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Autore: WibblyVale    29/08/2015    3 recensioni
Una neonata nell'ospedale di Konoha viene sottoposta ad un esperimento genetico e strappata alla sua innocenza. Crescendo diventerà un abile ninja solitaria, finchè un giorno non verrà inserita in un nuovo team. Il capitano della squadra è Kakashi Atake, un ninja con un passato triste alle spalle che fatica ad affezionarsi agli altri esseri umani. La giovane ninja sarà in grado di affrontare questa nuova sfida?
Genere: Azione, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kakashi Hatake, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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L’uomo dal volto butterato giaceva su un tavolo operatorio di fortuna, creato appositamente per lei da Kenta sul retro della casa. Shiori l’aveva studiato con attenzione, protetta dalla tenda montata per l’occasione. In caso contrario, la sabbia sarebbe arrivata ad infastidirla.
L’uomo aveva delle cicatrici su tutto il corpo, e dei lividi e ferite fresche provocate dalla battaglia in cui aveva perso la vita. Chiamarla vita poi forse era un’esagerazione.
La pelle pallida e i muscoli degli arti poco sviluppati, le facevano presumere che avesse vissuto in un luogo buio e ristretto. Probabilmente aveva passato la maggior parte della sua miserabile vita in una delle celle di Orochimaru, sottoposto ad esperimenti disumani.
Da dove veniva quindi tutta quella forza lei non riusciva a capirlo. Sperava che l’esame del sangue e dei tessuti le dicesse qualcosa di più. Richiuse il corpo in un sacchetto di plastica e lo immerse in una vasca d’acqua piena di ghiaccio.
Uscì dalla tenda e la gelida brezza notturna la colpì in pieno. L’escursione termica nel deserto era impressionante. Al secco calore del giorno si sostituiva il freddo pungente della notte.
Staccò la maschera Anbu dalla cintura e se la posò sul viso. Proseguì fino all’interno della casa costruita da Tenzo. Nel salone principale sedevano i suoi compagni, Temari e Kankuro.
I due genin erano preoccupati per il fratello, ma la Kunoichi e Aya avevano fatto di tutto per curarlo. Il Jinchuriki poi era forte se la sarebbe cavata alla grande.
“Scoperto qualcosa?” domandò Aya quando la vide entrare.
“Nulla di interessante. La cosa che mi incuriosisce è il fatto che sembrava averli preparati proprio per me.”
Temari scattò in piedi, affrontandola viso a viso.
“Quando possiamo tornare al villaggio? Hanno bisogno di noi! Nostro padre…”
Shiori posò le mani sulle spalle della ragazza.
“Appena Gaara potrà essere spostato, Aya e Kenta vi riaccompagneranno a casa. Mi dispiace per vostro padre e so che vorreste essere lì, ma…”
“Perché dovremmo esserci!” sbottò lei. “Lui c’è mai stato? Ha preferito abbandonarci! Perché dovrei essere lì, se lui non è mai stato accanto a me quando ho avuto più bisogno! Gaara è di là e ha rischiato la vita per un suo stupido piano! Se si fosse comportato diversamente mio fratello non avrebbe odiato il mondo intero! Lui non sapeva…”
Kankuro prese la sorella tra le braccia e la strinse forte.
“Tem, ora calmati.” Le sussurrò dolcemente all’orecchio. “Scusate.” Disse poi a voce più alta. “Noi siamo sconvolti.”
“Lo capisco. Vostro padre mi ha chiesto di proteggervi e voleva chiedervi perdono per tutto quello che vi ha fatto passare. Ora consiglio a tutti di andare a farsi una bella dormita, starò io a vegliare il ragazzo.”
Detto ciò entrò nella stanza in cui riposava il Jinchuriki del monocoda. Il ragazzo giaceva addormentato sul letto della stanza di Shiori. Le ferite ormai erano guarite, il demone sembrava altrettanto spossato, perciò non si palesava, mentre Gaara dormiva.
La Ninja Solitaria immerse un panno di stoffa nell’acqua fredda e gli inumidì le labbra secche. Gli passò dolcemente una mano fra i capelli e sospirò.
“Andrà tutto bene. Il peggio è passato.”
