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Autore: Monique Namie    25/08/2015    4 recensioni
Dylia fa parte del dipartimento di trasposizione della E-Security, un ente pubblico che si occupa della sicurezza dei cittadini residenti sui pianeti di un nuovo sistema solare colonizzato dall'umanità. Un giorno le viene affidata una missione in solitaria per scongiurare un attentato a una importante stazione spaziale, ma qualcosa non va come previsto e da allora la sua vita prende una piega del tutto inaspettata...
Una storia d'amore e d'odio, di persone guidate dalla bontà e di altre accecate dal desiderio di vedetta. Una storia disseminata di ostacoli in apparenza insormontabili e intrighi legati allo spionaggio che portano i protagonisti del racconto a fare i conti con situazioni complicate, in cui i concetti stessi di "bene" e "male" tendono a confondersi.
{Il primo capitolo ha partecipato a "Boom! Il contest che vi lascerà con il fiato sospeso!" indetto sul forum di EFP}
Genere: Avventura, Sentimentale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Incertezze



Cap.3 -Diavoli e Comete

Sul pianeta Terratre il clima è perennemente autunnale; per questo motivo il parco di Street Towers la sera si riempie facilmente d'umidità e, a causa di un raro fenomeno di ionizzazione provocato dal campo d'energia che forma la cupola protettiva per la vegetazione, nell'aria compaiono delle piccole luci fluttuanti. Sono delle sfere luminose al plasma con un diametro non superiore a un centimetro. È uno spettacolo totalmente innocuo ma, poiché il parco viene chiuso prima delle ventidue, per i cittadini non c’è mai modo di ammirare il fenomeno da vicino.
Quando arrivò davanti ai cancelli chiusi, Dylia si appoggiò trafelata alle sbarre con una mano mentre con l'altra frugava nelle tasche in cerca della tessera magnetica della E-Security per avere libero accesso ai luoghi pubblici. Aveva percorso il chilometro che separava il suo appartamento dal parco di corsa. Sopra i vestiti aveva indossato un trench beige che per la fretta aveva lasciato sbottonato; era scalza e i capelli sciolti si articolavano in ciocche ribelli davanti agli occhi. Oliwar ci aveva messo appena qualche secondo a tracciare la posizione da cui era partita l’interferenza che si era intrufolata nel sistema domotico della sua abitazione e lei ci aveva messo altrettanto per comprendere il significato di quella frase di Shulik: La verità è che nessuno è innocente in questo mondo. Quel criminale si era rimangiato la promessa e stava per commettere qualcosa di serio, ne era certa.
Finalmente trovò la tessera, la mostrò alla telecamera sul cancello e le porte si aprirono. Le prime sfere luminose si erano già formate e fluttuavano a mezz’aria creando un'atmosfera magica. Sembravano quegli insetti dal corpo luminoso che aveva visto in un film storico sulle leggende del primo mondo. Lucciole, le chiamavano.

