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Autore: Euridice100    30/08/2015    7 recensioni
"Ma l’altra rialza il capo e lo fissa con odio.
È allora che Gold la vede.
Arretra di un passo con la certezza di avere dinanzi a sé un fantasma.
'No, non può essere.'
Ma è allora che il passato torna a essere presente."
(Victorian!AU RumBelle
Seguito di "Cleaning all that I've become" e "All of the stars".)
Genere: Introspettivo, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Belle, Nuovo personaggio, Signor Gold/Tremotino, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Your dream is over... Or has it just begun?'
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XVI - The devil within
 
 
 
“I will keep quiet,
you won’t ever know I’m here.
You won’t suspect a thing,
you won’t see me in the mirror.”
 
 
 
Ella Feinberg amava organizzare feste.
Forse la sua era la reazione naturale a un’infanzia e a un’adolescenza trascorse segregata in casa con pochi passatempi e troppi sogni: sua madre, convinta che la figlia fosse nata per combinare guai, non la lasciava libera un istante. Era stato più che normale per la diciottenne Ella, appena messe le mani sulla prima rendita, scatenarsi in carosello di divertimenti e spese folli che, se non avevano portato la famiglia al tracollo, di certo vi avevano contribuito non poco.
Le mille incombenze e gli onnipresenti imprevisti dell’ultimo minuto non la inquietavano, anzi: a suo dire, aggiungevano quel pizzico di brio necessario per stupire e far parlare di sé. Ospitare è un’arte, ma lo è anche improvvisare; e lei eccelleva tanto in una quanto nell’altra.
No, decisamente: lottare per accaparrarsi chef francesi contesi e spocchiosi, imporsi per far portare da Veitch 1 fiori fuori stagione e zittire decoratori costretti a modificare radicalmente interi addobbi all’ultim’ora non era difficile; avere a che fare con una cugina folle lo era.
Rebecca Zelenyy non sarebbe rientrata nell’iconografia classica da manicomio: zero attacchi isterici, nessun gatto lanciato su inermi passanti e men che meno balbettii incoerenti; ma questo non la rendeva certo meno folle.
La sua ossessione – come altro definirla? – per Robert Gold lo provava.
Per non impazzire lei stessa, Ella aveva deciso di perdere il conto di quante lettere fossero partite per Londra nelle ultime settimane, ma il numero iniziava a darle molto, molto fastidio. E non era un bene far arrabbiare Ella Feinberg, non era affatto un bene; tuttavia Rebecca, oltre che pazza, doveva essere anche sorda, perché continuava a ignorare ogni avvertimento.
L’unica cosa che tratteneva la nobile dal mettere la cugina alla porta era la sua già imminente partenza. Era solo per questo che aveva acconsentito, nonostante i propositi iniziali, a che la giornalista l’accompagnasse a Londra: di lì a pochi giorni avrebbe salpato da Southampton e sarebbe dunque passata comunque dalla capitale; tanto valeva trascorrere insieme quel breve periodo e tenerla d’occhio di persona. L’avrebbe coinvolta nei preparativi per la festa cui, grazie a Dio, non avrebbe fatto in tempo a prender parte e l’avrebbe tenuta lontana da un determinato indirizzo di Kensington.
Ella compativa Rebecca, il modo in cui si umiliava: se avesse avuto un briciolo d’amor proprio non si sarebbe comportata come una bambinetta gelosa nei confronti di uno che, come i racconti avevano confermato, l’aveva portata a letto solo per dimenticare un’altra.
(Cora?, non faceva a meno di chiedersi la Feinberg.
O piuttosto quella fantomatica Hélène?
La trama del sordido romanzo d’amore s’infittiva.)
Tuttavia, dopo anni e anni, nelle ultime settimane Ella si era riscoperta più volte a invidiare la tenacia della cugina.
Come sarebbe stata la sua vita se tanto tempo prima avesse permesso all’amore di dire il suo nome? 2
La sua metà più razionale non se ne pentiva. Per quanto fosse stata legata a quella giovane dalla pelle d’ebano, cosa ne sarebbe stato di lei se avesse perseverato in una follia di baci così dolcemente distruttivi? Avrebbe perso la rendita ormai sempre più scarsa, sarebbe finita per strada. Sarebbe divenuta una reietta. No: aveva fatto bene, benissimo ad allontanarsi da lei e ad accettare la proposta di Hans. Lui le passa qualsiasi somma, le regalava pellicce e diamanti a ogni occasione e l’Inferno sarebbe ghiacciato il giorno in cui Ella Feinberg non fosse stata in grado di gestire un uomo simile.
Hans non chiedeva quasi niente; lei avrebbe chiesto più di quanto Ella sarebbe stata in grado di dare – più di quanto le sarebbe convenuto dare. Era un sentimento onesto, ma era troppo: troppo confuso, troppo complicato, troppo azzardato per sopravvivere. Andava lasciato morire, come lei aveva provato a fare malgrado due occhi liquidi e scuri.
Non sarebbe mai tornata indietro, no; ma alle volte, quando il gin finiva troppo presto, qualcosa in Ella si trovava a pensare che era incastrata in una vita di feste e soldi, e che avrebbe potuto avere tutto, ma nulla sarebbe davvero bastato senza amore.
Il suo nome non era mai stata in grado d’impararlo. Era triste, ma era così. Eppure, quando timorosa le aveva chiesto di poter rivolgersi a lei in un altro modo, più comune, più familiare, Ursula aveva accettato con un sorriso.
Alla festa cui si erano conosciute Ursula era stata invitata, sì, ma solo per cantare. Aveva una voce bellissima, Ursula, una voce che sapeva di sale e terre lontane, di mille paesaggi sconosciuti e di storie antiche quanto la terra e il mare. L’ereditiera quasi avrebbe voluto stringere quella voce tra le dita, custodirla e non lasciarla andare più. Riscaldava il cuore e il sangue, anche quello freddo e cinico di Ella – era l’unica cosa che le desse un po’ di equilibrio, un po’ di pace interiore. Forse era anche per questo che nelle sue soirée prestava tanta attenzione alla musica: quel dettaglio la faceva sentire più vicina a colonie che non avrebbe mai visitato e a due occhi scuri che non avrebbe rivisto.
Più vicina all’unica che aveva amato.
Aveva spedito Rebecca a controllare l’andazzo dei lavori al piano superiore nella speranza di togliersela di torno il tempo di una sacrosanta sigaretta; ma nell’istante stesso in cui aveva aspirato la prima boccata, la raggiunse una voce che non udiva da qualche tempo.
- Mia cara, ancora alle prese col tuo deprecabile vizio?
La Feinberg si voltò appena: dinanzi a lei vi era l’affabile sorriso con cui la contessa Mills si presentava al mondo.
- Darling, – fece da contraltare la bionda, senza addolcire l’usuale sarcasmo – Concedete a una povera ragazza di godersi una delle poche gioie della vita.
- Una delle poche? – Cora rise garrula, avvicinandosi alla dama e soppesando con sguardo critico le decorazioni della sala – Non si direbbe, a giudicare dall’allestimento. Siete fortunata: avete splendide proprietà, abiti sontuosi, un uomo che vi ama…
- In effetti a Mr Feinberg va riconosciuto un particolare merito, – concordò la dama guardando dritta in volto l’ultima arrivata – Si fa gli affari propri. Cosa che, ahinoi, non di tutte si può dire…
- Esattamente, – Cora non diede segno di aver colto la frecciata – Specialmente quando si tratta di uomini.
Ella considerava Cora Mills come aveva sempre considerato il mondo intero eccetto una persona – indifferente. La Contessa era la classica dama dell’alta società: avvezza a corsetti più mentali che fisici, nascondeva un’indole frivola e pettegola dietro una facciata amabile. La Feinberg non si curava che la sua interlocutrice dettasse legge in società: lei trascorreva quasi l’intero anno in campagna, lontana dal cicaleccio della capitale, e in ogni caso i suoi eventi difficilmente sarebbero falliti, chiacchierati e attesi com’erano. Parimenti, poco le importava dell’eventuale passato della donna: ogni persona nasconde un segreto e la Mills, con la sua aria pudica e volitiva a un tempo, non sfuggiva certo a questa regola universale.
Una sola cosa irritava Ella: quella visita totalmente inattesa e inopportuna che, senza alcun dubbio, avrebbe fomentato sciami di altre invitate impazienti e curiose.
- Cugina, ordino di portare giù le… Oh! – Rebecca si bloccò sulle scale scorgendo l’ospite – Buongiorno, – salutò procedendo con più lentezza ed eleganza.
Cora la squadrò, cercando di ricondurre la giovane donna dai capelli fulvi a un volto noto.
- Buongiorno, – ricambiò, voltandosi verso un’improvvisamente pensierosa padrona di casa.
Quella sì che era una situazione interessante. Fino alla comparsa della Zelenyy, Ella non si era accorta di avere accanto la dama che le chiacchiere avevano a lungo considerato amante di Robert Gold… Robert Gold che, guarda caso, oltreoceano era stato compagno d’avventure della cuginetta.
Se avesse avuto un po’ di pudore, Ella Feinberg sarebbe morta d’imbarazzo; ma imbarazzo, Ella Feinberg non sapeva nemmeno come si scrivesse. Quella provocazione era per lei un invito a nozze.
- Lady Mills, vi presento mia cugina, Rebecca Zelenyy. Conoscerete certamente la sua vicenda…
- L’erede ritrovata, – Cora annuì – Lieta di conoscervi.
Rebecca sorrise felice.
- Anche voi siete nota in America: la regina del beau monde britannico! Sono lusingata di conoscervi! – le strinse la mano con foga, lasciando la Contessa lievemente interdetta. Cora era al corrente della misera infanzia della donna prima della rivelazione delle sue reali origini; pensava però avesse oramai appreso le regole basilari della buona educazione… Ma in America, si sapeva, il galateo lasciava a desiderare, e la sua interlocutrice addirittura lavorava come giornalista: era prevedibile che non fosse propriamente epitome di raffinatezza.
Questo non le impedì comunque di esibire il più sfolgorante dei sorrisi mentre domandava:  – Qual buon vento vi porta qui?
Il volto della più giovane s’incupì appena.
- Ho vissuto un anno difficile, – ammise, una sfumatura di risentimento nella voce, come se ammetterlo le costasse fatica – Pertanto ho deciso di prendere qualche settimana per me.
- Capisco, – Cora non distolse lo sguardo, ma le labbra appena arricciate tradirono il convincimento che dietro l’affermazione ci fosse qualche fattaccio tale da rovinare una reputazione.
La cosa irritò non poco la Feinberg. Non provava affetto per Rebecca, ma l’atteggiamento dell’ospite, le allusioni che esso lasciava appena trapelare colpirono lei per prima, quasi fosse complice di un efferato delitto.
Ma la cugina americana era folle, non sprovveduta. Col suo lavoro, era abituata a interagire con titolate e borghesi viziate: Cora era solo una tra le tante, né più né meno; perfettamente gestibile.
La risposta che le diede ne fu prova.
- Lady Mills, non abbiatemene: è risaputo che in America si vive più intensamente di qui, – un ghigno soddisfatto curvò le labbra di Ella – Anche se la fortuna non mi sorride. Perché, ho saputo, anche la causa della mia vacanza è tornata qui da New York.
- Che faccenda disdicevole, – l’interlocutrice concordò, seppure disinteressata – Ma noi donne non dovremmo mai permettere a nessuno di toglierci il sorriso. Godetevi la vacanza e ignorate chiunque altro.
- È difficile a farsi, quando lui è a capo della più importante industria tessile del vostro Paese…
E questo, Ella trasalì, avresti potuto risparmiartelo, cugina cara.
Cora rimase immobile per un lungo, lunghissimo istante. Quando riaprì bocca, sul suo viso era dipinto un misto di sconcerto e malcelata delizia.
- Mi state dicendo che il lui in questione è... Robert Gold? – chinò il viso per non far notare la soddisfazione – Quel Robert Gold?
 - Non è bene parlarne così, – Ella tentò di correre ai ripari – Potrebbero sentirci.
L’espressione della Mills era impossibile da decifrare: solo gli occhi saettarono dalla Feinberg alla Zelenyy, soffermandosi su quest’ultima.
- La nostra amica ha ragione, – concordò infine – Non si affrontano di argomenti tanto delicati dinanzi a tutti. Mia cara, – prese sottobraccio Rebecca e le sorrise – Credo che tu e io abbiamo molte cose di cui discutere. Vi andrebbe di venire a farmi visita oggi pomeriggio stesso.
Rebecca annuì entusiasta.
- Ne sarei onorata, – fu la fatale risposta.
Ella Feinberg imprecò tra i denti.
Se fosse stato fortunato, alla fine della storia di Robert Gold sarebbero rimasti solo pezzi.
 
