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Autore: kk549210    30/08/2015    6 recensioni
Fausto e Attilio: due fratelli diversamente destinati alla gloria e all’onore, che nascondono entrambi un segreto…
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Il Magnifico Polluce
 

Bologna, 30 giugno 2015
 

“Siamo alle ultime battute nella corsa al Rettorato. Oggi, fino alle sedici, gli oltre cinquemila aventi diritto tra docenti, studenti e ATA dell’Alma Mater sono chiamati alle urne per decidere chi guiderà l’Ateneo bolognese per il prossimo sessennio. Al ballottaggio Fausto Corradini, di Lettere, e Giuseppe Maria Agosti, di Giurisprudenza. Corradini, 51 anni, ravennate, accademico dei Lincei, latinista di fama internazionale…”
 
Afferrò il telecomando e, con un gesto quasi stizzoso, fece ammutolire il fastidioso apparecchio. Cominciava a essere stanco di sentire i cronisti di Rai Regione tessere il suo panegirico in pillole,  gettare in pasto al pubblico all’ora di pranzo o di cena quasi trent’anni di carriera, neanche fosse ragù sulle tagliatelle. Quella percorsa fino ad allora era stata una strada lunga fatta di studi, sacrificio, rinunce, passione: un cammino a cui si sentiva destinato, quasi fin da ragazzino, quando l’incontro con le lingue classiche – con il latino in particolare – si era rivelato un autentico colpo di fulmine. E ora era a un passo dalla vetta più alta che un accademico potesse mai desiderare. “Sublimi feriam sidera vertice”[1]  pensò, insieme al suo Orazio, anche se una parte di lui desiderava ardentemente che lo spoglio di quel pomeriggio acclamasse vincitore Agosti e gli scaricasse sulle spalle quel pesante fardello politico. Essere rettore avrebbe comportato per il brillante filologo una lunga pausa nell’attività accademica, che era fatta di ricerca, didattica e dialogo con gli antichi e i moderni. “Se vinco, nei prossimi sei anni mi potrò permettere al massimo di scrivere le mie res gestae”, si disse con acre ironia. Fausto Corradini, ordinario di Letteratura Latina,  provava ora pentimento, delusione, rammarico, senso di vuoto. E l’impellente necessità di stringere tra le dita ingiallite l’ennesima sigaretta, per bruciare insieme al tabacco il macigno che gli gravava sulla coscienza. Dove aveva messo l’accendino? Il filo di fumo che repentino lo avvolse gli parve infinito, come quell’eternità che durava da trent’anni, e  dall’altro capo, ben chiara e visibile, c’era la sua prima sigaretta. 23 novembre 1984: sotto il portico, davanti al Trentadue[2],  appena volato giù dallo studio di Traina[3] dopo avergli presentato la sua proposta di tesi di laurea, si sentiva leggero e allo stesso tempo inquieto. Colpevole ma ingenuamente soddisfatto, aveva spento la sua ansia correndo al Tabacchi di Piazza Verdi, facendosi largo tra studenti e punkabbestia.
Il professor Corradini andò alla finestra dello studio, che si affacciava su Strada Maggiore: sulla via, persone di ogni età si affrettavano, chi a piedi, chi in scooter, all’appello pomeridiano dell’esame, a pranzo prima di rientrare in ufficio, o semplicemente a comprare le cipolle ai chioschi pakistani di piazza Aldrovandi. Dall’alto gli sembrava che tutti quegli esseri errassero smarriti, in cerca di una via nella vita[4]. Pur trovandosi nella sua turris eburnea, nemmeno lui era fuori dalla mischia: aveva percorso una strada di allori e di soddisfazioni, ma aveva perduto se stesso.
Fausto aveva tradito Emma, anche se mille volte si era detto che in fondo aveva reso onore al suo acume e al suo talento di filologa, consegnando al loro professore quella brillante ricerca che altrimenti non avrebbe mai visto la luce. Una scusa, come quella che la pericope dedicata ai Dioscuri contenuta nel quinto libro dei “Fasti” rappresentasse un chiaro segno che il destino gli offriva. O che in fondo, in un curriculum impeccabile come il suo, una macchiolina fosse perdonabile, a maggior ragione in quanto invisibile agli altri. Ma la sua coscienza l’aveva ben presente e gliela poneva continuamente dinanzi agli occhi: non una, ma mille volte avrebbe potuto tirarsi indietro, dire a tutti la verità, almeno in parte. Perché aveva insistito per far leggere quel lavoro a Traina, che avrebbe invece voluto affidargli una ricerca sui Carmina oraziani, a entrambi più congeniali? Sì, in quell’autunno dell’84 le schede di Archeologia romana del Torelli lo stavano mettendo in crisi, ma sarebbe riuscito ugualmente a scrivere una bella tesi e a laurearsi in corso, senza deludere nessuno. “Quante cazzate si fanno, a ventun anni”. La sua pigrizia e la sua vanità avevano partorito la sua nemesi: avrebbe voluto studiare Orazio o al limite Catullo, dedicando le sue energie e la sua vita all’elegante leggerezza della lirica latina, ma si era trovato legato a filo doppio alla più insincera delle opere di Ovidio. Correndo su quella strada non sua, era divenuto Ordinario a soli 34 anni, collega stimato di esimi antichisti di mezzo mondo. Peritissimo delle origini del calendario romano, più di tutto conosceva l’eziologia del suo male: aver immolato la sacralità dell’amicizia e l’onestà intellettuale sull’altare dell’ambizione e dell’orgoglio.
Emma Baraldi non c’era più da tanti anni, perduta nell’inferno delle strutture psichiatriche, ancor prima che decidesse di spegnere la propria infausta esistenza, all’età di 28 anni. Fausto non aveva conosciuto in vita sua una creatura più geniale e più fragile allo stesso tempo. Instancabile e sicura nello studio, piena di incertezze e pavida nella quotidianità dei rapporti, al punto di scrivere un’intera tesi di laurea e di farla leggere solo al suo migliore amico. Poi c’erano stati il crollo nervoso, la diagnosi di disturbo dissociativo e il ricovero. La ricerca sui “Fasti” era finita dimenticata in un cassetto, fino a quel maledetto autunno che aveva trascinato all’inferno anche lui.
 
