Di qua, di qua!»

«Balin, cos'è...» iniziò, solo per essere interrotto.

«Non entreranno» disse Thrór con voce simile a polvere e ghiaia «Non entreranno. Dobbiamo mettere a posto le cose!»

«Ma cosa...»

«Il tunnel che ha scavato Bofur» raspò Thrór, e incrociò lo sguardo di Thorin col terrore scritto lungo la linea delle sue labbra e la tensione delle spalle «l'hanno trovato.»

Il sangue gli si ghiacciò e il suo braccio si alzò, la mano afferrò la spalla di suo nonno decisamente troppo, troppo strettamente. «Non sono entrati ad Erebor» ringhiò «Non entreranno a Erebor!»

«L'Hanno collassato» disse Balin piano «Bofur stava guidando i Bizarûnh, e poi...»

Combattere un nemico al buio, con la terra che ti schiaccia da ogni lato, senza aria, senza luce – Thorin rabbrividì. «Bofur non è arrivato nelle Sale» riuscì a dire «Bifur l'avrebbe detto.»

«Questa è una buona notizia» disse Balin, e ricadde su se stesso.

Thorin alzò lo sguardo per incrociare quello del suo vecchio amico, e si accigliò. «Non è tutto.»

«No» disse Balin, e fece un respiro profondo «Il figlio di Bofur è là sotto.»

Thorin poté solo fissare Balin per un lungo, lungo momento. «Gimizh» disse infine.

Gimli ne sarebbe stato distrutto.

«Thorin» disse Thrór, una nota di disperazione nella voce «Thorin, potrebbero ancora entrare. Erebor non è integra!»

«Hanno messo al sicuro l'entrata?» disse Thorin, spingendo da parte il suo orrore con un enorme sforzo di volontà. Non aveva tempo per esso ora.

Si voltò verso l'orda accalcata alla fine della caverna nella quale erano. Ora che guardava meglio attraverso i corpi dei lavoratori, riuscì a vedere che andavano tutti attorno all'entrata di un tunnel. Terra e roccia cadevano dall'imboccatura come dal secchiello rovesciato di un bambino.

Il rumore era orrendo. Nani urlavano e strillavano gli uni agli altri, molti si stringevano ferite terribili, e un Nano era molle e dondolante, insensibile grazie alla testa orribilmente ferita. I minatori alla porta del tunnel lavoravano furiosamente, e altri stavano correndo avanti e indietro per portare i feriti dai guaritori quando venivano tirati fuori dai detriti. Una Nana dalla voce potente (un'Ingegnere, a giudicare dalle trecce) stava urlando ordini mentre i minatori lavoravano. E dietro di lei, il Re e il Principe erano arrivati per osservare i progressi.

A giudicare dalle loro espressioni, non andava bene.

«Le travi sono state distrutte, facendolo cadere sulle nostre teste e sulle loro» disse Dáin cupamente «Sarà un lavoro lento.»

«Agli Orchi non importa delle loro vite, vogliono solo rubarci le nostre» disse l'Elminpietra.

«A quanto sono arrivati?»

«Quasi trenta piedi, anche se il tunnel nuovo non è sicuro e potrebbe crollare in qualsiasi momento» l'Elminpietra scosse la testa scura «Ci rimane poca legna per sostenere e assicurare i muri e il soffitto. Riescono ad arrangiarsi con i pezzi rimanenti, ma...»

«Sono settimane che ne siamo a corto, non devi dirmelo, ragazzo» grugnì Dáin «I fuochi segnaletici sono accesi con la mia scrivania preferita mentre parliamo, e le forge vengono nutrite con tesori senza prezzo. Il legno è più prezioso dell'oro, questi giorni.»

Guardarono in silenzio per un istante mentre una Nana urlante veniva tirata fuori dai minatori e trasportata via dai guaritori. La sua gamba era stata fatta a pezzi, il piede mancava completamente.

«Beh, non le invidio cosa succederà ora» disse Dáin infine «Brucia come un bastardo, da quanto mi ricordo.»

In quel momento, una luminosa forma pallida giunse di corsa nella stanza. «È vero?» domandò Laerophen, e i suoi capelli dorati erano in disordine. Nessuna traccia della sua abituale superiorità era nel suo volto, e stringeva in pugno i suoi coltelli con le nocche sbiancate. «Il bambino, coi capelli rossi – è vero?»

«E se lo fosse?» disse Dáin piatto, e si girò di nuovo verso il figlio «Non possiamo levare altri dalle mura, ne abbiamo già a malapena per difenderle così.»

«Lo so» disse l'Elminpietra, lo sguardo fisso sul tunnel scuro e sinistro «Dobbiamo arrangiarci con chi ci avanza.»

«Minatori, ingegneri, guaritori» borbottò Dáin, e scosse la testa «Siamo diventati così morbidi. Ottant'anni di pace! Una volta comandavo l'esercito migliore di tutta la Terra di Mezzo. Ora devo chiedere al mio popolo di difendersi con delle pale.»

«Posso aiutare» disse Laerophen, e si raddrizzò «Sono un Elfo, e vedo meglio di qualsiasi Nano.»

«Ti sarà molto utile al buio» esclamò l'Elminpietra «Faresti meglio a vedere i tuoi arcieri.»

«La mia seconda ha i suoi ordini» disse Laerophen, rimanendo testardamente immobile «Lascia che aiuti.»

«Stanno sprecando tempo!» ringhiò Thrór.

Thorin alzò in aria le mani. «Lasciate che il dannato mangia-erba aiuti, smettetela di litigare e muovetevi!» ruggì.

«Va bene, rimani e stai zitto!» esclamò l'Elminpietra. Poi si passò le mani nei lunghi capelli neri per la frustrazione.

«Sii forte, ragazzo» gli disse Balin, e poi si voltò verso Thorin pieno di preoccupazione «E tu: tieni d'occhio la tua rabbia! La situazione è già abbastanza tesa.»

Thorin lo fulminò, ma non sprecò energia in un litigio inutile.

«Come l'hai saputo?» chiese Dáin all'Elfo.

«La messaggera che ha parlato con la Generale Orla» disse Laerophen «Le ho sentite.»

«Ha sentito qualcun altro?» chiese Dáin, e Laerophen scosse la testa.

«Non può trapelare» disse l'Elminpietra bruscamente, afferrando il braccio di suo padre «Il resto della Montagna non deve saperlo!»

«No» disse Dáin a denti stretti, e i suoi vecchi occhi tristi erano duri come l'acciaio mentre guardava storto il mare di scavatori che sciamavano verso l'imboccatura del tunnel «No, non devono. Quelli sulle mura perderebbero coraggio immediatamente, e la città sarebbe nel panico.»

«Rimarrò io» disse l'Elminpietra fermamente «Vai, tu sei il nostro Re. Vai sulle mura. Dagli coraggio con la tua presenza.»

«Ah, bravo ragazzo» grugnì Dáin «Nessuno prenderebbe coraggio vedendo un vecchio Nano rigido, ma tu persisti. Ci servono dei messaggeri veloci. Ci sono dei corvi qui?»

«Sai che odiano rimanere sottoterra» disse l'Elminpietra, e le urla dei controllori risuonarono contro al suono di pale che colpivano metallo «Ne hanno trovato un altro!»

«Fuori dai piedi, fuori dai piedi!» ringhiò Thorin, superando sia Balin, che suo nonno, che i viventi, per fissare la forma così rivelata.

«È Jeri figlium[1] di Beri» disse qualcuno piano «Ha il volto cinereo!»

«Lascitelum respirare!» esclamò un altro «Andate indietro, voi tutti!»

«Jeri, Jeri – mi senti?»

«Chi è questum Nanum?» domandò Thorin.

«Non lo so, ragazzo» disse Balin in voce bassa «Ma quella è la livrea della Guardia Cittadina scelta di persona da Dwalin.»

Thorin fece una smorfia. «Vivrà?»

«E anche questo, non lo so» sospirò Balin «Suppongo che lo scopriremo.»

«Dov'è il messaggero?» ruggì Dáin, e lo sciame di Nani attorno al corpo prono di Jeri iniziò a sfoltirsi mentre alcuni portavano via lum Nanum colpitum, e altri tornavano a scavare «A me!»

Una forma magra e allampanata si separò dagli scavatori, le mani strette sulle proprie maniche. «Sono assegnato io» disse il Nano «Vostra Maestà.»

«Quello è il ragazzo di Dwalin» disse Balin stupito.

«Thorin Dwalinul» disse Dáin, e sospirò, appoggiandosi pesantemente sulla sua protesi di metallo «Ah, per Mahal.»

«Un altro bambino» disse Laerophen, e si raddrizzò con un'espressione di rabbia e disapprovazione sul volto dalle ossa sottili «Ancora persisti in questo... questo...»

«Non abbiamo scelta!» urlò Dáin, e chiuse gli occhi e si voltò «Per la barba di Durin! Di tutti noi, so cosa voglia dire combattere quando si è troppo giovani per farlo! Se vuoi essere utile, Elfo, prega la tua amata Signora delle stelle e chiedile un mondo nel quale i bambini non conoscano la guerra. Forse lei ti sentirà. Mahal sa che ho pregato per lo stesso motivo quando ero ancora più giovane di questo ragazzo, e nessuno dei preziosi Valar ha mai ascoltato me!»

Ci fu un silenzio assordante, nel quale Dáin si strofinò la vecchia faccia rugosa con una mano tremante.

Thorin conosceva quel senso di colpa. Ne conosceva il sapore, il peso: essere l'unico lasciato a respirare in miseria mentre gli altri giacciono freddi e morti. «Dáin» iniziò, ma non riuscì a pensare a nulla da dire.