 
 

“But I crept into your heart,
you can’t make me disappear
till I make you.”

 
 
 
La quantità di corrispondenza bruciata negli ultimi mesi stava raggiungendo proporzioni macroscopiche.
La lettera di Hans prima aveva solo incrementato quella mole.
Gold a quella festa non sarebbe andato. In realtà della Mills, di certo anche lei invitata, si curava relativamente: la Contessa preferiva agire nell’ombra, tessere le sue trame nel segreto di stanze private e utilizzarle con saggia discrezione. La conosceva: non si sarebbe mai esposta in pubblico, col rischio di suscitare chiacchiere. Le sue mosse sarebbero state allusioni, provocazioni tanto sottili quanto sarcastiche che lui e Belle avrebbero comunque contenuto in qualche modo.
Gli veniva da sorridere pensando alla naturalezza con cui era la sua Sweetheart a balzargli in mente: se avesse partecipato alla festa, l’avrebbe fatto con lei, o non l’avrebbe fatto. Non esistevano altre opzioni, non esistevano esitazioni: con l’educazione da principessa ricevuta, Belle avrebbe saputo muoversi nell’alta società, portandovi anzi un po’ di brio con la sua vitalità; e senza dubbio avrebbe gestito Cora, come più di una volta aveva dimostrato di saper fare persino meglio di lui.
Gold non intendeva sfidare la sorte e far fronteggiare le due donne il più del dovuto, ma se il problema fosse stata la Mills allora forse non avrebbe nascosto l’invito ufficiale, quel cartoncino vergato a chiare lettere che equivaleva a un suicidio.
Avrebbe inventato un impedimento e non sarebbe andato, questa era stata la prima decisione. Sarebbero inevitabilmente sorte delle domande sul perché Robert Gold stesse partecipando a così pochi eventi della Stagione, ma che pensassero tutto e il contrario di tutto: lui aveva una famiglia, e in quel momento era suo dovere proteggerla da Rebecca Zelenyy.
Lei e Belle non avrebbero dovuto incontrarsi: non voleva neanche immaginarne le conseguenze.
Avrebbe dovuto essere onesto, sì, dire sin dall’inizio all’amata che alcune notti la solitudine che pesava come un macigno l’aveva spinto tra le braccia di un’altra – un’altra che non gli era mai entrata nel cuore, perché in quello c’era spazio per una e una donna sola, lei.
O avrebbe anche potuto dirglielo dopo; l’importante sarebbe stato dirglielo.
Belle forse avrebbe sofferto, ma avrebbe capito. Forse la confessione non avrebbe nemmeno rallentato il loro riavvicinamento; sicuramente non avrebbe posto lui in quelle condizioni.
Ogni volta che Gold aveva tentato di parlare, trovare le parole si era rivelato come scavare in un deserto alla ricerca dell’acqua. Da quando aveva ricevuto la lettera e l’invito, quel peso che si portava dentro era divenuto ancora più soffocante, più opprimente; se da sempre addormentarsi gli era difficile, ora era diventato quasi impossibile. Domande senza risposta gli provocavano un dolore pulsante alla testa: restava con gli occhi aperti a fissare il soffitto, Belle acciambellata al suo fianco come un gattino. Tante, infinite volte la osservava nel sonno, le lunghe ciglia che formavano ombre attorno agli occhi, le ciocche ramate che lui tanto amava attorcigliare intorno alle dita; e pensava a quanto fosse ingiusto che tutto l’amore che lei poteva dare, così tanto amore fosse sprecato per una persona così falsa, così sbagliata come lui.
Non era colpa di Belle se non stava accorgendosi di nulla. Forse dall’esterno qualcuno l’avrebbe giudicata, l’avrebbe chiamata stupida e derisa; ma non era così. Belle vedeva il suo passo tormentato dei vincitori sconfitti, Belle domandava; ma Belle si fidava di lui, dei suoi baci e delle sue rassicurazioni.
Belle si fidava delle bugie che lui le diceva.
No: non era Belle la stolta, ma lui. Lui e il suo universo che era una facciata di cartapesta, lui e il mare d’ inganni in cui naufragava la sua vita.
Lui, che non capiva lei non sarebbe rimasta per sempre.
Ogni tanto provava a convincersi che la paura che oramai pulsava al ritmo del suo cuore fosse infondata: quanto altro tempo Rebecca si sarebbe fermata dalla cugina? A inizio maggio Ella aveva parlato di una manciata di settimane, ed erano trascorsi due mesi e mezzo…
Ma come essere ottimista senza sentirsi stupido, se aveva imparato che le cose peggiori accadono nei momenti più belli?
Sicuramente la Feinberg ora era a Londra in vista della festa; probabilmente si era portata dietro anche la Zelenyy… Sempre che la donna non fosse già partita.
Si dice che quando si ha il controllo di qualcosa non serve averne paura; ma Rebecca era una scheggia impazzita, e se per proteggere la sua famiglia avesse dovuto continuare a mentire, non c’erano dubbi: lui l’avrebbe fatto senza esitazioni.
Per quanto gli dispiacesse mentire ancora a Belle.
Avrebbe voluto le cose fossero semplici. Ma avere una coscienza significava anche questo.
L’unica possibilità era chiedere a Ella stessa: se Rebecca ci fosse stata, avrebbe taciuto ogni cosa a Belle.
Se fosse già partita, le avrebbe raccontato della festa. Non vi sarebbe comunque stata certezza assoluta della partenza della giornalista, e proprio per non rischiare avrebbe calcato la mano sulla presenza di Cora alla festa e sui rischi che ne derivavano per cercare di convincere Belle a non andare.
Quella settimana era dalle Lucas: Gold avrebbe approfittato della sua assenza per informarsi sulle sorti della Zelenyy. Anzi, vi avrebbe provveduto quel giorno stesso: prima avesse risolto la questione, meglio sarebbe stato per tutti.
Una cosa, però, era certa.
Sarebbe andato dai Feinberg come minimo scortato.
 
