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Autore: RMSG    06/09/2015    6 recensioni
Dopo 14 anni e Supernatural bello che concluso, per Misha e Jensen si presenta una nuova sfida. Un amore, quello tra i loro figli, West e JJ, li unirà di nuovo e forse, se tutto va come previsto, potrebbe anche mostrar loro come i sentimenti non si possono nascondere sotto il tappeto.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Jared Padalecki, Jensen Ackles, Misha Collins
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Like fathers, like children 
Chapter 2: Salmon Pink Dragons


“Vedo che sei di buon umore, ‘stamattina” osserva Jensen guardando la figlia saltellare in pantaloncini per la sua stanza, mentre si pettina i capelli. Manca poco all’ora di pranzo, Danneel è giù che prepara qualcosa di fresco e buono per combattere il torrido caldo del Texas.

JJ ride, girandosi a guardare il padre e sorridendo solare. “Beh, ovvio, no? West sta per arrivare! Sono mesi che non lo vediamo! … e vengono anche i suoi, te lo ricordi no? Potreste fare una rimpatriata come si deve! Sono sicura che zio Jared non vede l’ora”.

Jensen scrolla le spalle, annuendo distratto mentre si appoggia allo stipite della porta. “Sì, potremmo, certo… Tom e Shep quando arrivano?” dice, cambiando discorso.

“Oh, non lo so… credo ci raggiungeranno un po’ più tardi. Faremo però una mega video chiamata anche con William da Londra!”

“Sì?” 

“Sì! Purtroppo non poteva proprio venire quest’anno, gli mancano due semestri alla laurea e sai quanto ci tiene… è riuscito a ritagliarsi una settimana di stop a fatica” continua JJ, frugando poi nella cassettiera e tirando fuori un bel vestito di cotone rosa. “Papà, che dici di questo rosa? Non ti sembra un colore troppo sbiadito?”

Jensen alza gli occhi, guardando il piccolo prendisole potenzialmente troppo corto sulle belle gambe della figlia. Scrolla di nuovo le spalle. “No. Rosa salmone è un gran bel colore, Jaybird, tranquilla”.


****


Non è che Jensen e Misha non si siano più sentiti nel corso degli anni successivi alla fine di Supernatural. Anzi, in realtà spesso e volentieri si sono ritrovati a dover telefonarsi per questioni di lavoro. Diverse, infatti, sono state le offerte che li volevano insieme sul set per portare nuove dinamiche nel mondo del piccolo schermo. 

Il punto è che fra di loro è sempre stato molto strano, dall’estate del 2008 quando si sono conosciuti sul set sino alla fine della tredicesima e ultima stagione di Supernatural. A quel punto, poi, inutile negarlo, dopo quasi dieci anni la situazione si era sicuramente fatta… rovente. Troppe cose non dette, troppe domande a cui rispondere, troppo troppo troppo. 

Niente di più, Mish, mi spiace.

Comunque sì, insomma, non è che non si siano sentiti dopo. I loro figli, fortunatamente, sono diventati tutti molto amici – nonostante la pesante lontananza –  e West in particolare, essendo il più grande, ci ha tenuto a rimanere in contatto. Per Jensen, questa è una cosa da stimare. 
West infatti, nel suo essere un piccolo marmocchio indiavolato, è sicuramente riuscito a combinare molto più di qualsiasi cosa che Jensen abbia provato a fare negli ultimi 14 anni. 

In questo tipo di situazione, quindi, ricevere una chiamata direttamente da Misha sul telefonino non dovrebbe sembrare strano. E non dovrebbe certo fargli venire un’improvvisa tachicardia, ma ehi, questa è la vita e questo è Jensen che si alza da tavola quella mattina e va a chiudersi in camera da letto per parlare al telefono.

“Misha Collins. Cosa posso fare per te?” risponde subito, il sorriso così grande da percepirsi persino nella voce, la voce fin troppo calda. 

“Jay.” ride Misha. “Ci sarebbero un sacco di cose che puoi fare per me…” Jensen deglutisce, continuando ad ascoltare in silenzio. “Ma mi limiterò a chiedertene solo una, perché l’età mi ha reso incredibilmente magnanimo”. Era amarezza quella? “Volevo chiederti… hai parlato forse con JJ? Perché non so tua figlia, ma l’esponente maschile della mia prole è pieno di adrenalina e non vede l’ora di incontrarla. O di diventare tuo genero, dipende”.

