PROIBITO
1 - Dieci anni prima
Dal salone adiacente provenivano strazianti urla di
terrore e il rumore
atroce di un gruppo di bestie feroci intente a spartirsi la preda.
Bella cercava invano di isolare la sua mente e si
stringeva sempre più
al petto marmoreo e gelido del suo unico amore. Il freddo che provava
era
nulla, in quel momento, al confronto con l’orrore che stava vivendo. Il
respiro
di Edward portava ai suoi sensi odore di fiori e misteriose terre
lontane, il
suo abbraccio saldo e delicato la faceva sentire protetta, come se
restando
aggrappata a lui nulla potesse più accaderle.
Eppure era terrorizzata.
Alzò gli occhi liquidi di pianto su quelli dorati e
brillanti del
giovane, implorando parole di conforto. Edward la strinse un po’ più a
sé,
chinò la testa sulla sua e la baciò dolcemente sulla fronte.
-Andrà tutto bene…-, sussurrò nel suo orecchio
chiudendo gli occhi e
lasciò che la ragazza affondasse nuovamente il volto sulla pelle nuda
del suo
petto.
Doveva andare per
forza tutto bene…
Edward si sforzò di leggere nella mente di Alice,
in guardia vicinissima
a loro e dell’umana che sedeva dietro al bancone della lunga sala
ovale,
vestita come una segretaria, impassibile di fronte alle urla disperate
che la
investivano con la forza di una condanna a morte.
Gianna si voltò verso di lui, come se avesse
percepito lo sguardo su di
sé e gli sorrise appena, educatamente. La sua mente era buia come la
notte
senza luna. Edward si domandò se anch’ella possedesse la stessa
particolarità
di Bella, ma capì subito che la situazione era diversa: Gianna non
aveva
pensieri. Gianna era stata istruita dai Volturi a non pensare. Gianna
sapeva
del loro arrivo e che, con Edward Cullen nei paraggi, pensare sarebbe
equivalso
a condannarsi a morte certa.
Il tempo sembrava essersi cristallizzato in quel
limbo straziante:
l’incertezza del futuro era chiara agli occhi di Alice, che si sentiva
impotente. In quel luogo tutti loro erano in pericolo, ma se fosse
accaduto
qualcosa a Bella, sarebbe stata solo colpa sua.
Edward la avvicinò a sé e accolse anche la sorella
sotto il suo
abbraccio ristoratore.
Rimasero immobili in attesa, tutti e tre, mentre il
cuore di Bella
accelerava fino alla pazzia e poi rallentava quasi fino a fermarsi, in
un ciclo
che pareva non dovesse finire mai.
Poi, d’un tratto, contemporaneamente, Edward ed
Alice si irrigidirono e
le loro espressioni mutarono dalla preoccupazione al terrore.
Bella comprese subito: i Volturi non avevano
rispettato i loro accordi.
Oltre il portone di legno massiccio il frastuono si
era acquietato, ma
un sinistro silenzio ne aveva preso il posto.
Poi, lentamente, rumore di passi serrati.
I Volturi stavano venendo a prenderla.
I Volturi stavano venendo a prendere tutti e tre.
Quello che accadde immediatamente dopo fu troppo
veloce e sfuocato:
l’unica immagine sicura che Bella registrò fu il volto dolcissimo di
Edward
vicino al suo e un ultimo, indimenticabile, straziante bacio di addio.
Non le concessero il tempo di salutare Alice, né di fare tesoro dei suoi ultimi due anni di vita.
***Isabella Swan si risvegliò da sola in un ospedale
straniero, in una
stanza affollata di malate e parenti, durante l’orario del passo.
La sua mente era annebbiata, i ricordi sembravano
evaporati.
L’unica cosa di cui era sicura è che suo padre
Charlie si sarebbe
seriamente arrabbiato…
Vennero i medici e le domandarono quale fosse il
suo nome, prima in una
lingua sconosciuta, poi in un inglese stentato.
Rispose di essere Bella Swan, e questo fu
sufficiente. Poi arrivò un
uomo in uniforme, forse un poliziotto.
-Come mai si trovava da sola di notte sul greto
dell’Arno?-, le domandò
l’uomo, che parlava un po’ meglio l’inglese.
Chiese cosa fosse “Arno” e capì di essere in
Italia. Il pensiero di suo
padre, a quasi diecimila chilometri di distanza, che la cercava, la
fece
gemere.
Le domandarono se ricordava qualcosa degli ultimi
tre giorni.
No: non ricordava nulla… si sforzò di pensare e si
rese drammaticamente
conto di non ricordare niente neanche del motivo per cui si trovasse in
Italia,
del come ci fosse arrivata e di cosa stesse facendo a casa sua, prima
di
partire. Non ricordava neanche quando era tornata nel paese di suo
padre,
quando si era trasferita lì da Phoenix…
Le domandarono se era stata violentata e un’ondata
di malessere la
avvolse in un attacco di panico.
Cercarono di calmarla con dei farmaci che, per un
po’, la fecero dormire
profondamente.
In fondo era meglio così: con la poca logica
rimastale calcolò
velocemente che si trovava in un luogo lontanissimo, senza sapere
perché e come
ci era arrivata. Senza sapere da dove era partita, senza ricordare
nulla degli
ultimi… quanti? mesi della sua vita. Sicuramente, qualunque cosa fosse,
le era
accaduto qualcosa di mostruosamente brutto. In fondo dormire e
dimenticarsi di
essere mai esistita era solo un bene.