Si guardò intorno in cerca di Shulik aiutandosi con la luce dei pochi lampioni sparsi nel luogo. Era agitata, ma si trattava di un’agitazione strana, quasi piacevole, adrenalinica. Poi lo vide, seduto su una panchina con in mano qualcosa: un domosintetizzatore. Uno di quegli insignificanti gingilli tecnologici tra le mani di un bravo hacker poteva diventare un aggeggio letale, in grado di innescare una reazione nucleare a partire dai sistemi di depurazione dell’aria della città.
Attorno alla figura di quel criminale dagli occhi diabolici e dai capelli neri come la notte, aleggiava un'aura negativa di pericolo. Eppure in quel momento Dylia, osservandolo avvolto nella penombra e circondato da coriandoli di luce, sentì che c’era qualcosa di umano in lui e provò un'emozione simile alla compassione.
«Mi fa piacere tu abbia accettato l’invito», disse lui senza sollevare lo sguardo.
«Appoggia lentamente quell’arnese a terra e alza mani.»
Shulik la guardò con un sorriso divertito. Il parco a quell’ora era avvolto nel silenzio, l’umidità e le luci mantenevano un clima piacevole; in circostanze normali non sarebbe stato difficile eliminare ogni pensiero negativo per godersi quella calma ipnotizzante.
«Rilassati, non ho ancora fatto saltare in aria nessuno.» Sogghignò, lasciandosi ricadere sullo schienale della panchina. Quell’indifferenza urtò emotivamente Dylia, che avanzò più aggressiva di prima fermandosi ad appena qualche passo da lui.
«Per quanto tempo continuerai a recitare questa farsa?», la provocò, ma la ragazza non capì a che cosa volesse riferirsi.
«Perché mi hai mandato quel messaggio?», replicò lei. Una domanda per un’altra domanda: è così che funziona tra due nemici che cercano di studiarsi a vicenda per anticipare la mossa dell’altro.
La verità è che nessuno è innocente in questo mondo. No, la verità è che quel messaggio di Shulik sembrava un grido disperato d’aiuto, sembrava quasi voler dire: “corri qui e fermami!”
Shulik mise bene in mostra il domosintetizzatore giocherellandoci con le dita, ma Dylia non si lasciò intimorire.
«Rispondi alla mia domanda: perché quel messaggio?», insistette, scandendo bene le parole e cercando di apparire calma.
«La domanda che dovresti porti è: perché no?», ammiccò lui.
La sua noncuranza iniziò a darle sui nervi. Cercò il taser decisa più che mai a dargli una lezione, ma non lo trovò: aveva lasciato la cintura con le armi in dotazione nell’appartamento. Gravissima dimenticanza. Shulik notò quel movimento e la preoccupazione negli occhi della ragazza dopo che non aveva trovato ciò che cercava.
«A quanto pare la situazione si è capovolta», disse. «Come farai, senza armi, a impedirmi di provocare una strage?»
Dylia avanzò ancora, fino a trovarsi a meno di un metro dalla panchina su cui era seduto. «Hai dato la tua parola che non avresti più coinvolto gente innocente.»
«La mia parola vale meno di zero.» Abbassò lo sguardo e notò solo allora che la ragazza aveva i piedi nudi. Probabilmente, se aveva fatto tutta la strada di corsa, si era procurata delle escoriazioni, ma mascherava benissimo il dolore.
«Anche tu sei una persona
», iniziò Dylia «ergo anche tu hai un'anima e…», ma lui la interruppe bruscamente con tono sprezzante.
«Ci tieni davvero a questa massa di idioti! No, io non sono una persona, non lo sono più da anni.» Appoggiò il domosintetizzatore su un angolo della panchina e sospirando lasciò cadere la testa indietro. Alle solite stelle rese opache dalla cupola d'energia, ora si erano aggiunte anche quelle inutili luci fluttuanti. Pensò che la situazione che stata vivendo sfiorava l’inverosimile. Quand'era stata l'ultima volta che aveva parlato così apertamente a uno sbirro? Non lo ricordava, forse quella era la prima volta. Si sentiva strano, sentiva che con lei poteva parlare:
doveva sicuramente essere impazzito. Avrebbe voluto invitarla a sedersi accanto a lui e raccontarle tutto, ma allo stesso tempo aveva voglia di afferrarla e stringerla con violenza fino a farla gridare.
«Domattina, quando il parco riaprirà, farò saltare questa cupola con tutte le persone che vi si troveranno dentro al momento, perché sono le stesse persone che mi hanno ridotto così.»
Nonostante la gravità dell’affermazione, la sua voce aveva perso quel tono arrogante di poco prima. Quando tornò a guardare nella direzione della ragazza se la ritrovò seduta di fianco: lo fissava con un’espressione indecifrabile, i suoi lunghi capelli ramati le ricadevano in ciocche sulle spalle e le incorniciavano graziosamente il viso.
«Tu non hai ucciso nessuno, forse è per questo che ti ho lasciato andare», disse continuando a fissarlo con quello sguardo particolare: gli occhi come due grandi specchi in grado di catturare l’essenza delle cose e degli esseri viventi.
«Non sparare cazzate, sbirro!» Questa volta il tono aggressivo nella sua voce era palpabile. «Non hai sventato tutti i miei attentati! Se c’è una cosa di cui ho la certezza, è che sono un assassino. Sì, certe volte non c’è altra soluzione se si vuole continuare a esistere. Io ho ucciso! E ucciderò ancora! Forse tu potresti essere la mia prossima vittima...»
I suoi occhi, sconvolti dalla rabbia che riaffiorava, incontrarono quelli di Dylia che sussultò. Erano a qualche centimetro di distanza uno dall’altro: la legge e il crimine, il bene e il male, il giorno e la notte.
«Tu non hai ucciso nessuno», insistette la ragazza, «non sono state le tue mani, è stato il fuoco e il metallo degli ordigni che hai fatto esplodere.»
Shulik la afferrò per le spalle con uno scattò violento. «Se stai cercando di…», non trovando le parole la strinse più forte e sentì il tessuto del trench che indossava stropicciarsi sotto le sue dita. «Se stai cercando di redimermi, è fiato sprecato, sbirro!»
Per un attimo che sembrò eterno, la luce dei loro sguardi si fuse. Gli occhi verdi della ragazza incontrarono il buio della notte degli occhi del criminale dando vita, in qualche remota parte del cosmo, ad un universo parallelo in cui i diavoli ribelli piangevano e le comete d’argento li consolavano.
«Che idea folle!», disse Dylia scrollandosi bruscamente di dosso le mani dell’uomo e alzandosi. «Uno a zero per me!», sorrise e sollevò la mano destra in un gesto che poteva sembrare un saluto, ma che in realtà aveva lo scopo di mostrare il domosintetizzatore che aveva afferrato mentre lui era distratto. Dopo un attimo di spiazzamento, Shulik capì di essere stato giocato, allora unì le mani in un lento applauso. «Brava. E dimmi, come farai a impedire che alle prime luci dell’alba si scateni l’inferno? Lo sai che basta un errore nella riscrittura del logaritmo per provocare il caos in tutto il quartiere?»
Dylia non rispose alla provocazione, si voltò e iniziò ad allontanarsi; aveva già in mente una soluzione. Sentì in lontananza la voce di Shulik urlare: «Mi faresti un favore se mi riportassi quel gioiellino quando hai finito!»
«Non sono un corriere espresso!», gli urlò lei di rimando, continuando per la sua strada.
Percepì distintamente la sua risata. «Anch’io mi sono divertito, agente!»
Non l'aveva chiamata "sbirro" questa volta, era già qualcosa di positivo: si girò, ma di Shulik non c'era più traccia, il lampione vicino alla panchina in cui avevano sostato si era spento e anche quello spazio era stato colmato da una manciata finte lucciole fluttuanti.