Si lasciò cadere sulla sedia e si mise il volto tra le mani. Nei suoi momenti di massimo sconforto, spesso era solita usare i suoi poteri per percepire la vita e il fermento che la circondavano. Ora, invece, nemmeno quello arrivava a farla stare meglio.
Nei momenti in cui era rimasta sola, in quei giorni, aveva avuto il tempo di pensare. Le era stata portata via la sua maledizione, ciò che non le aveva permesso di vivere un’infanzia normale.

 
All’età di quattro anni, camminando per il villaggio con la madre, era passata accanto ad un uomo all’apparenza normale, quasi anonimo. Nessuno avrebbe fatto caso a lui, ma lei percepì ciò che aveva dentro.
Fu percorso da una rabbia, un odio così primordiali che sentì ogni briciolo di sé andare in pezzi, perdersi per non tornare mai più. Quando l’uomo fu lontano da lei, cominciò a tornare in sé. Dalle sue labbra, però, usciva un ringhio ferale, primordiale.
Sua madre la guardava spaventata, come se fosse lei il pericolo da cui proteggersi. La piccola Shiori lanciò un urlo terrorizzato e cominciò a piangere.
“Lui farà del male a qualcuno.” Aveva gridato.
“Chi amore?”
“L’uomo arrabbiato.”
Aveva chiuso gli occhi e, nonostante la paura, l’aveva cercato e trovato in mezzo alla folla. Lei e sua madre raggiunsero la casa dell’uomo in tempo per salvare la moglie e il figlio da morte certa, ma non dalle ferite psicologiche e fisiche che l’uomo aveva lasciato loro.

 
L’aveva sognato di notte per mesi, ancora lo sognava. Non avrebbe avuto un trauma del genere se non avesse avuto quei poteri. Certo non avrebbe nemmeno salvato quella famiglia, e molte altre.
Inoltre, i suoi poteri non avevano avuto solo conseguenze negative. Le facevano sentire anche le cose buone dell’universo, le permettevano di capire meglio molte cose, di sfruttare la sua conoscenza per il bene.
 

Ricordava quando era nato Shikamaru. Lei aveva lasciato la medicina, ma Yoshino l’aveva voluta in sala parto. Il dolore della donna nel dare alla luce il figlio era indicibile. Shiori a stento riusciva a stare in piedi.
Il bambino aveva avuto qualche difficoltà ad uscire, e quando era arrivato il momento che facesse il suo primo vagito per dare aria ai polmoni… be’ nessun suono provenne dalle sue labbra.
“Cosa succede?” urlava sua cognata preoccupata.
Shiori aprì le porte altrettanto in ansia per la sorte di quella piccola creatura, quando il neonato lanciò un urlo che riscaldò quella fredda atmosfera che si era venuta a creare.
Ciò che lei sentì fu una sensazione quasi impossibile da decifrare. Il bambino sprigionava vitalità, energia benefica, sensazioni di libertà. Non aveva mai sentito nulla di più bello.

 
Queste sensazioni contrastanti non facevano altro che aumentare il conflitto interno che provava. Non sapeva se gioire della mancanza dei suoi poteri o meno. Certo si sentiva violata. Orochimaru si era insinuato di nuovo in lei. Lei, forte e combattiva, non aveva potuto niente. Era rimasta lì a guardare e ora… Ora si sentiva…
Gaara si mosse, facendo frusciare le coperte. Shiori scattò in piedi e gli posò una mano sulla fronte. Il ragazzo mugugnò qualcosa.
“Va tutto bene. Sei al sicuro ora.” Sussurrò lei con tutta la dolcezza che poteva.
Esaminò il flusso del suo chakra e, dopo aver constatato che tutto era regolare, gli portò da mangiare.
Il ragazzo mangiò con appetito quello che gli venne portato, poi si appoggiò contro la testiera del letto.
“Ho sbagliato tutto?” chiese. “Non ho capito nulla. Credevo che la mia esistenza avesse senso solo se distruggevo ogni cosa. Io…” Si portò una mano sul viso.
“Non puoi farti una colpa di tutti i tuoi sbagli. Certe cose devono venirci insegnate. Ora hai tempo di rimediare. Hai tempo per essere la persona che desideri essere.”
“Voglio scusarmi con i miei fratelli.”
“Avrai tempo anche per quello.” Gli posò una mano sulla spalla, cercando di confortarlo. “Tu chi vuoi essere?”
