Libri > Mitologia greca
Segui la storia  |      
Autore: Fantasiiana    04/09/2015    8 recensioni
|GoT!AU|Raccolta|
L'inverno era arrivato, ed era stato lui a portarlo.
Aveva abbattuto ogni sua spina, ogni sua protezione, ogni muro eretto fra lei e il mondo da mani non sue, dalla volontà di una madre.
E ora le spine le sentiva dentro, nel cuore, ogni volta che lui non c'era.
Ogni volta che il tepore dell'estate le ricordava che lui era lontano, che batteva su di lei a ricordarle chi era, a cosa era destinata, a cosa non era destinata.
Lei, piccola rosa senza spine, costretta in un giardino di ferro intriso del sangue di mille lupi.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ade, Altri, Persefone
Note: AU, Cross-over, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Autrice: Fantasiiana
Titolo: Quanto sono lontani i tuoi pensieri da questo giardino?
Coppia: Ade/Persefone
Rating: Giallo
Avvertimenti: het, GoT!AU, Movieverse
Note:

  • Ambientata durante la terza stagione, fra la settima e la nona puntata, durante il quale gli Stark si dirigono nelle Terre dei Fiumi per il matrimonio Edmure Tully e Roslin Frey (i Bolton sono già segretamente alleati con Jaime Lannister). Dunque, in teoria, Ade, soldato del Nord, e Persefone, nobile del Sud, dovrebbero essere nemici...
  • Ade è appartenente alla famiglia Bolton, ma, al contrario della famiglia, si sente molto legato agli Stark, ed è per questo motivo che ripete sempre il loro motto - l'inverno sta arrivando - e poche quello della sua famiglia - le nostre lame sono affilate - e si riferisce al suo parente Roose Bolton come un estraneo. E' contrario al tradimento, ma sa che è l'unico modo per vivere.
  • Persefone è una bastarda della famiglia Tyrell, nata da uno stupro - per ciò, e per una genuina apprensione materna, Demetra si ostina a tenerla segregata al castello e la vuole costringere ad un matrimonio combinato fin da piccola. Il motto della famiglia Tyrell, lo ricordo, è: crescere forti.
  • Dioniso è appartenente alla famiglia Redwyne. Il loro stemma rappresenta un grappolo d'uva rosso su sfondo blu, che simboleggia i celebri vini di Arbor. Il motto è sconosciuto. I membri di questa casa tendono ad avere i capelli rossi e le lentiggini.


Image and video hosting by TinyPic  

Quanto sono lontani i tuoi pensieri da questo giardino?
Strozzalupo

 

 

«Azzurre son l'ombre sul mare/
come sparti fiori d'acònito./
Il lor tremolio fa tremare/

l'Infinito al mio sguardo attonito»
D'Annunzio, Undulna (vv.125-128)

 

 

C'è una cosa che non fanno che ripetere gli abitanti di Alto Giardino.
«Crescere forti.» E lei era sicura di averci quantomeno provato.
Erigere spine. Difendersi. Resistere alle intemperie.
Però no, non c'era riuscita. Non fino in fondo.
Non quando le braccia dell'inverno l'avevano raggiunta. Braccia gelide che si erano rivelate capaci di arrivarle al cuore e scaldarglielo. Scaldarglielo come la forza di mille soli, di mille estati.
L'inverno era arrivato, ed era stato lui a portarlo.
Aveva abbattuto ogni sua spina, ogni sua protezione, ogni muro eretto fra lei e il mondo da mani non sue, dalla volontà di una madre.
E ora le spine le sentiva dentro, nel cuore, ogni volta che lui non c'era.
Ogni volta che il tepore dell'estate le ricordava che lui era lontano, che batteva su di lei a ricordarle chi era, a cosa era destinata, a cosa non era destinata.
Lei, piccola rosa senza spine, costretta in un giardino di ferro intriso del sangue di mille lupi.