 
 
“Won’t see me
closing in.”
 
 
 
Ella aveva sospirato di sollievo quando, quella mattina, Rebecca era salita sul treno per Southampton. C’erano stati abbracci cordiali, un rincorrersi di ringraziamenti cosparsi di risa e promesse di rivedersi presto che di sicuro non sarebbero state mantenute: tante settimane a stretto contatto con la cugina erano una condanna eccessiva persino per lei.
L’utilità della Zelenyy era emersa nei ultimi giorni: da quando le era stata presentata Cora Mills, la giornalista si era recata sovente dalla sua nuova amica trascorrendovi pomeriggi interi e graziando Ella dalla sua soffocante presenza. Chissà cos’avevano combinato assieme quelle due: Cora e Rebecca non erano donne pietose, avrebbero ben volentieri strappato il cuore alla loro vittima guardandola poi agonizzare con un sorriso di scherno.
Ma non aveva letto del ritrovamento del cadavere squartato di Robert Gold, per cui le loro confabulazioni dovevano essersi limitate a un piano meramente teorico; e, in ogni caso, non era più affar suo: Rebecca sarebbe salpata di lì a breve, il 12 agosto si sarebbe tenuta la festa, la Stagione si sarebbe conclusa e lei sarebbe tornata dai suoi cani, con buona pace di gentiluomini poco gentili, dame infide e soprattutto cugine isteriche.
Stava ragionando sul menu quando le venne annunciato Robert Gold.
Lupus in fabula!
- Guarda un po’ chi ricompare, – fece la bionda con un sorrisino sprezzante – Non mi pare vi siate degnato di rispondere al mio invito. Decisamente scortese da parte vostra, Darling.
- Vi chiedo scusa, Milady, – nelle parole dell’industriale non vi era eco di umiltà – La mia mancanza è in effetti stata imperdonabile. Tuttavia, c’è una ragione alla base del mio comportamento, una ragione di cui intendo discutere ora.
L’ereditiera non tardò a intuire chi fosse la ragione cui si riferiva l’uomo. Memore delle recenti esperienze, per un fugace istante quasi lo compatì.
- Sarebbe a dire? Vi pregherei di parlare perché, sono certa lo sappiate, nelle ultime settimane sono stata impegnata coi preparativi e, – il già poco rassicurante sorriso si accentuò – Con un problema di cui anche voi siete responsabile.
- Lei è qui? – Gold fu brusco nell’arrivare al dunque, ma Ella non si sarebbe aspettata altro da lui; se lo apprezzava, in fondo era anche per questo.
- Perché mai vi preoccupate della mia dolce cuginetta? In passato, mi pare di aver capito, avete trovato la sua compagnia piuttosto piacevole, – decise di canzonarlo.
Gold poteva fingere che la sua impeccabile compostezza non si facesse compromettere tanto facilmente, ma le labbra tirate e il lampo che, fulmineo, gli incendiò lo sguardo parlavano da sé.
- Cosa sapete?
- Oh, giusto qualcosina che se foste donna vi rovinerebbe. Ringraziate la buona stella che vi ha fatto nascere uomo.
- Non ho voglia di scherzare, Lady Feinberg. Lei è qui?
Ella ricambiò l’ostilità con uno sguardo languido e sprezzante.
- Potete star tranquillo, – rispose infine scrollando le spalle – Non è qui, e non lo sarà più.
- Cosa intendete?
- Non l’ho data in pasto ai cani, sebbene abbia avuto più volte la tentazione di porre fine alle mie sofferenze, – ribatté pungente – A minuti salperà. Sta tornando a casa, – valutò per un momento la possibilità di accennare all’incontro tra la giornalista e la Contessa; ma anziché farlo – tutto era oramai risolto, giusto? –, scambiò un lungo sguardo significativo con Gold – La prossima volta, vi pregherei di considerare che il mondo è piccolo. Qualcuno conosce sempre qualcun altro.
- Non ci sarà una prossima volta, – né con lei, né con altre, l’industriale si redarguì tra sé e sé. Non poteva aver certezza, ma Cora e l’esperienza negli affari gli avevano insegnato a riconoscere un inganno: e qui non ve n’era alcuno. Con ogni probabilità era salvo. Non riusciva a pensare ad altro – Vi sono grato per l’informazione, Milady, – disse, già dando segno di andarsene.
- E la festa? – gli ricordò l’ereditiera.
Vedremo.
- Se parteciperò, lo farò accompagnato, – fu l’unica risposta.
Hélène, Ella riuscì solo a pensare, non vedo l’ora di conoscerti.
 
 
 
“My love is
your disease,
I won’t let it set you free
till I break you.”
 
 
 
