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Autore: _Joanna_    26/08/2015    0 recensioni
Questa fanfic parla del cara zia Lysa fin dai giorni in cui ancora si trovava ad Approdo del Re e la pace strabordava in tutti i Sette Regni come re Robert.
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{Loro sarebbero stati insieme di nuovo, questa volta per sempre}
{Era stata venduta a un vecchio vedovo, era stata relegata in quella città ostile, dimenticata insieme al suo fragile figlio, i cui unici fratelli erano aborti e bambini nati morti. Era stato suo padre a strapparle la felicità, allontanando l’uomo che amava, portandole via il frutto della loro passione}
Genere: Angst, Drammatico, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lysa Tully, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2.2

Point of no return

«Ti ringrazio, maestro, so che stai facendo tutto il possibile per il mio amato marito» disse Lysa, e con un rapido gesto comunicò a Pycelle che era congedato. Si voltò nuovamente a guardare il moribondo che giaceva sul grande letto a baldacchino. Ogni giorno era sempre più debole, sempre più stanco. La vita lo stava abbandonando e stranamente Lysa si sentiva impaurita. Era quello che aveva sempre voluto, presto sarebbe stata libera, presto sarebbe stata con lui, eppure quella punta di timore che già da subito si era fatta strada nel suo animo, ora era diventata cieco terrore.
Decise di tornare nelle proprie stanze; era tempo di scrivere quella lettera.

 

     Quando Jon aveva mostrato i primi segni della malattia, Lysa aveva relegato suo figlio nelle proprie stanze, per proteggerlo dal contagio: tutti dovevano credere che si trattasse di un male sconosciuto e una buona madre non avrebbe mai esposto la sua fragile creatura ai miasmi mefitici che si respiravano in quella camera, dove le imposte serrate trattenevano i vapori di strane pozioni, gli umori malsani ammorbavano l’aria, e, sopra tutto questo, aleggiava il lezzo pungente della morte: Jon Arryn stava lasciando questo mondo.
Ma non era abbastanza, aveva detto Petyr, era essenziale che i Lannister fossero accusati della morte del Primo Cavaliere. Lysa non ne capiva la ragione: perché gettare ombre e sospetti? Qualcuno avrebbe indagato, qualcuno avrebbe potuto scoprire la verità! Ma Petyr le aveva assicurato che nessuno l’avrebbe mai ritenuta colpevole, non se avesse scritto quella lettera, così perfetta, così innocentemente realistica.
Prese pergamena e inchiostro. Petyr aveva avuto ragione su Jon, aveva sempre avuto ragione su ogni cosa. Questa volta non avrebbe fatto eccezione.

Mia amata Sorella

 Intestò

Il mio adorato marito è spirato tra le mie braccia, assassinato dalla mano avvelenata dei Lannister

 No, non andava bene, se la Regina avesse intercettato la lettera? Troppo rischioso, lei sarebbe stata arrestata e il suo bambino… Non voleva pensarci. Stracciò il foglio e ricominciò.

È passato così tanto tempo, ho portato il cavallo Vermiglio in un luogo senza altri animali, dove non arriva neppure la bestia dorata che nessuno può tenere a bada, neanche Jon è riuscito.

 Si compiacque della propria astuzia. A un occhio comune sarebbero sembrati nient’altro che scarabocchi deliranti di una donna provata, ma sapeva che Catelyn avrebbe capito.
Il luogo senza animali era come da bambine chiamavano il Nido dell’Aquila, perché è talmente in alto che soltanto gli uomini e le aquile ne hanno fatto la propria la dimora. Quanto si erano divertite con quel gioco sciocco! Lei, Petyr e Catelyn si arrampicavano sul più alto albero del Parco degli Dèi e, a turno, impersonavano l’algido signore delle aquile: chi raggiungeva la cima per primo aveva diritto a chiedere qualsiasi cosa al signore, anche a prenderne il posto, perché la Valle non era mai stata espugnata; ma quando Petyr vinceva, e quasi sempre vinceva lui, chiedeva ogni volta una e una sola cosa: un bacio.
Vermiglio invece, era il più minuto dei cavalli delle stalle del lord loro padre, più simile a un pony in effetti, chiamato così perché era interamente bianco a parte una voglia vermiglio sulla groppa.
Ricordò che alcune servette dicevano che in quel punto lady Bethany aveva sanguinato per la prima volta, scherzando che, alla fine, Delta della Acque si era presa la verginità della promessa sposa di ser Brynden. E proprio da quel cavallo, Catelyn aveva preso il soprannome per Robin quando l’aveva visto per la prima volta: una cosina piccola piccola, tutta rosea, con una piccola voglia rossa sulla pancia.
La bestia dorata invece era come lord Hoster definiva lord Tywin.