Laerophen rimase in silenzio, e poi chinò la testa.

L'Elminpietra guardò suo padre, e qualcosa di duro e saggio aveva preso posto nei suoi occhi. «Un'altra battaglia piena di bambini, e nessuna buona scelta rimasta» disse sottovoce «Come se non ne avessimo avuti fin troppi di orrori. Che Mahal abbia pietà di noi, non voglio mai più sentir parlare di, o vedere, un'altra dannata guerra per il resto della mia vita.»

«Posso aiutare» si intromise Piccolo Thorin. Il suo volto scuro era acceso di determinazione. «Voglio aiutare.»

Dáin sembrò sobbalzare impercettibilmente a quelle parole. Per un momento, la sua grande età poté essere vista chiaramente sul suo volto. La maschera dell'indistruttibile re-guerriero si era crepata, e sotto si poteva vedere un vecchio Nano stanco.

«'adad» disse piano l'Elminpietra.

«Cugino» lo incitò Thorin «Cugino, devi piangere dopo. Andiamo, devi raccogliere nuovamente quel pesante mantello! Dáin, vecchio idiota cocciuto – non c'è tempo!»

Dáin sospirò di nuovo, e poi la testa bianca di alzò. La maschera tornò al suo posto e lui apparì forte e orgoglioso nuovamente, un antico Nano fatto di ferro e tek. Si voltò per guardare l'alto, magro figlio di Dwalin e Orla. «Rimani vicino al Principe» ordinò a Piccolo Thorin, gli occhi seri e tristi «Se c'è un pericolo, non voglio tu vi sia vicino. Non voglio sapere che un altro bambino è stato perduto, capito?»

Piccolo Thorin annuì, troppo pieno di preoccupazione per il suo migliore amico per protestare ad essere chiamato “bambino”.

Nuova confusione iniziò all'entrata, e Thrór urlò: «Thorin!»

Correndo alla meglio fra la folla, Thorin arrivò all'entrata. L'oscurità nello stretto tunnel fatto alla meno peggio era assoluta, e lui vi guardò dentro. «Il suono di spade!» abbaiò Thrór «Degli Orchi sono sopravvissuti là sotto!»

«Vai!» urlò l'Elminpietra a suo padre. Dáin annuì, e poi si voltò e lasciò la sala. Non c'era segno della sua vecchiaia nei suoi lunghi passi rabbiosi. Il suono dei macigni che si schiantavano contro la Montagna risuonò sopra alle voci e alle pale mentre se ne andava.

L'Elminpietra guardò per un attimo il padre che andava, e poi si voltò per guardare storto le rovine del tunnel e prese la mano di Piccolo Thorin. «Ora, tu stai dietro di me» disse con voce bassa all'alto ragazzo allampanato «Se combatteremo, tu devi correre da mio padre, capito? Non devi nemmeno pensare a fare l'eroe.»

«Sissignore» disse Piccolo Thorin, e i suoi enormi occhi scuri erano fissi sull'imboccatura del tunnel.

Con un urlo, una Nana uscì dall'entrata e nella sala, e la sua fronte era sporca di sangue. Del sangue le gocciolava anche da uno strappo nella tunica, ed era pallida e sporca. «Possono strisciarci dentro come vermi!» ansimò, e cadde a terra.

Immediatamente dietro di lei giunse un ringhio crudele, e due grandi Orchi sporchi di terra scattarono in avanti. Uno fu decapitato dall'Elminpietra, e l'altro finì con un piccone in mezzo agli occhi.

Laerophen corse dalla Nana ferita e esaminò rapidamente le sue ferite. «Costole rotte» borbottò «Aiutatemi ad alzarla, ma tenetela dritta!»

«State pronti!» urlò il Principe «Potrebbero essercene altri!»

«Ci servono dei soldati!» balbettò un minatore mentre la Nana ferita veniva portata via.

«Non ci servono» rispose l'Elminpietra «Siamo Nani, e questa è la nostra casa. Quale soldato combatterebbe con più fervore?»

«Un soldato probabilmente combatterebbe con qualcosa di più affilato» disse l'ingegnere, strappando il suo piccone che si era incastrato nel teschio dell'Orco «Ci dai una mano, per favore?»

«Prendi questo» disse Laerophen impazientemente, lanciando uno dei suoi pugnali ai piedi di lei. Lei lo raccolse e controllò il filo, annuendo in approvazione.

«Continuate!» ordinò l'Elminpietra, e pulì il sangue nero dalla sua spada «Ogni secondo che passa è un respiro in meno per chiunque sia intrappolato!»

«Ho sentito che c'erano anche degli Uomini là sotto» disse un minatore «Gli Uomini non possono trattenere il respiro a lungo quanto noi...»

«Faremo ciò che possiamo» disse l'Elminpietra «Ma ve lo ripeto: state pronti!»

«Facile per te da dire, non sei là sotto al buio!» disse con voce acuta il minatore nel panico, torturandosi le mani «Tu sei nella tua armatura luccicante con la tua bella faccia pulita, urlando ordini! Non stai scavando nella terra e nel fango al buio! Non guardi tutto il tuo lavoro in rovina e trasformato in un incubo, circondato da urla, non sapendo se qualcosa di orrendo salterà fuori a staccarti la testa a morsi, o mangiarti vivo; se il rumore che hai sentito era un amico o qualcosa di innaturale che striscia...»

«Hregan, datti una calmata!» ringhiò l'ingegnere.

La mascella dell'Elminpietra tremò per un momento, e poi fece un passo avanti. «Levati.»

«Tu cosa?» disse il minatore, interrompendo le sue urla isteriche «Cosa?»

«Blocchi l'entrata» disse l'Elminpietra, paziente come la roccia «Devo superarti.»

«Non puoi essere serio!» urlò Laerophen sopra al caos «Sei il loro Principe!»

«Ed è il mio dovere mettermi fra loro e il pericolo» rispose l'Elminpietra «non lo è, Principe Laerophen?»

L'Elfo lo fissò a bocca aperta per un secondo, e poi le sue labbra di strinsero e chinò la testa per tornare alla minatrice ferita che stava curando.

«Aspetta, aspetta, devo stare con te!» balbettò Piccolo Thorin, e prese il gomito del Principe «Andiamo là dentro?»

«Tu no» disse l'Elminpietra «Io vado.»

«Ma il Re ha detto...»

«Ubbidirai ai miei ordini!»

La testa di Piccolo Thorin si alzò di scatto, e le sue spalle si irrigidirono. «Gimizh è il mio migliore amico! Vengo anch'io!»

I pugni dell'Elminpietra si strinsero. «Io sono il tuo Principe!»

«Quindi? Io ho ordini dal Re!» Piccolo Thorin incrociò le braccia e lo guardò male «Io. Vengo.»

Thorin Elminpietra guardò male il ragazzo a sua volta.

Thorin li fulminò entrambi. «Datevi una mossa!»

Balin guardò fra tutti e tre i Thorin con aria rassegnata, e poi si girò verso Thorin aprendo le mani. «Non vorrei sottolineare l'ovvio qui, amico mio, ma...»

«Giuro su Mahal, questa famiglia» borbottò Thorin, e si prese la testa fra le mani.


Gimizh urlò, un lungo strillo acuto, e corse in avanti con la lampada rotta. L'olio cadde ovunque. Un po' gli finì sulla mano, attraversò il suo guanto e si mischiò col suo sangue. Il resto cadde negli occhi dell'Orco sibilante che era saltato giù dal soffitto del tunnel per soffiargli in faccia. Esso cadde all'indietro, ululando. Gimizh strillò di nuovo, e colpì ancora la cosa in faccia. Vetri rotti volarono in aria, un tintinnio nella totale oscurità. L'Orco gorgogliò in dolore e le sue lunghe braccia cercarono il Nanetto terrorizzato.

Gimizh afferrò la lampada strettamente, e la agitò con tutta la sua forza.

Stavolta, il ringhio dell'Orco terminò in un orribile suono strozzato, e Gimizh indietreggiò a carponi più in fretta di quanto avesse mai fatto. Il cuore gli martellava come un milione di minatori nel petto, e si sentiva confuso e nauseato. La lampada fece rumore contro la trave caduta, e lui armeggiò con la catena della selce nella mano insanguinata cercando il lumino improvvisato, pregando (più ferventemente di quanto avesse mai fatto prima) che rimanesse abbastanza olio, che non l'avesse fatto cadere tutto.

L'Orco fece un orribile suono ribollente.

Gimizh singhiozzò, lacrime e moccio gli scendevano senza controllo sul volto, mentre batteva insieme le selci più e più volte, senza risultati.

«Per favore» sussurrò con labbra intorpidite «Per favore.»

Infine, trovò l'angolo giusto. Una scintilla iniziò a brillare fra le pietre mentre le colpiva, e lui urlò di sollievo. Tenendo le pietre sopra alla miccia, la scintilla attecchì e il resto della lampada sputacchiò fino ad animarsi, anche se l'olio rovesciato scorreva attorno al vetro rotto e quasi spense la piccola fiamma. Lui ci soffiò sopra, il respiro gli si mozzava e si bloccava nel petto. La fiamma tremò per un momento, e poi divenne più grande, sicura e calda.

Fu con mani tremanti che Gimizh prese un pezzo di legno e vi arrotolò sopra la sua giacca sporca. Era stata fatta solo un mese prima, comprata da Dori e decorata con teste di cinghiale in campo verde e marrone. Gli piaceva.

«Oh, Mamma sarà così arrabbiata» singhiozzò, e poi colpì l'Orco svenuto e sanguinante con la torcia ancora spenta per buona misura.