- Papà!
La voce di Helena lo fece sobbalzare. Alzò all’istante lo sguardo dai documenti: la bambina era appena entrata nello studio con la madre.
- Ditemi pure.
Belle ridacchiò prima di annunciare: – Siamo qui per chiederti asilo.
L’uomo aggrottò la fronte senza capire.
- Dobbiamo nasconderci da Killian! Stiamo giocando a nascondino e ora lui deve trovare noi, ma non ci deve trovare! – la bimba snocciolò rapida, le guance arrossate dalla concitazione – Voglio vincere io!
Splendido. La casa andava a rotoli, non era del tutto al sicuro da quella spada di Damocle che forse ancora gli pendeva sul collo, e la servitù perdeva tempo dietro a una quattrenne cui avrebbe dovuto rivolgersi con deferenza, piuttosto che con confidenza. Ancora una volta, Gold si chiese perché i suoi dipendenti non fossero docili ed efficienti come quelli altrui, e – soprattutto – cosa lo trattenesse dal metterli alla porta uno dopo l’altro.
Uno dopo l’altro a partire da Jones, ovviamente.
Se non altro, seppur nella sua innocenza Helena pareva ben determinata a dare una lezione a quel valletto da strapazzo…
- E sia, – decretò dopo aver finto di soppesare le opzioni – Se il vostro avversario dovesse spingersi a cercarvi fin qui, se la vedrà con me. È mio dovere sostenerti e aiutarti a vincere contro Jones. Anzi, – sogghignò, consapevole delle occhiate torve di Belle – Dobbiamo sempre allearci contro di lui.
Helena, fino ad allora entusiasta, si rabbuiò appena.
- Perché? Alla fine è un gioco. Se perdo ora e vinco dopo, vinco lo stesso. Anzi, – sembrò valutare l’alternativa prima di riprendere parola – Secondo te devo farlo vincere una volta? Killian è sempre bravo nei miei confronti, ed è bello, bello come un principe. Dici che da grande mi sposa?
Il destino si divertiva con Robert Gold: non c’era altra spiegazione razionale agli eventi che segnavano la sua esistenza.
Quella scoperta – e la risatina vanamente camuffata da Belle con colpo di tosse – ne erano la prova suprema.
Perché diamine, tra tutti gli esseri presenti sulla faccia della terra, sua figlia si era presa una cotta proprio per Killian Jones?
- Tu che dici? – lo incalzò la bambina.
Dico di no, si morse la lingua per non rispondere e rendersi ancora più ridicolo per quell’insensata gelosia.
- Ha gli occhi blu e mi racconta sempre dell’India, e dell’Irlanda! Dice che è tutta verde, che è bella…
- La Scozia lo è di più, – soffiò, quasi punto nell’orgoglio.
Helena alzò le spalle.
- Non lo so. Mai stata.
- Ma ti piacerebbe andarci?
- Sì. Credo di sì, – si voltò verso Belle, che continuava a gustarsi la scena ridendo sotto i baffi – Lei ci voleva andare. Una volta mi ha detto così.
L’interpellata tornò seria all’istante. Nessuno degli adulti commentò: entrambi sapevano fin troppo bene a cosa alludesse quel desiderio irrealizzato – quella strada mai percorsa.
Né la prima, né l’ultima ferita.
Gold riportò lo sguardo su Belle. Magari avrebbe potuto staccare dal lavoro, almeno per un po’. Tornare in patria, questa volta non da solo – mai più solo –, prendere una di quelle case piccine che a lei piacevano tanto e ricominciare daccapo, lontani dal caos e dai problemi che si moltiplicavano giorno dopo giorno.
Magari avrebbe potuto far una prova, proprio in occasione della festa. Ci aveva già riflettuto quando aveva scoperto di Rebecca in Inghilterra, e ora la tentazione tornava a farsi sentire…
- Ci andremo, – promise, consapevole di non star parlando alla figlia – Andremo in Scozia, e non solo lì. Andremo ovunque tu vorrai. Ogni giorno sarà un’avventura – e la vivremo insieme.
Lo ripeterò ogni giorno finché non mi crederai – finché non ci crederò.
Belle gli sorrise. I suoi occhi riflettevano la purezza del suo animo, la fiducia in un avvenire meraviglioso. Se Helena non fosse stata presente, Gold l’avrebbe baciata. Com’era possibile che nella sua vita fosse entrata lei?
La mente gli tornò al giorno in cui Belle aveva deciso di aprire le tende dello studio. – Non ce n’è bisogno - mi abituerò, – aveva risposto quando Belle si era offerta di risistemare il velluto.
Mi abituerò alla luce.
Mi innamorerò della luce.
Pensava che la luce lo avrebbe ferito, ma aveva il sole accanto da mesi e stava lenendo le sue piaghe. “Luce”, “amore” erano state parole come altre finché non aveva conosciuto lei; allora avevano assunto tutto un altro significato, tanto bello quanto doloroso.
Ma non vorrei mai farti male.
- A Killian però piace Emma.
L’osservazione di Helena lo riportò alla realtà.
- Presumo sia normale. Quei due hanno più o meno la stessa età…
- Ma tu sei più vecchio della  mamma.
- Helena, – ringhiò Belle.
- Che c’è? – la bambina alzò un sopracciglio – È così!
- Non sta dicendo nulla di sbagliato, – Gold la sostenne – È vero, io sono più vecchio di tua madre. Ma questo, a suo dire, non ha importanza. È più importante ciò che ci lega rispetto agli anni che ci separano. Ora, ai miei tempi quando si giocava a nascondino c’era un “tana libera tutti”… Non vogliamo battere Killian?
Helena annuì entusiasta e si precipitò alla porta. Belle fece per seguirla, ma l’uomo la trattenne.
-  Aspetta, – le disse – Va’ avanti, Helena, io devo parlare con la mamma.
La bambina neanche sentì la frase, già corsa via verso la vittoria. Gold chiuse la bussola e tornò alla scrivania.
Ora o mai più.
- Insomma, oggi Helena non si è risparmiata nei tuoi confronti. Irriverente e testarda… Mi domando proprio da chi abbia preso, – scherzò Belle avvicinandoglisi.
- Certo non da me. Io sono ragionevole, cortese e molto ben educato.
- E modesto.
- No. Sono solo sincero, – si parò dal pugno giocoso che Belle provò a tirargli – Allora, è vero quel che ha detto Helena? Una nuova tresca è nell’aria?
- Non pensare nemmeno a separarli o qualcosa di simile.
- Separarli? Io? – un fin troppo turbato Gold si portò una mano al petto – Dearie, dovresti sapere che sono un gran sostenitore del Vero Amore. Non pensavo di distruggere la felicità della coppietta, ma di promuovere la Nolan come minimo capocameriera.
- Perché mai? – la donna spalancò gli occhi sorpresa.
- Ha tolto di mezzo Jones. Un uomo in meno di cui preoccuparmi.
Un’esasperata Belle si portò le mani ai capelli e rise.
- Non ce la posso fare. Tu mi hai davvero fatta restare per chiedermi di Emma e Killian? – vedendo il ghigno di Gold sparire, ebbe subito la risposta – È successo qualcosa? – avanzò incerta.
In realtà, conosceva anche questa risposta. Da quando era tornata da Whitechapel, l’amato era più tetro e nervoso. Il modo di fare le aveva riempito l’animo di oscuri ricordi e presentimenti che non aveva saputo, né voluto mettere a tacere. Gli aveva domandato più volte spiegazioni, ma in ogni caso la replica era giunta invariata: erano gli affari, erano Regina e Cora, era una qualunque cosa di cui lei non doveva preoccuparsi.
Ma come non preoccuparsi?
Belle si fidava di Gold: sapeva che non l’avrebbe più ferita, o almeno non più deliberatamente, ma l’eventualità che continuasse a tacitare pensieri ed emozioni l’agitava come poco altro. Ci aveva anche litigato una – un’altra – volta.