      Ripensò a come, da bambine, lei e sua sorella giocavano a scambiarsi messaggi segreti, che solo loro potevano comprendere, dai pettegolezzi sulla servitù, alle grande avventure che inventavano insieme a Petyr, dove le alleanze tra i signori del drago erano sempre minate da inganni e intrighi di corte e le loro vite dipendevano da quei messaggi criptati.

      Sorrise al ricordo di quei giorni felici e spensierati, dove tutto era un gioco e finzione. Adesso, invece, era tutto maledettamente vero, e uno sbaglio poteva valere davvero la loro testa.
Sigillò la lettera e la ripose nel suo piccolo porta gioie. Sarebbe stato più prudente inviarla una volta raggiunta la Valle.
Improvvisamente le pareti della stanza si erano fatte opprimenti, ma non osava lasciarle. Fuori c’era la morte, c’era il pericolo.
Voleva andare da suo figlio, ma non voleva turbarlo con le sue paure; Robin era straordinariamente intelligente, riusciva a comprendere subito il suo stato d’animo, prima ancora che lei proferisse parola, e subito dopo iniziava a tremare. No, non era il caso, prima doveva calmarsi.
Voleva andare da Petyr, ma lui le aveva detto che sarebbe stato meglio non farsi vedere insieme, almeno per il momento. Fu assalita da un nuovo attacco di panico: non poteva farcela, non era quello il suo mondo. E presto non ci sarebbe più stato Jon a proteggerla. Che cosa aveva fatto? “Stupida, Jon non è più in grado di proteggere chiunque da molto tempo” si disse.
Si alzò, cominciando a passeggiare su e giù per la camera che ad ogni passo diventata più piccola, più soffocante. “Sta calma, Lysa” si disse “Petyr ti ama, sa quello che è meglio per te”. Era vero, Petyr l’amava, l’aveva sempre amata.

      Ricordò quella notte.
Lord Hoster le aveva proibito di far visita a Petyr, ma lei aveva disubbidito. Si era infilata un vecchio abito, di un azzurro cupo che alla tremolante luce delle torce appariva grigio. Con un leggero velo sulla testa, il capo chino e un piatto di calda zuppa presa dalle cucine, era passata davanti alle guardie pressoché inosservata. Lo stupore di Petyr nel vederla era stato totale. Catelyn, la fanciulla per la quale si era battuto, per la quale aveva perso tutto, non si era fatta vedere, ma Lysa era lì, invece. Ricordava ancora le parole cariche di amore che gli aveva rivolto, e Petyr le aveva sorriso, per la prima volta con quel suo sorriso speciale, che l’aveva fatta sentire nuda, deliziosamente vulnerabile. Lui era ancora provato dalla convalescenza, aveva bisogno di rimettersi in forze, eppure non aveva neanche guardato il piatto fumante, perché l’unico ricostituente di cui aveva bisogno era proprio lei. Con lentezza esasperante le aveva slacciato il vestito, poi si era liberato delle sue malconce brache ed erano rimasti così, nudi, a contemplare l’uno il corpo dell’altra per un tempo che le era parso infinito. Poi Petyr l’aveva presa tra le braccia, sussurrandole all’orecchio se ne fosse sicura, e lei aveva annuito con decisione: non avrebbe voluto trovarsi in nessun altro luogo. Lui aveva sorriso, aveva appoggiato il suo petto sui suoi già ben formati seni e aveva colto il suo fiore. Non aveva mai provato niente di simile. Prima una stilettata di dolore le aveva trafitto il ventre, ma si era trattato di un momento, un dolcissimo istante che preludeva a quello che ci sarebbe stato dopo, che ne esaltava il piacere. Lui era esperto, sapeva cosa toccare e come toccarlo; le aveva accarezzato i capezzoli, li aveva succhiati, l’aveva baciata ovunque, la bocca, il collo, il ventre, in mezzo alle cosce e lì, anche se il sangue aveva lasciato dita purpuree sulla sua candida pelle, macchiando le lenzuola. Non avrebbe mai immaginato che il suo corpo potesse celare così tanti piaceri. Era stata una notte magica, anche se poi Petyr aveva sussurrato il nome di sua sorella. Lui il giorno dopo si era scusato, dicendo che l’unica cosa che ricordava di quella notte non erano gli appellativi bisbigliati, ma lei, Lysa. E tanto le era bastato per credergli, in fondo era lei che Petyr aveva posseduto, lei e non Catelyn. Che la sua sorellina si tenesse pure quel suo lupo del Nord e divenisse la signora delle nevi e dei ghiacci; Lysa avrebbe avuto il sole, il verde della natura e il tepore del sud, ma, soprattutto, avrebbe avuto Petyr tutto per sé.
A quella visita ne erano seguite altre, e, man mano che Petyr ritrovava le forze, la sua passione diveniva sempre più travolgente. Una notte, mentre gli accarezzava la cicatrice che gli solcava il petto, Lysa aveva espresso il desiderio di restare chiusi lì dentro per sempre. Erano giorni che Petyr si era completamente rimesso, ma lui fingeva ancora di essere troppo debole per mettersi in viaggio. Fingeva per rimanere, fingeva per lei. Lysa aveva condiviso con lui i suoi sogni quella notte e lui le aveva sorriso, credendo per un istante che quelle fantasie potessero diventare realtà; avevano persino escogitato un piano che permettesse loro di stare insieme per sempre. Ma il mattino dopo lord Hoster in persona aveva fatto visita al suo ex protetto, e aveva scoperto l’inganno. Le visite notturne erano cessate e una settimana dopo Petyr aveva lasciato le alte mura di Delta delle Acque per non farvi più ritorno.