La giacca prese fuoco facilmente, e un po' del freddo terrore nel suo petto svanì mentre si alzava su gambette deboli. Gimizh prese la lampada in una mano tremante e alzò la torcia nell'altra per controllare lo stato del suo nemico.

L'Orco giaceva nel tunnel, la faccia coperta di olio di lampada e sangue, contraendosi leggermente. Aveva del vetro nella testa.

«L'ho fatto» sussurrò Gimizh. Aveva ucciso un Orco, tutto da solo. Però non si sentiva molto avventuroso. Si sentiva un po' male, in effetti.

Alzando il mento, deglutì e si fece forza meglio che poteva. Poteva essere coraggioso. Zittì la piccola voce nel suo petto che urlava disperatamente che doveva andare a casa. Poteva essere coraggioso. Le avventure forse non erano tutto ciò che aveva sempre sognato, ma suo padre era ancora là fuori da qualche parte e Gimizh l'avrebbe trovato o sarebbe scoppiato. Anche se gli faceva accapponare la pelle, si arrampicò sopra all'Orco e iniziò a trottare nel buio. Poteva essere coraggioso. Aveva ucciso un Orco al buio, tutto sa solo! Era un potente guerriero! Era in Missione, come suo Zio Gimli!

Pulendosi la mano sporca e insanguinata sulla fronte, Gimizh andò verso l'ignoto alla ricerca di suo padre.


Il suono delle spade nell'oscurità sembrava venire da ogni lato. Urla risuonavano, confondendo le eco, e le ombre caricavano e giravano in modo nauseante quando le lampade dondolavano sulle braccia dei combattenti.

L'Elminpietra ruggì e si fece strada nell'ammasso di Orchi, la sua grande stella del mattino spinosa lasciava devastazione dietro di sé. «Du bekâr!» urlò, e tutto attorno a lui l'urlo si alzò da centinaia di gole, quasi come se uscisse dalla terra stessa: «Du bekâr!»

Thorin caricò avanti fra i ranghi degli Orchi per guardare nell'oscurità oltre essi. Il tunnel era crollato in molti punti, ma gli Orchi erano strisciati nella terra morbida come talpe orrende fino a dov'erano ora. Le ombre danzanti rendevano difficile vedere, maledetta la vista al buio, ma – una scintilla qua e là – e finalmente riuscì a vedere il buco nel soffitto, piccolo e irregolare e sputante Orchi. Arrivavano così tanti e così in fretta che non uno spicchio di luce poteva essere visto fra i corpi. «Là!» urlò, e si voltò per vedere il Principe e il figlio di Dwalin vicini alla sua posizione.

Piccolo Thorin sembrava sul punto di svenire dalla paura mentre si faceva piccolo dietro all'Elminpietra. Il fischio mortale della grande stella del mattino Amradamnârab, o Mercante di Morte, cantava sopra alla confusione orribile della battaglia mentre girava sopra a teste e si scontrava con arti e attraversava armatura e elmo e carne. Il Principe era in movimento selvaggio, i capelli giravano dietro di lui in aggraziato arco mortale.

«Cugino!» provò Thorin. L'Elminpietra batté le palpebre per levarsi la terra dalle ciglia, e spedì la stella del mattino nel petto di un Orco in arrivo con un urlo selvaggio. I suoi occhi brillavano di rabbia. «Thorin Elminpietra, vieni a me!»

«Troppo preso dal desiderio di battaglia, quello» ansimò Thrór «Prova un altro.»

«Ma è della linea di Durin, la nostra famiglia mi sente meglio» protestò Thorin, e poi notò il giovane figlio di Dwalin, nascosto dietro al Principe con un ascia troppo grande per lui fra le mani.

«Thorin Dwainul» disse senza emozione, e imprecò sottovoce. Poi corse in avanti. «Unday! È lì il posto da cui entrano! Guarda su, guarda su!»

«No» disse Thrór, scioccato. Balin fece un urlo incoerente di rabbia.

«Bambino, ascoltami!» urlò Thorin, spingendosi nel caos.

Balin lo raggiunse appena arrivò al ragazzo. «Thorin, cosa stai facendo?» disse, la rabbia che gli colorava la voce «Quello è mio nipote!»

«E pensi che avrò più fortuna nel raggiungere il figlio di Dáin, no?» abbaiò Thorin, teso e duro «L'Elminpietra non sente altro che la voce della battaglia. Non sentirà le mie parole. Il ragazzo sì.»

«Il ragazzo, come dici tu, ha solo trentasette anni!» gridò Balin, e mise una mano sull'avambraccio di Thorin, la presa inflessibile come manette d'acciaio «Thorin, no!»

«Preferiresti che gli Orchi prendano il tunnel?» ribatté Thorin «Piace me ancora meno di quanto piaccia a te, ma non c'è altro modo! Deve essere bloccato!»

«Deve essere bloccato» borbottò Piccolo Thorin, e aggiustò la sua presa sulla pesante ascia. La punta bipenne era alta quasi quanto lui.

Thorin lanciò a Balin uno sguardo duro di comprensione e determinazione. «Mi dispiace, vecchio amico» disse a denti stretti «Non posso aspettare oltre.»

Le mani di Balin si mossero come se desiderasse l'elsa della sua spada, e poi ringhiò: «fallo.»

Thorin si girò di nuovo verso il ragazzo. «Thorin» gli disse, e com'era strano, chiamare un altro col suo nome del sole! «Thorin, vedi il soffitto dove gli Orchi sono tanto ammassati?»

Gli occhi sbarrati del ragazzo, bianchi per la paura, si alzarono. Poi fece un piccolo respiro. «Là!» ululò, e corse avanti, indicando ansiosamente. I suoi piccoli stivali fecero un gran rumore quando picchiò i piedi, urlando più che poteva. La sua voce si alzò sopra alle grida più profonde dei Nani adulti e ai ringhi degli Orchi. «Là, là sopra, lo vedete? È là l'entrata del loro tunnel! Stanno usando il soffitto collassato come scala verso il nostro! È da lì che entrano!»

L'urlo fu raccolto da altri, e Thorin indietreggiò. «Grazie a Mahal» disse, mentre i difensori correvano verso il punto d'entrata degli Orchi.

Ma l'urlo infantile aveva catturato l'attenzione del nemico. Balin fece un urlo terrorizzato quando una grande Orchessa grigia iniziò a muoversi verso il bambino, un coltello da macellaio dall'aspetto malvagio in mano e un sorriso crudele sul volto. «Ciao, piccola larva» mormorò lei, e si bagnò le labbra con la lunga lingua in una scena disgustosa «Che piccolo bocconcino tenero che sei, eh? Non duro e fibroso come questi più grossi, scommetto...»

«Sparisci, lurida cosa!» ringhiò Thorin, e Piccolo Thorin deglutì e alzò l'ascia con mani tremanti.

«Scommetto di avere un sapore orribile» disse coraggiosamente «Scommetto che ti farei strozzare.»

«Beh, non lo sapremo» ringhiò l'Orchessa, accelerando «finché non proviamo!»

Caricò, e Piccolo Thorin strillò e fece roteare l'ascia. Troppo pesante, la lama colpì il terreno e lui riuscì a sollevarla di nuovo solo barcollando indietro e tirando con tutta la sua forza. L'Orchessa rise, avendo schivato facilmente il colpo. «Ooooh, bocconcino cattivo» lo prese in giro «Mi taglierai in due? Mi farai uscire le budella?»

«Sì» disse il Nanetto «Quindi vattene prima che ti faccia a pezzettini!»

L'Orchessa rise ancora, un suono basso e rasposo. Poi si bloccò improvvisamente, la bocca aperta attorno alla sua ultima risata.

Piccolo Thorin batté le palpebre.

Una figura chiara, quasi luminosa al buio, apparve sopra alla spalla dell'Orchessa e ci fu il suono disgustoso di acciaio che usciva dalla carne. L'Orchessa fece un suono sorpreso, e poi cadde di faccia.

«Pensavo il Principe ti avesse detto di rimanere dietro di lui» disse Laerophen, gli occhi pieni di rabbia.

«Pensavo che gli Elfi combattessero solo con arco e frecce» rispose Piccolo Thorin, l'ascia ancora stretta al petto con mani tremanti «Direi che avevamo torto tutti e due.»

Laerophen sorrise, rapido e selvatico. «C'è poco luce e non abbastanza spazio per tirare in questa oscurità» disse «Stammi vicino, bambino.»

«Non chiamarmi così» disse automaticamente Piccolo Thorin, ma corse lo stesso dietro all'Elfo.

Thorin alzò una mano e tenne fermo Balin che dondolava per il sollievo.

«Hanno collassato il tunnel oltre questo punto!» giunse l'urlo dei Nani all'inizio del tunnel degli Orchi «Stavano scavando giù dalla superficie sopra al nostro – quando i loro scavi hanno incrociato i nostri, hanno fatto collassare il soffitto per avere una scala! Bofur e gli Uomini di Dale devono essere più avanti!»

«Puoi sentirli?» ruggì il Principe. Urla di diniego giunsero tra i tremiti e gli scontri delle armi.

Thorin guardò il muro di terra che aveva dato modo agli Orchi di entrare nel tunnel che era stato una tale fonte di speranza. «Credete che...» si chiese ad alta voce.

Thrór si accigliò confuso, e poi i suoi occhi si spalancarono. «Prova» disse.

«Aspettate, non sto seguendo» disse Balin, ancora confuso e debole per il salvataggio inaspettato di suo nipote «Provare cosa, Thorin?»