Una volta aveva letto che non c’è peggior angoscia che amare con la paura. Aveva sperimentato la verità dell’assunto con Helena, e ora tornava a farlo con Gold.
Ma lui non mi mentirà più. Lo ha giurato.
(Ma in fondo al cuore sai chi è.)
Non è vero. Smettila. Smettila!
- Sì e no, – Gold scavò in un cassetto fino a ripescarvi una bustina di carta dall’aria pregiata – Ho ricevuto un invito a un ballo, – Belle lo esortò a continuare – È organizzato da Ella Feinberg, un’ereditiera moglie di un mio socio, in onore di un accordo siglato qualche mese fa. Dovrei andarci, ma dovrei andarci accompagnato.
- Se ci andrò, sarà o con te o con nessuna. E qui sorge il problema… Perché sicuramente ci sarà anche Cora.
Gli occhi di Belle si spalancarono, colmi di consapevolezza
- E tu temi quel che potrebbe fare, – concluse per lui.
- Sì, – finse una sincerità che non gli apparteneva, come sapeva lei stesse fingendo la sua pacatezza – La sua presenza mi preoccupa.
- È questa la causa del tuo comportamento degli ultimi tempi?
Gold annuì ancora.
Belle lo guardò dritto in volto.
- Perché non me lo hai detto prima? – l’uomo tacque per un lunghissimo momento – Sai, mi piacerebbe tu rispondessi. È un po’ difficile dialogare se resti in silenzio.
- Non credevo di andare, – l’industriale chinò il mento. Sapeva non sarebbe riuscito a guardarla negli occhi – Mi sono detto che se non te ne avessi parlato, tu non l’avresti scoperto e tutto si sarebbe risolto. Però non sarei stato sincero con te, non avrei mantenuto la promessa. Dobbiamo parlare di tutto, vero? Non devo più mentirti. Io ti avrei mentito se non ti avessi raccontato questo… Quest’imprevisto.
- Ho sbagliato, lo so, e ti chiedo scusa. Ma io non voglio nulla ti causi dolore, e la presenza di Cora... Lei non farebbe scenate, stanne pur certa; ma al momento opportuno si lascerebbe sfuggire un commento, un pettegolezzo sulla nostra situazione. E lo sai – noi siamo noi, ma il mondo è diverso. Non criticherebbero il mio comportamento, ma il tuo. Diventeresti il bersaglio della società, chiacchierata e descritta nei peggiori modi. E io questo non potrei mai accettarlo, perché l’unico colpevole sono io.
L’eloquio era la sua qualità migliore, e Gold l’aveva affinato tanto a lungo. Lo rendeva un temibile nemico, in grado di mettere con le spalle al muro qualunque avversario; ma mai prima di allora ne aveva sperimentato gli effetti su se stesso.
Era possibile incantarsi da sé? Convincersi di star dicendo il vero, di non essere – ancora una volta, sempre un’altra volta – spergiuro?
Non sapeva fino a che punto vi fosse onestà o menzogna nelle sue parole.
Voleva proteggere Belle da Cora? Sì.
Voleva impedire al mondo di violare la sua famiglia? Sì.
Ma voleva anche proteggere se stesso dalle conseguenze dei propri errori.
- Io voglio solo tu sia sincero, – gli parve di udire una lieve accusa nel tono di Belle.
- E mi sto impegnando, Sweetheart, ci sto provando, ma non sempre è semplice. Ho paura di perdervi, e lo sai. Siete la mia costante nel caos, e senza te, senza Helena, io sono ciò che ero; e io voglio essere migliore per voi. Morirei pur di riuscirci.
Belle scosse il capo.
- Non voglio arrivare a tanto. Voglio solo una cosa, e lo sai già: smettila di trattarmi come se potessi andare in pezzi. Non sono un qualche fiore di serra, fragile e delicato: sono in grado di sopportare più di quanto si possa pensare. E soprattutto, sono in grado di sopportare la verità, di qualunque verità si tratti. Non voglio più restare all’oscuro di nulla. So che per te non è facile, ma non sei solo: per questo, quando non lo è, vorrei me lo dicessi. Posso avere questo? Solo questo? – gli chiese stringendogli le mani.
- Tu puoi avere qualunque cosa tu voglia. Proverò a dirtelo, – Gold le strinse le mani, imponendosi di non sospirare di sollievo. Era ancora presto per cantare vittoria – Dico che non andremo alla festa?
Belle rispose subito.
- No. Dì che ci andremo.
Gold s’irrigidì appena, la donna poté percepirlo. Gli carezzò la schiena per rilassarlo.
- Ci sposeremo, – spiegò – Non sappiamo quando o come, ma sappiamo che accadrà. Possiamo sfruttare quest’occasione per farci vedere in pubblico per la prima volta…
- È vero, ma potrebbe essere un azzardo. Sarà un azzardo, appena Cora scoprirà che siamo lì. Non voglio ti considerino la mia mantenuta, o peggio. Non voglio macchiarti così.
- Ma a me, alla diretta interessata, non importerebbe. E se non importa a me, come può importare a te?
- Importa a me, – l’uomo ringhiò a denti stretti – Perché le accuse sarebbero rivolte a te, ma se io non avessi…
- Se tu non avessi cosa? Sono stata io a baciarti, sono stata io a invitarti in camera. E non mi pento di nulla, – gli ricordò – Se c’è qualcuno cui non va bene, se c’è qualcuno che per questi motivi non mi vuole accanto, venga e me lo dica in faccia, lo affronterò. Ma non mi nasconderò per paura, non mi chiuderò in casa per evitare i mormorii. Non temo Cora, né chi per lei. Sono pronta a quasi tutto.
Nonostante l’ansia, Gold ghignò.
- Quanto amo sentirtelo dire.
- Ho detto quasi! – Belle si finse scandalizzata, ma tornò seria. Non era il momento di scherzare – Seriamente, Robert: so che la bolla in cui viviamo è spesso e volentieri soggetta a terremoti e catastrofi, ma nascondersi non è la scelta migliore. Anzi, per come la vedo io non è affatto una scelta. Non tutti capiranno, è vero, ma questo non significa niente: nessuno tranne Cora conosce me, e tu… Voglio dire, tu sei Robert Gold! Li hai in pugno, non puoi temerli. E soprattutto, noi saremo assieme, – i suoi grandi occhi chiari, pieni di partecipazione, cercavano di rassicurarlo – Ci amiamo e ci sosterremo a vicenda, oggi, quella sera e sempre. Non avere paura, amore mio.
- Ma io non ho paura di loro. Ho paura di lei, – c’era più verità di quanto avrebbe voluto ammettere in quelle parole. Odiava dar voce alle sue paure. Ogni volta divenivano reali e lo divoravano. Odiava star fallendo, odiava non riuscire a convincerla. Perché non mi ascolti? avrebbe voluto gridare. Perché non capisci quello che potrebbe succedere? Le ombre che ci minacciano stringono il cerchio. Se fosse la fine, io non l’accetterei. Non ce la farei.
Belle sospirò. Amava quando Gold si toglieva le maschere e le faceva vedere quello che già sapeva. Quanto fosse fragile, quanto il mondo lo inquietasse.
Aveva compiuto tanti errori, ma appartenevano al passato. Non doveva – non dovevano – lasciarsi condizionare così da ciò che era stato.
Gli accarezzò con la punta delle dita quel suo volto così pieno di segreti.
- Lo so, – gli disse – Ma so anche chi sei tu. E tu sei molto più di quello che l’apparenza mostra.
Lo baciò, e lui rispose al suo bacio.
Ma il battito del cuore di Belle, quel suono che tanto amava, in quel momento gli parve un tamburo di guerra.
Perdonami, Sweetheart.
 