 
Un’interferenza interruppe il flusso dei suoi pensieri. Al citofono, la voce della portiera gracchiava qualcosa a proposito di una consegna importante.
- Mi scusi, professore. Quando è rientrato mi sono scordata di darle la posta di oggi – disse la donna affacciandosi sull’uscio.
- La ringrazio, Ottavia.
La lettera di ringraziamenti del Festival del Mondo Antico, una cartolina di Cecilia da Brighton, una raccomandata dalla busta verde, l’estratto conto della MasterCard. Una busta verde? Com’era possibile, visto che in tanti anni di guida non aveva mai commesso un’infrazione, e anche negli ultimi tre mesi si era sempre comportato da automobilista modello?                     
“Querela di plagio a carico di Corradini Fausto, nato a Ravenna il 24/12/63 da parte di Baraldi…”
Le Erinni erano giunte alla sua porta a reclamare il loro conto di lacrime e sangue. Un uragano stava per travolgere la sua intera esistenza, ma Faustino si sentiva pronto a rinascere in quel lavacro lustrale.  



NdA: 
Una delle tradizioni mitologiche su Castore e Polluce vuole che dalle due uova dischiuse di Leda uscisse una doppia coppia di gemelli (una maschile e una femminile)…
Grazie di cuore a tutti i lettori per avere seguito questo racconto fino alla fine.

 
 

[1] Ibid. I 1, 36
[2] Il civico 32 di Via Zamboni, al terzo piano, ospita tuttora il Dipartimento di Filologia Classica e Medievale dell’Università di Bologna
[3] Alfonso Traina, ordinario di Letteratura Latina all’Università di Bologna fino al 1997
[4] Traduzione adattata di Lucrezio, De rerum natura II 20
  
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