Ade era arrivato con la prima brezza fredda, ombra fra le ombre, col favore della notte.
Dioniso le aveva fatto visita quella stessa mattina, quando i raggi di un sole curiosamente mite scivolavano sui suoi capelli di fuoco e inciampavano sulle lentiggini spruzzate in viso.
Qualcuno, sua cugina Artemide, forse, le aveva detto una volta che le stelle non erano altro che tante piccole lentiggini su un volto addormentato.
La prima volta che aveva visto Dioniso, non era stata la luce tenue, lontana ma rassicurante, delle stelle sul suo viso a colpirla, ma il bagliore di un sorriso aperto in bocca, una voragine contornata da labbra rosse e piene.
Non lo avrebbe definito "bello". Solo... affascinante.
La tela di un ragno. Fatale, ma perfetta.
Dioniso suscitava la stessa curiosità, in lei, la stessa inquietudine – un interesse che la spingeva a tenersi lontano, al pari di come, però, la spingeva ad avvicinarsi per spiare più chiaramente le zampette lavorare operose sui fili.
Avevano mangiato dell'uva.
Persefone ne aveva contato segretamente i chicchi, con malcelato interesse, scandendo il tempo di quella lenta tortura.
Venti chicchi. Fili di ragnatela avvolti intorno al corpo. Una trappola fatta di dolci parole e sorrisi distanti. Una trama di intrighi e sussurri.
Dioniso aveva colto il suo allarme, la sua impazienza – troppo sveglio per non notarlo, ma si era divertito a torturarla ancora per un po'.
Venti chicchi.
E aveva preso la piccola mano bianca fra le sue. L'aveva sentita irrigidirsi sotto il tocco delle sue dita callose, sciogliersi sotto le sue labbra.
Agnellino impaurito.
L'aveva lasciata andare, perché la paura rovina il sapore della carne. L'aveva lasciata andare, con la promessa di un pasto futuro.
Allora, il sorriso si era tramutato in ghigno. E denti affilati di lupo vi si celavano.
Il lupo, però, era arrivato di notte, non di giorno.
Il manto, però, era nero.

E Persefone aveva pianto.
Aveva pianto, sì, come fanno i bambini, perché in fondo lei non era mai cresciuta, e sua madre provvedeva ogni giorno a ricordarglielo.
E aveva pianto, sì, perché crescere non era suo desiderio, e crescere con Dioniso, a causa di Dioniso, era un incubo.
E aveva pianto, come si fa in un incubo, ma stavolta non poteva svegliarsi. Né poteva rifugiarsi nelle braccia materne – quelle stesse braccia che avevano firmato la sua condanna, che la costringevano a rimaner bambina tra di loro e a crescere di notte, fra braccia estranee, intrappolata in una tela di ragno e scure parole di vino, amare e dense.
E il sonno, allora, l'aveva accolta fra le sue di braccia. Braccia silenziose, che non le promettevano una consolazione, ma solo un illusorio oblio.
E aveva accettato, Persefone, perché ai bambini non è dato il dono del giudizio – perché un bocciolo accetta qualunque raggio di sole, persino momentaneo, per sbocciare, senza sapere che la tempesta è nascosta dietro l'angolo, pronto a travolgerlo.

Si era svegliata ore dopo.
La notte le era nemica, o così le era sembrato.
Le stelle le ricordavano le lentiggini di un viso ostile, la luna un sorriso inquietante, denti pronti a sbranarla.
Si era messa a passeggiare fra le aiuole. I fiori avevano sempre avuto il potere di calmarla.
Le mura attorno a lei le ricordavano fin troppo chiaramente una vita passata all'ombra di una donna dai lineamenti familiari ai suoi – nessun uomo al fianco.
Mura inespugnabili, non erette solamente per impedire a chiunque di entrare, ma anche per impedire a lei di uscire.
Eppure qualcuno era entrato.
Una sensazione di gelo le aveva percorso la schiena. Non sapeva spiegarsi perché fosse sicura che qualcuno si celasse, lì, oltre la siepe che le faceva da scudo.
Il cuore aveva accellerato i battiti, lepre in fuga, il respiro le si era conficcato in gola, graffiante, come una lama incastrata nel proprio fodero per il freddo.
E freddo aveva sentito attorno. Pungente, minaccioso, severo, austero.
E così era il volto che si era ritrovata dinnanzi, prima che le palpebre le si chiudessero e le forze le scivolassero via dal corpo.
Prima che due braccia forti si sporgessero a sorreggerla.

C'è uno strano momento che precede il risveglio.
Un formicolio che solletica la schiena, una voragine che risucchia all'indietro, braccia che strappano dal sonno. Non si riesce a individuarne l'inizio, né la fine, però c'è – implacabile, inesorabile, insaziabile.
Poi viene la consapevolezza di chi si è, un lampo a ciel sereno.
Infine, il tacito ordine che costringe le palpebre a spalancarsi, gli occhi che viaggiano sul mondo, famelici.