Jensen sbuffa, in parte contento di poter entrare nel tema figli. E’ l’unica cosa di cui riesce a parlare con Misha, ormai, l’unico territorio sicuro. “Beh... ha passato un paio d’ore a propormi varie trecce alla francese perché, a sua detta, da quando West è tornato da quel viaggio in Francia lui sembra adorare baschi, nasi all’insù e insulse capigliature europee”.

Misha ridacchia contro il microfono del telefono e Jensen deve sedersi un attimo sul bordo del letto. Era un po’ che non sentiva quel risolino. “Ok, beh… non so cosa dire. So solo che West è pazzo di JJ e, sai com’è, pensavo che forse valesse la pena di avvisarti. Non vorrei che decapitassi il mio primogenito”.

Jensen sbuffa e si passa una mano fra i capelli corti, un po’ biondi e un po’ grigi. “Misha. Ho visto quel bambino andare a fare beneficenza da prima che togliesse i pannolini o che fosse in grado di spiccicare due parole. E’ praticamente la tua copia carbone. Credi che ci sarebbe un altro ragazzo che vorrei per la mia bambina?”

Misha rimane in silenzio qualche secondo dall’altro lato del telefono. “… no, hai ragione”.

Jensen sente improvvisamente molto caldo e sospirando al telefono, cambia di nuovo discorso. “Allora, siete già ad Austin?”

“Sì. Siamo appena entrati in hotel”.

“Ok, perfetto. Allora ci vediamo ‘stasera a cena…”

“Certo. I ragazzi arriveranno un po’ prima da te, però. Pare che West non voglia lasciare nemmeno un minuto di vantaggio a Thomas”.

Jensen ride e scuote la testa. “Come se avesse una qualche possibilità, quell’alce”.


****


“Ok. Ci siamo” dice West, in piedi dinnanzi al cancelletto che dà sul giardino di casa Ackles. Maison è al suo fianco, come sempre a scoppiare palloncini con la faccia più annoiata del creato. 

“… West, lo hai già detto sei volte. Forse dovremmo cominciare a darci una mossa, che dici?” 

Nessuna risposta. Maison allora sbuffa e afferra la sua borsa, avviandosi. “La mia vita è una fanfiction…” borbotta fra sé e sé, scalciando i ciottoli del bel vialetto.

“M-Mais… Maison! Aspettami!” la chiama West, rincorrendola con lo zaino in spalla, fermandosi pochi secondo dopo con lei dinnanzi alla porta di legno laccato.
Maison suona sicura il campanello un paio di volte e continua a masticare la gomma. 

“Avrei dovuto mettere una camicia… Jensen le indossa sempre.” mormora West, gettando un’occhiata ai jeans dal blu sbiadito, alla normalissima t-shirt e alle scarpe da ginnastica.  

Al che Maison sbuffa una risata. “Ma tu non possiedi una camicia”.


****

E’ Danneel che va ad aprir loro la porta, tornata di nuovo nel suo periodo biondo e con il solito, bellissimo sorriso. West sente un po’ le farfalle nello stomaco mentre si fa abbracciare forte e il profumo di lei gli inonda le narici. Ha sempre adorato Danneel e le vibrazioni positive che emana per natura e anche se se ne vergogna un po’, lei è stata decisamente la sua prima cotta. 

Jensen li raggiunge subito dopo, nemmeno il tempo dei convenevoli, e anche lui indossa un grande sorriso, oltre che, ovviamente, una camicia. “Guarda un po’ chi è arrivato! Ehi!” 

Maison, furba come una serpe, è la prima che scatta ad abbracciare Jensen e beh, in un altro momento West penserebbe di non poterla biasimare perché, insomma, Jensen è Jensen. Ora come ora però tutto questo gli sembra alto tradimento, un fraternizzare col nemico mentre lo lascia da solo ad agonizzare. 

“Maison, wow, quanto sei cresciuta…” dice Jensen abbracciandola e mettendole una mano sulla guancia. La guarda negli enormi occhi blu e sorride quando lo fa anche lei. Come non potrebbe.

“Ehi, sto invecchiando anche io, che vuoi farci.” gli risponde la bionda e Danneel ridacchia alla battuta, intromettendosi.