 
 
“I will be here
when you think you’re all alone,
sleeping through the cracks,
I’m the poison of your bones.”
 
 
 
Cora le aveva detto che l’avrebbe trovata lì. Da quando Rebecca le aveva parlato di quelle maledette lettere e la Contessa le aveva spiegato ogni cosa, nella mente della Zelenyy si era accesa una scintilla che lei non avrebbe mai lasciato morire.
Aveva carezzato a lungo quell’idea, cullata in grembo come un figlio neonato senza lasciarla ammirare neanche alla sua nuova amica, che pure l’aveva guidata e aiutata con comprensione quasi materna. Era stato facile ingannare Ella, farle credere di star partendo quando ad attenderla non era stato un treno, ma la carrozza di lady Mills. La gentildonna che tanto l’aveva presa in simpatia l’avrebbe ospitata fino alla festa, cui entrambe avrebbero partecipato.
- Troverò il modo di farti entrare, – le aveva promesso – È la tua occasione, e non la sprecherai.
La sua occasione, finalmente, e solo il Cielo sapeva quanto l’avesse attesa. Gold non se l’aspettava, vero? Quanto si sarebbe divertita dinanzi alla sua espressione, quanto. Di sicuro non immaginava che proprio in quel momento lei fosse a pochi metri da lui, appena fuori dalla grande villa che divideva con la sua puttana.
Certo, quella sua mossa era rischiosa. Rebecca lo sapeva bene: se l’industriale l’avesse vista, tutto sarebbe stato vano. Anche per questo non aveva messo Cora a parte della visita a Kensington: di sicuro la Contessa avrebbe cercato di dissuaderla, e presto o tardi lei avrebbe ceduto perché non voleva deluderla.
La gentildonna credeva in lei come pochi avevano fatto prima d’allora. Aveva accolto lei, un’estranea, come una figlia; le aveva offerto una camera degna di una principessa e in pochi giorni pareva essersi… Affezionata? Sì, affezionata a lei. Le instillava fiducia, le ripeteva di non limitarsi ad anelare ciò che voleva, ma di considerarlo già suo, di non lasciarsi abbattere dal fallimento e trasformarne la rabbia in nuova forza. Cora era una maestra per lei; una madre, avrebbe osato dire, anche se lei una madre non l’aveva avuta mai.
Qualche anno prima, dopo aver scoperto la verità, aveva avuto modo di conoscere alcuni lontani parenti. Ricordava ancora come si era preparata per l’occasione, con quanto impegno si fosse esercitata nel galateo e avesse mandato a memoria frasi in russo; quanta speranza avesse deposto in quell’incontro con le sue origini.
Era stata una delusione.
Chi era quella baronessa dall’aria altezzosa, perché quei ragazzini – i suoi cugini, aveva pensato con una stretta dolorosa in petto – parlavano fitti tra loro e ridevano di lei?
(Perché non c’era – non c’era mai – un sorriso destinato a lei?)
Rebecca aveva pensato che il sangue sarebbe stato abbastanza e aveva scoperto che, da solo, il sangue è nulla. Aveva pensato che fosse possibile tornare indietro nel tempo, riavere il posto suo di diritto; ma non si riconosceva in quel gruppo più di quanto non si riconoscesse nei ragazzini della sua infanzia nei sobborghi di New York: per lei loro erano nessuno, e per loro – anche per loro – lei era nessuno.
Anche questa volta, Rebecca, non ci sarà amore per te.
E Gold, che pure l’aveva fatta sentire meno sperduta, non si era rivelato diverso dagli altri.
E poi – all’improvviso, quando già si preparava a tornare a casa col callo dello scrittore e un nulla di fatto – era comparsa Cora. Lei le aveva raccontato tutto: l’antica amicizia con Gold, l’irruzione di una donnaccia che tanto furbescamente si era insediata nel cuore dell’uomo, cambiandolo e allontanandolo dal resto del mondo… I moniti della Contessa erano stati vani tanto cinque anni prima quanto al ritorno dell’industriale; ma ora che aveva conosciuto Rebecca, i cui interessi erano così allineati, contava su di lei perché la verità su quella scalatrice sociale, su quella dannata Belle finalmente emergesse.
E lei non l’avrebbe delusa.
Cora aveva una figlia, aveva scoperto Rebecca. Era sua la stanza che occupava: la ragazza era giovane, molto giovane, ma a causa di contrasti con la madre si era allontanata non poco dalla famiglia.
- Regina è insipiente, e contraddirmi è la sua passione, – aveva sospirato la Mills – Ma il mondo non è una fiaba, e alle volte bisogna saper rinunciare anche a ciò che si ama. Spero lo capisca presto.
A Rebecca sarebbe piaciuto incontrare Regina e farle un bel discorsetto. La immaginava tronfia e
piena di sé come chi ha avuto tutto dalla vita, sempre pronta a pretendere e mai ad accettare la realtà. Regina non capiva la fortuna che aveva: non aveva conosciuto una vita di soluzioni di ripiego, di sogni abortiti e ricordi dolorosi. Era sempre stata amata, accettata, non aveva mai provato il dolore di essere respinta – il dolore peggiore, quello che fa male fino al midollo e da cui nessuno guarisce mai davvero.
Ma gente come Regina cosa ne sa?
- Salve! Cercate qualcuno?
Il saluto lasciò basita la Zelenyy, immersa nelle sue elucubrazioni. A rivolgerglielo era stata una giovane donna:  l’aria densa e umida le incorniciava il volto di soffici ricci rosso cupo, ciocche sfuggite dal nastro e scivolate sulla fronte come una cortina. Sul volto dall’espressione mite risaltavano due iridi cerulee.
Rebecca quasi non batté le palpebre, nel timore che la visione si dileguasse; la mente le corse subito alla descrizione da giorni e giorni al centro dei suoi pensieri.
“- È bassa, molto bassa, e minuta. Ha gli occhi azzurri, vero, ma nessun altro segno distintivo. È un tipetto ordinario, nulla di notevole; insignificante. A forza di sbattere le ciglia è riuscita a conquistare il nostro amico, ma non temere, Rebecca cara: tu hai dalla tua l’intelligenza e me, e sta’ pure certa che saremo noi a vincere.”
Cora credeva in lei. Non poteva fallire.
La sconosciuta corrispondeva alla presentazione. Nell’istante in cui l’americana se ne rese conto, un’ondata di rabbia le sommerse il cuore: odiava, odiava di un furore ostinato quella smorfiosa il cui fantasma era riuscito a superare un oceano e a portarle via ciò che più desiderava.
Solo una cosa non tornava: Gold avrebbe permesso alla sua mantenuta di vagabondare da sola e a piedi, per di più vestita in modo tanto semplice? La donna, infatti, indossava un comune abito color ocra, nulla di particolarmente ricco o nobile; solo il colore la distingueva da una semplice domestica. Conoscendo l’uomo, Rebecca nutriva forti dubbi.
La sospettata continuava a guardarla.
- Miss… Vi sentite bene?
La Zelenyy sorrise.
- Sì, va tutto bene, – la ringraziò educatamente – Perdonatemi, ma ero assorta. Questa casa è… Dei del Cielo, è di un lusso principesco! Appartiene a quel Mr Gold, vero?
L’altra si limitò ad annuire.
- Allora non mi stupisco sia tanto lussuosa: quell’uomo è più ricco di Creso! – Rebecca commentò allegra, prima di ricominciare in tono complice – Sapete, sono un po’ invidiosa di Mrs Gold. Chissà quanti bei regali le farà il marito!
L’interlocutrice le sorrise.
- Ma abiti e gioielli non servono, se non c’è l’amore.
- Naturalmente. Però certo male non fanno!
Belle rise. Lì per lì, gli occhi da gatta avida della sconosciuta e quel qualcosa nel suo modo di fare che quasi ricordava una serpe tentatrice l’avevano messa in guardia; ma basarsi sulla prima impressione e trinciare giudizi era quanto di più sbagliato potesse esserci, e lei ormai doveva averlo imparato.
- Comunque io sono miss Staples-Lewis. Charlotte Staples-Lewis 3 , – mentì Rebecca.
- Belle French.
È lei.
- Belle, – ripeté la donna. Il suo sorriso si fece più largo, affilato – Mi piace. Dovrei odiarlo, è lo stesso della donna che mi ha portato via l’uomo che amavo, ma… Mi piace. È così delicato.
Conquista la sua fiducia, si ricordò la giornalista. Potrebbe condurti alla meta...
- Mi dispiace, – Belle mormorò a disagio, cercando di non evitare quelle mezzelune fredde come il ghiaccio cui il loro colore somigliava.
- Perché mai vi scusate? Voi certo non avete colpe! – Rebecca scosse il capo con convinzione – Piuttosto, Kensington è proprio un quartiere elegante. Voi vivete qui?
- Ci lavoro, – si limitò a rispondere Belle. Non poteva certo raccontare tutto alla prima persona incontrata per caso; tanto più a una persona che le trasmetteva la strana impressione che sapesse di lei molto più di quanto Belle immaginasse.
Ma non aveva senso. Non aveva conosciuto nessuna Charlotte prima di allora…
- Ecco perché mi sembrate così informata sui segreti del quartiere! Come avete detto prima? “Abiti e gioielli non servono, se non c’è l’amore”? C’è forse maretta tra Mr Gold e sua moglie?
Lo sguardo allucinato della French le provò di star interpretando perfettamente la parte.
- Oh, Cielo! – Rebecca mormorò triste – Mi sono fatta scoprire ancora, vero?
Belle la guardò incuriosita.
- Siete una giornalista?
- Alle prime armi, purtroppo, – confidò l’altra – Il giornalismo mi ha sempre affascinata, e da quando sono rimasta sola ho deciso di farlo diventare la mia vita. Al giorno d’oggi una ragazza deve pur lavorare, vero? – ammiccò in tono complice – Purtroppo però non sono molto abile. Mi faccio riconoscere sempre… Voi stessa ve ne siete resa conto. Ma non preoccupatevi, – la tranquillizzò all’istante – Se anche aveste detto qualcosa di compromettente sui vostri datori di lavoro, certo non vi avrei citata nell’articolo! Avrei parlato di una generica conoscente della famiglia, né più né meno.
Perfetto. Si stava mostrando amichevole e cortese, l’insieme perfetto per accattivarsi il prossimo nella maggior parte dei casi. La Zelenyy era ansiosa di chiedere altro, ma era anche abbastanza furba da non insistere troppo. Stava procedendo bene.
Che strano personaggio, rifletté Belle. Fondamentalmente inoffensivo, però così curioso nella sua goffaggine. Come giornalista, certo, era pessima… Era stata fortunata a trovare una cronista tanto incapace: qualcuna con maggiore esperienza avrebbe potuto farla parlare un po’ troppo e rovinare tutto. Si mise in guardia per il futuro.
- Nessuno nasce esperto, – decise di incoraggiarla – Sono certa che col tempo diventerete bravissima. Ma quanto al vostro articolo, mi spiace deludervi – c’è ben poco da scrivere sui Gold, perché non esiste alcuna Mrs Gold.
Siamo sposati nel cuore.
Un’osservazione così semplice, cui era abituata, eppure ogni volta capace di aprirle una voragine abissale.
Ancora a causa tua.
Certo, non esiste alcuna Mrs Gold, ripeté tra sé e sé Rebecca. Forse non esisteva ufficialmente, ma i fatti erano ben diversi. La ragazza, aveva notato, aveva pronunciato la frase con un tono cui non era estraneo il rammarico. Le sue mosse avevano parlato per lei.
- Capisco, – la donna sospirò – Dovrò dire al mio direttore che Gold non è un’interessante fonte di pettegolezzi. Spero se ne faccia una ragione… In ogni caso, vi ringrazio, Miss French.
- Non ho fatto nulla per cui…
- Oh, no, – la contraddisse la rossa – Mi siete stata più utile di quanto immaginiate.
Rebecca le rivolse un ultimo breve sorriso di cortesia e si allontanò in fretta.
Robert Gold, non ti pentirai di non aver scelto me, ma di aver scelto lei.
Belle rimase a osservare la giornalista allontanarsi, la mente affollata da pensieri tanto diversi tra loro. Forse avrebbe dovuto parlare a Robert dell’incontro, del fatto che la stampa fosse attorno a loro come un avvoltoio appollaiato su un albero…
Ma quando entrò in casa, quando Helena le saltò al collo e la trascinò a giocare, quando Robert le sorrise, il pensiero di Charlotte Staples-Lewis finì nel dimenticatoio.
 
 
 
I’m gonna make you suffer.
This hell you put me in,
I’m underneath your skin,
the devil within.”
 