      E poi, un ciclo di luna dopo, Lysa aveva scoperto di essere incinta del suo dolce Petyr. Avrebbe voluto mantenere il segreto, ma in un castello niente può rimanere celato a lungo. Una serva chiacchierona, una cuoca attenta, o Catelyn stessa, e il suo segreto aveva raggiunto le orecchie del lord suo padre. A nulla erano valse le lacrime, le suppliche, le minacce, lord Hoster era stato irremovibile: Lysa avrebbe dovuto sbarazzarsi dell’incomodo. E così era stato, e mentre lei rimaneva chiusa nelle sue stanze, tra dolori infernali, il Signore dei fiumi si adoperava per procacciare alla figlia un marito non troppo schizzinoso, o qualche lord minore più ambizioso che orgoglioso.
Ma avrebbero pagato, avrebbero pagato tutti: suo padre, sua sorella e chiunque si fosse frapposto tra lei e il suo amato.

      Un timido bussare alla porta la richiamò alla realtà, seguito dalla flebile voce del Gran Maestro. Lo invitò ad entrare e attese per un minuto buono che l’anziano sapiente si riprendesse dall’arrampicata fino ai suoi appartamenti.
«Mia lady» disse finalmente «Il Primo Cavaliere, lord Arryn» si schiarì la voce, mentre Lysa si era protesa verso di lui, pendendo letteralmente dalle labbra tremolanti del maestro «Il lord tuo marito, mi dispiace, lui non è più» annunciò con un filo di voce; sembrava sinceramente rattristato, o forse era dovuto solo alla sua espressione perennemente sofferente. Tutti i dubbi e le paure di Lysa svanirono all’istante, mentre ripeteva mentalmente le parole che aveva appena udito “Non è più, Jon è andato, è morto, MORTO!”. Il suo cuore esultava, ma il suo volto era l'autentica immagine della vedova in lutto. Una perfetta lacrima le scivolò sulla guancia liscia. Era un’attrice anche lei, aveva imparato dal maestro assoluto e aveva fatto pratica in quel covo di guitti ben vestiti.
«Vorrei stare un po’ da sola, maestro» Pycelle annuì e lentamente lasciò la stanza. Quando fu sicura di essere sola, una risata liberatoria le sfuggì tra le labbra, cominciò a piangere, a ridere, a urlare, le mani tremavano, le gambe cedettero; si lasciò andare contro il muro, fino a sedersi sul pavimento. Era felice, era libera, era dannatamente euforica: aveva fatto tutto lei, proprio lei, la fragile ragazzina che tutti avevano sempre sottovalutato, la seconda figlia di lord Hoster, la piccola lucciola investita dal sole splendente che era Catelyn. Lei, Lysa Tully, aveva ucciso suo marito, il lord della Valle, il protettore dell’Est, il Primo Cavaliere del Re, il secondo uomo più potente dei Sette Regni! Lei, la piccola, timida Lysa! Rise e pianse, si sdraiò sulla fredda pietra del pavimento, scalciando i preziosi tappeti di Myr, stracciando le sue ricche vesti, strappando quelle fastidiose pietre che portava intorno al collo, alle dita, tra i capelli. Rimase lì, nuda e tremante, scossa dai brividi, come capitava a volte al suo piccolo Robin. Robin, che ne era stato di lui? Sapeva che suo padre era morto? Avrebbe dovuto dirglielo lei. E Petyr? Oh dov’era Petyr, quando si sarebbero sposati? Aveva bisogno di un nuovo abito, quello che aveva indossato al suo matrimonio con Jon era troppo semplice, adatto a una fanciulla, non a una donna del suo rango. E Jon? Che ne era stato del suo povero marito, morto perché lord Tywin l’aveva convinto a vendergli il suo unico figlio? C’erano così tante cose da fare, così tante persone avevano bisogno di lei adesso.

      Le serve la trovarono dopo il tramonto, febbricitante e isterica. La lavarono, la rivestirono, non fecero parola con nessuno di quello che avevano visto.
Il mattino seguente Lysa era già in marcia verso il Nido dell’Aquila con tutto il suo seguito, lasciandosi alle spalle la capitale e i suoi peccati.






  
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