Gaara pensò per qualche minuto, poi alzò la testa con determinazione e la guardò dritto negli occhi.
“Voglio essere colui che rimedierà agli errori del passato. Quegli errori commessi da me, ma anche quelli di mio padre. Voglio essere una persona che verrà ricordata per il bene che ha fatto, non per la distruzione che ha portato. Voglio essere amato, e voglio essere in grado di amare. Ma…” esitò per qualche secondo. “Ma non sono sicuro di sapere cos’è l’amore?”
Shiori cercò di trattenere le lacrime dentro agli occhi. Tutti quei buoni sentimenti, quella speranza avrebbe tanto voluto percepirli.
“Per ognuno è diverso. È voler proteggere ciò che ami, voler essere una persona migliore perché quelli accanto a noi siano felici…”
La porta della stanza si spalancò con un tonfo, seguito dalle voci di Temari e Kankuro che correvano verso il capezzale del fratello.
Si accostarono a lui e gli strinsero una mano ciascuno, senza aggiungere una parola. Restarono così a guardarsi per minuti infiniti, che parvero ore.
“Siamo felici che tu stia bene.” Dissero in coro.
La Ninja Solitaria fece qualche passo indietro, di modo da poter lasciare ai tre fratelli la loro privacy.
“Questo è l’amore.” Scandì con le labbra rivolta al Jinchuriki, che si era voltato al sentirla allontanarsi.
“Vorrei sapere chi sei. Vorrei ringraziarti.” Le urlò dietro.
“Si, anche noi.” Gli fecero coro i fratelli.
“Chi sono non ha importanza, anche perché in questo momento non lo so nemmeno io. Per quanto riguarda i ringraziamenti, non e n’è alcun bisogno. È stato un piacere poter essere d’aiuto.” Chinò la testa in segno di saluto e li lasciò soli.
Raggiunse il divano a passi lenti e vi si sdraiò sopra. Chissà come se la stavano cavando al villaggio. C’erano tante cose da sistemare, e la morte dell’Hokage sarebbe stato un duro colpo da superare.
Facendo questi pensieri piano piano si addormentò, ma i suoi sonni non furono tranquilli. Sognò di esperimenti, di stanze illuminate da verdognole luci soffuse, di uomini dal volto sfigurato che urlavano di dolore.
 
Kakashi passò una mano a ravvivarsi i capelli. Ormai erano ore che si trovava in quella stanza. Dopo il funerale dell’Hokage, le cose al villaggio erano state piuttosto movimentate.
I consiglieri avevano proposto a Jiraiya di prendere il posto del Terzo, ma lui aveva rifiutato affermando che Tsunade sarebbe stata molto meglio. Poi, dopo la sua partenza Itachi e Kisame avevano fatto visita al Villaggio, portando scompiglio e persino mettendo fuori gioco Sasuke.
L’unica persona che avrebbe saputo riportare indietro il suo allievo dal coma profondo era Tsunade stessa, perciò il Copia-ninja non vedeva l’ora che l’Eremita portasse a termine la sua missione. Questo anche perché sperava che Naruto tornasse presto al villaggio. Con l’Alba alle sue calcagna era sempre in pericolo.
In quel momento, si trovava rinchiuso in una stanza con alcuni jonin di Konoha, i consiglieri e Danzo. Stavano organizzando i lavori da fare al Villaggio, ma senza successo. Mettere d’accordo tutte quelle persone sembrava impossibile.
“Mio padre avrebbe voluto…” stava dicendo Asuma.
“Tuo padre non è più qui.” Sottolineò Danzo.
“Si, e sembra che a te non faccia altro che piacere!” esclamò Raido, scordandosi cosa fosse la diplomazia.
“No, che non mi fa piacere. Tanto meno visto che la scelta del suo sostituto è ricaduta sulla persona meno affidabile che conosca.”
“Tsunade-sama è un’ottima kunoichi! Non hai alcun diritto di stare qui ad insultarla.” Gridò Aoba da un angolo remoto della stanza.
“Non stiamo questionando questo. È che Jiraiya ha lasciato il suo posto, preferendo lei come Hokage per motivi personali. Non ha ponderato la cosa in maniera oggettiva.” Spiegò Mitokado, il vecchio consigliere.