«Camminerò attraverso la terra fino ai minatori intrappolati e ai Bizarûnh» disse lui, guardando ancora il muro di travi crollate, rocce e terra fra loro «Li troverò. Forse Bofur riuscirà a sentirmi.»

«E Gimizh?» disse Balin, alzando lo sguardo. Il suo volto era bianco, e la sua barba era stranamente scompigliata «Quanto a lui?»

Thorin esitò, un dolore sordo gli contorse le interiora. «Se riesco a trovarlo» disse.

Nessuno di loro doveva far notare le possibilità che aveva un Nanetto da solo di sopravvivere a un crollo.

Dato che non c'era altro da dire, Thorin camminò avanti oltre ai combattenti e mise la mano sul muro di detriti. Sembrava piuttosto solido, ma tutto il mondo del Gimlîn-zâram sembrava tutto solido e resistente all'inizio. Mura e pavimenti e tera e acqua sembravano ubbidire alle solite leggi per gli osservatori morti all'inizio, almeno finché non venivano messi alla prova. L'illusione era piacevole, ma poteva essere spezzata facilmente.

Thorin deglutì e spinse avanti la mano, dita spalancate. Sparì nella terra fino al gomito.

No, non morirò in questo modo gli giunse l'eco della sua voce da un passato lontano acquattato, arrancando per respirare.

Prese un respiro profondo, riempiendosi i polmoni fino quasi a scoppiare, e poi si lanciò nel nulla soffocante sotto la terra.


Gimizh alzò la torcia più in alto e batté le palpebre.

No, non poteva essere giusto.

Guardò dietro di sé verso i mucchi di terra su cui si era arrampicato, e poi davanti verso il lungo tunnel vuoto in perfetto ordine. Pensò che forse Erebor era dietro di lui, invece che davanti. Doveva aver camminato dalla parte sbagliata.

Gimizh disse una parola che sua madre gli avrebbe tirato le orecchie per aver detto, e si massaggiò ancora la mano sanguinante. La lampada si era spenta da tempo, ma l'aveva tenuta per usare il grasso per la sua torcia. Aveva della terra sulle ciglia, e la sentiva che sfregava contro ai suoi occhi delicati. Stavano diventando umidi, ma lui non li strofinò. Bruciavano già abbastanza.

Gli serviva dell'acqua. Per la barba di Durin, quanto aveva sete.

Quindi gli Orchi avevano fatto crollare il tunnel nel mezzo? Stupidi Orchi. Ora Gimizh non poteva tornare a casa. Si buttò a terra e piantò la torcia nel terreno, tirandosi la maglia. La torcia tremolò, e lui disse di nuovo la brutta parola. Si sarebbe spenta presto.

Riuscì a levarsi la maglia, la sporcò di grasso, e la avvolse appena in tempo attorno alla torcia. Per fortuna, il fuoco non era morto, e lui non lo spense per la fretta.

Nudo dalla vita in su, stava congelando. Si strinse la mano sanguinante attorno al corpo, e raccolse la torcia in quella buona. La lampada era vuota ora. La guardò con rimorso. Aveva ucciso l'Orco per lui, ma ora non gli poteva più essere utile. La lasciò sul terreno e si girò nuovamente verso il tunnel spalancato.

«Non posso tornare indietro» borbottò, e agitò la torcia nel buio. C'era una curva davanti a lui, e nessun segno di altre luci. Era come se il tunnel fosse infinito. «Devo andare avanti.»

Forse suo papà era avanti da qualche parte? Non aveva visto né pelle né capelli degli Uomini di Dale. Tutte le guardie che aspettavano con Gimizh erano scomparse, e lui cercò di non pensare a tutti loro seppelliti sopra al freddo peso della terra. Con un po' di fortuna erano rimasti dall'altro lato del crollo, ed erano già stati salvati. Lo sperava. Jeri era simpaticum, e Agur in genere aveva sempre un dolcetto per un Nanetto con gli occhi grandi e l'aria abbastanza triste e sconsolata.

Iniziò a trotterellare per il tunnel nuovamente, i tremiti gli scuotevano il corpo. Un giorno avrebbe avuto un splendido petto peloso (come Zio Gimli!) che lo tenesse al caldo. Un giorno, si disse fermamente, e cercò di impedire che i suoi denti battessero.

Le missioni erano stupide.

«Chi va là!» urlò una voce nel buio.

Gimizh squittì, riscuotendosi dai suoi pensieri tristi e spaventati. «Non farmi del male ti prego!» disse, il respiro rapido, l'aria fredda gli faceva male alla gola «Sono pericoloso, sì! Ho ucciso un Orco, e sono un grande guerriero, e... ti farò in un milione di pezzettini se ti avvicini!»

Ci fu una pausa, e poi una dolce risata familiare. «Sarebbe terribile.»

Il respiro di Gimizh gli uscì dal corpo come un se un Olifante in carica gli avesse premuto il petto sotto il suo peso. Poi stava correndo avanti alla cieca, la torcia abbandonata da qualche parte nella terra. «'adad, 'adad, 'adad, 'adad» singhiozzò, e le sue mani si allungarono per toccare trecce familiari, dei baffi arricciati, un petto robusto e solido.

«Ooof!» disse Bofur, ed era davvero davvero vero! Gimizh voleva urlarlo dalla cima della Montagna – o avrebbe voluto, se solo fosse stato in grado di smettere di piangere.

«Chi è questo?» giunse un'altra voce, soffiando rabbiosamente, e Bofur scosse la testa.

«Calmati, Bard, nessun pericolo» disse «Questo è il mio ragazzo, Gimizh.»

Mani sconosciute raccolsero la torcia di Gimizh, alzandola e illuminando il corridoio. Gimizh non aveva la forza di chiedersi chi fosse stato. Poteva solo stringere suo padre e seppellire il volto nel petto di Bofur e piangere e piangere e piangere.

«Non sapevo che avessero davvero dei bambini» giunse un sussurro da qualche parte nel tunnel «Pensavo fossero scolpiti dalla pietra e che...»

«Sei un vecchio credulone allora, no?» gli rispose qualcuno «Quello è decisamente un bambino.»

Gimizh non riusciva a smettere di piangere. «Ho combattuto con un Orco, Papà, come Zio Gimli, e non si m-muoveva più perché l'avevo ucciso, io, e ho promesso di t-trovarti...»

«Tranquillo, mio piccolo guerriero, mi hai trovato» disse Bofur, e le sue dita erano stranamente goffe mentre toccava il volto di Gimizh «Stai sanguinando. Perché nel nome di Mahal eri qua sotto?»

«Il Re ha detto, a-aspetta al tunnel e porta messaggi, ma mi annoiavo e s-sono entrato» balbettò Gimizh, e strinse il collo di Bofur mentre le lacrime gli cadevano dal volto e colpivano il suo petto nudo «Il soffitto è caduto su di me, e non trovavo Jeri, e ho ucciso un Orco che mi soffiava contro e mi sono fatto male alla mano. Il tunnel è b-bloccato, quindi sono venuto qua, ho f-fatto una torcia, ma ho perso la maglia e la giacca. Ho sentito dei rumori. Penso ci sia una lotta dall'altro lato.»

«Abbiamo combattuto anche di qua, ragazzo mio, ma sembra che si concentrino di più sulla Montagna» disse Bofur, e c'era molta riluttanza nella sua voce «Sono andati tutti dall'altro lato, confidando che l'aria limitata farà il lavoro sporco per loro. Per fortuna siamo una piccola ricompensa rispetto ad Erebor – e per fortuna non conoscono bene l'ingegneria Nanica. Il mare ci sommergerà prima che il sistema d'areazione fallisca. Una bella fortuna, eh?»

«Sono il Nano più felice della Montagna» disse Gimizh, il volto ancora premuto contro il petto di Bofur. Il broccato della giacca del padre gli strofinò la guancia e le labbra mentre parlava. L'odore familiare che emanava la sua pelle sotto il sangue e lo sporco fece muovere e sciogliere qualcosa nel suo stomaco. Le lacrime finalmente si fermarono mentre Bofur gli accarezzava la schiena con una grande mano, e Gimizh si strofinò gli occhi, e tirò su col naso. «Stai bene?»

«Ecco, tieni la mia giacca» disse improvvisamente Bofur, e si allontanò per levarsi la giacca e avvolgerla attorno alle spalle di Gimizh «Ti prenderesti una polmonite e tua madre mi strapperebbe la barba. Beh, dopo aver finito di sgridarci entrambi per esserci messi in questa situazione, ecco.»

«Diglielo» disse l'Uomo che Bofur aveva chiamato Bard in tono brusco «Non abbiamo tempo, e lui dovrà essere i nostri occhi.»

«Va bene, calmati» rispose Bofur.

Gimizh si accigliò. «Papà, cosa non mi stai dicendo?»

«Mi conosci troppo bene, eh?» ghignò Bofur, guardando assentemente il tunnel «Ora, ragazzo mio, sono incredibilmente orgoglioso di quanto coraggioso tu sia, affrontare un Orco e tenerti la testa. Non voglio chiederti questo, ma non c'è altro modo. Questi Uomini di Dale non sanno nulla su come ci si muove sottoterra. Mi serve che tu sia più coraggioso che mai.»

«Molto coraggioso, coraggiosissimo!» disse Gimizh. Poi fece una smorfia. «Perché?»

Bofur fece un lungo, lento respiro e disse: «Gimizh, mio nidoyel, devi fare qualcosa per me ora. Devi guidarmi.»

In quel momento Gimizh notò qualcosa. «Papà» disse lentamente «Perché non mi guardi?»