 
 
Rebecca Zelenyy era la cosina più miserabile su cui avesse mai posato lo sguardo.
Nell’istante in cui l’aveva sentita parlare di Robert Gold e della loro storia, Cora Mills aveva avuto una strana reazione: la parte di lei che ancora avvertiva una punta di gelosia era stata soffocata presto, molto più presto di quanto avrebbe immaginato, dalla commiserazione per quella donna il cui unico desiderio pareva compiacere il prossimo.
L’atteggiamento professionale e rigoroso di Rebecca, quasi la dovesse intervistare, era svanito nell’istante in cui aveva capito che Cora era un’alleata. Aveva presto iniziato a pendere dalle sue labbra: la guardava incantata, come incredula di essere entrata nelle sue grazie; taceva quando era lei a parlare, quasi in attesa del permesso per tornare a respirare.
Alla Contessa erano bastate mezza occhiata e un’ora o due di chiacchiere per capire che quella scioccherella illusa non aveva mai davvero avuto speranze con Robert Gold… Uomo i cui gusti erano in caduta libera. Prima la storia tragica e assurdamente romantica con la servetta, poi questa giornalista-nobile perduta bella sì, ma immensamente problematica… Almeno la French aveva avuto la prontezza di farsi mettere incinta e incastrarlo; e in ogni caso era un’antagonista contro cui valeva la pena combattere, che non si rassegnava né cedeva subito.
Non era stato difficile plagiare Rebecca. Cora aveva riconosciuto subito le lettere di cui andava blaterando, ma l’aveva convinta appartenessero a Belle French. Le aveva parlato fino alla nausea dell’intrigante che le aveva portato via il suo migliore amico,  padrino di sua figlia e sostegno in momenti tragici – solo una stupida avrebbe ammesso la natura del loro rapporto – e voilà, les jeux sont faits. L’aveva convinta che sì, forse non avrebbero più riavuto il loro amico e amante, ma ciò non precludeva loro il nettare di una vendetta ancora più dolce perché a lungo attesa.
Una cosa era certa: Gold aveva creato il caos. Si era messo nei guai con le sue stesse mani; e questo, inutile a dirsi, era fonte di immensa gioia per Cora.
Certo, se Robert avesse raccontato a Belle della Zelenyy, le due sarebbero state punto daccapo. Ma in tutta onestà, Cora dubitava che l’industriale avesse dato prova di simile maturità: lo conosceva fin troppo bene per ignorarne la tendenza a rifuggire i problemi, e dipendente com’era dalla camerierina e dalla sua bastarda era improbabile che avesse anche solo pensato di correre il rischio di perderle.
E pur di non perdere i soldi Belle stessa avrebbe potuto ignorare il tradimento e le menzogne; ma a quel punto la macchina del fango sarebbe già partita, e non ci sarebbe stato modo di fermarla.
Insomma: qualunque fossero state le mosse di Gold e della French, i due sarebbero stati sconfitti.
Non sarebbe mai stata grata a sufficienza al Fato che le aveva fatto incontrare la Zelenyy: obbediente e grata, era semplice ferirla, quanto era semplice farle piacere. Poche parole e avrebbe fatto di tutto. Rebecca sarebbe stata la figlia perfetta… Non come quell’ingrata, che pretendeva tutto fosse suo di diritto quando di legittimo non aveva neanche il diritto di vivere.
Ma la gente è fatta così: più la si tratta bene, più si dimostra incontentabile.
Perché Regina non sapeva essere come lei? Neanche da piccola Cora era mai stata così stupida. Aveva dato tutto alla figlia, e lei l’aveva tradita: quando andava a trovarla a Kensington,  non c’era traccia di affetto per lei, solo l’indispensabile per non apparire maleducata. Quel suo atteggiamento le faceva desiderare di scorticarla a cinghiate per insegnarle il rispetto.
Dal punto di vista di Regina, aveva capito Cora,  la situazione appariva chiara: madre e figlia avevano chiarito le rispettive posizioni, il cordone era reciso.
Dal punto di vista di Regina, sì; ma l’Inferno sarebbe ghiacciato prima che lady Mills avesse permesso alla figlia di fare quel che aveva in mente di fare. Grazie agli informatori messi alle calcagna dello stalliere, era al corrente di ogni mossa di quei novelli Romeo e Giulietta; e quando aveva saputo del loro progetto di fuga, Cora Mills aveva preso fuoco come un barile di pece. La sua unica erede non avrebbe lasciato Londra senza il suo beneplacito: non si era sforzata tanto per vedere la sua stirpe confusa tra la folla di una metropoli lontana. Con cosa intendevano sopravvivere quei due, poi? Avevano dalla loro solo la gioventù, ma con quella non si mangia.
Cora rimirò l’abito di broccato scuro decorato da sottili fili d’argento. Quella sera ci sarebbe stato il ballo e tutto si sarebbe risolto: Regina avrebbe ricevuto una lezione memorabile; e soprattutto Gold, Gold l’avrebbe pagata per gli ultimi cinque anni.
Avevano giocato una lunga partita a scacchi, avevano studiato la collocazione di ogni singolo pezzo, ma a uno dei due il finale sarebbe inesorabilmente sfuggito.
E Cora sapeva a chi.
Perché tutti giocavano, ma nessuno giocava bene quanto lei.
 
 
 
Now I’m the heavy burden
that you can’t bear.”
 
 
 
Da quando Mal le aveva consegnato il bigliettino, Regina era nervosa.
Non aveva mentito dicendo di essere pronta a rivoluzionare la sua esistenza e seguire Daniel in America; solo, non immaginava che tutto accadesse davvero tanto in fretta.
Quella sera il ragazzo avrebbe visto il suo conoscente emigrato in America. Dall’incontro sarebbero dipese le loro sorti: se fosse andato bene, sarebbero partiti presto; altrimenti…
Altrimenti gli incontri smozzicati e la paura sarebbero stati ancora la routine.
L’incontro doveva andare bene. Doveva assolutamente andare bene.
Anche se questo avrebbe significato dire addio per sempre a sua madre, alla vita come l’aveva conosciuta finora, agli agi e alla serenità.
All’infanzia.
A Helena.
Ma ci sarebbe stato Daniel e tutto sarebbe andato bene; il passato non le sarebbe mancato.
Il passato tranne Helena.
Di sera le sarebbe mancato pettinarle i capelli tanto a lungo da renderli come seta, durante i pasti le sarebbe mancato ritrovarsi il piatto pieno di tutto ciò che Helena odiava e svuotato di ciò che amava e sempre, sempre le sarebbe mancato averla attorno, intenta a trafficare, a toccare e spostare tutto senza permesso.
Come stava facendo in quel momento.
- Rompi qualcosa e ti rompo la testa, – l’avvertì Regina.
Nell’istante stesso in cui lo disse, si sentì un fragore.
L’adolescente si voltò: Helena aveva appena fatto cadere il cofanetto in cui aveva nascosto anche l’ultimo messaggio dell’innamorato.
- Uh! – la bimba si portò le manine alla bocca – Non volevo! Scusa! – si gettò per terra, raccogliendo a manciate quanto sparso sul pavimento.
- Lascia stare, – la giovane mugugnò irritata – Faccio io.
- No, no, ti aiuto! – afferrò il biglietto, ma non lo allungò all’altra – Che cos’è questo? Non è una collana.
- Complimenti per lo spirito d’osservazione, – Regina non si trattenne prima di alzare gli occhi e capire con orrore di cosa si trattasse – Dammelo. Dammelo subito.
Incurante dell’ordine, Helena aprì il foglietto e l’osservò incuriosita.
- Sai che papà mi sta insegnando a leggere? Ecco, questa è una “D”, – indicò la lettera – E quest’altra una “A”! Poi questa non la conosco, però se mi aiuti… – la bambina non fece in tempo a concludere: Regina le strappò la carta di mano, lasciandola sbigottita – Ma…
- Ti ho detto di restituirmelo. Avresti dovuto ubbidire, – abbaiò, le unghie che lasciavano profondi solchi sui palmi.
Aveva già vissuto una scena più o meno simile: una bambina che scorgeva un luccichio inopportuno, una confessione alla madre, la catena di eventi che ne era scaturita.
Non avrebbe permesso alla storia di ripetersi; non con lei, almeno.
Helena fissava frastornata Regina. Mai, nemmeno i primi tempi la ragazza le si era rivolta con tanta rabbia: era scattata all’improvviso, e ora la scrutava come se fosse stata un’estranea, come se fosse stata una minaccia.
Quasi ne era spaventata.
- Io volevo mostrarti che so leggere, – confessò sperduta, sentendosi gli occhi pungere.
- Mi sono per caso mostrata interessata alle tue doti? Non mi importa quel che sai o non sai fare, se ti dico che devi star ferma, tu devi stare ferma!
- Ma…
- Niente “ma”, ti ho detto che non mi interessa! Tu non devi…
- Allora? – una voce maschile chiese all’improvviso.
Nonostante non avesse urlato, le due trasalirono come raggiunte da una frustata. Si voltarono verso la porta: Gold stava entrando in camera e le studiava entrambe.
- Avete finito? Me ne compiaccio, – le apostrofò gelido – Cosa succede?
- Niente, – fece Regina – Le ho detto di non toccare le mie cose e ha disobbedito.
- Non lo sto chiedendo a te, – fu la secca replica dell’industriale. La ragazza chinò il capo, e l’uomo si rivolse alla figlia – Perché stai piangendo?
- Non sto piangendo, – ribatté in fretta la bambina nonostante i lacrimoni che le solcavano le gote.
Gold si trattenne dall’imprecare. La sera del ballo prometteva bene, se quello era l’esordio.
- Cosa ti ha fatto Regina?
È colpevole di ogni male del mondo, la convenuta si vietò di rispondere tagliente.
- Niente, – mentì mordendosi l’interno del pollice.
- Se menti per proteggerla, non ti comporti bene, – il fatto che proprio lui stesse pronunciando simile frase aveva un che d’ironico che Gold preferì ignorare – Devi dirmi cosa ti ha fatto, cosa ti ha detto. Altrimenti non posso far nulla. Tu vuoi che io non faccia nulla?
La bambina annuì.
In questo non ha preso da me.
Gold non seppe dirsi se fosse un bene o un male. Sospirò e prese in braccio la piccola, che subito nascose la testa nell’incavo della sua spalla.
- Andiamo a vedere se la mamma è pronta, – le disse. Fece per uscire, ma prima si voltò verso Regina – Prova a farla piangere ancora e vedrai, – la minacciò – E ricorda sempre una cosa, Dearie: qui dentro l’unica a non dovere sei tu.
Chiuse la porta, lasciando dietro di sé una ragazza dagli occhi bruni lucidi quanto quelli di Helena.
 