Cavolo quanto stava diventando difficile quella riunione. Lui non aveva nemmeno voglia di stare lì. Aveva sempre odiato quei consessi, perfino quando erano divertenti. Quando c’era Gai con il suo entusiasmo, quando Shiori faceva qualche battuta o accarezzava lascivamente la sua gamba con un piede, quando Tenzo cercava di mettere pace tra i vari litiganti fallendo miseramente.
Ora non c’era niente di tutto quello, c’era tensione e odio. Gli abitanti del Villaggio non sembravano più uniti come una volta.
“…Fatto scappare?” aveva urlato Genma. “Cazzo quello non era un nemico! Quello era un sensei preoccupato per i suoi allievi. Un ninja che aveva perso il suo Kage.Tu non eri lì che cazzo ne vuoi sapere di come sono andate le cose?” stava urlando ad un jonin delle forze speciali.
“Potresti moderare i toni!” lo redarguì Utatane.
“Vorrei che questa cosa finisse al più presto. Ho bisogno di dormire.” Commentò Shikaku con tono annoiato, all’orecchio dell’Hatake. “Andando avanti così non si arriva a niente.”
“Perché non glielo dici.” Lo incitò il Copia-ninja.
Lui alzò le spalle. “Provaci tu.”
Kakashi non se lo fece ripetere due volte. Posò le mani sul tavolo e si alzò dalla sedia. L’intera compagnia si girò verso di lui. A nessuna delle riunioni lui aveva spiccicato parola. Li aveva ascoltati urlare, insultarsi, ma non ne aveva mai preso parte. Forse per quello avevano tutti delle espressioni basite.
“Non credo che risolveremo niente così.” Commentò. “Io credo che dovremmo continuare con le nostre normali attività. Magari partendo ad occuparci dei piccoli problemi. È ora di smetterla con le recriminazioni. Siamo senza Hokage cazzo!”, e qui si girò per lanciare un ghigno in direzione di Genma. “Cerchiamo di comportarci da adulti. Credo che Shikaku abbia delle buone idee, provate a dargli ascolto. Queste litigate mi annoiano.” Aggiunse alla fine, allontanandosi dalla stanza e chiudendosi la porta alle spalle.
Mentre usciva era sicuro di aver sentito Shikaku maledirlo per aver spostato l’attenzione su di lui, ma non gli importava. Se c’era qualcuno lì dentro che sapeva quello che andava fatto, quello era il Nara.
Lui, invece, aveva tante altre cose di cui occuparsi. Quella missione che gli aveva dato l’Hokage giaceva da troppo tempo sulla sua scrivania. Ancora però non sapeva come agire nel modo più diplomatico e meno dannoso possibile per la nazione.
“Sensei!” La voce di Sakura lo richiamò alla realtà.
“Ehi Sakura, che ci fai qui?”
“Sono venuta a chiedere se qualcuno sa quando Jiraiya-sama e Naruto torneranno.”
“Date le ultime notizie non hanno ancora trovato Tsunade.”
“Ho capito.” Disse, rattristandosi.
La povera ragazzina era preoccupata per Sasuke. Kakashi si diede dell’idiota, avrebbe dovuto passare più tempo con lei e consolarla. Che cavolo di maestro da schifo era?
“Senti Sakura, andrà tutto bene.” Disse cercando di sorridere. “Jiraiya è l’unica persona che conosco che può essere in grado di trovare Tsunade. Nemmeno io, con la mia muta di cani, ci riuscirei se lei non volesse essere trovata. E Sasuke è forte. Si riprenderà.”
La giovane genin tirò su con il naso, impedendo alle lacrime di scendere, e annuì. Dopo che ebbero fatto qualche passo in silenzio, Sakura si fermò. Il Copia-ninja fece altrettanto per poter capire cosa le passava per la testa.
“Io non capisco.”
“Cosa?”
“Perché qualcuno dovrebbe fare una cosa del genere al proprio fratello, o al proprio clan? Che razza di persona è questo Itachi?”
L’Hatake sospirò.
“Onestamente? Non lo so nemmeno io. Era, forse lo è tutt’ora, uno dei ninja più abili che io abbia mai conosciuto. Ho sempre pensato che fosse una brava persona.” Fece uno sbuffo. “Non mi sarei potuto sbagliare di più. Di certo sa come imbrogliare qualcuno. Io non mi faccio ingannare facilmente.”