«Questo è il problema, undayuh» sospirò Bofur, e alzò il mento come se si stesse preparando «Quando le travi sono cadute, gli Uomini mi hanno dovuto trascinare fuori. Sono tutto intero, solo un braccio rotto, credo, ma qualcosa mi ha colpito la testa. C'è stato un lampo bianco, e poi tutto è diventato nero, ed è rimasto nero da allora. Non posso vedere.»

Gimizh fissò il padre in shock.

«Abbiamo proprio la fortuna di Mahal quando si tratta di essere colpiti in testa» aggiunse cupamente Bofur.


Era un incubo divenuto realtà.

Thorin si spinse fra strati di terra e roccia e legno, un urlo intrappolato fra i denti. Il suo petto si alzava e si abbassava, anche se la sua mente insisteva che lui stava soffocando. Immaginava di sentire il suolo e la roccia e le travi che gli attraversavano pelle e carne e ossa e tendini, con la facilità di una spada Elfica nell'acqua. Si sentì male, e chiuse gli occhi. Avrebbe continuato. Avrebbe continuato.

C'erano delle voci avanti. Gli occhi di Thorin di spalancarono di riflesso, e poi li serrò di nuovo. Troppo presto. Aveva solo dato una minuscola occhiata – solo una frazione di secondo – ma anche quello era troppo.

Per un razza sotterranea, questa era la più grande paura.

Barcollò avanti. I suoni continuavano a crescere, distorti per le sue orecchie come se sentisse nell'acqua. L'eco era modificata dalla roccia e dal suolo, e l'urlo di Thorin stava lentamente ma inevitabilmente strisciando su lungo la sua gola. Ne sentiva il sapore, proprio dietro alla lingua.

Anche se poteva respirare, la sua mente insisteva nel dirgli che stava soffocando. I polmoni gli facevano male come una ferita. Ogni battito del suo cuore gli faceva correre il sangue nelle vene come in una danza folle. Lo sentiva che pulsava dietro alle sue palpebre.

Non morirò in questo modo, acquattato, arrancando per respirare!

«Sei morto!» si ringhiò contro, rivolto alle proprie stupide paure «Sei già morto! Sei solo un pensiero e un sussurro nel mondo vivente. Dís riderebbe per sempre se ti vedesse ora. Fatti coraggio. Fatti coraggio! Nonostante tutti i tuoi difetti, non sei pauroso né codardo, almeno. Riprenditi!»

Acquattato, arrancando per respirare!

Thorin continuò, e i suoni della battaglia dietro di lui e il mormorio delle voce avanti iniziarono a mostrare una distorta incoerenza da incubo. Fece un urlo di protesta per la confusione nelle sue orecchie, la sua voce si aggiunse alla cacofonia di rumore.

«Calmati!» disse Bilbo.

«Oh, grazie a Mahal!» Thorin quasi collassò, la parole si rovesciarono e ricaddero fuori dalle sua bocca «Bilbo, Bilbo mio, grazie, grazie a Mahal, grazie al Creatore...»

«Un piede dopo l'altro» disse Bilbo calmo «Andiamo!»

Thorin barcollò avanti, le mani allungate dinnanzi a sé. Le pietre gli graffiarono le ossa mentre ci passava attraverso, e si morse il labbro, forte. Il sangue gli riempì la bocca. «Bilbo!» ansimò.

«Quasi, quasi» lo chiamò Bilbo. Thorin desiderò essere abbastanza coraggioso da arrischiare un altro sguardo, per vedere se il suo Hobbit scivolava nella terra accanto a lui, ma non osò farlo. Una volta era più che sufficiente. «Continua a continuare, come diceva sempre Hamfast.»

«Il tuo vicino, vero?» chiese Thorin anche se sapeva perfettamente chi era. Non riusciva a pensare a nient'altro da dire. La sua mente era una confusione di roccia e panico.

«Mmm. Il padre del giovane Sam. Si prende cura del mio giardino da prima della mia vacanza, sai. È l'esperto locale di patate»

«Patate» ripeté Thorin.

«Sì, patate» disse Bilbo, e c'era un sorriso sulle sue labbra. Thorin poteva sentire il calore delle sue parole e lo percepiva nel rilassamento dei suoi arti. «Cose bianche e bitorzolute che crescono sottoterra e odiano il sole. Suppongo tu possa riconoscerti in esse.»

«Mi stai chiamando bitorzoluto?»

«Abbastanza. So che aspetto ha un Nano sotto l'armatura, ricordalo»

La bocca di Thorin si incurvò. «E la vista ti era piaciuta?»

«Oh, stai cercando dei complimenti ora? Molto dignitoso, Oh grande Re Sotto la Montagna. E poi, potrei anche chiamarti verdura» Bilbo tirò su col naso.

Thorin lasciò che la sua risata rimbombasse, cacciando ogni ricordo dell'urlo che gli artigliava la gola. «Hobbit impertinente.»

«Nano pomposo. Continua a muoverti»

Improvvisamente ci fu aria attorno a loro, e gli occhi di Thorin si spalancarono di nuovo. La roccia non era più chiusa attorno a lui, e lui cadde in avanti a carponi e ansimò, gemendo.

Riuscì a controllarsi dopo qualche momento, e guardò su per vedere il suo giovane, vitale Uno in piedi nell'oscurità. Il volto di Bilbo era orgoglioso e la sua testa era alzata in maniera arzilla.

«Eccoci qua» disse Bilbo soddisfatto. E scomparve.


Kíli sospirò e si prese la testa fra le mani.

«Un sospiro così grande, figlio mio?» disse il suo Creatore gentilmente, e Kíli guardò su senza pensare solo per allontanare lo sguardo dal volto saggio e glorioso, battendo le palpebre.

«Ahia» mormorò, prima di guardare su ancora con occhi cautamente socchiusi.

«Stai attento» disse Mahal «Ti ho già riparato una volta gli occhi.»

Kíli fece una smorfia, prima di coprirsi gli occhi con le mani. «Gli Hobbit sono davvero minuscoli. Davvero piccoli, anche più piccoli di Frerin. Non hanno bisogno di tanto spazio.»

«Già lo hai detto»

«E sono ottimi cuochi. E hanno dell'erbapipa superba. E fanno della birra fantastica. Ti piacerebbe»

«Senza dubbio»

«E sono sicuro che a Mandos non servono tutti. È molto egoista, e tenerseli tutti per lui. Dovrebbe condividere con te. O sai, dartene almeno uno. Rallegrano molto l'atmosfera»

«Sì, così ho sentito»

Kíli sospirò di nuovo, e lasciò che la testa gli ricadesse in avanti, colpendosi le mani. «Non lo stai rendendo facile.»

«No, figlio mio» confermò Mahal «Non lo sto facendo.»

Kíli borbottò sottovoce per un altro momento, e poi fece spallucce e guardò su di nuovo. «Quindi, la cosa brillante se n'è andata ora, fa quello che deve fare dove io non posso andare? È già nel mondo? Mi dirai cos'era? Non la noteranno tutti – per qualche motivo non credo che una grande cosa luminosa possa essere molto nascosta. Di cos'è fatta? Può bruciare le cose? Posso continuare a farti domande, lo sai. Ne ho a centinaia.»

«Presto» disse Mahal con quella voce che faceva tremare le ossa di Kíli. Il Valar mise giù il suo martello, e poi fece un passo indietro dall'incudine, inclinando la grande testa mentre guardava la forma e l'anima del Nano che stava creando. Poi fece un sospiro come un gran vento e si sedette su una sedia (o era una montagna non completa, con foreste e ghiacciai e nuvole sul picco, che cresceva mentre Kíli la guardava), considerando ancora il suo lavoro. «Presto. Il tempo in cui essa emergerà e sarà nuovamente conosciuta di avvicina. E non è un fuoco come tu lo pensi, ma uno spirito: uno spirito riforgiato e nuovamente in fiamme. Ma non mi stai dicendo perché sospiri così tanto, Kíli.»

Lo sguardo di Kíli si allontanò. «Eh, no, sei molto attento.»

Il suo Creatore si abbassò e tirò i capelli spettinati di Kíli. «In genere non trovi difficile parlare, Kíli. Quale delle tue cento domande ti affligge?»

Kíli rimase in silenzio.

Mahal aggrottò le sopracciglia e fissò il giovane Nano innaturalmente silenzioso. «Nathânûn.»

Un brivido corse sulla sua schiena, e Kíli esclamò: «dove vanno gli Elfi?»

Mahal si interruppe con le dita ancora nei capelli di Kíli.

«Perché... beh» Kíli si fece forza, e poi afferrò una di quelle grandi dita ustionate con entrambe le mani «Sai. Devi saperlo. Non ne ho mai parato prima. Non ne parlerò più, se non devo saperlo. Ma devo provare almeno una volta. Dov'è lei? Per favore.»

La grande testa barbuta si inclinò, e poi Mahal mormorò: «Avrei dovuto prevederlo. Parlare con tuo zio ha riportato il problema alla luce, vedo.»

«È sempre alla luce» disse Kíli, e alzò il mento.

«Certo che lo è» disse Mahal, e sorrise «Certo.»

«Quindi dov'è lei?» incitò Kíli, e poi si morse il labbro «Puoi dirmelo? Voglio dire, ti è permesso?»

«Mio fratello Námo è un mistero» disse il Fabbro eterno «Le sue Aule sono in costante mutamento e allontanamento, parte di questo continente eppure separate da esso, unite al mondo e fuori da esso allo stesso tempo.»

Kíli si accigliò.