 
 
Belle si guardò un’altra volta allo specchio, cercandosi senza riconoscersi. Chi era la giovane donna in quello splendente abito da sera intessuto d’oro? Come aveva fatto nell’arco di pochi mesi a passare dal non avere alcun ornamento a diamanti che le ornavano il pallido collo?
Con questo Tink sfamerebbe l’orfanotrofio per i prossimi dieci anni, commentò tra sé e sé sfiorando le gemme. Erano bellissime, non poteva che ammetterlo; e da sempre le piacevano i bei vestiti, perciò una parte di lei aveva esultato quando Robert si era presentato a casa con un manipolo di sarte e stilisti.
Per un motivo o l’altro, non era mai stata tanto elegante in vita sua. Ma…
Non è che tu non sappia come comportarti, si redarguì. E non ha alcun senso scappare. Sei intelligente e bella, sai cosa fare, e soprattutto sei stata tu a convincere Robert ad andare…
Fa’ la cosa coraggiosa e il coraggio verrà da sé.
Qualcuno bussò lievemente. Quando andò ad aprire, Belle si ritrovò davanti Robert in cravatta bianca e frac nero e con in braccio un’affranta Helena.
- Cos’è successo? – domandò preoccupata.
- Lite tra ragazze, – replicò laconico Gold.
- Capisco, – Belle si rivolse a Helena – Cos’hai fatto a Regina?
- Non è colpa di Helena, – intervenne l’uomo – Sarà stata sicuramente colpa di Regina. La mela non cade mai lontana dall’albero.
- E allora tua figlia non è una santa, stanne pur certo, – lo rimbeccò prima di chiedere alla piccola: – Le hai rotto qualcosa?
La bambina scosse il capo.
- Non stavo ferma quando mi diceva di stare ferma e mi ha urlato contro.
- Ecco! – strepitò Gold – Senti? Le ha urlato contro!
- E lei non la stava a sentire, quindi direi che sono pari, – alle volte, suo malgrado Belle pensava fosse meglio non avere sempre Robert attorno. Era un padre eccezionale, partecipe e attento, ma il suo essere iperprotettivo sapeva raggiungere picchi inauditi. Era il tipico genitore che avrebbe ucciso per un letterale graffio al proprio pargolo, senza rendersi conto delle conseguenze nefaste del comportamento – Helena, sai che a breve io e papà dobbiamo uscire. Promettici di far la brava, di obbedire a Mary Margaret e di chiedere scusa a Regina.
- Helena, non chiedere assolutamente scusa a Regina, – il contrordine di Gold giunse repentino – Deve essere lei a venire da te in ginocchio, se vuole continuare a vivere qui.
La bambina guardò sperduta i due.
- Ma io non voglio che Regina se ne va… – bisbigliò incerta.
- E allora chiedile scusa e impegnatevi ad andare d’accordo. Finora siete state così brave, – Belle le ricordò – Dovete continuare così. E, lo sai, non devi toccare ciò che non è tuo senza permesso! – le porse una mano che la bambina afferrò all’istante – Andiamo dagli altri, su, o faremo tardi.
Quando la donna tornò, trovò l’amato intento a guardare fuori dalla finestra, come un lupo intrappolato che brama la fuga.
- La crisi pare rientrata, – gli disse allegra.
- È stato un simpatico diversivo. Le mie serate non sono quasi mai interrotte da interludi tanto drammatici, –  ribatté in tono ironico, ma privo di allegria.
Belle trattenne un sospiro dinanzi all’ennesima prova del singolare misto di speranza e pessimismo che dominava l’industriale negli ultimi tempi.
- Andiamo?
Finalmente Gold si voltò. La prese per mano, e la fece volteggiare per un istante  su se stessa, prima di sfiorarle la fronte con le labbra.
- Sei bellissima, – le carezzò piano i capelli per non rovinarle l’acconciatura – Non andiamo alla festa. Prendiamo la carrozza e partiamo, due giorni solo per noi. Che ne dici?
- Non abbiamo niente con noi e tu hai dato conferma all’invito, – gli fece presente Belle.
- Inventeremo qualcosa. Non vale la pena perdere tempo a un ballo. Quando torneremo ne organizzeremo uno molto più fastoso, se vorrai. Un ballo in tuo onore.
La donna sorrise e lo baciò.
- Non dobbiamo scappare, Robert. Non siamo noi a dover temere loro.
Gold non rispose. Quanto avrebbe voluto fosse vero. Quanto avrebbe voluto strapparsi via la scheggia di paura che gli punzecchiava il cuore…
All’improvviso, la sensazione della mano di Belle sulla sua. Quell’energia, come uno sfrigolio di elettricità che il loro contatto produceva era ciò che lo teneva vivo.
Le strinse il polso tanto forte che la pelle le diventò bianca.
Non lasciarmi, amore mio.
Ti prego, non lasciarmi.
- Ti amo, Belle. Ti amo, e voglio vivere con te in un mondo senza nebbia.
Belle si accoccolò al suo fianco.
- Lo so. E sarà così.
L’aria tiepida carezzava la pelle.
Il cielo risplendeva d’oro.
 
Nulla poteva andare male.
 
 
 
You’ll never know
what hit you.”
“The devil within” - Digital Daggers
 
 
 
1: i Veitch di Chelsea erano la più importante famiglia di floricoltori dell’Ottocento inglese – https://en.wikipedia.org/wiki/Veitch_Nurseries;
2 : “L’amore che non osa pronunciare il suo nome” – Oscar Wilde docet;
3 : Charlotte Staples-Lewis (♥) è il personaggio interpretato da Rebecca Mader in “Lost”.
 
 
 
N.d.A. : Dearies!
Innanzitutto mi scuso per il ritardo. Questo capitolo ha avuto una genesi complicata: tra la sessione incombente, vari amici da salutare, un gattino psicopatico cui badare e un viaggio quasi last minute, mi sono ahimè ridotta all’ultimo: non procrastinerò più, prometto!
Spero che il risultato complessivo non vi faccia rabbrividire: stavolta nutro molti timori per il suddetto motivo e perché ho introdotto personaggi per me nuovi e dalla psicologia certo non immediata. Ho scelto di aggiungere – anche se indirettamente – la Queen of Darkness mancante e di collegarla a (Cru)Ella: io shippavo lei e Ursula tanto quanto gli Authella (Author+Cruella), ma ho paura di aver reso la bionda troppo sdolcinata. Non potevo renderla psicopatica come l’abbiamo vista nella puntata a lei dedicata perché avrei contraddetto il modo in cui l’avevo presentata qualche capitolo fa, quando ancora non era stata trasmessa “Simpathy for the De Vil”; ho perciò percorso una strada “intermedia”, che spero non risulti eccessivamente melensa.
Ho anche accennato all’amicizia tra Gold e Cruella perché nella serie quei due insieme erano una bomba! XD
Altra nota dolente, Rebecca/Zelena: mi strapiace, non è una novità, ma è veramente complessissima e posso dire solo che mi sono impegnata al meglio per renderla degnamente così com’è, tra follia e anche molta fragilità.
Due piccole note per chiarire eventuali dubbi:
- in questa fanfiction, Zelena e Cora non sono assolutamente parenti;
- nel secondo capitolo, Zelena sa che qualcuna scrive a Gold, ma non ne conosce l’identità. Perciò è plausibile che Cora le abbia mentito indicandole come mittente l’innocente Belle – che, poverina, non immagina nulla di quanto stia accadendo. Siate buon* con lei e non giudicatela troppo duramente, per favore. ♥
Ci si rilegge tra un mese, ahinoi. Ci si rilegge il 26 settembre, il giorno pre-première, con un capitolo che… Beh, ora non vi anticipo nulla, però tenetevi forte! Nel frattempo ci si sente su “Euridice’s World”, la mia pagina Facebook: una visitina è sempre gradita, e più in là lascerò qualche spoiler! :D
Un immenso grazie a chi segue questa storia, la commenta e la pubblicizza e mi fa giungere il suo sostegno in ogni modo: come farei senza di voi? Prometto che risponderò presto a recensione/messaggi/quanto ancora in sospeso! ♥
Un bacione immenso, biscottini del mio cuore! :) :***
Euridice100
   
 
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