“Ragazzi, volete qualcosa da bere? Avrete sete con questo caldo…”.

“Oh, io, Dani, per favore! Hai una Coca-Cola?” squittisce Maison, allontanandosi dalle braccia di Jensen e sgattaiolando in cucina dietro Danneel, pronta a raccontarle del viaggio e delle ultime novità.

“E tu non mi vieni ad abbracciare? E’ una vita che non ti vedo dal vivo”.

West lascia per terra lo zaino e si avvicina subito a Jensen, sorridendo solare come il padre, le gengive rosa sporgenti, le rughette attorno agli occhi. “E’ bello vederti, Jensen”. Allunga convinto una mano, pronto a scambiarsi un macho abbraccio a una spalla, ma in un secondo Jensen lo afferra e lo stringe forte, dandogli comunque qualche pacca sulla schiena.

“Sei cresciuto un mucchio… mi ricordi tuo padre da morire.” dice Jensen e la nota nostalgica non sfugge a nessuno dei due.

“Oh, beh, direi che è una buona cosa. Altrimenti dovremmo chiedere qualche spiegazione di troppo a mia madre e rischieremmo che ci scriva su un altro libro” scherza pacato lui, ridacchiando contro la spalla dell’altro. Jensen però scoppia a ridere, allontanandosi da West e inclinando il collo all’indietro, scuotendo poi la testa mentre le guance gli si arrossano per le risa. 

“Ah, per carità, non un altro libro!” continua a ridere, fissando contento il giovane. “JJ si stava preparando, scenderà a momenti… raggiungiamo le signore in cucina?”

West annuisce, ma non si smuove dal pavimento, non fa in tempo. JJ è lì, in cima alle grandi scale che collegano i due piani della villa e, se fosse meno educato, West farebbe notare al suo cervello che con qualche passetto in avanti, riuscirebbe anche a sbirciarle le mutandine da sotto il vestito rosa.

West. Calmo. Buono. Respira. Sei ancora caldo dall’abbraccio di suo padre, Cristo santo.

“West! Siete già arrivati?” esclama, sistemandosi la bella treccia francese posta su una spalla. “Ooow, volevo venire io ad aprire la porta!” si lamenta lei, la voce squillante e intermittente, mentre scende di corsa le scale e gli corre incontro e no, West assolutamente non sta buttando un occhio sul vestito svolazzante.

JJ scansa il padre e in un secondo ha le braccia attorno al suo collo, mentre West la cinge in vita e la solleva un po’ da terra, giusto quei pochi centimetri che li separano.
 
West non dice niente, si limita ad abbracciarla e le farfalle sentite prima ora come ora sembrano una pernacchia sul pancino in confronto al terremoto che ha dentro. Quanti cliché tutti insieme, pensa rassegnato West mentre se la stringe di più. Qualche secondo dopo la fa scendere e copia il sorriso sul volto di lei, uno gigante e contento. “Allora… sei un po’ ingrassata, vedo”.

JJ sbarra allora gli occhi e gli tira uno schiaffo sul braccio, facendo ridere West. “Sto scherzando... sei perfetta.”

“Ah, sì?” incalza lei, sollevando un sopracciglio furba.

“Cioè. Ti trovo in forma. Come l'ultima volta… niente di nuovo, insomma. La solita Jay.” dice lui, senza smettere di sorridere. Le guance già cominciano a fargli male e con la coda dell’occhio nota Jensen che li lascia soli in salotto. 

“Ow, West. Non chiamarmi solo Jay… o si girerà mio padre al posto mio!” sorride e gli fa un grattino con le unghie laccate di rosso sulla guancia un po’ ruvida. “Ehi, ti sta crescendo la barba… molto carino.” gli dice, facendogli un occhiolino esagerato e lasciando che West cominci a ridacchiare come ogni volta che fa quella faccia. 

“Andiamo in cucina, ho sete”.

“Sì, ottima idea. Rifocilliamoci. I Padaboys stanno per arrivare, meglio essere pronti!” esclama JJ, prima di fare strada per la cucina e non vedere così la faccia di West mentre la guarda andare.

Sarà una lunga, lunga settimana.


****


L’arrivo dei Padalecki è alquanto… intenso. Non solo perché Jared ha quasi rotto due costole a West nell’abbracciarlo, ma perché da trenta minuti a questa parte il cervello di West sta lavorando a pieno regime mentre tasta il territorio.