“Ma perché l’ha fatto?”
“Credo che l’unico che possa rispondere a questa domanda sia lui.”
Si separarono poco dopo, con la promessa di Kakashi che l’avrebbe raggiunta all’ospedale più tardi.
Parlare di Itachi gli aveva fatto tornare in mente quando lavoravano insieme. Dallo scontro che avevano avuto qualche giorno prima, aveva intuito che la sua forza non fosse affatto diminuita, anzi. Le motivazioni che però lo avevano spinto a quel gesto anni prima gli erano del tutto oscure.
Raggiunse il campo di addestramento dove Rock Lee guardava i suoi due compagni allenarsi, sotto la guida del loro sensei. Kakashi gli si sedette accanto, osservando anche lui l’allenamento.
Neji e Tenten si stavano sfidando. Era chiaro che lo Hyuga si stesse trattenendo, ma non per questo lo scontro era meno interessante. Il ragazzo sapeva muoversi con una grazia letale. Era per questo che gli piaceva lo stile di combattimento di quel clan. Era così apparentemente innocuo e sottile, ma allo stesso tempo così pericoloso.
Rock Lee accanto a lui sospirò.
“Come potrei mai arrivare al suo livello?” chiese disperato.
“Aspetta che arrivi Tsunade-sama. Lei ti aiuterà a guarire.”
“E con ciò? Gaara era un genio tanto quanto Neji! Io non sono come loro. Il sensei dice che non è così, che ce la posso fare, ma io…”
“Gai lo dice perché per lui è stata la stessa cosa. Te l’ha mai raccontato?”
Il ragazzo annuì.
“Tu hai una cosa che lui non aveva. Un maestro competente e preparato. Tu sei già un passo più avanti di lui.” Lo incitò sorridendogli, mentre Gai li stava raggiungendo, dopo aver bloccato l’allenamento.
“Lee, raggiungi i tuoi compagni. Io e Kakashi dobbiamo parlare.”
Il ragazzo salutò con un cenno del capo il Copia-ninja e li lasciò soli.
“Allora? Com’è andata?” chiese, quando il genin fu abbastanza lontano.
“Me ne sono andato. Stavano dicendo talmente tante sciocchezze! Non riescono ad accordarsi tra di loro. Danzo vuole tirare l’acqua al suo mulino. Asuma, per quanto abbia buone intenzioni, è ancora scosso. Tutti lo siamo. E tu, dovresti essere lì con noi!”
“Non sono uno stratega. Non vi sarei utile.”
“Quando ti ci metti hai delle idee brillanti. Poi, è più divertente quando ci sei.”
Gai rise di gusto. “Preferisco stare con loro.”  Spiegò indicando i suoi allievi.
“Senti ti volevo chiedere una cosa…” cominciò poco dopo.
Kakashi sapeva che prima o poi sarebbe successo, però aveva sperato di evitare il discorso.
“Quella Anbu che ha combattuto con noi…” continuò senza aspettare una conferma dell’amico. “Chi era? Mi sembravate… intimi.”
“Ma no che dici?” Che risposta stupida! Non sapeva trovare niente di meglio.
“Capisco.” Fece il moro, grattandosi il mento. “Così hai una tresca con qualcuna?”
“Ti sembra il momento per queste sciocchezze? E no, non ce l’ho!”
“Va bene, come vuoi. È che mi sembravi triste quando se n’è andata.”
“Gai…” Cosa avrebbe potuto dirgli? Che quella era la donna che amava, che avrebbe sempre amato, ma che non poteva avere? Poteva urlare che era ovvio che era triste, frustrato, arrabbiato con il mondo. Era vicina, così tanto che avrebbe potuto trattenerla con la forza. Ma cosa avrebbe guadagnato?
Una giovane infermiera correva verso di loro, urlando il nome di Kakashi. L’uomo scattò in piedi.
“Sasuke…” mormorò.
“Kakashi-senpai…” Il respiro era affannato per la corsa. “Abbiamo ricoverato Tenzo-senpai all’ospedale.”
“Come sta?” domandò preoccupato il Copia-ninja.
“Ha quattro costole rotte, una gamba e le braccia ingessate, ma si rimetterà. Ha detto che ha bisogno di parlarti in privato.”