Lui è voltato di spalle.
Persefone non ha visto molti uomini in vita sua, ma riconosce la schiena e il portamento di un soldato, quando le vede – di quelli, ne ha visti fin troppi. E non sono comunque molte le donne che portano una spada al fianco.
E' alto. Una pelle di lupo grigia gli copre le spalle – intuisce possa essere di lupo, perché nessuna pelliccia che le sia mai stata portata in dono è così morbida e spessa allo stesso tempo, né possiede quel colore come caratteristica. – I capelli sono neri, ricci, lucidi, e gli arrivano poco sotto la nuca.
Il mantello non permette di vedere altro.
Persefone trattiene il respiro, cercando di non far rumore, per nulla abituata all'arte dell'osservazione, troppo ingenua per pensare che il suono di un respiro mozzato possa essere un campanello d'allarme fin troppo evidente.
Lui si muove subito, fulmineo, ed è su di lei in un battito di ciglia.
La sovrasta, la guarda fissa negli occhi, inchiodandola all'albero su cui è poggiata.
Persefone è troppo stupita, troppo confusa, persino per pensare di urlare.
Volta lo sguardo spaventata da ogni parte, velocemente, ma ovunque guardi vi sono solo quegli occhi neri. Nero è un colore che non appartiene all'estate.
Lui non appartiene all'estate.
Deglutisce, stringendo le palpebre e voltando la testa, le lacrime che le premono contro le ciglia.
L'uomo – o almeno crede sia un uomo, insomma i lineamenti non sono quelli di un padre, ma gli occhi sono quelli di un vecchio stanco che hanno visto troppo e troppo a lungo – le prende il mento fra due dita, con decisione, ma delicatamente, al contrario di come preannunciavano i suoi modi e il suo sguardo severo, e la costringe a voltare il viso con la gentilezza e il riguardo di chi sa verrà obbedito.
Poi si allontana.
Persefone riapre gli occhi, trovandosi un fiore bianco davanti. Sente il profumo fin lì, sebbene sia ad una notevole distanza da lei.
Sebbene Lui sia ad una notevole distanza da lei.
Ed è Lui che glielo sta porgendo, senza un motivo preciso.

Sua madre una volta le ha detto che offrire doni è lecito, e che accettarli è cortesia.
Si è costretti, insomma, a prenderli, per non offendere colui che ce li sta progendo.
Ne ha ricevuti tanti di doni, di grandi, di piccoli, di belli, di brutti, di gradevoli e di sgradevoli.
Ma mai un fiore. Un fiore che possiede, oltretutto, quindi perché offrirglielo?
Sua madre le ha anche detto che i doni servono a dire tante cose, che ognuno ha il suo significato nascosto.
Persefone si chiede quale sia il significato di
quel dono.
E' come se qualcuno le stesse chiedendo di leggere un libro senza parole.
Tutto questo la confonde. Ha tante domande ma ha paura che, se anche trovasse il coraggio di porgene, non riceverebbe alcuna risposta.
Chi è costui? Perché le porge un fiore? Perché è lì? E lei perché non urla? Perché non fugge?
Fuggire, lontano. Dimenticare. Tornare ad essere, a vivere, come se niente fosse.
Poi capisce.
Capisce che l'uomo le sta chiedendo di accettare la sua presenza. Di accettare Lui nella sua vita, anche solo il ricordo.
Si morde un labbro, incerta.
Vuole farlo? Vuole accettare quell'ombra? Quell'interrogativo che probabilmente non verrà mai svelato?

Allunga piano una mano, esitante, e stringe il fiore con due dita, sfiorando involontariamente quelle guantate dell'uomo, che ritira la mano lentamente, per non offenderla, ma con una certa urgenza negli occhi.
-Ade- dice.
-C-come?- chiede lei, ma lui non risponde.
Si volta e ritorna ombra.
Persefone china lo sguardo sul narciso che ha in mano.
Quella voce. Così profonda, e tuttavia chiara, soave, e tuttavia decisa... Sa che tornerà a tormentarla – ma davvero di tormento si tratterebbe?
Porta il fiore vicino al viso, ispirandone il profumo.
Un sorriso le nasce spontaneo sulle labbra.


C'è uno strano momento che precede il sonno.
In cui gli occhi si rovesciano e la consapevolezza scivola via come acqua limpida di un torrente.
In cui anche l'ultima preoccupazione scompare, traducendosi in sogno.
Ed è in sogno che Persefone ritrova quello sguardo gelido a squadrarla, ma non ha paura.
E un sorriso affiora in labbra non sue, fuori, mentre un sole pallido che preannuncia tormento si trascina su nel cielo limpido, e un vento gelido serpeggia fino agli zoccoli impazienti di un cavallo nero come il carbone.
Una tacita promessa di incontro.
Un lupo non interessato a divorare l'agnello.