JJ è ovviamente il centro di tutte le attenzioni, la padrona di casa e autoeletta leader del team ChildrenOfSupernatural, e mentre sono tutti in cerchio tranquilli seduti in giardino a discutere su come organizzarsi per la gara, West rimane per un po’ in silenzio ad osservare. 

Shep è cresciuto dall’ultima volta che l’ha visto, ma è ancora tranquillo e riservato come lo ricordava. Thomas, invece, è tutta un’altra storia. Come il padre prima di lui, i suoi capelli non sembrano mai smettere di crescere. E con i capelli, le gambe. Pur essendo due anni più piccolo, infatti, è già più alto di West e molto più rumoroso. E ingombrante. E fastidioso. Ma non fastidioso nel senso stretto del termine, solo… di troppo, ecco. 

West gli vuole bene sul serio, però. Vuole bene a ognuno di loro, sono cresciuti insieme nonostante la lontananza e le differenze di età e di famiglie. Eppure con la crescita, inevitabilmente, si sono addentrati nuovi problemi fra i loro rapporti; nuove questioni che in qualche modo li hanno allontanati da quei bambini che cercavano di affogarsi nel fango più o meno un decennio fa.

West non ha vere e proprie prove scientifiche che Thomas stia cercando di mettergli i bastoni fra le ruote con JJ, ma ci sono certi momenti in cui l’oltre ogni ragionevole dubbio come regola di giudizio è più difficile del solito da applicare. Come in questo istante, per esempio.

“JJ, adoro il tuo vestito. Il colore ti sta bene…” dice West, sistemandosi gli occhiali da sole sul naso e sollevandosi poi sui gomiti, per non essere completamente steso sul prato. 

JJ si gira e ride, arrossendo appena, alzandosi e facendo un rapido giretto su stessa per sfoggiarlo un po’. “Davvero? Sono contenta che ti piaccia!” squittisce, risiedendosi contenta e gattonando più vicina a lui con un sorrisino. “Piace anche a papà questo vestito. Quando ero piccola aveva una camicia di questo colore, sarà nostalgia dei tempi d’oro!”.

“Sì? Anche mio padre ne aveva una uguale… curioso. Ha sempre avuto cose rosa”  osserva West.

“Mh, sì, infatti…” interviene Thomas, schiarendosi la voce e sistemandosi la frangetta castana davanti agli occhi. “Il rosa ti dona parecchio, JJ. Ed è un gran bel colore, sono d’accordo”.

West rotea gli occhi e non fa in tempo a ribattere che sua sorella, fino a quel momento in silenzio sul prato a fissare le nuvole nel cielo azzurro di Austin, apre bocca. “Il rosa fa schifo. E’ carico di sessismo a livelli inimmaginabili. E’ storicamente frustante, come colore.” borbotta, sollevando appena la testa e adocchiando JJ. “Ovviamente a lei sta bene qualsiasi cosa, non credo sia una questione di colore. Anche se questo rosa salmone non è male, sai? Nell’ultimo reboot di Skyrim c’è un drago proprio di quel colore, incredibile ma vero”.

“… oh” dice Tom, mettendo la schiena dritta e guardando Maison. “Beh, sì, insomma… il rosa è un colore da ragazze…” Maison gli lancia un’occhiataccia. “Ma se c’è un drago rosa sicuramente deve avere il suo perché, no?” ride nervoso, cercando inutilmente gli occhi azzurri di Maison, che però tornano a guardare il cielo.
 
“E da quando ti piacciono i draghi rosa, Mais? Credevo che tu fossi tutta morte e distruzione e risentimento” dice West, prendendola in giro.

Maison sbuffa, girandosi su un fianco, incurante della maglietta che le scopre la pancia. “Infatti non mi piacciono. Quello del drago rosa sei tu, Westie” lo sfotte, ridacchiando, mentre West sfoggia un’espressione teatralmente indignata.

“Maison! Non dovevi dirlo! Dio! I draghi e i tanga rosa sai che sono la mia debolezza!” esclama il biondo, strillando quasi ed esagerando le sue smorfie solo per far ridere gli altri. Shepherd è il primo a dare inizio ai risolini, ma è JJ poi che si inarca, gettando la testa all’indietro, e ridendo più forte di tutti. 