«Uomini e Hobbit e coloro di stirpe mortale non sono legati a questa terra come i Primogeniti» continuò Mahal «Nemmeno i miei Nani sono così strettamente connessi alla terra, nonostante ne siano stati creati. Vi è stato dato questo luogo di calma e riposo prima che il mondo sia ricreato, ma li Elfi non lo lasciano mai davvero. Tutte le altre anime vanno avanti, oltre alla Terra di Mezzo, verso un fato che nemmeno mio fratello Manwë conosce. E quindi Uomini e Hobbit e Ent non risiedono nelle Aule di Mandos dopo esservi entrati, ma invece sono liberi di andare dove noi non possiamo. È il Dono di Eru Ilúvatar ai Secondogeniti.»

«Che bel regalo, essere mandati via come un pacco senza indirizzo» disse Kíli impazientemente, masticandosi ancora il labbro «Elfi?»

«Gli Elfi non possono andarsene» disse Mahal, e il suo pollice lisciò la fronte di Kíli «Mi dispiace, Kíli. Gli Elfi non lasciano le Aule come coloro di stirpe mortale. Loro vi risiedono fino alla fine del mondo, e raramente mio fratello ammorbidisce la sua presa. Vive un Elfo a Granburrone che è passato per le sue porte – Glorfindel, dai capelli dorati – ma dalla creazione di Arda Námo non ha mai abbandonato la sua devozione ferrea per il suo compito. Sarebbe come chiedere a me di non lavorare.»

Kíli batté le palpebre. «Alla fine del mondo.»

«Aye»

«Il mondo in cui siamo noi, giusto? Voglio solo essere sicuro»

Mahal alzò un sopracciglio. «Aye?»

«Quello che dobbiamo ricostruire dopo la Dagor Dagorath?»

Le dita giganti si fermarono mentre accarezzavano i capelli di Kíli.

Kíli sorrise. «Lo sapevo.»

«Aspetteresti tanto a lungo?» chiese Mahal incredulo «Gli anni che devono passare sono innumerevoli.»

Kíli strinse la mascella e guardò il volto radiante del suo Creatore senza allontanare lo sguardo. «Aspetterei anche il doppio» disse fermamente.

«Ah, figlio coraggioso» disse piano il Valar «Io misi la lealtà nelle tue ossa. Non sapevo quanto profondamente avesse attecchito.»

«La vedrò ancora» disse Kíli, e sorrise di nuovo, il cuore leggero come un piuma «Chi se ne frega degli anni in mezzo? Con una speranza simile, potrei spostare Taniquetil pietra per pietra! Potrei nuotare negli oceani! Potrei mangiare un intero piatto di insalata! Io rivedrò Tauriel!»


«Li hai trovati?» chiese Frerin.

Thorin collassò su una sedia. Anche la luce grigia senza fonte delle Sale era meglio che i tunnel sotto Erebor. «Aye. Mi serve una birra.»

Frís gli mise in mano un boccale, e Thorin bevve profondamente e si fermò solo quando dei rivoli iniziarono a scendergli nella barba. «Lentamente» lo avvertì Frís «Ti strozzerai.»

«Bofur è davvero cieco?» disse Fíli, la voce piccola e stupefatta.

Thorin si fermò, il boccale a mezza strada verso la sua bocca. Poi annuì. Fíli fece un sospiro e si afflosciò nella sua sedia. «Mahal abbia pietà» disse.

«Non c'è molta pietà in quei tunnel» raspò Thorin «Però Gimizh vive, un vero miracolo. Sono intrappolati da qualche parte oltre il soffitto crollato, e non possono raggiungere Erebor. Devono tornare verso Dale e senza dubbio fra i denti di altri Orchi, o morir di fame nell'oscurità.»

«E il Principe e gli altri, dal lato della Montagna del crollo?» disse Frerin, accigliato «Non possono scavare?»

Thorin sospirò. «Sono tornato da loro e ho parlato con Piccolo Thorin. Il fatto che creda che il suo amico sia vivo non sorprende gli altri. Io ho solo aiutato la sua convinzione. Servirà una lotta feroce per allontanare gli Orchi che ancora continuano a entrare nei tunnel.»

Thrór scambiò un'occhiata con Hrera, e poi chiuse gli occhi per nascondere le sue paure. Attorno a lui, la famiglia sedette in teso silenzio. Nessuno di loro menzionò l'altra possibile opzione: far crollare l'intero tunnel e così tagliare l'entrata agli Orchi.

«Sei distrutto, nadad» disse Frerin, e gli riempì il boccale, rovesciando un po' della birra rimettendo giù la caraffa «Bevi.»

«E la Compagnia?» disse Thorin dopo qualche sorso «Come sta Gimli?»

«Giù di morale» disse Frerin, e fece spallucce «Sapeva che ero lì. Mi ha salutato per nome. Però parla molto con Aragorn, Merry, la Dama Éowyn e Re Théoden. Cavalcano verso Dunclivo per incontrare il resto dei Rohirrim.»

«E Legolas?» Thorin alzò lo sguardo per incrociare quello del fratello «Parla con Legolas?»

Frerin esitò. Poi esclamò: «cavalcano insieme come sempre, ma non parlano più del necessario.»

Thorin piegò la testa in avanti. «Maledizione» disse piano, e poi si alzò con arti doloranti e mise giù il boccale vuoto «Andrò da Bilbo ora.»

«E poi letto» disse Frís, gli occhi che brillavano severamente.

«E poi letto» confermò lui senza emozione.


L'Elfo era alto ed elegante, con lisci capelli scuri e un volto così bello da fermarti il cuore... ma del resto, tutti erano così. Thorin si accasciò esausto accanto all'Elfo e lo guardò con sguardo accusatore. «Potresti spostarti un po'» borbottò. Il cuore gli faceva male. Ogni suo muscolo gli faceva male. I capelli gli facevano male. «E il tuo arpeggiare è noioso e blando.»

L'Elfo, ovviamente, non poteva sentirlo. Thorin incrociò le braccia e si accigliò guardando il suo Hobbit seduto davanti a una scacchiera, un pezzo stretto nella manina rugosa. «Ora, da che parte si muove questo?» si chiese.

«Di qua, Bilbo» disse Arwen gentilmente. I suoi occhi erano affossati in cerchi scuri, e le sue guance si erano svuotate. Thorin la osservò, alzando le sopracciglia.

Bilbo guardò la scacchiera con occhi lucidi mentre lei spostava un pezzo, e poi scosse la testa. «No: non va bene, sono riuscirò a giocare Lanthir, non lo capisco per niente. Dovrai trovarti un'altra vittima, Lady Arwen.»

Lei sorrise. «Non c'è avversario che preferirei.»

«Oh, adesso, mi prendi in giro» Bilbo mise giù il pezzo che aveva in mano e sbadigliò «Bontà mia, che ore sono?»

Arwen controllò l'orologio, e poi si guardò di nuovo verso lo Hobbit anziano con una certa triste comprensione. «Sono passate solo quattro ore da mezzogiorno, Bilbo.»

«Mmm, terribilmente tardi» mormorò lui, e la sua testa iniziò a ciondolare. Poi alzò il mento, battendo le palpebre. «No, no, dovevo fare qualcosa, cosa?»

Arwen scambiò un'occhiata con l'arpista, prima di dire: «forse volevi innaffiare il tuo giardino?»

«Sono certo che fosse importante» borbottò Bilbo, e le sue mani sbiancate strinsero la coperta sulle sue ginocchia «Dannata memoria – ha più buchi che altro, ormai. Sai, davvero non hai un bell'aspetto, Lady Arwen. Spero tu non ti stia ammalando?»

Gli occhi meravigliosi di Arwen si allargarono, e poi si voltò in modo stranamente brusco. Le sue labbra erano strette in una sottile linea di dolore. «Non è nulla» disse.

Thorin aggrottò le sopracciglia. «Non avevo mai visto un Elfo che non fosse in perfetta salute» si disse «Eppure ci sono cerchi scuri sotto i suoi occhi, e le sue guance sono pallide e magre...»

«Potrò essere un po' confuso per quanto riguarda i dettagli oggigiorno, ma non sono stupido né cieco!» disse Bilbo irritato, e poi alzò il mento nel suo modo più altezzoso. Thorin quasi sorrise al gesto: quanto era familiare, e quanto caro. «Non è affatto “nulla” - è ovviamente “qualcosa”, e vorrei molto che mi dicessi cosa!»

Arwen rimase immobile per un momento, e poi la sua testa si piegò in avanti, coprendole il volto con una cascata di capelli neri. «Invero, non sei cieco, ma non è necessaria la vista degli Elfi per notarlo» disse nella sua bassa voce musicale «Io non sto bene, Mastro Bilbo. Potrei non guarire.»

«Non guarire?» esclamò Bilbo «Ma allora, cos'è? Tuo padre ti rimetterebbe in sesto in un attimo, ne sono certo. Anzi, se può aiutare un vecchio Hobbit con le sue ossa doloranti, senza dubbio può farti tornare in salute più in fretta di quanto tu possa dire “cavolo”!»

«Ma mio padre non è qui» disse lei con un sospiro, abbassando di nuovo la testa «Tu non ricordi, ma se n'è andato un mese fa. Ora cavalca verso Edoras, nel regno di Rohan.»

«Davvero?» Bilbo fece una smorfia «Accidenti, deve essermi uscito di mente. Beh, sei una ragazza Elfica comunque: senza dubbio sei forte come un bue. Non avevo mai sentito parlare di un Elfo con... cos'è, comunque?»

La mascella di Arwen si strinse.

Il respiro di Bilbo si mozzò nella sua gola, e lui si piegò in avanti. «Dama, non sarà...?» ansimò.

Lei annuì una volta.

Bilbo la fissò terrorizzato, e poi ricadde nei cuscini, gli occhi enormi nel volto segnato. «Bontà mia» disse debolmente.