Il jonin annuì.
“Gai, credo che dovrai presenziare alle riunioni al mio posto. Penso che starò via per un po’.” Lo informò, poi seguì l’infermiera in ospedale.
 
Vedere Tenzo sdraiato su un letto d’ospedale gli faceva specie. Di solito era lui quello che si faceva prendere dal fervore della lotta, o rimaneva spossato a causa dello Sharingan.
Era raro, invece, che fosse il ninja dell’Arte del Legno quello costretto a letto. Lui era attento, non si faceva mai sopraffare dalle emozioni. Nonostante ciò, si ritrovava su un letto d’ospedale con due braccia ingessate e una gamba appesa in aria.
“Com’è successo?”
“Sono stato precipitoso. Mi è stato chiesto di inseguire Itachi e Kisame, dopo che hanno attaccato il villaggio. Da solo, per non destare sospetti.”
L’Hatake alzò gli occhi al cielo.
“Si, esatto. Itachi si è accorto di me quasi subito. L’ha detto al suo compagno e… be’ i membri dell’Akatsuki non scherzano.” Cercò di drizzare la schiena, ma provò una fitta di dolore al costato. Quindi si lasciò cadere.
“È andata bene che non ti abbiano ucciso! Dovevi stare più attento!” Stava urlando? No, che non lo stava facendo. Cavolo si doveva dare un controllo, ma quelle settimane erano state dure.
Il castano fece un leggero sorriso dolorante.
“Non preoccuparti. Sto bene.”
“Non sono preoccupato.” Rispose l’altro alzando le spalle indifferente. Un po’ però lo era. Era uno dei suoi più cari amici, e il meno rumoroso per giunta. Non poteva permettersi di perderlo. Non dopo che anche uno dei suoi punti di riferimento se n’era andato per sempre.
“Comunque ti ho chiamato qui, perché fra due giorni ho un appuntamento per fare il punto della situazione.” Spiegò Tenzo con un tono cospiratore. “Capisci che in queste condizioni io non posso…”
“Non ti preoccupare ci andrò io.” Si offrì subito Kakashi.
“Cosa dirai ai piani alti?”
“Parlerò della missione che mi aveva affidato l’Hokage. Comunque per portarla a termine mi sarebbe servito allontanarmi dal Villaggio qualche giorno. Non è il momento migliore, ma credo che vada bene. Sarò qui prima che Jiraiya e Naruto tornino.”
L’Anbu annuì.
“Salutala da parte mia.”
“Si preoccuperà per te.”
“Lo fa sempre.”
Kakashi rise. “Si, è vero.”
 
Passò dai suoi allievi come promesso. Sasuke giaceva nel letto. Il suo respiro era regolare, ma i suoi muscoli erano tesi, come se stesse affrontando qualcosa di veramente terribile.
Quando disse a Sakura che doveva andare via per un po’, la ragazza chiese se poteva andare con lui. Non voleva lasciare Sasuke, ma aveva bisogno di avere vicino qualcuno della sua squadra.
“Fai in modo che lui resti legato a questo mondo. Dagli un motivo per tornare.” Era come darle una missione. La rosa strinse i pugni e annuì. Avrebbe fatto ciò che poteva.
Avvertì anche Shikaku della sua partenza, un po’ per chiedergli se voleva riferire qualcosa alla sorella, un po’ perché avrebbe avuto bisogno del suo aiuto per spiegare al consiglio l’importanza della missione che l’Hokage gli aveva affidato.
Dopo una lunga ed estenuante discussione con Utatane e Mitokado, gli fu concesso di andare a fermare il colpo di stato che era in corso.
Soddisfatto per la riuscita del suo piano, si diresse verso il suo appartamento. Qui preparò il necessario per la partenza.
Forse stare un po’ lontano dal Villaggio gli avrebbe fatto bene. La guerra tra le mura di Konoha, la perdita dell’Hokage, che rispettava e a cui era affezionato, l’avevano colpito più di quanto fosse deciso ad ammettere.
Si, qualche giorno fuori gli avrebbe fatto bene. Dentro di sé sperava di portare a termine più dell’ultima missione che il Terzo gli aveva affidato. Quella era una bazzecola in confronto all’altra missione che si era imposto: convincere una testarda a tornare a casa.
  
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