“Oddio! West!”. JJ continua a ridere, dandogli un piccolo schiaffetto affettuoso sul viso. “Devo proprio giocarci a quel gioco se ti ha convertito ai tanga rosa!”

“Mpf, Jay…” la chiama mellifluo West, ghignando, gli occhi maliziosi nascosti dalle lenti scure. “Se vuoi cavalcare il mio drago rosa, basta chiedere, lo sai che non ti negherei niente”.

JJ scoppia di nuovo a ridere e piano casca sul prato, tenendosi le mani sulla pancia e tirando in basso il vestito per non scoprirsi troppo. West si gira a guardarla, ridacchiando insieme a lei e agli altri. Eccetto Tom, che silenzioso si alza e mormora qualcosa sul dover andare a prendere da bere.

E bum. 1 a 0 per West Collins.


****

Più tardi, dopo la cena e una volta raggiunti anche da Misha e Victoria, i ragazzi sono in piscina coi piedi ammollo e il naso all’insù a guardare il cielo stellato di Austin. L’aria è afosa, umida e fa caldo, ma è una bella serata e tanti ricordi sembrano riaffiorare. 

Misha è sul patio del retro, a guardare i ragazzi in piscina. Sta bevendo ancora un po’ del vino che Jared ha tirato fuori dalla sua personale cantina e gli viene un po’ da sorridere, perché è buono e a lui il vino rosso neanche piace granché. Forse è l’aria di Austin.

“La prossima volta che mi chiedo come mai Maison fa l’eremita e si mette sempre da sola a pensare saprò a chi dare la colpa”.

La voce di Jensen arriva all’improvviso, fresca come un secchio d’acqua versato sulla testa durante una giornata torrida. “Purtroppo non sono riuscito a riversare in loro la mia ineccepibile perfezione.” ribatte Misha. “La connessione vent’anni fa faceva un po’ le bizze, sai com’è”.

Jensen ride piano e gli si avvicina, poggiandosi alla ringhiera in legno del patio e guardando anche lui verso la piscina. “JJ è contentissima di avervi qui. Sembra tornata a 8 anni”.

Misha sorride e scrolla le spalle. “Anche tu sembri contento. Sembri tornato a quando ne avevi 38, di anni”.

“Ehi! Tu sei il più vecchio fra noi! Non ti azzardare a fare battutacce sull’età.” dice Jensen, schiaffeggiando piano un suo braccio. 

“Tecnicamente la più vecchia è mia moglie e non è un problema tuo, perché sono io ad andarci a letto, quindi… aho! La pianti? La violenza non ti si addice. Con quella barba sembri più un orsacchiotto… ouch! Jensen”. 

E, uh, la voce di Cas sembra fare ancora il suo effetto.

Jensen lo guarda con l’espressione crucciata, ma il labbro inferiore trema appena, nel tentativo di resistere alle risate. “Sei un idiota, Mish”.

“Oh, lo so”.

“Lo sai?”

“Sì”.

“E quindi?” incalza.

Misha sospira, scuotendo la testa piano. “Jay, sono troppo vecchio per queste cose adesso…”

Jensen si irrigidisce, smettendo di guardarlo e sbuffa una risata amara. “… capisco”.

“Capisci?” chiede Misha.

“Già”.

“E cosa capisci?”

“Che non sai mentire nemmeno da cinquantenne” sbotta.

“E tu invece sì, Jensen?” si gira Misha, guardandolo accigliato. “Rispondimi, avanti”.

Jensen alza lo sguardo, affrontandolo per un istante come se non fossero passati 14 anni dall’ultima volta che hanno avuto questa discussione. “No, Mish. Non so mentire nemmeno io”.

Rimangono in silenzio, a quel punto, e tornano a guardare i ragazzi mentre gettano in piscina il povero Shepherd completamente vestito. Misha sospira e piega la testa, bevendo l’ultimo sorso di vino. Jensen lo guarda con la coda dell’occhio, allora, di nascosto, e pensa a quanto bello sia di profilo anche adesso che hanno entrambi i capelli grigi, a quanto le linee del naso e della mascella e della bocca siano sempre le stesse. Jensen si appoggia un po’ a lui, premendo le loro spalle, cercando un contatto che al tempo aveva dato molto per scontato.

 Nessuno dei due dice niente o si muove.
   
 
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