«Cosa, cosa succede?» chiese Thorin, e si alzò per esaminare l'Elfa più da vicino, anche se tutti i suoi muscoli protestavano vivamente «Qual'è il suo problema?»

«Non può essere rallentato?» disse Bilbo, la voce tremula «O fermato?»

«Sai bene come funzione, Bilbo» disse lei con un sorrisetto amaro «Sai molto più di noi di tutti i saggi delle razze più giovane, salvo solo Aragorn. Sai che non si può fermare.»

«Ma tu non sei del tutto Elfica» protestò Bilbo, e si torturò le mani, facendo scrocchiare le nocche artritiche «Forse questo lo fermerà.»

«No» Arwen alzò una mano sottile verso l'arpista, e lui chinò la testa e si alzò. I suoi abiti spazzarono le foglie d'autunno sul pavimento mentre se ne andava.

Arwen prese il suo posto, poi mise le mani su quelle di Bilbo. «Non posso fermarlo, né desidero farlo» disse, la voce intensa e gli occhi accesi nel volto pallido e spettrale «Mio padre» sputò, e poi chiuse gli occhi «Mio padre voleva risparmiarmelo. Voleva spedirmi oltre mare, dove non vi è malattia e nessun male può toccarmi. Ma la mia malattia mia avrebbe seguito fin là. Io sono legata alla Terra di Mezzo ora, e nessun potere dell'oscurità o della luce può cambiarlo.»

«No!» disse Bilbo con calore «Questa è una cosa orribile da dire! Immaginalo, gettarti via per una cosa sciocca come l'amore – sciocchezze e nullità! Aragorn potrà essere un tipo notevole, ma non è di certo l'unico. Anzi, il mondo è pieno di tipi notevoli, se sono di tuo gusto. Per carità! Tu stessa sei troppo notevole per desiderare qualcosa fino alla morte!»

«È la mia natura» disse lei, e strinse le mani di Bilbo «E io ho fatto la mia scelta.»

«Beh, scegli di nuovo!» esclamò Bilbo.

«E sarebbe così facile?» disse Arwen piano «Così come tu avresti potuto accettare qualsiasi altro Nano al posto del tuo Re defunto, vero?»

La gola di Thorin si chiuse di colpo.

«Ora, questo non è...» sputacchiò Bilbo, e poi si accigliò «Non è per niente lo stesso, e lo sai! E comunque, io sono ancora qui, sbaglio?»

«Sì» disse lei, e i suoi occhi erano pieni di compassione «Lo sei.»

«Ghivashel» sussurrò Thorin, e la sua mano si alzò di volontà propria per accarezzare quella magra guancia rugosa. Se rimaneva appena sopra la pelle, poteva quasi credere all'illusione di toccare il suo Hobbit.

Un'illusione era meglio di niente.

«Voglio dire...» balbettò Bilbo, e la sua bocca di mosse inutilmente per un momento «Adesso, aspetta un attimo, io non ho mai...»

«No, ma gli Hobbit del resto non sono Elfi» disse Arwen, e si inginocchiò davanti a lui, le mani ancora su quelle si lui. Le sue dita erano ancora più stranamente bianche e lunghe rispetto alle mani rovinate di Bilbo, scure per il sole e piene di calli dovuti ai suoi attrezzi da giardino. «Eppure il tuo cuore è andato avanti senza di te, sbaglio? Tu sai qualcosa di questo tu stesso.»

Bilbo la guardò seriamente. «Gli Hobbit sono infinitamente più pratici degli Elfi» esclamò «E dove il mio cuore sia andato sono solo affari miei!»

«Bilbo» disse Arwen, con dolcezza infinita «Non puoi prendere in giro coloro che hanno occhi per vedere.»

«Tsk, cavolate e stupidate» borbottò «Sciocchezze drammatiche e istrioniche – scommetto che sono tutte in quelle poesie che leggi!»

Le sopracciglia di Arwen si alzarono. «Anche tu scrivi poesie, l'hai dimenticato?»

«Sì, , ma io non andrei a morire solo per uno stupido Nano» continuò Bilbo. Il suo tono rimase indignato e nervoso, ma c'erano lacrime nei suoi occhi sfocati «E nemmeno dovresti tu. Che problemi! Voglio dire, avevo tante cose da fare, no? Avevo i miei libri, e Casa Baggins, e il mio giardino, no? E poi c'era il mio giovane Frodo, dove sarebbe finito se non ci fossi stato io, eh? Perso in quel labirinto polveroso di uno Smial, circondato da quell'orda di Brandybuck fastidiosi, ecco dove! Ma io l'ho messo a posto, sì, ed è stata una gran bella cosa! Tenersi occupati, ecco il segreto!»

«Bilbo» sospirò Arwen «Bilbo, mellon...»

«Ascolta il mio consiglio, mia cara» disse Bilbo, la voce rotta. Si asciugò gli occhi con un brusco scattò della mano «Tieniti occupata. A chi servono, eh? Hai due mani, no? Starai bene, vedrai. Dopo un po' sorriderai di nuovo. Un giorno, riderai. Cosa cambia se la vita è un po' più grigia? Il tempo va avanti, e così dobbiamo fare noi. La Strada non è sempre in piano, ma non finisce mai.»

«Se solo avessi il tuo spirito» disse Arwen «Ma ahimè, io sono un Elfo. E a parte il sangue di mio padre, io vivo la vita di un Elfo, e quindi ne devo sopportare i dolori.»

«Ma potresti vivere la vita di un Uomo, puoi scegliere» protestò Bilbo, e poi le scosse le mani «Pensa! Non sdraiarti lì e appassire come un fiore estivo!»

Lei sorrise, nonostante tutto. «Ho pensato a lungo e attentamente, Mastro Baggins. E sì, quella è la vita che sceglierei. Ma quella vita è sempre più in dubbio, e nella mia scelta vi è un'altra fine.»

«Melodramma e teatralità» borbottò Bilbo, e si asciugò di nuovo gli occhi e alzò il mento in modo impertinente, come a sfidarla a fare commenti sulle sue lacrime «Beh, non si può fare così, proprio no. Dovrò fare qualcosa a proposito.»

Arwen sorrise ancora. «Io credo davvero che ci riusciresti.»

«Beh, sì, dovresti. Ti ho mai detto che una volta ho cavalcato un'Aquila? Non sono uno con cui scherzare» sbuffò Bilbo. Sbadigliò.

«Allora la nostra missione è chiara. Attaccheremo questo problema domani» disse lei, e gli tirò la coperta sopra le ginocchia.

«Mmm, domani. Sì, sono stano» borbottò Bilbo, e la sua testa iniziò a ciondolare di nuovo. Poi aprì un occhio e guardò gli alberi. «L'autunno è arrivato presto, non credi? Sarà la stagione delle mele presto. Dovrò sistemare la credenza, ricordami di parlare con Toby Soffiatromba. Vorrei fare la marmellata di mele della mia bisnonna quest'anno. Sì, così tanto da fare, così tanto da fare...»

La sua voce si affievolì mentre la testa gli cadeva sul petto, e dopo qualche istante il vecchio Hobbit era addormentato.

«Si stanca così facilmente» sussurrò Arwen «Non avrei dovuto farlo arrabbiare.»

«Non l'hai fatto arrabbiare» sospirò Thorin «Credimi, so com'è quando si arrabbia.»

No, la donna-Elfo lo aveva turbato. C'erano differenze sottili, ma dopo molti anni Thorin aveva imparato a distinguere i vari tipi di rabbia e indignazione Hobbit.

Arwen si alzò e voltò il bel volto verso sud. «Tenersi occupati, che strano modo di metterla» disse all'aria apparentemente vuota, i suoi capelli neri di seta le si avvolgevano sulle spalle, tirati dalla fresca aria autunnale «Io non sono come Bilbo. Io ho messo in palio la mia vita per un ultima speranza evanescente, mischiando la mia stirpe a quella degli Uomini. Il mio popolo ora appartiene alla storia, e il mio fato appartiene all'Anello del Potere. Posso continuare come gli Hobbit, anche se le mie speranze sono così lontane?»

«Bilbo ha ragione, sei decisamente troppo melodrammatica» borbottò Thorin quando lei si voltò e iniziò ad attraversare la luce sfocata verso l'Ultima Casa Accogliente, lasciandosi dietro una scia di foglie rosse.

«Oh, bello da parte tua» giunse nuovamente la voce amata, e il respiro di Thorin tornò di colpo nel suo corpo. Un sorriso iniziò a farsi strada sulle sue labbra, senza che lo volesse, mentre si voltava per guardare il Bilbo giovane e vitale dei suoi sogni proprio dietro di lui.

«Dimmi, Oh grande Re, hai mai udito la frase “la pentola che se la prende col bollitore”?» rise lo Hobbit.

«I Nani hanno una frase simile» disse Thorin, e bevve della vista dei ricci biondo scuro, del piccolo volto insolente, della curva furba della bocca, degli occhi vitali «Ciao ancora, sanâzyunguh

«Beh? Non puoi lasciarmi così» disse lo Hobbit, e incrociò le braccia con uno sguardo impaziente sul volto «Seriamente, a volte penso tu sia criptico solo per divertirti.»

«Ah, mi conosci davvero bene» Thorin sorrise «Tienilo per te, ho una reputazione da mantenere.»

Bilbo sbuffò. Dietro a Thorin, l'anziano Hobbit dormiente fece un piccolo suono nel sonno. «Non essere ridicolo, grazie tante. La frase?»

«Diciamo “sia la forgia che il forno mangiano carbone”» rispose Thorin, e guardò il Bilbo dormiente, fragile e perso «Tu qui, e tu lì. Io sono doppiamente benedetto dalla tua presenza. Anche se non sei altro che un'illusione della mia mente, mi trovo più che felice.»