Rimase nell’ospedale per pochi giorni ancora,
lasciandosi esaminare e
rivoltare come un calzino. La conclusione era sempre la stessa: non
aveva nulla
che non andasse, salvo i postumi di una frattura scomposta ad un femore
risalente a non troppo tempo prima –ma non agli ultimi giorni in cui
era stata
in Italia- e una orrenda cicatrice bianchiccia sul braccio destro.
-Si può togliere?-, domandò una volta al medico
biondo e affascinante
che l’aveva visitata, indicando quella mezzaluna fredda e spessa sul
suo
braccio sottile.
-Teoricamente sì… ma sei proprio sicura di volerla
cancellare?-
Bella pensò che fosse una procedura particolarmente
dolorosa e non
rispose.
Quando venne suo padre Charlie a prenderla in
Italia, dopo che i medici
gli consigliarono di non tentare di entrare nella sua testa per qualche
tempo e
poi, magari, provare a portarla da uno psicanalista per cercare di
sondare i
suoi ricordi perduti, la prima cosa che gli domandò lo lasciò
interdetto.
-Papà, per favore, puoi portarmi da un chirurgo
plastico per togliere
questa cicatrice?-Voglio dimenticare di
averla mai avuta...
Non parlarono molto durante il viaggio verso
l’aeroporto di Pisa:
Charlie aveva chiara la situazione precaria della figlia e si
tormentava
condannandosi per non esserle stato vicino in quel tempo che avevano
vissuto
insieme. In fondo, però, considerate le novità che c’erano state a
Forks negli
ultimi tempi, la sua amnesia non poteva essere che un regalo dal cielo:
Bella
non ricordava assolutamente i Cullens e, visto che tutta la famiglia
era sparita,
la sua piccola non avrebbe avuto alcun motivo di tornare a soffrire,
come nei
mesi precedenti.
Avrebbero potuto ricominciare da capo.
Dopo, forse, l’avrebbe aiutata a recuperare la
memoria dei mesi dolorosi
che l’avevano straziata.
Forse…
Salirono su un volo dell’Air France e decisero di
chiudere così quella
triste e incognita parentesi italiana.
Quando il loro aereo si fu staccato dal suolo,
l’uomo alto e biondo si
allontanò dalla vetrata panoramica del piccolo aeroporto. Strinse le
mascelle
ed inspirò profondamente. Il volo successivo sarebbe stato il suo:
sarebbe
tornato ad Anchorage e lì avrebbe dovuto fornire delle valide
spiegazioni alla
sua famiglia.
Ma come avrebbe potuto consolare Esme del fatto che
i suoi figli più
amati, Edward ed Alice, si erano uniti ai Volturi, vittime di un
ricatto che
aveva visto posta su una bilancia crudele la vita di Bella da una parte
e la
loro libertà dall’altra? Come avrebbe potuto spiegare a Jasper che
Alice aveva
visto tutto e sapeva quello a cui andava incontro, e che era stato solo
per
amore che aveva deciso di abbandonarlo, pur di tenere al sicuro la sua
famiglia? Come avrebbe reagito al volto sconvolto di Rosalie e
all’espressione
delusa di Emmett, che lo avrebbe considerato un codardo?
Lui era stato chiamato a Volterra solo per prendere
atto della decisione
dei figli e per portare via l’umana. Non aveva avuto alcuna possibilità
di
favorire la loro fuga, perché Alice ed Edward non sarebbero mai
scappati,
sapendo che ciò si sarebbe rivoltato contro Esme, Rosalie, Emmett e
Jasper. E
Bella.
Era andato là solo per salutarli per l’ultima volta
ed obbedire al
volere dei signori dei vampiri. Solo per chinare la testa davanti a
loro.
Le reazioni dei suoi familiari lo trovarono
impreparato. Aspettava
rancore e incomprensione, non quello che si sgretolò sotto ai suoi
occhi.
Emmett e Jasper lo assalirono, furiosi e feriti per
la sua codardia, e
fu subito chiaro che il dolore inflitto dalle loro frasi avvelenate non
era
sufficiente per placare la rabbia disperata che ribolliva dentro di
loro. Lo
colpirono, lo morsero e gli procurarono un dolore fisico che in parte
alleviò
quello che squagliava il suo cuore maciullato. Rosalie gli vomitò in
faccia
ogni rancore che si era tenuta dentro per quasi ottant’anni, ferendolo
con
accuse e recriminazioni sottilmente vere.
Ma Esme… la sua reazione lo disintegrò totalmente.
In un istante in cui i due ragazzi lo tenevano
fermo, sconvolti e fuori
di sé per il dolore e la delusione, Esme si avvicinò a lui e lo colpì
con uno
schiaffo violento. Lo fissò con occhi neri come carbone liquido,
ringhiò contro
di lui e, piano, sentenziò la sua condanna.
-Ci hai traditi tutti. Le nostre esistenze erano
legate a doppio filo
l’una con l’altra. Soli non valiamo niente. Soli siamo soltanto dei
mostri. Non
ha più senso che esista questa famiglia, ormai-, poi se ne andò,
seguita a
ruota dagli altri.
Due giorni dopo iniziarono le strane morti nella
zona sudorientale
dell’Alaska e proseguirono senza interruzione sempre più a sud, verso
il Canada
e poi verso gli USA.
Esme aveva ceduto al dolore e,
con lei, tutta la sua famiglia era andata
distrutta.
Disclaimer: i personaggi e gli argomenti trattati appartengono totalmente a S. Meyer. La storia è di mia fantasia e non intende paragonarsi a quella concepita e pubblicata da S. Meyer.
***
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