Il tecnico, suo collega alla E-Security, si era trasferito da poco in quello stesso quartiere per dei problemi nell’edificio in cui risiedeva prima. Quando Dylia si trovò davanti alla porta di casa sua nel cuore della notte, ebbe un attimo d'esitazione. Si chiese se era proprio necessario rivolgersi a lui a quell'ora. Avrebbe potuto affidare il domosintetizzatore a Oliwar; lo avrebbe analizzato con l’aiuto del nuovo cip installato, ma il pensiero che fosse una mente artificiale e non una mente umana a occuparsi della faccenda non la faceva sentire abbastanza tranquilla. Ecco perché ora stava per svegliare quell'uomo di cui non ricordava nemmeno il nome. A lavoro si salutavano ogni giorno giacché i loro uffici erano adiacenti, ma in realtà tra loro non c'era molta confidenza. Se non ci fosse stata una targhetta sulla porta a ricordargli il suo nome, probabilmente avrebbe fatto la figura di quella che non sa nemmeno con chi lavora.
Paul. Forse era lo stesso Paul che aveva cercato di ripristinare l’ordine nei tabelloni della stazione Damon. Non glielo avrebbe mai chiesto e così non ne avrebbe mai avuta la certezza.

Di notte Paul collegava la suoneria del telefono e il suono del videocitofono agli auricolari che indossava; teneva il volume piuttosto basso, in modo da evitare infarti nel caso qualcuno lo svegliasse per un'emergenza nel bel mezzo del riposo, quindi vi mise un po' a realizzare quello che stava succedendo quando Dylia premette il pulsante alla porta. Si alzò dal letto cercando di non svegliare sua moglie ed entrò in soggiorno dove un minischermo mostrava il volto di chi stava sostando davanti l'entrata.
«Paul, mi servirebbe il tuo aiuto», bisbigliò Dylia attraverso il microfono del videocitofono cercando di sfoderare un sorriso compassionevole.
Il tecnico aveva stampata in faccia un’espressione tra l'assonnato e il frastornato. «Dylia, sei proprio tu? Sai che ore sono?!»
«Sì, e mi dispiace moltissimo di averti svegliato, ma fidati, se non si trattasse di una faccenda seria, non lo avrei mai fatto.»
L'uomo le aprì la porta e la invitò ad entrare. «Fai piano. Mia moglie e mia figlia dormono.»
Si accomodarono in cucina e solo allora Dylia mostrò il domosintetizzatore. Alla vista di quell’oggetto, il viso di Paul si contrasse in una smorfia di preoccupazione.
«Per la miseria! Se mi avessi detto subito che si trattava di un DSZ1… avremo potuto sistemare la faccenda altrove, non in casa mia!», disse cercando di controllare il tono della voce. Poi prese in mano l'oggetto con delicatezza e iniziò a studiarlo attentamente.
Nel giro di una decina di minuti riuscì ad entrare nella programmazione generale del domosintetizzatore senza troppe complicazioni.
«È tutto a posto», concluse.
«Lo hai… disattivato?»
«Non c’era nulla da disattivare.»
Dylia assunse un’espressione incredula. «Vuoi dire che non avrebbe fatto saltare nulla?»
«Già. Ora, visto che mi hai svegliato alle tre di mattina per niente, potresti almeno spiegarmi dove l’hai trovato questo affare, no?»
La ragazza non rispose, era ancora piuttosto confusa. L’altro si limitò ad osservala severamente per qualche istante; gli fu subito chiaro che nascondeva qualcosa, ma decise di non insistere: era stanco e non vedeva l'ora d'infilarsi nuovamente sotto le coperte. Dylia si rimise l’oggetto in tasca e, dopo infinite scuse, tolse il disturbo e se ne tornò a casa. Una cosa positiva in tutto quel trambusto c'era: non si sarebbe più scordata che il tecnico si chiamava Paul.


«Agente Dylia, è da qualche giorno che noto qualcosa di strano in lei.»
Quando, dopo una convocazione nel suo ufficio, il capo della E-Security dava il buongiorno così, c’era da aspettarsi il peggio. Dylia non immaginava che il tecnico avesse fatto rapporto sul loro incontro, ma lo capì immediatamente dalla frase successiva.
«Ora lei mi spiega esattamente come e dove di preciso ha ottenuto un DSZ.»
«Io…», esitò la ragazza, «l’ho trovato ieri sera nel giardino di Street Towers.»
«E chi ce lo ha portato lì?», continuò l'altro pazientemente.
Ce l'ha portato Shulik, signore! So di aver sbagliato non informandola subito. Mi permetta di rimediare affidandomi il caso di quel criminale! Queste erano le parole che Dylia intendeva pronunciare, ma dalla sua bocca invece uscì tutt’altro: «Non lo so.»
Il capo la scrutò per qualche istante restando in silenzio; dalla sua espressione contratta sembrava che stesse compiendo un notevole sforzo, come per cercare di decifrare una calligrafia illeggibile. Poi, senza mutare espressione, elargì la sua sentenza: «Lei sta combinando qualcosa, agente Dylia, e questo suo comportamento non mi piace per niente.» Cercò un sigaro nel cassetto e non trovandolo s'innervosì. «Sa che cosa rischia, vero?»
Dylia trattenne il respiro. Lo sapeva benissimo. Nel migliore dei casi le avrebbero ritirato il distintivo per qualche mese, nel peggiore un pianeta-circondariale sarebbe diventato la sua eterna e lugubre dimora.
«È la verità, signore! Una segnalazione anonima mi ha avvisato della presenza di quel dispositivo. Non so chi ce l'abbia portato.»
«Mi auguro che sia vero, perché se così non fosse… dovrei credere che lei sta tentando di proteggere un criminale e questo farebbe di lei la sua complice!» Studiò ancora per qualche attimo l'espressione della ragazza in cerca della verità, poi le fece cenno di uscire con una mano. Aveva troppi anni di esperienza sulle spalle per farsi fregare in quel modo, ma continuare a discutere in quel momento non avrebbe portato a nulla. Era certo che Dylia nascondesse qualcosa com’era certo del fatto di aver terminato la scorta di sigari, così, non appena la ragazza ebbe lasciato l’ufficio, compose il numero dei colleghi affiliati nel campo dello spionaggio.



Note autore:

1- DSZ: abbreviazione tecnica di domosintetizzatore.

Rileggendo, mi son resa conto che Terratre, il nome del pianeta, potrebbe sembrare anche il nome di un canale TV, poco male. XD
Vi posso spoilerare che uno dei prossimi capitoli conterrà delle informazioni chiave per comprendere il significato del titolo e vi sarà una spiegazione del principio di funzionamento della tecnologia di trasposizione utilizzata nel dipartimento di Dylia.
Fatemi sapere come vi è sembrato questo capitolo e non abbiate timore di farmi notare qualcosa che secondo voi andrebbe migliorato.


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"Inverse Transposition" di Monique Namie
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