«Preferisco la frase Hobbit» disse Bilbo, e chinò la testa «Un'illusione della tua mente?»

«Aye» disse Thorin secco «Più dolce delle solite illusioni, però. Non ti sei notato, seduto su quella sedia?»

Bilbo guardò dietro a Thorin, e vedendo il vecchio Hobbit decrepito coi suoi fini capelli bianchi i suoi occhi divennero larghi come piattini. «Oh.»

«Sì. “Oh”» confermò Thorin.

«Ma io...» Bilbo si accigliò.

Nel suo sonno, i vecchio Hobbit sulla sedia aggrottò le sopracciglia.

«Aspetta» disse Bilbo, e fece un passo avanti, fissandosi affascinato. Le labbra del vecchio Hobbit si mossero attorno a una parola: aspetta.

Il cuore di Thorin saltò, e poi iniziò a battere più rapido nel suo petto. Un pensiero selvaggio e impossibile si stava formando nella sua stanza testa. «Parla ancora» ordinò, e fissò lo Hobbit dormiente.

«Un “per piacere” non sarebbe stato sgradito» disse Bilbo, e in quel momento, le labbra dell'anziano Hobbit si mossero e la sua faccia rovinata si tirò in familiare linee indignate.

La bocca di Thorin si spalancò per la meraviglia, e si voltò da una parte all'altra, cercando di fissare entrambi i Bilbo allo stesso tempo. «Ma mahdjin... No, non può essere.»

«Sono io, vero» disse Bilbo, e il vecchio Hobbit mormorò nel sonno «Sono io.»

«Non può essere possibile!» esclamò Thorin «Parla, Bilbo!»

«Per piacere» disse Bilbo, e le sue orecchie erano rosse di rabbia «Non sono parole tanto difficili da dire! Davvero! Sei sempre molto più simpatico nei miei sogni. Sei quasi il vecchio te stesso, ed è qualcosa di notevole.»

Thorin si girò per vedere se il suo discorso avesse avuto un qualche effetto sul dormiente – ed ecco, il vecchio Bilbo borbottò irritato sottovoce, e poi tornò a calmarsi.

«Non capisco» disse Bilbo dietro di lui «È solo un sogno, come tutti gli altri sogni. Svaniscono alla luce del mattino.»

«I tuoi sogni» disse Thorin lentamente «Bilbo, io non sono un sogno.»

«E allora cosa sei?» chiese Bilbo «Non puoi essere reale, sei morto come uno stipite e sepolto sotto la Montagna. Questo lo so, ero lì! Non sono tanto senile!»

«Non è possibile» disse Thorin stupefatto «Mahal abbia pietà, ma lascia che sia così!»

«Se non sei un sogno, come puoi essere qui? Tu sei morto!» disse Bilbo, e scosse la testa confuso «E io... aspetta, non riesco mai a ricordarlo...»

«Aye, io sono morto da tempo» disse Thorin «E sembra che i tuoi sogni non siano privi di fondamenti.»

«Non riesco mai a ricordare» ripeté Bilbo frustrato, e poi sbiancò «Intendi dire...»

«Sei tu» sussurrò Thorin, e voleva cantare, voleva ridere, voleva piangere «In tutti questi freddi infiniti anni di guardare e desiderare, non avevo mai osato sperare tanto.»

«Mi stai dicendo che sei stato... con me, tutto questo tempo?» disse Bilbo rigidamente, deglutendo.

«Non ti ho mai lasciato» disse Thorin, e una tale fortuna non poteva essere sua – i Valar non erano mai stati così gentili verso un miserabile Nano – non poteva essere! «E tu davvero sei il mio Hobbit, e non qualche frammento del mio dolore?»

«Il tuo Hobbit?» Bilbo si girò verso di lui, e il suo volto era tirato dalla furia «Il tuo Hobbit?»

Thorin batté le palpebre stupito. «Io... Io...»

«Thorin Scudodiquercia, la tua arroganza!» esclamò Bilbo.

«Bilbo» disse Thorin, saltando indietro per la sorpresa e la confusione – e poi Bilbo svanì «Bilbo! Bilbo! Mi dispiace, Bilbo, scusami – ti prego, ritorna, ti prego – ti prego, idùzhibuh, ti prego!»

Ma il giovane Hobbit non riapparve. Thorin fece un urlo strozzato di frustrazione e perdita, e poi cadde carponi. «Bilbo!»

Il vecchio Hobbit nella sedia piangeva nel sonno.

«Ma ti ho fatto una penna» disse Thorin all'aria, inginocchiato senza speranze tra le foglia autunnali spazzate dal vento.

TBC...

Note

Parte del dialogo è preso dai film

Dunclivo – un rifugio dei Rohirrim nelle Montagne Bianche, era un altopiano sopra la Dunvalle, che dava sul fiume Acquaneve. Un alto sentiero, conosciuto come “Scala del Forte”, portava alla cima dell'altopiano conosciuta come “Firienfield”, dove i soldati e i rifugiati generalmente facevano campo. Oltre a questo luogo vi erano le pietra che segnavano il sentiero del Dimholt, e i Sentieri dei Morti.

Manwë – Re degli Ainur e primo dei Valar (Il Re Antico). Sposato a Varda Elentári (Elbereth), amata dagli Elfi. Il suo regno sono l'aria e i venti del mondo, e le aquile i suoi messaggeri. Di tutti gli Ainur, fu scelto come comandante – anche se non era il più forte. Melkor (Morgoth) era più potente di lui. Lui era un signore gentile e pieno di compassione – ma non riusciva a comprendere il male o la malizia. Per via della sua ingenuità, molti mali furono rilasciati. I Vanyar sono i suoi Elfi preferiti, ed essi vivono con lui sul Monte Taniquetil.

Námo – il Giudice dei Valar. È meglio conosciuto col nome delle sue Aule: Mandos. È il signore degli Uccisi. Vairë la Tessitrice è sua moglie. Nienna la Piangente è sua sorella.

Il Dono agli Uomini – il “dono” di cui parla Mahal è la morte. Anche se fu decretato che gli Elfi avrebbero trovato più gioia e creato più bellezza di ogni altra stirpe, fu grazie a questo Dono che gli Uomini sarebbero diventati i creatori del futuro. Gli Elfi (i Primogeniti) non muoiono fino alla morte del mondo stesso, e se sono uccisi per sbaglio e sfortuna, sono raccolti nelle Aule di Mandos per aspettare la Dagor Dagorath (la battaglia finale fra i poteri – in pratica, il Ragnarok).

Col suo Dono ai Secondogeniti, Eru Ilúvatar fece sì che i mortali non trovassero pace dentro Arda, e quindi avrebbero cercato oltre al mondo e ai suoi legami dopo la morte. Gli Spiriti degli Uomini lasciano completamente il mondo e non ritornano dopo la morte. Gli Hobbit, come tutti i Figli Minori di Ilúvatar, condividono il Dono degli Uomini. Morti mortali cercarono di evitare il Dono – i Nazgûl, persino Sméagol stesso – ma infine, si dice che persino i Valar invidieranno il Dono di Ilúvatar.

Glorfindel - “Dai Capelli Dorati”. Era un signore Noldor, e viaggiò da Aman ad Arda con Turgon e visse a Gondolin. Quando Gondolin cadde, lui uccise il Balrog che la assalì e fu ucciso a sua volta. Ci sono molte controversie sul fatto che quello trovato a Granburrone nei libri sia la reincarnazione dello stesso Glorfindel: qua è stata scelta la teoria della reincarnazione. Era un grande guerriero Elfo che per primo profetizzò del Re Stregone di Angmar: che nessun uomo mortale avrebbe potuto ucciderlo.

Taniquetil – il picco più alto del mondo, parte delle Pelóri in Aman. I troni di Manwë e Varda sono sul picco.

Labirinto polveroso di uno Smial” - Villa Brandy, l'enorme casa della famiglia Brandybuck, scavata da Gorhendad Vecchiobecco. Il Signore della Villa era l'autorità locale tra i villaggi della Terra di Buck. Frodo Baggins visse lì fino a quando il suo cugino di novantanove anni Bilbo Baggins lo adottò quando aveva ventuno anni.

I Mezzelfi – a differenza degli altri Elfi, i Mezzelfi potevano scegliere il loro fato. Potevano essere contati fra gli Elfi Primogeniti (Elrond scelse questa strada) o fra i Secondogeniti, gli Uomini (suo fratello Elros scelse questa strada, e divenne il primo Re di Númenor). Anche i figli di Elrond avevano questa scelta.

[1] Il personaggio di Jeri è non-binary, ovvero una persona che non si identifica come appartenente né al genere maschile né a quello femminile. In inglese per riferirsi a persone non-binary si usano pronomi di genere neutro (“they” usato al singolare, ad esempio, come nella versione originale di questa storia); l'italiano però non solo non ha questi pronomi, ma la stragrande maggioranza dei nomi e aggettivi richiedono la desinenza “-o/-a”. Cercando su internet, ho scoperto l'uso del pronome neutro latino “id” e della desinenza “-um” per riferirsi a persone non-binary in italiano, ed è la soluzione che ho scelto di usare nella storia. Per altre informazioni sulle identità di genere, consiglio Gender Wiki. [Torna alla storia]

L'Orchessa in questo capitolo NON era Dâgalûr figlia di Bolg, ma un soldato comune. C'è più di un'Orchessa in tutta la Terra di Mezzo.

Tutte le fanart e i lavori ispirati a Sansûkh possono essere trovati sul blog dedicato.

   
 
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