Persefone osserva il sole calare inesorabile verso il suo letto verde, prati fioriti all'orizzonte, incendiare le vaste campagne come di chi non ha ancora molto tempo per farlo e si gode il momento come se potesse essere l'ultimo.
Pira di morte.
Si stringe nelle braccia, in cerca di conforto. Conforto che non viene da braccia che avrebbe voluto, perché demoni nascosti in occhi che ama gliele hanno strappate via.
Lui non veniva mai col sole. Solo di notte.
Il cuore le ha perso un battito, non appena la sua figura nera le è apparsa davanti, l'incedere calmo, eppure urgente. Strano, perché il cuore accellerava sempre i battiti in sua presenza.
Un brivido le ha percorso la schiena. Paura.
Ha cercato chiarimenti, nei suoi occhi, ma ha trovato solo demoni neri.
Si è voltata di spalle, incapace di sostenere quello sguardo.
Il tempo, per loro, sembra essersi bloccato, ma il sole le ricorda invece che il mondo prosegue, che non possono sfuggirgli.
-Quanto sono lontani i tuoi pensieri da questo giardino?- chiede Ade.
Sussulta, tornando in sé, e deglutisce, sperando che la voce le corra in aiuto.
-L'ora è prossima- dice lei.
-La guerra è prossima- rettifica lui.
Le verrebbe da sorridere, se non fosse così angosciata. Lui la corregge sempre.
Carezza i petali carnosi di una rosa con affetto, un sorriso amaro sulle labbra, le lacrime raggruppate agli angoli degli occhi.
-Dunque sei venuto a dirmi che è la tua ultima visita, mio signore?
Ade si muove fulmineo, prendendole il polso e costringendola a voltarsi.
Improvvisamente si ritrova il viso contro il suo petto, gli occhi sgranati per la sorpresa.
-Sono venuto a dirti, mia rosa, che il motivo più grande di disonore per un uomo sarà anche la mia garanzia di salvezza.
Deglutisce, confusa, mentre le mani guantate le accarezzano lentamente i capelli, e braccia forti la stringono protettive.
-Commeterò innumerevoli delitti, sterminerò soldati amici, truciderò innocenti...
Le prende delicatamente il viso spaventato fra le mani.
E' incertezza, quella che ha negli occhi? Sta davvero tremando quella voce tanto amata?
-Sono venuto a salutarti, prima di vedere il disprezzo nei tuoi occhi.
-Non potrei mai disprezzarti.
Sorride. Un sorriso triste, disperato.
-Piccola figlia dell'estate...
La stringe nuovamente al petto.
-Sei così buona e innocente... Ma l'inverno sta arrivando.
Persefone abbassa lo sguardo, esitante.
E' ormai abituata a sentirgli dire continuamente quella frase. Ogni volta che lui si avvicina troppo, la ripete con tono grave, come a ricordarsi di tenersi a debita distanza.
L'inverno che protegge una rosa. La morte che protegge la vita.
-Non devi farlo per forza... P-puoi sempre rifiutarti.
Sente il movimento della sua testa contro la nuca, una tacita negazione che grava più di un urlo sul suo cuore.
-No, mia rosa. No, se questo vorrebbe dire rinunciare a te. Che la mia anima sia dannata dagli dei, non ti lascerò.
Chiude gli occhi. Non può che sentirsi sollevata, in parte, ma non può permettergli di distruggersi così.
-Lord Bolton ha tradito gli Stark- continua imperterrito. -Sarà un bagno di sangue.
Aumenta instintivamente la presa su di lei, come se fosse in pericolo.
Buffo, quasi ridicolo, considerando che i Tyrell sono alleati dei Lannister – e che anche i Bolton, ora, sono alleati dei Lannister.
-Le nostre lame sono affilate...
Le lacrime iniziano a rigarle le guance.
Non tenta nemmeno di asciugarle. Piangere è giusto.
E lei piange per la morte di milioni di anime.
Piange perché Ade è costretto a uccidere, pur non volendo.
Piange perché si opporrebbe se non fosse per lei.
Piange perché dal sangue di mille vite, il loro amore potrà sbocciare.
Piange perché qualcuno deve pur farlo.

Ade le asciuga le lacrime con i pollici, baciandole delicatamente la testa.
-Perdonami, mia rosa.

Sei chicchi di melograno.
Sei giorni.
La notte è infine giunta. Fredda, quasi insopportabile.
Persefone si stringe nelle braccia, fissando il vuoto davanti a sé, come ogni notte.
La notizia è già arrivata ad Alto Giardino. I corvi sono sempre stati ambasciatori di morte più veloci dei cavalli.
Aspetta il suo ambasciatore di morte. E da quello comincerà a vivere.
C'è una cosa che non fanno che ripetere gli abitanti di Alto Giardino.
Un'ombra si delinea chiara fra le altre.
Un silenzio le riempie le orecchie, assordante.
Si alza, incapace di sopportare l'attesa.
Corre, senza volerlo, gettandogli le braccia al collo.
Piangono entrambi.
«Crescere forti.»
Non è mai stata forte, ma ora deve esserlo. Per lui. Per loro. Poiché quello non è altro che l'inizio.
Rimangono così, stretti l'una all'altra.
Inverno contro estate.
Freddo contro calore.
Lupo contro agnello.
Morte contro vita.
Ed è dalla morte che, infine, la vita trova la via per sbocciare. Ed entrambi cominciano a vivere

  
Leggi le 8 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Mitologia greca / Vai alla pagina dell'autore: Fantasiiana